Gianfranco FINI - Ministro della Difesa Maggioranza
XIV Legislatura - Assemblea n. 276 - seduta del 06-03-2003
Iniziative per garantire la tempestiva realizzazione della tratta alta velocità Torino-Lione
2003 - Governo II Prodi - Legislatura n. 15 - Seduta n. 42
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , come ho avuto modo di fare ieri nel corso di analoga discussione nell' Aula del Senato, desidero innanzitutto ringraziare la conferenza dei presidenti di gruppo per aver fissato questo dibattito che, come ricordava prima l' onorevole Violante, per la prima volta si svolge in Aula — come i colleghi sanno, è stato preceduto da alcune audizioni in seno alle Commissioni congiunte di Camera e Senato — e cade in un momento particolarmente rilevante dei lavori della convenzione, nonché in un momento politicamente rilevante, alla luce della difficile situazione che il mondo intero sta vivendo in relazione alla situazione irachena e in ragione della assoluta necessità di mantenere un' effettiva unità europea nell' ambito di quella grave crisi. voglio altresì ringraziare a nome del Governo i deputati che rappresentano la Camera dei Deputati nella convenzione, l' onorevole Follini e l' onorevole Spini, per l' alto contributo che hanno fornito ai nostri lavori in uno spirito di autentica partecipazione e, soprattutto, in uno spirito sostanzialmente unitario che, del resto, ha le sue radici più antiche, non solo nei documenti che più volte quest' Assemblea ha votato in modo sostanzialmente unitario, ma direi più in generale nella tradizione che lega nel nome dell' Europa la quasi totalità delle forze politiche nazionali. non spenderò molte parole, perché do per scontato che la Camera ne sia cosciente, sull' importanza dei lavori della convenzione in un momento certamente rilevante. basti pensare al fatto che, dopo un lungo periodo l' Europa è alla vigilia di una data, di un evento che definire storico non è certamente esagerato: mi riferisco alla sostanziale riunificazione del vecchio continente. come i colleghi forse sanno, preferisco di gran lunga il termine « riunificazione » al termine « allargamento » , che è quello più in voga da un punto di vista giornalistico, per l' evidente differenza che vi è tra i due concetti. io credo che sia sinonimo di una presunzione occidentale pensare che l' Europa si allarghi nello stesso momento in cui ricomprende nel suo seno Budapest o Praga. si tratta di città e di nazioni che sono europee quanto le nostre e che soltanto in ragione di eventi storici, seguiti alla seconda guerra mondiale , erano state in qualche modo assegnate alla sfera di influenza dell' ex Unione Sovietica e quindi, per note ragioni, erano state in qualche maniera divise dalla madrepatria europea. la riunificazione rappresenta un momento storico che determina, ovviamente, un' ulteriore importanza per i lavori della convenzione riunita ormai da un anno a Bruxelles. do per scontato che i colleghi conoscano non soltanto la composizione della convenzione, ma, per certi aspetti, anche la sua particolarità. si tratta, infatti, dell' unica assemblea, che la storia recente ricordi, in cui si è dato per acquisito un metodo di lavoro che esclude, nel modo più tassativo, il ricorso al voto. è un' assemblea democratica che comprende i rappresentanti dei governi, dei parlamenti nazionali e i rappresentanti, ovviamente, del Parlamento europeo . certamente il suo compito è molto impegnativo: si tratta di costituzionalizzare i trattati, o, per dirlo con formula più diretta — ma forse meno precisa — di scrivere la Costituzione europea. è giusto ricordare anche che l' Assemblea si è data come metodo quello di lavorare alla ricerca del massimo consenso possibile, escludendo quindi il ricorso al voto. la convenzione è infatti cosciente dell' importante compito che sta svolgendo ed anche del momento non conclusivo, in quanto — come i colleghi sanno — l' ultima parola spetterà alla conferenza intergovernativa e, quindi, ai rappresentanti delle forze di Governo. prima di svolgere la mia relazione aggiungo un' ulteriore considerazione — collegata a quella che ho svolto testé — circa l' oggettiva importanza del successo della convenzione. in un momento storico quale quello che stiamo vivendo, alla vigilia di una data — il 1° maggio 2004 — che, certamente, è destinata ad essere iscritta — lo decideranno ovviamente i posteri, ma credo che anche i contemporanei ne siano coscienti — tra le date che segneranno la storia delle generazioni future, è evidente che un eventuale fallimento della convenzione rappresenterebbe una grave battuta d' arresto nel processo di riunificazione ma in particolar modo determinerebbe il rischio di un rigetto da parte, soprattutto, di alcune pubbliche opinioni nei confronti del trattato costituzionale o, più in generale, del processo di riunificazione. dico questo perché il desiderio che il Parlamento ha espresso più volte e che ha animato, come cercherò di dimostrare, l' azione del governo — presente certamente negli interventi dei rappresentanti tanto della Camera quanto del Senato e, più in generale, di tutti i rappresentanti italiani a prescindere dalle collocazioni politiche — cioè il desiderio di un successo della convenzione, per fare in modo che nel semestre italiano si apra la conferenza intergovernativa , non è sentito soltanto in ragione di un, pur legittimo, orgoglio nazionale, ma è collegato strettamente ad una tempistica che credo debba essere valutata con grande attenzione. in modo più diretto voglio richiamare l' attenzione dei colleghi sul rischio oggettivo — qualora la convenzione non riuscisse nel suo intento e qualora i lavori della conferenza intergovernativa non si aprissero nel semestre italiano — di arrivare al primo semestre del 2004 con un ingorgo — chiamiamolo così — di tipo politico-istituzionale, tale da determinare una battuta d' arresto nel processo di costruzione di un' Europa a 25 membri. come è di tutta evidenza mi sto riferendo all' appuntamento che gli elettori europei hanno già in agenda per l' elezione del nuovo Parlamento europeo , alla quale, per la prima volta, parteciperanno anche i popoli di quei dieci paesi che il 1° maggio 2004 entreranno a pieno titolo nell' Unione Europea (mi riferisco alla scadenza della commissione). dico questo perché, come cercherò di dimostrare, l' azione del governo è stata, innanzitutto, volta a fare in modo che la convenzione avesse successo. a tal riguardo, pur in presenza di nubi determinate — come è evidente — anche dalla situazione politica internazionale , continuo a coltivare, non la speranza, ma la ragionevole opinione di un successo della convenzione. il Governo si è mosso convintamente affinché la convenzione avesse un successo e non lo ha fatto soltanto per quel pur legittimo orgoglio nazionale che accomuna tutte le forze politiche europeiste presenti in quest' Aula (vale a dire la totalità o la quasi totalità delle forze stesse) in ragione del trattato di Roma , che, a detta di tutti, rappresenta uno degli elementi fondanti dell' Unione Europea . sarebbe certamente un elemento di grande rilievo poter nuovamente sancire a Roma una delle tappe fondamentali del processo di riunificazione dell' Europa, ma, al di là di tale aspetto, credo sia oggettivo che un eventuale insuccesso della convenzione determinerebbe una serie di conseguenze tali da mettere a repentaglio il progetto della riunificazione europea. ciò detto, credo sia doveroso informare l' Assemblea di quelli che, ad avviso del Governo, sono i risultati fin qui acquisiti dalla convenzione, mettere rapidamente in evidenza i nodi che, sempre ad avviso del Governo, al contrario sono ancora intrecciati e concludere con un doveroso riferimento ad alcuni emendamenti che il Governo stesso ha presentato, anche nella speranza di fugare non dei dubbi, ma delle interpretazioni che, a mio modo di vedere , non hanno ragione di esistere e che, al contrario, si sono registrate. l' esame dei risultati finora acquisiti dalla convenzione rivela, a mio modo di vedere , un