Pier Ferdinando CASINI - Deputato Opposizione
XVI Legislatura - Assemblea n. 261 - seduta del 22-12-2009
Nuove norme sulla cittadinanza
2009 - Governo IV Berlusconi - Legislatura n. 16 - Seduta n. 261
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , agli inizi del Novecento, un secolo fa, gli abitanti dell' Europa occidentale rappresentavano il 17 per cento della popolazione mondiale; oggi sono il 7 per cento , nel 2050 scenderanno, anzi scenderemo, al 5 per cento . ciò significa che, se già oggi l' Europa conta pochissimo negli equilibri mondiali, nel futuro sarà destinata a contare sempre meno se non saprà modificare i propri tassi di natalità, da una parte, e accogliere ed integrare i migranti extracomunitari dall' altra. la debolezza demografica del nostro continente fa sì che il nostro benessere stesso dipenderà sempre più dalla capacità di attrarre, e non di respingere, lavoratori stranieri, di integrarli; anche perché le stime delle Nazioni Unite dicono che da qui al 2050 gli uomini e le donne che faranno il loro ingresso nel mondo del lavoro saranno 438 milioni, e il 97 per cento saranno persone nate nei paesi in via di sviluppo . l' Italia avvertirà l' esigenza di integrare la propria forzalavoro con persone provenienti dall' estero, ancora di più degli altri paesi europei , perché i nostri tassi di natalità sono drammaticamente bassi: siamo il secondo paese più vecchio al mondo dopo il Giappone; gli uomini in Italia vivono attualmente in media 78,3 anni, le donne 83,8, ormai il 20 per cento degli italiani ha più di 65 anni, e il 5,3 per cento più di 80. agli inizi del Novecento la vita media in Italia era di 42 anni, nel 2050 sarà più del doppio, di 86 anni. ecco perché, se non si invertirà il trend del nostro tasso di natalità, tutti i demografi sono concordi nel ritenere che dovremo accogliere ogni anno per i prossimi 40 anni 300 mila nuovi immigrati, se vogliamo mantenere i tassi di sviluppo che avevamo raggiunto prima della crisi globale. peraltro, non possiamo trascurare il fatto che se ci rinchiudiamo a riccio nei nostri confini, chiudiamo anche la possibilità per le nostre imprese e i nostri prodotti di affermarsi sui mercati in grande espansione, lasciando il campo alle aziende degli altri paesi europei competitori. negli ultimi anni, i paesi del Mediterraneo, dell' Africa e del Medio Oriente sono cresciuti a ritmo ben superiore rispetto all' Europa, e anche in questa fase di recessione continuano a crescere più rapidamente di noi: sono mercati che, considerando anche il Golfo Persico , già oggi rappresentano il 10 per cento del totale delle nostre esportazioni, e si apprestano ad arrivare a rappresentare oltre il 5 per cento della produzione del Pil mondiale. onorevoli colleghi , di fronte a questi dati incontrovertibili, due sono i modi di affrontare la realtà dell' immigrazione e della cittadinanza: uno ha il senso della realtà, è politico, prova a guidare processi ed a governarli; l' altro è demagogico, è populista: lancia slogan ma non produce nessun risultato. punta tutto sulle paure: fa credere agli italiani che gli immigrati siano assai di più di quelli che sono, e infatti, secondo un recente sondaggio, la gente pensa che siano il 25 per cento della popolazione residente in Italia, mentre sono il 7,2. li si illude di poter risolvere il problema dell' immigrazione clandestina respingendo le « carrette del mare » che in realtà rappresentano appena il 10-15 per cento del totale degli arrivi, mentre l' 85-90 per cento arriva in gran parte con regolari permessi turistici che vengono lasciati scadere senza più uscire dall' Italia o per transitare verso altri paesi europei . è una demagogia ipocrita che si riempie la bocca con la promessa di aiutarli a casa loro quando la realtà è che l' Italia destina assai meno dello 0,7 per cento del suo Pil annuo al sostegno e allo sviluppo dei paesi poveri e che il vero