Massimo D'ALEMA - Deputato Opposizione
XIII Legislatura - Assemblea n. 537 - seduta del 19-05-1999
Politica estera
1999 - Governo Zoli - Legislatura n. 2 - Seduta n. 707
  • Comunicazioni del governo

signor presidente della Camera, signori deputati, il Governo ha mantenuto nel corso dell' ormai lungo conflitto in atto nei Balcani un dialogo costante con il Parlamento. esso si è sviluppato attraverso la risposta a numerose interrogazioni, attraverso le riunioni di Commissione e anche attraverso le discussioni e le votazioni in seduta plenaria. io stesso ho riferito in quest' Aula già in due precedenti occasioni e in pari numero di sedute al Senato della Repubblica . per questo non mi pare opportuno e necessario ripercorrere integralmente i passaggi e le vicende di questa lunga e drammatica crisi. vorrei piuttosto mettere l' accento sulla delicatissima fase negoziale che si è aperta in questi giorni e dalla quale dipenderà la larga misura la possibilità di giungere ad una nuova risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che, sulla base dei principi fissati nell' ultimo vertice del G8, apra la strada ad una soluzione politica del conflitto. vorrei, però — me lo consentirete, onorevoli colleghi — , in avvio di questo intervento, salutare con soddisfazione il risultato delle elezioni politiche in Israele. la netta affermazione del leader laburista Ehud Barak è infatti...... un incoraggiamento per tutte le forze e i paesi — inclusa l' Italia — che si sono battuti in questi mesi difficili e in questi anni per il progresso dei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi. è un risultato che premia l' atteggiamento responsabile tenuto dalla leadership palestinese e dal presidente Arafat sulla questione della nascita dello Stato palestinese , cioè quell' atteggiamento che l' Italia, l' Unione Europea e gli USA avevano esplicitamente incoraggiato. noi ci auguriamo sinceramente che si apra una nuova fase politica, come appare possibile, che possa rafforzare le ragioni e i valori della convivenza e del dialogo. io credo che quanto avviene in Medio Oriente abbia e possa avere un riflesso positivo sulla stabilità complessiva nel Mediterraneo. voi mi scuserete quindi per un inciso che certamente è materia estranea al tema del Kosovo, che tratterò, ma poi non così lontana dalle esigenze di una politica di pace in questo mare nel quale si allunga la nostra penisola. come ho accennato, siamo davanti ad un passaggio difficile, e che noi speriamo decisivo, della crisi del Kosovo; un passaggio che può volgersi a vantaggio di una soluzione politica, con l' accettazione da parte jugoslava delle direttive già concordate dal vertice del G8, o viceversa, come davvero non sarebbe auspicabile, piegare verso un inasprimento militare del conflitto. i primi segnali di apertura ai principi del G8 venuti da Belgrado nella giornata di ieri vanno esaminati con attenzione, incoraggiati e naturalmente verificati nella loro completezza e concretezza. anche per questo abbiamo voluto, di intesa con il ministro Dini, che se ne è incaricato personalmente, prendere contatto con la leadership jugoslava e serba immediatamente dopo che le agenzie avevano informato della dichiarazione del portavoce del ministero degli Esteri , trovando, sia pure con molte limitazioni ed incertezze, una disponibilità a discutere sulla base dei principi del G8. l' Italia si presenta a questo passaggio decisivo avendo dato prova di grande maturità. abbiamo sempre sostenuto, Governo e Parlamento, pure nella dialettica delle posizioni e dei ruoli, che l' azione militare, per quanto inevitabile di fronte alle responsabilità di Belgrado, doveva combinarsi con la ricerca contestuale di una soluzione politica. questa è stata e rimane la nostra linea di condotta: mai, in nessun momento, abbiamo pensato di delegare unicamente alle armi la ricerca di una soluzione stabile, in grado di garantire il rientro dei profughi e il ripristino di condizioni durevoli di sicurezza per la popolazione albanese di quella regione. in questo senso, credo si debba riconoscere al governo italiano la coerenza con cui, nel corso di queste settimane, ha seguito, sostenuto e incoraggiato i