Fausto BERTINOTTI - Deputato Opposizione
XIV Legislatura - Assemblea n. 276 - seduta del 06-03-2003
Informativa urgente del Governo sui lavori della Convenzione europea
2003 - Governo II Berlusconi - Legislatura n. 14 - Seduta n. 276
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , deputate e deputati, penso che questa discussione, che pure è una discussione impegnativa, già nei modi con cui si esercita registri, in realtà, una sostanza. non credo ci sia — come dire — un deficit di soggettività politica da parte dei parlamentari. è la convenzione che è distante dall' Europa, è distante dall' Europa come Europa dei popoli, è distante da quell' Europa in costruzione che raccoglie la temperie dei tempi. ho ascoltato, naturalmente come tutti, con attenzione la relazione del vicepresidente Fini. Fini è un uomo politico ; non dirò totus politicus , perché viene da altra fonte, ma, insomma, egli è, certamente, un uomo politico . vicepresidente Fini, colpiva — mi creda — ascoltarla come esperto di tecnicalità di organizzazione dei poteri nell' Europa comunitaria. penso che lei stesso riconoscerà che, se la sua relazione, pure così informata, venisse letta in un' assemblea di lavoratori, genererebbe un qualche sconcerto e dubito che si possa trovare qualcuno disposto ad arrivare sino alla fine. non dico cosa accadrebbe se venisse prodotta in un' assemblea che noi chiamiamo di movimento, in un luogo dove vive la democrazia diretta o partecipata, o anche in un' Aula universitaria. in realtà, questa difficoltà è determinata dal fatto che si tratta di una discussione che non raggiunge la questione del senso politico di una costruzione. questa discussione — mi riferisco alla discussione della convenzione, naturalmente, e non soltanto a quella esposta nella sua relazione — non affronta la questione di fondo di ogni ordinamento che voglia essere democratico, vale a dire la sua natura politica e sociale. qual è la natura politica e sociale dell' unità europea? in realtà, la questione viene sistematicamente occultata dentro una tecnicità istituzionale che, peraltro, si pretende sostanzialmente neutra, con il che si dice implicitamente che l' Europa non è nient' altro che queste regole che vengono definendosi. perfino il professor Bobbio sarebbe un po' stupito di tanto ardire nel primato del diritto nell' organizzazione di una costruzione politica. in realtà, questa convenzione discute dei rapporti tra i poteri costituiti e separati. e poi, naturalmente, trattandosi di questo, cosa volete che faccia? fissa gli ambiti di reciproca compatibilità. che poi ne esca una costruzione tutt' affatto barocca, non gliene può importare di meno, perché l' importante è che si registri un compromesso — nelle forme più evolute, colte, intelligenti, nei protagonisti di questo compromesso — , una qualche dinamica. così i principi di sussidiarietà e di proporzionalità assurgono a linee guida di una costruzione di qualche pretesa costituzionale. persino sul tema della sovranità, come tutti voi sapete, questione fondativa di ogni idea di democrazia, la soluzione che si trova — per l' amore del cielo: non diciamo che qualcuno debba alienare una sovranità in favore di altre, perché se ne potrebbe avere a male, piuttosto la mettiamo in comune, in quote e non se ne parla più — è quella di accontentare i poteri costituiti. questa dimensione, un po' opportunistica, ha però — io riconosco — un forte fondamento politico, che tuttavia è quello che non condivido. quasi tutti gli assetti ordinativi di una costruzione politica sono venuti costituendosi sostanzialmente in due parti: una parte programmatica ed una che riguarda gli assetti istituzionali; anche la nostra Costituzione repubblicana è fatta così. nella convenzione, la prima, ad essere generosi, è pallida: se si confronta con le grandi Costituzioni, anche nella parte conclusiva della costruzione degli Stati nazionali del Novecento, credo si possa parlare di una vera e propria eclisse. è vero che quelle Costituzioni nascevano in tempi forti, è vero che la Costituzione italiana nasceva dopo l' orrore di Auschwitz, dopo la guerra mondiale e dopo la vittoria contro il nazifascismo, è vero che si affacciava un' ansia, un bisogno, un anelito di un mondo nuovo, persino di un uomo nuovo, ma la distanza davvero è abissale. la convenzione neppure ambisce a configurarsi come Costituzione! in realtà, si accontenta di essere una collazione dei trattati esistenti, una operazione di restyling, in cui l' architettura istituzionale diventa il pezzo forte della convenzione. inoltre, nei rapporti tra il Consiglio, la commissione, il Parlamento europeo e, per non scontentare nessuno, un po' anche i parlamenti nazionali, che cosa viene definendosi? i loro