sostegno — semmai — lo forniscono proprio i migranti che vengono a lavorare in Italia con le loro rimesse verso i paesi di origine: in pratica, sono proprio i nuovi poveri della nostra società a tendere la mano ai poveri del terzo mondo . e d' altro canto, mentre si fanno discorsi farneticanti di ronde, di medici e presìdi spia, di cassa integrazione guadagni ridotta per gli stranieri, di referendum per dire « no » a moschee e minareti, di reati di clandestinità, di immigrati che verrebbero in Italia per ammazzare quando ormai vi sono 4 milioni di lavoratori extracomunitari regolari che danno un contributo essenziale alla nostra economia, mentre si esaltano sui mezzi di informazione disposti a fare da gran cassa gli straordinari risultati ottenuti con i respingimenti, la verità è che nel solo 2008 sono arrivati in Italia altri 460 mila immigrati, più del doppio di quelli che si aspettava l' Istat. ma una scelta tra la demagogia e la responsabilità, tra le chiacchiere e il vuoto si impone anche di fronte ad un puro calcolo egoistico tutto italiano: l' Italia è il paese dell' Ocse con il più alto livello di spesa pensionistica, pari al 14 per cento del prodotto interno lordo nel 2005. nel decennio 1995-2005 la spesa previdenziale è aumentata del 23 per cento (solo Giappone, Corea, Portogallo e Turchia hanno avuto simili aumenti); la spesa pensionistica, onorevoli colleghi , assorbe il 30 per cento del bilancio dello Stato , quasi il doppio rispetto alla media degli altri paesi Ocse che è del 16 per cento , e i contributi pensionistici in Italia raggiungono quasi il 33 per cento dei guadagni contro una media del 21 per cento negli altri paesi Ocse. può un paese con un sistema pensionistico così a rischio, con una demografia così drammatica permettersi di rinunciare all' apporto di 4 milioni e mezzo di lavoratori stranieri in regola? possiamo pensare di rinunciare al 10 per cento del nostro Pil di punto in bianco solo perché dovremmo dar ragione a chi pensa che lo straniero sia una minaccia? possiamo dire che i 5 miliardi e 600 milioni di euro di tasse che versano ogni anno al nostro fisco — lo stesso introito del tanto decantato scudo fiscale — più o meno non ci servono? e ancora: possiamo dire ai 7 bambini su 10 nati in Italia, figli di immigrati, che in questo momento frequentano le nostre scuole dell' infanzia, che domani si iscriveranno con i nostri figli alle scuole elementari e che poi prenderanno il nostro diploma di licenza media e magari superiore e la laurea, che non li vogliamo perché dobbiamo difendere il manifesto dello ius sanguinis ? possiamo trattare questi bambini come un problema di sicurezza negando loro diritti, presente e futuro? e quale sarebbe l' interesse per noi di questa scelta? che cosa guadagniamo dalla presenza sul nostro territorio di centinaia di migliaia di nuovi emarginati? onorevoli colleghi , le grandi trasformazioni sociali del nostro tempo, la crescente realtà cosmopolita della nostra società ci inducono a considerare la necessità di politiche di integrazione che favoriscano in modo equilibrato l' acquisizione dei diritti di cittadinanza, nel rispetto dei principi fondamentali della Costituzione, dei diritti umani e della coesione sociale. infatti, il massiccio fenomeno immigratorio degli ultimi anni, le difficoltà del dialogo interreligioso, gli sviluppi del processo di unificazione europea e gli scenari della globalizzazione dei mercati hanno creato dizioni diverse da quelle che nel 1992 portarono alla definizione del quadro normativo sulla cittadinanza attualmente in vigore . l' onorevole collega della Lega che mi ha preceduto ha ricordato — e forse ha ragione — che l' argomento della cittadinanza non è nel programma di Governo ; ma, onorevoli colleghi , l' argomento della cittadinanza è nel programma dell' Italia e degli italiani. e noi da tempo consideriamo l' opportunità di intervenire legislativamente