quadro certamente soddisfacente per diversi motivi, in alcuni casi per motivi che non era facile prevedere nel momento in cui la convenzione ha avviato i suoi lavori. vi è, in primo luogo, un consenso molto ampio sulla struttura del nuovo trattato costituzionale. ho affermato prima che, a livello di giuristi e di costituzionalisti europei, si discute se sia giusto parlare di un nuovo trattato costituzionale o, meglio, se sia più corretto, al contrario, riferirsi alla costituzionalizzazione dei trattati preesistenti. credo non sia questa la sede per una discussione di tale natura, ma è comunque indubbio che sulla struttura del nuovo trattato o, se volete, per comodità di linguaggio, della nuova Costituzione europea vi è oggi un consenso ampio nella convenzione. in particolare, il consenso si registra attorno all' articolazione in tre parti proposta dal Presidium. le disposizioni di carattere propriamente costituzionale saranno raccolte nella prima parte (il Presidium ha già presentato nella seduta del mese scorso i primi 16 articoli), mentre nella seconda parte saranno definite le singole politiche e le disposizioni cosiddette di dettaglio. si tratta certamente di un accordo che rende più agevole il lavoro della convenzione e che può favorire un esito positivo della medesima. un altro importante elemento di intesa è quello che si è registrato sulla necessità di definire una personalità giuridica unica dell' Unione Europea . è evidente che non si tratta di una modifica soltanto teorica, ma di una modifica che provoca conseguenze sostanziali. è un vero e proprio cambio di passo nel processo di costruzione dell' Unione Europea che comporta il superamento di fatto dell' attuale articolazione in pilastri della costruzione europea stessa; per fare un solo esempio, quello forse più clamoroso, nel momento in cui dovessimo avere, come avremo, una personalità giuridica unica dell' Unione, sarà molto più agevole pensare nel futuro ad un rappresentante dell' Unione Europea nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite , con tutte le conseguenze che ciò ovviamente potrà determinare. voglio, altresì, ricordare, e chiedo scusa per la constatazione forse già nota ai colleghi, che la convenzione, proprio perché è un' assemblea che non può essere paragonata al 100% alle assemblee parlamentari, ha lavorato per molti mesi in assenza di documenti e soltanto da qualche tempo siamo in presenza dell' elaborato dei gruppi di lavoro. nella lunga fase iniziale, nella quale ogni membro della convenzione ha espresso in qualche modo il suo punto di vista sulle tante questioni all' ordine del giorno , è emerso, con grande chiarezza, in larghissima convergenza o con una sostanziale quasi unanimità (il numero di coloro nella convenzione che avanzano delle riserve nei confronti della riunificazione o dell' Europa più stretta, per usare un' espressione utilizzata nel documento di Laeken è, come sapete, estremamente ridotto) che l' Unione, in qualche modo, ha una doppia legittimità. è una unione di Stati ed è una unione di popoli. il concetto di doppia legittimità che dovrà essere affinato nella seconda parte della cosiddetta Costituzione europea è comunque uno dei capisaldi dottrinali da cui poi derivano tutte le conseguenze che la convenzione sta esaminando alla luce, come è ovvio, dei molti trattati che l' Unione Europea ha già siglato nel passato. un altro elemento importante, al di là di alcuni aspetti che possono sembrare di dettaglio e che tuttavia sono al centro del dibattito e dei lavori, è che esiste una convergenza ampia, se non unanime, sugli elementi essenziali degli articoli che dovranno definire valori ed obiettivi dell' Unione. sottolineo la distinzione fra valori ed obiettivi anche per anticipare una delle ragioni per le quali il Governo ha presentato un emendamento che sposta negli obiettivi quelli che, secondo la stesura iniziale del Presidium, erano riferibili al contrario ai valori. mi riferisco agli articoli 2 e 3, dove si prevedono valori ed obiettivi, che in questo momento considero in modo unitario — ovvero dignità umana, libertà, democrazia, stato di diritto , ricerca della pace e della solidarietà — rispetto ai quali vi è realmente una sostanziale convergenza. allo stesso modo su un altro punto che prima dei lavori appariva delicato, quello cioè relativo allo status della Carta dei diritti fondamentali , sono stati registrati indubbiamente passi in avanti. l' orientamento prevalente, che è stato sostenuto da tutti i rappresentanti italiani ed anche dal rappresentante del Governo, è quello di rinviare ad un protocollo allegato al trattato la Carta dei diritti fondamentali . è una formula che, da un lato, consentirebbe, se dovesse essere fatta propria dalla convenzione, di garantire il pieno valore giuridico della Carta, senza però comportare un incorporazione testuale che rischierebbe di appesantire il testo del nuovo trattato; in questo senso non voglio riprendere i concetti espressi in altri momenti circa quelle che dovrebbero essere le misure ottimali delle Costituzioni (non è questa la sede per aprire dibattiti circa la necessità di una Costituzione ampia o più snella). non c' è ombra di dubbio che, se si dovesse incorporare la Carta dei diritti fondamentali a pieno titolo nel nuovo trattato costituzionale europeo, in qualche modo lo si appesantirebbe. al di là di questo aspetto, va rilevato, e non è certamente una sorpresa, che sono da superarsi resistenze politiche che vengono da alcuni governi, in particolare da quello britannico ma anche da quelli del Nord Europa che, al riguardo, sono molto scettici; per questa ragione, la soluzione che sta prendendo corpo, vale a dire di riconoscere il pieno valore giuridico della Carta senza un' incorporazione testuale, mi sembra possa rappresentare una soluzione compromissoria. l' aggettivo compromissorio mi dà l' occasione per esprimere un concetto che tornerà più volte nel corso della mia relazione. si tratta, come dicevo prima, di un' Assemblea che è unica nel suo genere; non a caso, l' unico riferimento che si può fare è nientemeno che alla convenzione da cui scaturì la Carta Costituzionale statunitense. si tratta soprattutto di un' Assemblea che ha per regola quella di non votare; quindi, si tratta di un' Assemblea che si è data come regola il raggiungimento del massimo consenso possibile, lasciando poi alla conferenza intergovernativa — questo è l' auspicio — accanto ad un testo largamente condiviso o nella totalità dei suoi punti condiviso, alcune opzioni. vi sono infatti problemi che la convenzione non sarà in grado di ricondurre ad unità, essendo in qualche modo da tutti accettato e stabilito dal Consiglio europeo di Laeken che sarà la conferenza intergovernativa a dire l' ultima parola. se questo è il metodo di lavoro, io credo sia giusto, se si lavora per il successo della convenzione, non soltanto avere un atteggiamento elastico, duttile, ma soprattutto avere un atteggiamento volto alla ricerca di punti di sintesi, di punti d' intesa; se qualcuno volesse usare l' espressione « punti di compromesso » , certamente non mi scandalizzerei, proprio perché si tratta di un lavoro che ha una concreta possibilità di successo in ragione della capacità di sintesi che i convenzionali avranno, soprattutto in ragione del fatto che, alla fine, l' ultima parola spetterà ai governi. anche qui — sebbene non rientri nella traccia scritta — vorrei fare una considerazione sull' azione e, se volete, sul ruolo dei governi, anche per mettere in evidenza un' intuizione del governo italiano : rispetto al momento in cui la convenzione è nata — vale a dire un anno fa — il livello politico dei rappresentanti dei governi è cresciuto in modo evidente. non mi riferisco — sarebbe, ovviamente, di pessimo gusto — all' Italia, mi riferisco alla scelta che, dopo un approccio diverso, hanno compiuto, nel corso di questi mesi, altri paesi. i colleghi sanno che il governo tedesco alla convenzione è rappresentato dal ministro Fischer, il governo francese è rappresentato, in seguito