Le analisi e i commenti che presento in questo blog derivano da una ricerca lunga e faticosa che si è posta un obiettivo ambizioso: gettare uno sguardo ampio, documentato ed empiricamente fondato sul linguaggio della politica là dove istituzionalmente prendono forma e si confrontano i processi politici in senso lato: il Parlamento. L’idea di fondo che ha guidato il lavoro del gruppo di ricerca [1] è stata quella di catturare le modalità e i cambiamenti che hanno caratterizzato questi primi sessantacinque anni di esercizio della democrazia parlamentare attraverso il linguaggio di alcuni dei suoi leader più rappresentativi. Lo sguardo del ricercatore deve inevitabilmente tenere conto del contesto storico e del contesto comunicativo [2] nella convinzione che la pragmatica del discorso risponde a strutture sintattiche e a modelli di senso che ci possono aiutare a comprendere come funzionano i meccanismi di potere e le strutture decisionali della politica.
Che la politica detenga un primato nella comunicazione dei media (vecchi e nuovi) è un fatto difficilmente contestabile. Parrebbe che un flusso di parole tenti di arginare i sintomi di una democrazia che si presenta indebolita nei suoi fondamenti. Gli analisti politici ci avvertono del distacco crescente tra governanti e governati; i sondaggi ci riferiscono del discredito delle istituzioni e dalla perdita di fiducia dei cittadini; le analisi dei risultati elettorali rilevano una diminuzione della partecipazione al voto, unico indicatore efficace della “partecipazione politica”. Vi è chi rintraccia le cause di tutto ciò nel logoramento della forma partito e vede una possibile soluzione nell’affermarsi di una nuova centralità della leadership personale. Lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano, in un famoso discorso tenuto il 19 gennaio 1988 a Santiago del Cile, utilizzò il termine “democratura” (democradura) per indicare in modo dispregiativo una sintesi tra democrazia e dittatura tipica dei paesi sudamericani. Ma il neologismo era stato coniato nel 1984 dal politologo Juan Linz per indicare una sorta di “democrazia ristretta”, costituzionalmente definita, in cui un leader o una oligarchia si assumono il compito di governare il paese attraverso la richiesta al popolo di ottenere una investitura diretta che dall’alto muove verso il basso [3]. Oggi il termine ritorna come sintesi del contrasto tra Costituzione formale e Costituzione reale, in un dibattito che ha caratterizzato gran parte della vita politica italiana in questo ultimo ventennio e che oggi permette a più di un commentatore politico di parlare di un “renzismo” che si sarebbe sostituito al “berlusconismo”[4].
Il processo non sembra destinato a esaurirsi, anzi ultimamente ha fatto un salto di qualità: mai come negli ultimi anni ci sono stati tanti leader nella politica italiana che svolgono il loro compito all’esterno delle sedi riconosciute di rappresentanza della politica. L'ultima versione di questa tendenza è rappresentata dalla comunicazione "social" molto aggressiva di Matteo Salvini che, peraltro, appare anche molto remunerativa in termini di consenso (volendo prestare fede agli ultimi sondaggi sulle scelte di voto in vista delle elezioni europee del 26 maggio 2019).
[24/04/2019]