Massimo D'ALEMA - Deputato Opposizione
XIV Legislatura - Assemblea n. 105 - seduta del 27-02-2002
Sfiducia al Governo
2002 - Governo IV Fanfani - Legislatura n. 3 - Seduta n. 774
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi ... calma, calma! ritengo importante che l' esame di questo disegno di legge così significativo si accompagni ad una discussione politica che, in modo intenso ed appassionato, impegna la Camera dei Deputati . pure, non riuscendo a definire regole condivise, se non altro il Parlamento non ha rinunciato a discutere, a mettere a confronto le opinioni, a misurare diverse visioni della vita democratica del paese. credo — e mi rivolgo a chi nella maggioranza avverte questa preoccupazione — che forse voi non comprendiate la portata e la gravità di quello che si sta consumando con l' approvazione di questa legge e le conseguenze che questo atto avrà, ben al di là della materia particolare che questa legge disciplina, nella vita democratica del nostro paese. non le forze politiche di minoranza, bensì una parte dell' opinione pubblica , cioè milioni di nostri concittadini (non saprei giudicare se essi siano uno di più o uno di meno della metà, ma conta poco in questa sede) considerano questa legge come la manifestazione di un' arroganza e di un sopruso di quella che è una maggioranza politica legittima ma che, come è norma di un sistema maggioritario , non necessariamente rappresenta la maggioranza dei cittadini, e fu così anche il 13 maggio. milioni di italiani considerano questa legge come frutto di una visione distorta della democrazia che scambia il diritto a governare che la maggioranza conquista con una pretesa di comando che è altra cosa, cioè la pretesa di disporre delle regole che dovrebbero essere comuni e condivise all' interno di una comunità. milioni di italiani vedono in questo l' espressione di una logica aziendalistica — chi ha il controllo comanda in un' azienda — ed i residui di una cultura autoritaria che talora, come un vecchio riflesso, come un bel film, riemerge dalle nebbie di un passato non ben digerito. questa legge è volta, sostanzialmente — e l' articolo che ci apprestiamo ad esaminare contiene il nocciolo di questa finalità — , a dare un carattere legale ad un' anomalia che non ha precedenti e che non sarebbe pensabile in alcun paese democratico, o per effetto di leggi che vi sono in altri paesi o per la forza di consuetudini che, in altri paesi, possiedono una forza ancora maggiore delle leggi scritte. è evidente che il nodo sta nella sostanziale incompatibilità fra l' esercizio di funzioni di Governo — che è altra cosa dalla ineleggibilità a deputato, che io stesso ritengo, francamente, non avere quella consistenza — e non la proprietà di beni o azioni (tutto ciò sarebbe una pretesa assurda) ma l' esercizio di un controllo, così come esso si configura nella realtà dell' economia moderna, di società che hanno una posizione dominante in settori strategici dell' economia, tanto più quando queste società operino in settori regolati da concessioni pubbliche e ancora di più nel momento in cui questa posizione dominante si eserciti nel settore dell' informazione, nel quale il conflitto — cioè la concentrazione di potere e la sovrapposizione di potere pubblico e privato — tocca un aspetto cruciale della democrazia, cioè la libertà e il pluralismo dell' informazione. sarà strano ma per milioni di italiani esiste, al fondo, un' incompatibilità tra questi poteri, tra il potere politico e quello economico e mediatico che — ripeto — si esprime, non nella proprietà di beni o di azioni, ma nel controllo su aziende che hanno una posizione dominante in settori così cruciali della vita, non solo economica, ma civile del paese. è altresì evidente — nel senso che è cosa evidente a tutti, alla generalità dei cittadini, ai grandi mezzi di informazione, alla pressoché unanimità dei commentatori — che una situazione di questo tipo non ha eguali in alcun paese democratico ed è anche evidente che questa anomalia italiana è una delle ragioni per le quali si guarda con diffidenza alla realtà del nostro paese, una delle ragioni che ne indeboliscono il profilo e il ruolo internazionale: questa è la realtà, non è un' opinione, non è una tesi di parte. il problema dovrebbe essere quello di come si affronta, insieme, questa realtà e, invece, proponete un insieme di norme la cui assurdità — mi consentirete di rilevare un aspetto persino particolare — è sottolineata dal fatto che voi stessi avete convenuto circa la loro inapplicabilità ad altri livelli istituzionali (sindaci, presidenti di regioni e di province). ritengo che convenire circa questa inapplicabilità sia stato misura di saggezza, non solo perché questa legge avrebbe, oltretutto, scardinato l' ordinamento ma si sarebbe dato il via libera alla più oscena commistione tra istituzioni pubbliche ed interessi privati, nel senso di stabilire, appunto, che il proprietario dell' azienda che si occupa della nettezza urbana può fare anche il sindaco, se ha avuto l' accortezza di nominare il cugino amministratore delegato . voi stessi vi siete resi