alle elezioni, dal ministro degli Esteri de Villepin, il governo spagnolo è rappresentato dal ministro degli Esteri Ana Palacio, il governo britannico ha promosso al rango di ministro il rappresentante Peter Hain, il governo greco ha recentemente indicato il ministro Papandreu. potrei citarne altri, ma è comunque evidente che coloro che lavorano alla convenzione, in rappresentanza dei governi, lo fanno sapendo che poi lasceranno a se stessi o comunque ai rispettivi esecutivi il compito di dire l' ultima parola. altro punto, a mio modo di vedere , molto importante, su cui si è registrata — ed è elemento positivo — una sostanziale convergenza, nell' ambito dei lavori della convenzione, è il tema — certamente importante, se non fondamentale — delle competenze dell' Unione. si sono consolidati dei principi generali che vado rapidamente a richiamare. il primo è che le competenze comunitarie vanno definite attraverso il ricorso a tre categorie che, per comodità di linguaggio — uso quindi espressioni che sono tipiche del dibattito nazionale, soprattutto alla luce del dibattito che è in corso in Italia circa l' assetto federale dello Stato — , potremmo definire competenze esclusive, competenze concorrenti, competenze complementari. i poteri residui rimangono agli stati membri e questo è un altro degli elementi che è emerso chiaramente dal dibattito interno alla convenzione; ma, soprattutto, è emerso che occorre mantenere una clausola di flessibilità analoga o comunque simile all' attuale articolo 308 dei trattati, che consenta all' Unione di rispondere a esigenze di carattere straordinario anche quando i poteri per farlo non sono esplicitamente previsti dai trattati. altro elemento che giudico importante è che il rapporto tra competenze comunitarie e competenze degli Stati è stato regolato in base ad una logica che, per comodità di linguaggio, definisco « strada a doppio senso » o, se volete, « di andata e ritorno » . si tratta di un principio che credo debba essere sottolineato per l' elemento innovativo che contiene e, soprattutto, perché, se correttamente inteso, a mio modo di vedere , consentirà una maggiore possibilità di avvicinare le pubbliche opinioni all' idea dell' Unione Europea , soprattutto quelle pubbliche opinioni che, a differenza di quella italiana, manifestano qualche ritrosia. i colleghi sanno che l' eurobarometro è — e ci fa, ovviamente, piacere — il fedele testimone di un tasso di europeismo del nostro popolo che non si riflette soltanto in quest' Aula, ma che è presente nella società. purtroppo non in tutti i paesi d' Europa è così ed eventi anche recenti lo dimostrano. vi sono paesi in cui i referendum relativi all' ingresso nell' Unione sono stati vinti o persi sul filo di lana e vi sono paesi — come i dieci che entreranno nel 2004 — che avranno problemi analoghi. quindi, credo che una « via a doppio senso » — secondo la quale un' azione di competenza degli Stati può essere portata a livello dell' Unione, ma si può riportare a livello nazionale quell' azione che richiedesse una sede più vicina ai cittadini — costituisca uno strumento idoneo a far comprendere che non si può e non si deve aver paura dell' Unione Europea , nel senso che — per usare un' espressione più volte usata dal presidente Ciampi — l' Unione Europea non è un esproprio di sovranità, non è un privarsi, sia pure volontario, da parte di un Parlamento o di un corpo elettorale , di una quota di sovranità nazionale. l' Unione Europea è la messa in comune di quote di sovranità, partendo dal presupposto che nella società e nei tempi in cui viviamo, in ragione anche della globalizzazione degli eventi, vi sono dei diritti del cittadino che possono essere meglio garantiti da un' azione svolta a livello comunitario piuttosto che da un' azione svolta a livello statuale. ebbene, prevedere, ed è un elemento innovativo rispetto ai precedenti trattati, questa doppia corsia, dallo Stato all' Europa ma anche — perché no? — dall' Europa ad una dimensione nazionale, significa, a mio modo di vedere , fornire elementi di sostanza alla tesi di chi dice che non solo non c' è da temere nei confronti di un' Europa più stretta ma soprattutto che questa non comporta una soppressione di quote di sovranità. un altro elemento — il settimo — che ho indicato, e che giudico positivo dopo un anno di lavori svolti dalla convenzione, è che alcuni timori, che c' erano sul controllo del principio di sussidiarietà o, meglio, timori relativi al fatto che il controllo del principio di sussidiarietà potesse creare divisioni all' interno della convenzione, sono venuti meno. oggi ci si sta orientando verso un meccanismo di controllo del principio di sussidiarietà, che, accanto al principio di proporzionalità — che è un po' la chiave di volta per la definizione delle competenze senza un catalogo rigido delle medesime — , prevede una sorta di controllo politico ex ante da parte dei parlamenti nazionali e delle assemblee nazionali a cui si affiancherebbe un controllo — definiamolo — ex-post, di carattere giurisdizionale, da parte della Corte di giustizia su istanza degli stessi parlamenti nazionali. una sottolineatura riguardo a quest' ultimo elemento, importante dal punto di vista oggettivo, concerne il fatto che la convenzione fin dalle sue prime battute si è chiesta, ed è un tema sul quale poi tornerò, se l' architettura istituzionale europea dovesse in qualche modo continuare a reggersi su quelli che erano i pilastri definiti nel corso dei decenni passati, vale a dire il Consiglio e i consigli, la Commissione europea e il Parlamento europeo , e se occorresse o meno mettere in evidenza un ruolo più attivo dei parlamenti nazionali. la conclusione del dibattito è stata per l' appunto quella di garantire ai parlamenti nazionali, in quanto luoghi dell' espressione della sovranità e della rappresentatività nazionale, un ruolo più incisivo e maggiore nel processo di costruzione dell' Unione Europea in base a quel concetto iniziale di doppia legittimità degli Stati e dei popoli o, se volete, in base ad un' altra valutazione che ci accompagna, vale a dire quella di un processo al termine del quale il cittadino si sentirà figlio e titolare di una doppia cittadinanza : la cittadinanza e la nazionalità e una cittadinanza e una nazionalità europea che, per certi aspetti, si sta formando nelle coscienze. pertanto, riconoscere ai parlamenti nazionali il compito di svolgere una valutazione ex ante del corretto rispetto del principio di sussidiarietà e di proporzionalità ha rappresentato un oggettivo successo della convenzione e potrà essere uno degli elementi attraverso i quali sarà più agevole al cittadino di ogni paese riconoscersi nell' architettura europea. un' ulteriore considerazione concerne il consenso, anch' esso ampio, che si sta registrando sul progetto ambizioso di semplificare gli atti e le procedure. a tale riguardo voglio dare atto al presidente Giuliano Amato del ruolo importantissimo che ha svolto e svolge nella veste di vicepresidente della Convenzione europea su tutti i lavori dell' Assemblea e, in particolar modo, su questa parte di non agevole soluzione, almeno rispetto a quelli che erano le previsioni iniziali. semplificare gli atti e le procedure significa cogliere uno degli aspetti maggiormente richiesti dalle pubbliche opinioni. i colleghi sanno che la stessa idea della convenzione nasce dalla giusta considerazione della necessità di un' Europa che fosse non soltanto trasparente, ma anche efficace e in qualche modo vicina al cittadino. ora, semplificare atti e procedure significa agevolare il processo di comprensione e, in qualche modo, significa rendere più agevole l' identificazione in questa patria europea che si sta formando e che prende corpo sempre di più anche alla luce dei lavori della convenzione. quali sono gli elementi significativi sui quali si è registrato un consenso? innanzitutto, con riferimento alla semplificazione di atti e procedure, si è registrato un consenso sulla necessità di ridurre e semplificare gli strumenti normativi e di