per adeguare la disciplina attualmente vigente al mutato contesto economico e sociale caratterizzato dalla multietnicità derivante dalla convivenza tra cittadini e persone immigrate di breve e lungo periodo. questa è una situazione che implica un' attenta riflessione sul concetto di cittadinanza e sullo stesso significato di identità nazionale. fermo restando l' apprezzamento per lo sforzo compiuto in Commissione dal relatore al fine di realizzare una sintesi delle diverse proposte di legge , secondo noi permangono troppe questioni irrisolte. nel dibattito attuale sul tema della cittadinanza, degli anni necessari per chiederla, del contesto entro il quale si deve favorire l' appartenenza per sangue o per territorio ad una determinata identità nazionale, non sembra che sia stato fino ad ora adeguatamente approfondito l' aspetto concernente il rapporto tra le regole della cittadinanza, l' identità nazionale e la nuova epoca della cosiddetta globalizzazione. se, infatti, si prende finalmente atto che siamo in presenza di un periodo storico radicalmente nuovo, nuove devono essere anche le regole della cittadinanza. di fronte a questo fenomeno straordinariamente nuovo si possono, infatti, assumere due atteggiamenti: o di radicale chiusura egoistica, basata sulla consanguineità (il criterio dello ius sanguinis attribuisce, infatti, la cittadinanza sulla sola base della situazione giuridica di filiazione) o di presa d' atto della globalizzazione, nella ricerca di un nuovo equilibrio tra identità nazionale e globalizzazione medesima. per quel che concerne l' Italia è questo, dunque, il momento di andare oltre, potenziando il meccanismo dello ius soli che attribuisce la cittadinanza a colui che nasce nel territorio dello Stato indipendentemente da quella dei genitori. oltre a ciò, è l' intero orizzonte politico e culturale a suggerire una radicale capacità di adeguamento degli istituti, anche giuridici, della vecchia statualità nazionale, alle nuove sollecitazioni dell' epoca attuale. occorre, inoltre, partire dal concetto che la cittadinanza non è di per sé un fattore di integrazione, bensì l' arrivo di un percorso di integrazione culturale. essa, infatti, non costituisce soltanto un riconoscimento di una lista di diritti, ma rappresenta qualcosa di più strettamente connesso con i principi fondamentali e con i valori fondanti della nazione. il nostro ordinamento, anche grazie alle regole del diritto internazionale e dell' Unione Europea , garantisce oggi a tutte le persone residenti nel suo territorio, a prescindere dalla cittadinanza, i diritti umani fondamentali, diversi strumenti di protezione sociale, nonché il pieno godimento dei diritti sociali a tutti coloro che in maniera regolare, e con un reddito sufficiente, lavorano in Italia. per queste ragioni non è la cittadinanza l' unica garanzia di tutela giuridica. ecco perché in tale visione lo Stato, nel concederla e nel riconoscere uno status che comporta una piena partecipazione alla vita pubblica , compresi i diritti politici , debba pretendere che sia stato effettuato un certo percorso culturale e a determinate condizioni. si profila pertanto necessaria, come giustamente evidenziato dalla relazione della proposta di legge Sarubbi-Granata, una svolta paradigmatica nella concezione del meccanismo di attribuzione, passando da un' ottica concessoria e quantitativa ad un' ottica attiva e qualitativa. signor presidente , onorevoli colleghi , non diamo alibi a nessuno per non continuare l' esame di questo provvedimento. la materia è spinosa, ma riteniamo che sia importante continuare il lavoro, e anche da parte nostra, con tutti i rilievi e le critiche che abbiamo, non metteremmo i bastoni tra le ruote, perché non vogliamo dare alibi per rinviare sine die una materia che richiede oggi di essere approfondita e decisa signor presidente , chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.