conto della follia di una normativa di questo genere. tuttavia, questa saggezza sottolinea il fatto che noi introduciamo, nel nostro ordinamento, il massimo dell' ineguaglianza, cioè scriviamo per legge che il capo del governo non è tenuto a quelle norme che vincolano il sindaco del più piccolo paese italiano. stabiliamo, dunque, un elemento di diseguaglianza tra i cittadini e tra i livelli istituzionali, in una democrazia in cui l' esempio dovrebbe venire dall' alto. vedete, proprio questo particolare è rivelatore del fatto che questa legge è disegnata su una persona e capisco anche che ciò ha delle ragioni. il problema esiste ed è evidente che sarebbe assurdo l' atteggiamento di un' opposizione che pretendesse di far valere un principio — pur sacrosanto — con l' idea che l' affermazione di tale principio possa cancellare una realtà politica. vedo tutto il rischio di un conflitto tra principio di legalità e principio democratico e lo vedo sui due lati; infatti, ritengo che l' equilibrio tra questi principi sia una condizione della convivenza. tuttavia, la via per affrontare questo problema reale, senza cadere nel sopruso e nell' aberrazione verso cui ci stiamo avviando per volontà della maggioranza, sarebbe stata quella di fissare il principio e di ricercare i modi, i tempi, le cautele per affrontare una situazione che, certo, non può essere risolta con norme con effetto retroattivo, ma attraverso un insieme di garanzie volte a ridurre il peso squilibrante della concentrazione di poteri — che qui si sancisce e si legittima — e consentendo tempi e modi per uscire da questa anomalia; che tale sia! badate, a me non piace questo gioco, ma l' onorevole Berlusconi avrà ripetuto cento volte, negli otto anni della sua vita politica, che egli, dedicandosi al bene del paese, riteneva giusto disfarsi di quella posizione. egli stesso, più volte, ha mostrato consapevolezza di ciò, salvo il fatto che questa consapevolezza è meno forte nel momento in cui il comando gli consente di non esibirla più e di risolvere, per legge, il conflitto, rimuovendolo e sancendone la legittimità. questo è un errore molto grave del quale, credo, non valutiate le conseguenze. si è fatto cenno ai rimproveri, alle infuocate assemblee che, comunque, fanno parte della vita politica. ma, onorevole Tabacci, a noi viene rimproverato il contrario di ciò a cui lei ha fatto cenno. noi — e in particolare, in questo caso, io — siamo messi sotto accusa per aver ostinatamente ricercato, con l' altra parte politica , un' intesa sulle regole. a noi si fa carico di aver non fatto — perché non è stato fatto alcun accordo (sono pochi i parlamenti al mondo in cui non ci si mette d' accordo come in questo, dunque, questa accusa è falsa) — ma ricercato questa intesa; di non aver voluto dire, all' indomani del successo elettorale, ciò che oggi ci sentiamo dire, cioè: abbiamo vinto, disponiamo delle regole. dunque, siamo messi sotto accusa per aver invece ricercato gli strumenti per un accordo che consentisse di disegnare insieme la nuova architettura della Costituzione e delle regole della convivenza politica. vede, onorevole Tabacci, per quanto voi facciate di tutto per dare ragione ai nostri contestatori, nel senso che, sinceramente, ciò che voi fate sembra, di ora in ora, aggiungere fascine a quel fuoco...... che — badate — non lambisce soltanto noi, per la verità io resto convinto delle mie opinioni, perché penso che l' idea secondo cui in una democrazia chi vince governa ma le regole sono comuni, è un principio che non si può piegare ad alcuna convenienza! voi a questo principio contravvenite gravemente, perché — lo ripeto ancora una volta — questa legge non soltanto è una legge sbagliata, non soltanto è una legge che avvelena il clima politico — il clima politico è un aspetto della questione — ma crea anche un danno molto più profondo, lacerando la coscienza civile del paese. quando si compiono operazioni di questo genere, bisogna sapere che poi ricucire, se la lacerazione investe nel profondo la società e gli animi, è opera assai complessa. e in nessun paese democratico la logica dell' alternanza politica e della competizione si traduce, ad ogni vittoria, nel cambio delle regole che determinano la vita politica ed istituzionale. questo, infatti, significa dare alla dialettica politica il carattere di uno scontro ideologico e di regimi che è un veleno molto più mortale che non i litigi che si possono consumare in quest' Aula. questa è la portata di quello che state facendo, a parte tutte le eleganti argomentazioni. il ministro Frattini ha usato una citazione per introdurre un po' di veleno nel suo discorso, in un modo che io considero, personalmente, anche sgradevole; ma egli ha avuto l' astuzia della citazione che sicuramente è un bello schermo, anche se, eticamente, secondo me non è motivo di merito per chi ne fa uso. di tutte le sue argomentazioni, che sono spesso sottili e ben congegnate, mi limito a dire questo: esse non sono all' altezza della gravità di ciò che accade. spero, anzi confido che ci sia chi mi intende anche dall' altra parte di quest' Aula. grazie.