introdurre o, comunque, di stabilire una sorta di gerarchia delle fonti. i costituzionalisti sanno assai meglio di me quanto sia importante, in questa fase, avere soprattutto ben chiaro che il principio della gerarchia delle fonti, tipico di qualsivoglia ordinamento democratico nazionale, non si poteva riferire ad una dimensione comunitaria in maniera automatica. il lavoro della convenzione sta colmando una lacuna anche in ragione del fatto che, come ho detto in precedenza, si va verso il riconoscimento di quella personalità giuridica dell' Unione Europea , che, fin qui, era mancata. altro elemento importante sul quale si è registrato un consenso che direi generale è la proposta di istituire una sorta di procedura legislativa uniforme basata sul principio della codecisione — di Consiglio e Parlamento europeo — che, ovviamente — tesi sostenuta anche dal governo italiano — su diverse questioni dovrà prevedere necessariamente il ricorso a deliberazioni assunte a maggioranza: in un' Europa a venticinque, necessariamente si dovranno prevedere, pena la paralisi (tornerò su questo concetto), interventi decisori affidati alla regola aurea della maggioranza, più o meno qualificata a seconda della delicatezza e dell' importanza degli argomenti; è chiaro, infatti, che il principio della decisione sempre all' unanimità è destinato ad essere superato dalla natura oggettiva che l' Europa a venticinque assumerà. un' ultima considerazione — che, forse, andava posta all' inizio del ragionamento — riguarda ancora i dati che, a mio modo di vedere , sono già acquisiti come positivi dopo un anno di lavoro della convenzione. è unanime l' auspicio di un rafforzamento del ruolo dell' Europa, intendendo per ruolo non soltanto quello di soggetto economico, sebbene tale qualificazione, specie dopo l' introduzione dell' euro, abbia certamente caratterizzato in termini positivi il cammino dell' Europa. nella convenzione, direi che non si registra dissonanza alcuna, se non qualche isolatissima voce, nell' auspicare che l' Europa sia un soggetto protagonista in termini politici, abbia cioè una sua politica estera ed una sua capacità di affiancare alla politica estera una politica militare . tale considerazione è certamente da sottolineare ed è ancor più importante se si ha riguardo alle vicende che il mondo sta vivendo (mi riferisco alla crisi irachena). queste dimostrano che, se si vuole lavorare per la pace, se si vuole lavorare per la soluzione delle crisi senza il ricorso alle armi, un maggior peso dell' Europa è indispensabile. riprendo e condivido in pieno l' auspicio che, anche ieri, il Capo dello Stato ha formulato. forse, uno dei paradossi della vicenda che stiamo vivendo è il seguente. la convenzione è consapevole del fatto che serve più Europa: non c' è intervento che non metta in evidenza (e ne parlerò ancora) come servano una politica estera comune ed una politica di difesa comune. tuttavia, nello stesso momento in cui si chiede più Europa, non sempre si ha la capacità di trovare una soluzione, una posizione unitaria. per fortuna, almeno nell' ultima riunione, il risultato di garantire un' unità, almeno sostanziale, dell' Unione Europea è stato registrato. certamente, dobbiamo lavorare, ed il governo italiano sta lavorando, affinché questo risultato, acquisito faticosamente a Bruxelles il 27 del mese scorso, sia difeso e, in qualche modo, sia garantito anche nel futuro. però, ritengo onesto dire che questo è uno dei paradossi a cui siamo di fronte: la convenzione, all' unanimità, dice che serve più Europa, ma poi, quando l' Europa deve parlare con una voce sola, si registrano oggettive difficoltà che, a mio modo di vedere , nascono dal fatto che gli interessi nazionali non possono essere soppressi, non possono essere chiusi definitivamente tra due parentesi, soprattutto quando vengono in rilievo vicende collegate a particolari aree geografiche. ma su questo concetto tornerò al termine del mio ragionamento. rapidamente, invece, passo alle questioni ancora aperte, anche per auspicare che la Camera dei Deputati nel dibattito dia una indicazione al governo italiano . le questioni aperte sono relative soprattutto all' architettura istituzionale. a tale riguardo, io voglio esprimere un concetto, che ho espresso in altra sede, anche parlamentare, e che ha rappresentato in qualche modo un po' la stella polare che ha guidato l' azione dell' Esecutivo, la mia azione alla convenzione. non si può pensare ad una Europa a 25, ad una Europa protagonista, non solo in termini economici, ma, come auspichiamo, in termini politici, un' Europa capace di garantire quei valori di solidarietà, di benessere, di progresso, di democrazia, di pace, se non seguendo un filone che porti ad una logica: il massimo equilibrio tra le istituzioni. il governo italiano , fin dal primo momento, si è mosso in base a questa convinzione; sarebbe un errore pensare ad una Europa a 25 con il baricentro decisionale spostato sul Consiglio o sulla commissione. l' esperienza anche recente dimostra che l' equilibrio tra le istituzioni è in qualche modo la garanzia per il corretto funzionamento di tutte le istituzioni europee e la ricerca dell' equilibrio deve ovviamente essere tenuta ben presente quando si va ad affrontare il panel dei problemi aperti circa l' architettura istituzionale. mi spiego più chiaramente. il ruolo del Consiglio europeo e la Presidenza del Consiglio europeo. i colleghi sanno che la proposta di eleggere un presidente del Consiglio europeo incontra delle resistenze forti da parte dei paesi più piccoli che paventano il rischio di un ridimensionamento drastico del ruolo della commissione. la Francia e la Germania hanno presentato una proposta congiunta basata sul principio della doppia presidenza: sostanzialmente è la coesistenza di un presidente del Consiglio eletto, esterno, con un mandato più lungo rispetto alla rotazione semestrale, che finisce per coesistere — ecco perché doppia presidenza — con un presidente della Commissione che sia indicato dai capi di Stato e di Governo, ma poi in qualche modo ratificato o eletto dal Parlamento europeo . dico subito a tale riguardo, come del resto è noto ai colleghi, che il governo italiano considera questa una proposta sulla quale ragionare, una proposta che non deve essere demonizzata, una proposta che va però necessariamente confrontata con la altre e, soprattutto, una proposta che va meglio chiarita per evitare divisioni o incomprensioni. mi spiego ancor più chiaramente. Francia e Germania sono, come tutti sanno, insieme all' Italia, al Belgio, all' Olanda, al Lussemburgo, il nucleo storico, i sei paesi che hanno dato vita all' Unione Europea . il presidente della Repubblica ha più volte espresso l' auspicio, accolto dal governo italiano , di verificare la possibilità di una sorta di documento comune dei sei paesi fondatori; rappresenterebbe un contributo anche di carattere fortemente simbolico. il lavoro che è in atto comporta la necessità di approfondimenti, di chiarimenti, come dimostra il fatto che, mentre Francia e Germania parlano chiaramente nel loro documento di un presidente del Consiglio eletto con un mandato che dura molto di più dei sei mesi, Belgio, Olanda e Lussemburgo, in un altro documento, si sono schierati a difesa ferrea del principio della rotazione semestrale. apparentemente le due posizioni sono inconciliabili; in realtà, chi ha seguito i lavori della convenzione sa che, se si precisa bene che il potere del presidente del Consiglio eletto non è per nulla maggiore rispetto al potere che oggi ha il presidente del Consiglio che ruota ogni sei mesi, allora, le posizioni apparentemente molto lontane finiscono, al contrario, per avvicinarsi. così come si avvicinano le posizioni delle proposte, avanzate anche dal governo italiano , volte a tenere insieme le due necessità. la necessità di un presidente eletto con un mandato che non sia a rotazione semestrale è nell' evidente necessità di sottolineare l' autorevolezza, di garantire che ci sia un protagonista, un « Mr. Europa » che possa