compiti? le loro funzioni? i loro ruoli? i bisogni da soddisfare? no, le relazioni tra di loro. è una assoluta costruzione autarchica. i poteri si definiscono in relazione tra di loro, configurandosi come dimensioni totalmente separate dall' organizzazione della società civile , cioè dall' Europa. così abbiamo una costruzione politica che non ha una potestà legislativa e, in compenso, non esiste neanche un Esecutivo fondato su qualche legittimazione democratica. non si è deciso di battere la strada — difficile, certo — di un processo costituente: battere la strada, non sto dicendo che doveva essere fatta l' Assemblea costituente in luogo della convenzione. dico che la convenzione avrebbe dovuto essere ricondotta ad un processo costituente e che la prossima assemblea dei parlamentari europei dovrebbe avere il compito di configurarsi come Parlamento costituente, di cui la convenzione poteva essere, potrebbe ancora essere, un elemento istruttorio e anche propositivo, in un certo senso, ossia un primo passo verso un processo costituente. invece, si è sostanzialmente estromessa la politica dalla convenzione o almeno si è ridotta la politica a tecnica: in altre parole, si è ridotta, attraverso la politica, la costruzione europea a puro processo adattativo. la collazione dei trattati, peraltro, costituisce, per questa idea, una palla al piede . se i trattati fossero stati buoni, poco male, invece sono anche cattivi. quindi, da un lato, non viene affrontata l' ambizione del processo costituente e, dall' altro, il materiale su cui si lavora non è grezzo, ma scadente. tra i trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza non ve ne è uno che abbia l' ambizione di un progetto, di un' Europa, di una sfida. trovo orribili i discorsi svolti dai rappresentanti dell' amministrazione Bush — li trovo davvero orribili — , ma almeno, in quel caso, vi è un' ambizione, seppure oscena e terribile. per quanto concerne la convenzione, invece, non vi è niente: cosa hanno rappresentato questi trattati? il trattato di Nizza è stata un' occasione persa, non bisogna essere dei sociologi del lavoro per capirlo. il lavoro si è riorganizzato, è cambiato, ce lo avete raccontato; tutti i cultori del nuovo hanno spiegato la rivoluzione del lavoro nella fase del ciclo postfordista taylorista keynesiano, della riorganizzazione complessiva. questa modificazione, alla quale abbiamo guardato con apprensione, è profondissima, modifica nel profondo la composizione sociale di classe, la natura dei processi lavorativi; modifica con ciò e sulla base di ciò le tutele contrattuali e legislative. si tratta di un mutamento profondo, attraverso cui, secondo noi, piuttosto che andare verso un processo di modernizzazione si va verso una frantumazione, una precarietà del lavoro. si andrebbe cioè verso un processo di impoverimento, il quale chiederebbe al trattato, che si rapporta con esso, la capacità di fare i conti con questa sfida in negativo, e, in positivo, con le nuove soggettività che sono venute emergendo dentro e fuori il mondo del lavoro , a partire dalla critica delle culture di genere fino ad arrivare a quelle pacifiste. invece che tentare la strada di una nuova civiltà delle lavoratrici e dei lavoratori, sono state sostanzialmente negate le domande di nuova cittadinanza e si è accompagnato il processo di ridimensionamento di quelle già conquistate. il vicepresidente Fini ha parlato di due cittadinanze: troppa grazia Sant' Antonio ! queste due cittadinanze sono, vicepresidente Fini, a somma negativa, da esse risulta un meno e non un più. la somma algebrica dà un risultato negativo; in realtà vi è una riduzione della cittadinanza e, non solo relativamente alla condizione materiale, peraltro soggettivamente percepita attraverso ciò che Chirac ha chiamato crisi della coesione sociale. in realtà, la deprivazione di cittadinanza è determinata dal fatto che, in questi ordinamenti, non è mai presente il riconoscimento dell' essere sociale, dei suoi elementi di generalizzazione, di diversità e di differenza e della dotazione che sarebbe necessaria per una nuova cittadinanza. come si fa a parlare di una nuova cittadinanza — rispetto al tema del lavoro — senza almeno ragionare su ciò che era ed è presente nella Costituzione repubblicana, cioè l' eliminazione delle cause che impediscono il libero sviluppo della personalità? come si fa a parlare di cittadinanza senza la definizione di uno spazio pubblico europeo? come si fa a parlare di cittadinanza per questi soggetti senza la dotazione di diritti, di poteri, di contropoteri e senza l' espansione della legalità, della partecipazione e del conflitto? in realtà, il trattato di Nizza ha tradito questo bisogno ed ha fatto sì che si regredisse