intervenire accanto al presidente della Commissione — poi affronterò, ovviamente, il problema del rapporto Consiglio-Commissione — ma, al tempo stesso , va ricordato che il principio della rotazione semestrale è uno dei pilastri dell' Unione Europea , così come si è costruita fin qui, perché mette tutti i paesi in condizioni di parità, grandi e piccoli, vecchi e nuovi. non credo di dover spendere molte parole per dire a quest' Aula che, da parte dei 10 paesi che entrano ufficialmente a far parte dell' Unione il 1° maggio, e da parte degli altri vi è una doverosa richiesta di par condicio nel trattamento; non sono disponibili ad entrare, dopo tanti sacrifici, senza poter godere degli stessi identici requisiti di cui godono i paesi più grandi. dunque, è possibile mettere insieme i due principi, se, ad esempio, accanto ad un presidente del Consiglio che rimane in carica 18 o 24 mesi si prevede un bureau di presidenza, perché abbiamo un' Europa a 25, dove i vicepresidenti o il vicepresidente ruotano ogni sei mesi, oppure — altra proposta avanzata dal governo italiano — prevedendo che alcuni consigli, non soltanto il Consiglio affari generali di cui parlerò tra poco, ma i consigli per materia, possano avere delle presidenze che ruotano anch' esse ogni sei mesi; oppure, si può prevedere che le due canoniche riunioni annuali si svolgano una a Bruxelles e l' altra, a rotazione, in una delle 25 capitali proprio per far comprendere chiaramente che non può e non deve esserci una contrapposizione tra chi è favorevole — mi riferisco solo ai sei paesi fondatori e non ai 25 — alla rotazione semestrale e chi, al contrario, ad un mandato più lungo. da questo punto di vista , credo risulti evidente il concetto che esprimevo all' inizio circa la necessità di non considerare la parola compromesso come una parolaccia nel momento in cui si lavora in seno alla convenzione con la volontà di arrivare al massimo consenso possibile. se ogni governo presentasse le proprie posizioni come norme sostanzialmente immodificabili, credo che il processo, già abbastanza lungo e complesso, finirebbe per divenire più difficile e non certo più agevole. altro problema importante sul tappeto è quello della rappresentanza esterna dell' Unione. la proposta del gruppo di lavoro VII (azione esterna) di fondere in una figura unica le funzioni dell' Alto rappresentante e del commissario per le relazioni esterne, ha incontrato un favore ampio. non per vezzo personale ma per amore di obiettività, ricordo che il governo italiano si era espresso in quella direzione ancor prima che il gruppo di lavoro giungesse a questa ipotesi. si tratta di mettere insieme funzioni che oggi sono — personalizzo — in capo a Chris Patten e a Solana; il cosiddetto doppio cappello. è una convinzione diffusa che questa fusione verrebbe incontro all' auspicio generale di un' Europa con un ruolo più incisivo sulla scena internazionale, è il famoso « signor Europa » di cui, con una ormai celeberrima espressione, Henry Kissinger chiedeva il numero di telefono pensando ad un rapporto tra USA e Unione Europea in una delle tante vicende di crisi a livello internazionale. va anche detto, però, che vi sono aspetti che devono essere meglio chiariti. è importante che si sia affermato il principio del doppio cappello; è già un primo anello di congiunzione tra la Commissione e il Consiglio. va detto che, giustamente, sia l' onorevole Follini sia il senatore Dini, quindi i due rappresentanti del Parlamento italiano, hanno espresso l' auspicio, sottolineato anche dal commissario Barnier, di un atto di coraggio della convenzione: non limitiamoci ad immaginare che l' anello di congiunzione tra Consiglio e Commissione sia nella fusione dell' Alto rappresentante e del commissario per le relazioni esterne, ma immaginiamo che il presidente della Commissione e il presidente del Consiglio siano funzioni in capo alla stessa persona. è evidente che il governo italiano considera questa ipotesi estremamente affascinante; sarebbe, in qualche modo, il completamento di un lungo percorso. realismo politico vuole altresì che si dica, secondo verità, che le possibilità concrete di arrivare, in questo momento, ad un accordo in sede intergovernativa su tale ipotesi sembrano piuttosto remote, il che è un eufemismo per dire che, al momento, non vi sono le condizioni per questa accelerazione. ciò, ovviamente, non vuol dire che non si possa, se la convenzione lo riterrà, prevedere che questa importante riforma possa andare a regime tra un certo numero di anni. comunque, mi sembra evidente l' importanza di aver ben chiaro un fatto: per garantire un maggior peso politico all' Unione Europea , occorre poi prevedere anche modalità istituzionali affinché tale peso politico si possa esplicitare. aggiungo però che proprio gli eventi internazionali in corso dimostrano che il problema di fondo , se riguarda certamente gli strumenti istituzionali, tocca anche, e non potrebbe essere altrimenti, la volontà politica che presiede al comportamento dei singoli soggetti. spero di non apparire irriverente, ma se avessimo già — questo è un auspicio, un obiettivo — il rappresentante dell' Unione Europea all' interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite , non necessariamente questo rappresentante dell' Unione Europea riuscirebbe ad esprimere una posizione unitaria. lo dico perché, ma ciò è di tutta evidenza, accanto agli aspetti istituzionali, che sono importanti, vi è un altro elemento, rappresentato dal peso della politica e degli interessi nazionali . lo dico perché, in una logica o, se volete, in una previsione di medio-lungo periodo, credo abbia fatto bene il ministro Frattini, ma sono numerosi i colleghi che anche pubblicamente si sono espressi in tal senso, a prevedere che debba essere definita in qualche modo, con un rapporto flessibile tra l' Unione e gli Stati, una disciplina che, anche alla luce dell' esperienza dell' euro, non potrebbe che basarsi su clausole di cosiddetto opting out . i colleghi sanno di cosa si tratta: anche quando gli stati membri non decidono tutti un' azione comune, nessuno di essi può comunque mettere in atto iniziative che possono impedirla o comunque indebolirla. ognuno di essi, inoltre, sopporterebbe tutte le conseguenze giuridiche e pratiche dell' azione medesima. questo, in materia di politica estera e di politica per la sicurezza, non potrebbe che essere deciso, con maggioranze qualificate , all' interno del Consiglio, con tutte le conseguenze logiche, ma per certi aspetti importanti, che ne deriverebbero. altro problema che rimane sul tappeto riguarda la riforma del Consiglio dei ministri e la creazione di un unico Consiglio, chiamato Consiglio degli affari legislativi. a tale riguardo, vi sono diverse opzioni in esame. vi è però un consenso diffuso e condiviso sull' esigenza di ridurre le formazioni consiliari. ho detto prima che, nel tentativo di sintesi tra le due posizioni, le formazioni consiliari potrebbero continuare ad essere presiedute secondo la logica della rotazione semestrale; esistono, invece, problemi non di dettaglio sull' opportunità o meno di costituire quel Consiglio affari legislativi all' interno del quale concentrare, appunto, tutti i compiti legislativi. non ho difficoltà alcuna a dire, anche in questa sede, che il governo italiano considera questa ipotesi in modo positivo, soprattutto perché garantirebbe un progresso sul piano della trasparenza. qual è una delle questioni che oggi il cittadino europeo solleva? egli chiede chi decide. non si tratta soltanto di determinare chi fa che cosa, che è la tipica questione che si pone in ogni ordinamento con competenze diffuse, alcune in capo agli Stati, altre in capo all' Unione Europea , altre ancora partagées, condivise; il cittadino non chiede soltanto chi decide: il cittadino chiede anche dove si decide. ecco, questo Consiglio affari legislativi garantirebbe trasparenza, garantirebbe l' efficacia dei lavori consiliari e, in qualche modo, rafforzerebbe anche il ruolo del Parlamento europeo , l' altro pilastro dell' architettura istituzionale che non può essere considerato un' appendice. il Consiglio affari legislativi rafforzerebbe il ruolo del Parlamento europeo perché darebbe sostanzialmente corpo a quella Camera degli Stati che finirebbe per essere la sede di tutte le procedure di codecisione (è il principio che ho illustrato qualche tempo fa). la richiesta di generalizzare una procedura di codecisione con votazione a maggioranza qualificata è stata una richiesta avanzata da molti rappresentanti della convenzione e dalla totalità dei rappresentanti italiani ed è stata sostenuta anche dal nostro Governo. tuttavia, non sarà facile estendere la procedura legislativa uniforme a quei campi in cui vi sono sensibilità politiche particolari (basti pensare ai problemi dell' agricoltura, del fisco, della politica sociale ). ho il dovere di dire che, registrando ciò che accade nella convenzione, la somma delle richieste di eccezioni già avanzate dai singoli Stati (non mi riferisco ai rappresentanti nella convenzione dei parlamenti, ma a quelli dei governi) fa prevedere che la situazione che si verificò a Nizza possa, sotto questo aspetto, verificarsi di nuovo. un altro aspetto che rimane ancora da definire è quello del ruolo della Commissione e della presidenza della stessa. sulla funzione della Commissione di custode dei trattati (per usare un' espressione ormai acquisita) e sulla necessità di rafforzarne i poteri di esecuzione ed il ruolo di impulso vi è un ampio consenso. colgo l' occasione per sottolineare un concetto che credo debba essere sempre tenuto presente quando, giustamente, ci si interroga circa le migliori modalità per difendere il legittimo interesse nazionale in una politica, però, convintamente europeista e, quindi, tesa a dar vita ad un' Europa più stretta. il concetto è che non è vero che l' interesse nazionale si difenda sempre e comunque meglio con una sottolineatura del cosiddetto metodo intergovernativo, perché vi sono vicende — mi riferisco, ad esempio, alla vicenda dei valichi che vede impegnato il Governo anche in questo momento — che dimostrano come proprio una Commissione custode dei trattati ed autorevole sia nelle condizioni, assai più di un' estenuante trattativa bilaterale, di difendere gli interessi, in questo caso nazionali, ma soprattutto di tutelare principi che sono alla base dell' Unione Europea . faccio riferimento alla vertenza dei valichi perché tutti sanno che quello di libera circolazione e di parità nel mercato è uno dei principi cardine, fin dai tempi del mercato economico. è altrettanto evidente che se, per decisioni assunte in base a vicende, logiche, interessi nazionali , alcuni paesi (penso alla Francia piuttosto che all' Austria o alla Slovenia domani) adottano misure che in qualche modo possano essere restrittive o penalizzanti del principio della libera circolazione, assai più che un' estenuante trattativa in sede intergovernativa è la commissione, garante dei trattati, che, intervenendo ed imponendo il rispetto di certi principi, garantisce l' interesse nazionale o il rispetto dei trattati medesimi. dico ciò perché non sempre mi è parso che, almeno nel dibattito nazionale, questo concetto fosse sufficientemente sottolineato. a livello di convenzione, al contrario, è acquisito (e lo considero un fatto positivo) che, anche in base a quel principio di equilibrio che richiamavo prima, nel momento in cui si rafforza il Consiglio non si può e non si deve pensare ad una Commissione meno autorevole. un problema che è sorto e che interesserà, credo, i lavori della convenzione fin dal prossimo mese è quello relativo alla composizione della Commissione. vi è, infatti, un' Europa che, dal 1° maggio, sarà composta da 25 paesi, il che pone immediatamente un problema. è immaginabile una commissione con 25 rappresentanti, uno per ogni paese che fa parte dell' Unione? con molta franchezza, credo che la risposta più saggia da dare al quesito sia, ancora una volta, una risposta che cerca di sposare esigenze apparentemente contrapposte. mi spiego più chiaramente: chi ha maturato esperienze in questo campo sa che, se vi è una cosa impossibile, è convincere un Parlamento o un governo di quei paesi che, dopo tanti sacrifici e tanti sforzi, entrano nell' Unione Europea a non esprimere il commissario. è naturale che in mille circostanze si dica che si può procedere con un sorteggio, affidandosi in qualche modo alla casualità; tuttavia, per un legittimo motivo di orgoglio (definiamolo così) non si convincono i paesi che il 1° maggio 2004 entreranno a far parte dell' Unione a rinunciare alla figura del commissario. al tempo stesso credo che nessuno possa immaginare 25 paesi, 25 commissari, 25 materie: sarebbe una torre di Babele. anche questo esempio dimostra come, se vogliamo lavorare per il successo della convenzione, dobbiamo darci meccanismi flessibili. la proposta che sta prendendo corpo è quella per cui nella prima legislatura — chiamiamola così — i 25 commissari vengano accorpati dato che alcune materie sono talmente ampie da rendere possibile un team di commissari anziché un solo commissario e poi, una volta che la riforma sarà a regime, vi sia una semplificazione. accelero per non tediare più di tanto l' Assemblea, anche se credo che, dopo un anno di lavoro ed essendo la prima volta che il Governo riferisce in plenaria, sia doveroso cercare di essere quanto più completo possibile nell' esposizione. questo è più facile, è soltanto un piccolo movimento del corpo. l' accelerazione, invece, comporta anche uno sforzo intellettuale. vorrei svolgere un' altra considerazione, apparentemente non importantissima, ma al contrario rilevante. alcuni nodi sono connessi a ciò che accadrà o potrebbe accadere con il passaggio dall' attuale situazione regolata con i trattati a tutti noti ed il sistema che sarà definito dal nuovo trattato. l' ipotesi di contemplare meccanismi di revisione differenziati per la parte costituzionale del trattato e per quella relativa alle politiche è ancora molto controversa. allo stesso modo è un problema delicato quello che deriva dalla disciplina del passaggio tra il vecchio ed il nuovo sistema con l' abrogazione dei trattati ora esistenti. sorgono problemi giuridici evidenti, da un lato, legati all' articolo 48 del trattato che prevede la ratifica di tutti gli stati membri secondo le proprie disposizioni (ciò significa per alcuni paesi il ricorso a referendum) e, dall' altro lato, alla possibilità che qualche stato membro tra i 25, non ratificando il nuovo trattato, finisca per bloccare il processo oppure invochi solo per se stesso la vigenza del vecchio trattato. credo che la complessità del problema sia di tutta evidenza. a detta di qualcuno questa impasse potrebbe essere solo teorica, ma credo vada prevista, anche alla luce di quanto accaduto in Irlanda o poteva accadere in altri paesi, l' ipotesi che un paese blocchi per se stesso il processo di ratifica e, quindi, ponga il problema agli altri. per superare tale impasse credo che vadano previsti meccanismi di opting out o, in casi estremi, meccanismi di vera e propria secessione, cioè il diritto (ovviamente più teorico che reale) per qualche paese di scendere dal treno in corsa. sui primi 16 articoli sono stati presentati 1.187 emendamenti. apparentemente si tratta di un numero tale da indurre al pessimismo; in realtà, leggendo gli emendamenti, tale pessimismo non ha ragione di esistere. in primo luogo, si tratta di emendamenti in molti casi formali o che possono essere accorpati. ricordo che, per il metodo di lavoro che ha la convenzione, la ricerca del massimo consenso possibile dovrà guidare il lavoro del Presidium anche per la parte relativa alla definizione della sorte che gli emendamenti stessi avranno. insisto su tale aspetto, e chiedo scusa se posso apparire ripetitivo, ma in un' Aula parlamentare sappiamo tutti che 1.187 emendamenti sui primi 16 articoli equivalgono a non votare un solo emendamento o un solo articolo. quindi risulta ancor più evidente la necessità di lavorare per sintesi, di