ad un impianto poveramente liberale. comunque, se il trattato di Nizza ha fatto questo, quello di Maastricht ha fatto peggio, poiché ci si è investiti del carico dell' inflazione e si è dimenticata l' occupazione; si è attribuito alla Banca Centrale Europea il compito della stabilità monetaria e si è dimenticato il tema dell' occupazione e quello relativo alla qualità dello sviluppo; si è intervenuti sul deficit e sul debito e fottuti della disoccupazione e della crisi sociale. in realtà i trattati non aiutano, la parte programmatica non c' è, dunque non c' è un progetto, e questo è tanto più impressionante perché il momento politico non è più quello in cui si era cominciato a pensare alla convenzione, relativo cioè alle politiche neoliberiste vincenti. è un momento di crisi nel quale cresce il movimento verso un altro mondo possibile, verso un' altra Europa. ma come fa una costruzione del genere a non accorgersi di fenomeni così giganteschi e a non rapportarsi a ciò? al riguardo, emerge un punto delicatissimo: credo che l' idea di attribuire unilateralmente una radice giudaico-cristiana all' Europa sia il tentativo di coprire un vuoto; voi non avete saputo mettere mano ad un profilo politico programmatico della nuova Europa, al suo progetto di civiltà e, pertanto, cercate di coprire questo vuoto con una radice realmente esistente. per quel pochissimo che vale, anch' io, come tanti, ho digiunato ieri, rispondendo all' appello del pontefice... vi ringrazio. se mi viene proposta come una delle radici, non ho alcuna difficoltà a riconoscerla, ma se la suddetta mi viene proposta unilateralmente, inviterei ad andare in Andalusia, a Cordoba, per vedere di che radici è fatta questa Europa. questa radice giudaico-cristiana è insieme troppo e troppo poco; è una propensione, da un lato, eurocentrica e, dall' altro, integralistica. se volete parlare dei corsi lunghi della storia (come faceva Braudel), allora vale anche quello che mangi, chi incontri, in che territori ti trovi e con che costruzioni storiche ti proponi; se si osserva il Mediterraneo, ci si accorge che le religioni sono tre piuttosto che una, per parlare di quelle monoteiste. se, inoltre, si parla di radici, occorre parlare in termini di ricerca antropologica, sociale, culturale e storica. voi, invece, vi accontentate di un francobollo per colmare un vuoto, ma non ci riuscite! voi cercate per questa via di accaparrarvi un segno dominante e così producete un danno alla religione e all' Europa. ma davvero questa Europa del futuro, di cui riconosco il fondamento del contributo cristiano, può essere pensata, senza far riferimento al secolo dei lumi, all' illuminismo? ma davvero pensate che questa Europa possa essere pensata, senza la storia della lotta di classe , del movimento operaio , che non Carlo Marx, ma Kelsen individuava come elemento specifico e portante della cultura europea? come fate a non vedere cose di questo genere ? in realtà, le vedete e seguite una scorciatoia, in parte per nascondere un vuoto, in parte per segnare un primato, causando appunto un danno alla regione, che non ha bisogno di tale primato, e all' Europa. in realtà, ad altro dovreste rivolgervi: alla guerra e al sistema di guerra, alla questione sociale della cittadinanza, alla rinascita di un bisogno di uno spazio sociale, all' idea di un' Europa che fa i conti criticamente con la globalizzazione e che è capace di proporre un altro e diverso modello sociale. bisognerebbe ricominciare da qui e dall' inchiesta su cosa sta diventando l' Europa, altrimenti, signor vicepresidente, qualunque soluzione di architettura individuerete non funzionerà. non vi è scorciatoia che regga. volete fare una sola voce dell' Europa nei rapporti internazionali? lei stesso ha avuto l' onestà di riconoscere che, se ciò oggi fosse in atto e sedesse nel Consiglio di sicurezza , non potrebbe parlare: sarebbe impedito a parlare dal dissenso radicale esistente in Europa. allora, forse, bisognerebbe, con la convenzione, parlare dell' idea dell' Europa contro la guerra, della pace e restituire, per questa via, una voce comune e unitaria da poter rappresentare. voi parlate di un presidente che possa anche, nei migliori dei casi (il doppio cappello), rappresentare un potere concentrato, un nuovo potere dell' Esecutivo, ma forte per fare cosa? forte per esprimere, in qualche modo, una diversità con riferimento a questa globalizzazione? no, per essere un gendarme di questa globalizzazione! come risponderebbe alla crisi economica ed ai problemi drammatici derivanti dall' allargamento dell' Europa che rischia di produrre dumping e crisi sociale, invece che reale integrazione? dubito che riuscirebbe a convincere una sola lavoratrice di Termini Imerese !