accorpare, di trovare soluzioni di massimo consenso possibile. con riferimento agli emendamenti di sostanza presentati dal governo italiano , occorre in primo luogo, sottolineare che si tratta di emendamenti che mirano in massima parte a rafforzare dei concetti che secondo il Governo erano emersi con una certa chiarezza nei gruppi di lavoro e che mirano altresì a rafforzare concetti che possono costituire un punto di intesa nel lavoro di stesura definitiva del trattato costituzionale. ricordo, come ho detto prima, che nei primi 23 articoli la convenzione ha trattato le questioni relative alla natura, ai valori, agli obiettivi ed alle competenze dell' Unione. gli articoli dal 24 al 33 — il Presidium ha presentato nell' ultima riunione il testo — saranno discussi nella prossima sessione ed esamineranno i mezzi di azione di cui l' Unione dispone per condurre a buon fine i suoi compiti. come ho detto all' inizio, fin dal primo momento la nostra preoccupazione è stata quella di assicurare e di rafforzare l' equilibrio fra le due componenti che esprimono l' originale e duplice legittimazione dell' Unione: quella cosiddetta comunitaria (o sovranazionale) e quella intergovernativa (o per alcuni interstatuale). in questo contesto abbiamo sottolineato l' opportunità, attraverso un emendamento all' articolo 1, di quell' unione sempre più stretta tra i popoli e gli Stati — e abbiamo volutamente ripreso una formula che è presente sin dagli albori della costruzione europea — , evitando però di schierare in qualche modo il governo italiano in una disputa (che a mio modo di vedere è più lessicale che sostanziale) che si è immediatamente aperta tra i sostenitori di un modello federale, com' è scritto nel documento presentato da Giscard d'Estaing , e quel terzo della convenzione — elemento non secondario, ripeto un terzo della convenzione — , che propone di fare riferimento ad un modello confederale. perché il governo italiano ha pensato bene di non indicare il modello? non perché, come qualcuno maliziosamente ha detto, il governo italiano lavora per far fare passi indietro — non è di questo che si tratta: tutto il processo in corso , tutto il progetto costituzionale è impiantato su una logica federale; del resto più volte ho ripreso l' espressione « federazione di Stati nazionali » , che è l' espressione usata in più occasioni dal presidente della Repubblica , e che è l' espressione, direi, che meglio rende l' idea del modello federale — , ma perché, a partire dal governo britannico (ma non solo da esso, bensì a partire anche da altri governi), il semplice riferimento al modello federale fa scattare immediatamente la richiesta di una precisazione in senso non federale ma confederale. credo che questo tema, che nella nostra pubblica opinione è ampiamente superato dal fatto che non ha rappresentato uno degli elementi di distinguo fra le forze politiche , qualora dovesse tornare con virulenza in sede di convenzione, finirebbe per rallentare i lavori e non per accelerarli. ribadisco che l' Unione Europea è certamente più di una confederazione, in quanto essa è un' organizzazione sovranazionale con una fisionomia ben definita, ma al tempo stesso non è stricto sensu uno Stato federale , per il motivo molto semplice che non è uno Stato e men che meno un superstato. da qui la formula di « federazione di stati nazione » . da qui il riferimento, nel nostro emendamento, a quell' unione sempre più stretta tra popoli e Stati. da qui la necessità di evitare che in un momento importante della convenzione il dibattito finisca per concentrarsi su aspetti che mi sembrano non sostanziali, soprattutto perché sono aspetti che se non risolti prefigurano dispute assai più difficili da ricondurre a sintesi, nella parte relativa all' architettura istituzionale. l' altro emendamento — di cui giustamente la pubblica opinione è stata informata dall' eco che la stampa ha dato all' iniziativa governativa — è quello che il governo italiano ha presentato all' articolo 2 della bozza presentata dal Presidium. ricordo che, in tale articolo, si afferma che l' Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti dell' uomo: valori che sono comuni agli stati membri . abbiamo, ovviamente, condiviso queste nobili aspirazioni e abbiamo proposto di aggiungere una frase formulata nel modo seguente: « l' Unione riconosce le comuni radici giudaico-cristiane come valori fondanti del suo patrimonio » . voglio ribadire cosa esattamente il governo italiano abbia inteso fare nel momento in cui si è fatto promotore di questo emendamento che nel contenuto, con formule diverse, è riproposto in numerose altre iniziative emendative presentate da parte dei colleghi della convenzione. si è trattato di riconoscere — questo è il verbo che usiamo — un elemento, che a nostro modo di vedere rappresenta un dato di realtà, volto ad individuare una comune identità dell' Europa e a fornire una risposta al quesito che tanti si sono posti — cito Dahrendorf, che probabilmente è il più autorevole — vale a dire se ci sia un demos europeo e quale sia la sua identità. nel momento in cui si cerca di fornire risposta a tale quesito, negare che un elemento importante di quella identità sia rappresentato dai valori religiosi ritengo voglia dire negare un dato di verità. ciò, comunque, non significa in alcun modo mettere in discussione la laicità delle istituzioni, che costituisce un dogma — passatemi il termine — che, non soltanto rappresenta una delle conquiste delle democrazie liberali, ma un assioma dal quale non si può prescindere, a meno che non si abbiano nostalgie di confusione tra potere temporale e potere spirituale. dunque, nel momento in cui si cerca di dar corso ad un' identità europea, ritengo non si possa prescindere, appunto, dal dato di verità rappresentato da questo riconoscimento del significato che hanno i valori religiosi. faccio un esempio, che credo sia condiviso da tutti: uno dei portati dell' identità religiosa dell' Europa sta nel riconoscere un' oggettiva centralità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali , sia nella sfera politica sia in quella istituzionale. i colleghi sanno — e intendo al riguardo svolgere qualche considerazione — che il presidente Giscard, al termine della riunione della convenzione svoltasi la scorsa settimana, ha preannunciato che il riferimento ai valori religiosi non sarà inserito nell' articolo 2 — infatti, questo articolo contiene i valori che possono essere giustiziabili, cioè posti a motivo di una eventuale azione di fronte alla Corte di giustizia per veder riconosciuto un diritto negato — ma nel cosiddetto preambolo. non ho alcuna difficoltà nell' affermare che si tratta di una soluzione che merita rispetto e consenso, proprio perché rappresenta comunque un salto in avanti e, a mio avviso, un passo positivo rispetto alla soluzione adottata a Nizza, quando si giunse ad un compromesso che non ho esitazione a definire al ribasso. infatti, nella Carta di Nizza vi è un riferimento non ai valori religiosi, ma a generici valori spirituali e non è questa di certo la sede per evidenziare l' oggettiva differenza e l' abissale distanza che separa i valori spirituali da quelli propriamente religiosi. aggiungo anche che, nel preambolo — probabilmente nell' articolo 34, vale a dire quello che garantisce la partecipazione alla vita dell' Unione delle diverse forme associative dei cittadini — , accanto al riferimento ai valori religiosi, vi sarà anche il riconoscimento di quel dialogo strutturato delle Chiese con l' Unione, che poi rappresenta uno degli aspetti fondamentali. ciò, ovviamente, lasciando poi alle legislazioni nazionali — come previsto già ad Amsterdam — il compito di regolamentazione. l' ultima o penultima considerazione è volta a sgombrare il campo da quello che ritengo essere un colossale fraintendimento. il governo italiano ha presentato un emendamento per sopprimere un comma dell' articolo 2, che dice: l' Unione mira ad essere una società pacifica, che pratica la tolleranza, la giustizia e la solidarietà. forse è necessario ricordare all' Assemblea che non si è trattato di un' iniziativa isolata del governo italiano e nemmeno di un' iniziativa tendente a mettere in evidenza chissà quale recondita volontà. identico emendamento, salvo qualche piccolissima variazione lessicale, è stato presentato dalla Francia, dal Belgio, dalla Spagna, dall' Inghilterra, dal senatore Dini. per quale motivo? perché tale dizione, inserita nell' articolo 2, viene giudicata impropria: l' articolo 2, come dicevo, fissa dei valori e non degli obiettivi, che, come tali, vengono rinviati all' articolo 3. quanto a quest' ultimo articolo, lo abbiamo riscritto, se volete presuntuosamente, cercando di renderlo più armonico e cercando di tener conto dei tanti obiettivi che l' Unione Europea si deve dare: il progresso economico e sociale ; l' affermazione dell' identità dell' Unione sulla scena mondiale; la ricerca della pace nella rigorosa osservanza del diritto internazionale ; il contributo alla solidarietà e al rispetto dei popoli. e l' abbiamo fatto riprendendo formulazioni che erano già presenti in molti trattati. vi è stata un' ulteriore proposta emendativa all' articolo 5, per consolidare le conclusioni del gruppo di lavoro presieduto dal commissario Vitorino, gruppo di lavoro che si è reso autore di un compromesso non agevole, basato, da un lato, sull' integrazione della Carta nella Costituzione e, dall' altro, sul rafforzamento delle clausole cosiddette orizzontali. l' ultima considerazione è relativa alla questione della delimitazione del riparto di competenze nell' Unione. si tratta di una delle questioni centrali nel dibattito, su cui si è concentrata la maggior parte degli emendamenti che sono stati presentati. recependo i risultati del gruppo di lavoro , la Costituzione europea afferma che la delimitazione e l' esercizio delle competenze si fondano su principi di attribuzione, sussidiarietà, proporzionalità e cooperazione leale. le competenze comunitarie vanno definite attraverso il ricorso a tre categorie di competenze: esclusive, in cui spetta all' Unione regolare l' intera materia; condivise, in settori in cui con più attenzione dovrà applicarsi il principio di sussidiarietà; di sostegno o complementari, in cui la competenza spetta agli Stati e l' Unione si limita al coordinamento e al sostegno delle discipline e delle politiche degli stati membri . gli emendamenti del governo italiano su questo gruppo di articoli mirano a meglio definire la ripartizione di competenze tra Unione e Stati, soprattutto nell' ambito delle competenze condivise. credo che i principi di sussidiarietà e proporzionalità debbano dispiegare i propri effetti, in questo ambito, sotto un duplice profilo: da un lato, nelle aree di competenze condivise l' Unione dovrebbe limitarsi ad adottare normative quadro che lascino ampi margini di attuazione alle autorità nazionali; d' altro canto, l' esercizio di competenze legislative da parte dell' Unione non deve comportare un passaggio automatico dell' intera area tematica all' Unione stessa. in questo caso, si rischierebbe di determinare un passaggio surrettizio di alcune competenze dalla sfera condivisa a quella esclusiva, vanificando quel processo di più chiara individuazione di responsabilità che viene richiesto dalle opinioni pubbliche dei nostri paesi. in accordo con il principio di sussidiarietà, la facoltà di legiferare dell' Unione dovrà essere esercitata in modo da essere complementare e non sostitutiva rispetto a quella degli Stati. questo è il senso dell' emendamento che abbiamo proposto all' articolo 10, paragrafo 2, della bozza presentata dal presidente Giscard. l' ultima considerazione è relativa alla possibilità prevista dal Presidium di inserire anche due protocolli, dedicati, rispettivamente, all' applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità ed al ruolo dei parlamenti nazionali nell' Unione Europea . qui ricordo quello che ho avuto modo di dire nella parte iniziale del mio ragionamento: sono stati sottolineati il ruolo e l' importanza dei parlamenti nazionali, prevedendo quel meccanismo di allarme precoce, di early warning , che certamente può rappresentare una delle chiavi di volta per la corretta applicazione del principio di proporzionalità medesimo. l' emendamento che il governo italiano ha presentato in qualche modo sottolinea, appunto, questo aspetto. l' ultima considerazione, che poi è anche quella conclusiva, è di natura squisitamente politica. sapete che i prossimi mesi saranno, come spero di aver dimostrato, quelli in cui l' esito della convenzione sarà evidente e dipenderà dalla capacità che la convenzione avrà di sciogliere quei nodi che sono ancora sul tappeto, soprattutto quelli relativi alla architettura istituzionale europea. ho detto che sarebbe illusorio pensare che le vicende internazionali, la politica in senso lato, non fossero presenti e protagoniste nei lavori della convenzione. la convenzione non è un' accademia, non è un aulico consesso, ma una sede in cui c' è il peso oggettivo della politica, degli interessi nazionali , oltreché dei parlamenti. questa è la ragione per la quale, come è stato detto tante volte, occorre volgere, direi positivamente, quella che può essere una condizione di difficoltà. in termini ancor più chiari, ribadisco il concetto espresso più volte sulla necessità di fare in modo che tanto maggiori sono le difficoltà che oggi la politica incontra, la convenzione incontra per far parlare l' Europa con una sola voce, tanto più convinto deve essere lo sforzo per superare queste difficoltà. se l' Europa, l' Unione Europea — Dio non voglia ! — si dovesse dividere nelle prossime settimane, ad esempio, sulle questioni relative alle vicende irachene, questa non sarebbe una buona ragione per dire che la convenzione non riesce. al contrario, sarebbe la ragione opposta per dire che la convenzione, con lena ancora maggiore, deve far operare affinché si creino le condizioni, anche istituzionali, perché l' Unione Europea sia protagonista in termini politici e non soltanto in termini economici. ovviamente, questo comporta un impegno da parte di tutti, da parte del nostro Governo e dei rappresentanti italiani, il che c' è stato, l' ho detto all' inizio. comporterà delle assunzioni di responsabilità e la consapevolezza — concludo così — dell' importanza che non è relativa soltanto all' interesse, che l' Italia oggettivamente ha, perché Roma sia di nuovo la sede per la firma del nuovo trattato: l' interesse non è soltanto nazionale, ma autenticamente europeo. se nel prossimo mese di giugno del 2004, quando gli europei saranno chiamati a rinnovare il Parlamento e per dieci paesi si tratterà della prima occasione di voto per il Parlamento europeo — e i colleghi sanno che il Parlamento europeo , anche in democrazie consolidate come la nostra, ha un appeal minore rispetto alle elezioni del Parlamento nazionale o del Consiglio comunale — , a quel punto, se l' elezione del Parlamento europeo nei paesi che il prossimo 1° maggio entrano non fosse accompagnata dalla presenza della Carta europea e, in qualche modo, le pubbliche opinioni avessero l' impressione che l' Europa discute, dà vita alla convenzione, cerca di trovare un' intesa ma poi non la trova, non solo sulle questioni — e lo ripeto: Dio non voglia — relative alla politica di sicurezza e alla politica militare , ma persino su quelle relative al trattato costituzionale, io credo che in quel momento l' idea dell' Europa non sarebbe più vicina, ma finirebbe per essere più lontana. questa è la ragione per cui occorre far sì che la convenzione riesca e che il semestre italiano coincida perlomeno con l' apertura della conferenza intergovernativa , il che non è solo un interesse nazionale , pur legittimo, ma un interesse di tutti coloro che hanno a cuore l' Unione Europea e quella riunificazione del vecchio continente, che rappresenta certamente un obiettivo di fronte al quale vale la pena, non solo di impegnarsi, ma anche di dar vita a tutti gli sforzi necessari e possibili per il buon esito dell' impresa.