diversi tentativi di negoziato. anche grazie a questo nostro atteggiamento, le condizioni di una ripresa dell' iniziativa politica sono oggi poste con la massima chiarezza. a questo vorrei aggiungere anche che il governo italiano ha sempre contrastato in ogni sede e continua a contrastare l' idea di una soluzione militare di questo conflitto, che, per essere seriamente perseguita, richiederebbe non solo i bombardamenti ma anche l' impiego di un contingente massiccio di truppe di terra e l' invasione da parte di forze della NATO del Kosovo o della intera Jugoslavia. questa prospettiva non è desiderabile, rappresenterebbe un errore; il governo italiano e altri governi europei, in modo particolare, hanno sempre contrastato ogni ipotesi di questo tipo. anche nella riunione con il governo tedesco e con il cancelliere Schroeder è stata confermata una forte convergenza tra Germania e Italia su questa posizione, sulla quale convergono d' altro canto anche altri importanti paesi dell' Alleanza Atlantica . nella giornata di oggi si riuniranno a Bonn gli alti funzionari del G8, impegnati nel compito non facile di tradurre i principi adottati dal vertice di inizio maggio in un testo di risoluzione da presentare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite . questo è il percorso negoziale su cui oggi possiamo e dobbiamo concretamente puntare, la strategia sulla quale si ritrovano la Russia, l' Unione Europea , gli USA. ancora ieri, a Bari, nel corso del vertice italo-tedesco, ho verificato la ferma volontà del cancelliere Schroeder di sostenere, anche in ragione della Presidenza di turno tedesca dell' Unione Europea , il pieno recupero di un ruolo centrale dell' Onu nella soluzione della crisi. naturalmente, il successo di questa strategia implica il pieno e convinto coinvolgimento della Russia e d' altra parte è proprio alla mediazione di Mosca, affiancata dal presidente finlandese Maarti Ahtisaari, in relazione con il segretario generale delle Nazioni Unite , che verrà affidato l' incarico di presentare a Belgrado i risultati del G8 (noi speriamo già nella serata di oggi o nella giornata di domani). sono a tutti note le ragioni che fanno di quel paese, la Russia, un attore indispensabile per l' attuazione di un piano di pace equo, durevole e coerente con i principi indicati, né riteniamo che le vicende politiche interne alla Russia e la sostituzione del Primo Ministro Primakov con il nuovo premier Stepashin debbano distogliere Mosca da questo ruolo. sarà in particolare il mediatore russo, Viktor Cernomyrdin, a cercare di persuadere finalmente Milosevic ad accettare le condizioni definite dal G8 per poter arrivare ad una pace giusta. noi abbiamo fortemente collaborato con Cernomyrdin, abbiamo tenuto un costante contatto con lui, lo abbiamo incontrato a Roma il 29 aprile scorso, con il ministro Dini, in una lunga sessione di lavoro, che non a caso il mediatore russo volle avere qui a Roma alla vigilia del suo ultimo viaggio verso Belgrado. noi vogliamo una pace giusta che — voglio ricordarne soltanto gli elementi di fondo — significa: arresto immediato delle violenze e delle repressioni nel Kosovo; ritiro delle forze militari, paramilitari e di polizia serbe dal Kosovo; presenza internazionale, civile e di sicurezza (cioè militare), su mandato delle Nazioni Unite ; rientro protetto dei rifugiati (ormai quasi 900 mila); amministrazione internazionale transitoria volta a preparare le condizioni di un autogoverno democratico nel quadro dell' integrità territoriale della Repubblica federale jugoslava; smilitarizzazione dell' Uck; approccio globale allo sviluppo economico e alla stabilizzazione della regione. al ruolo della Russia va affiancata, ovviamente, un' intensa azione diplomatica nei confronti della Repubblica popolare cinese , tanto più delicata dopo il tragico incidente del bombardamento dell' ambasciata cinese a Belgrado. senza un coinvolgimento delle autorità di Pechino non è pensabile che si consegua la risoluzione dell' Onu, che potrebbe rappresentare la svolta della crisi. la causa della pace ha bisogno della Cina: è questo il messaggio che il cancelliere Schroeder ha portato a Pechino a nome dell' Europa nei giorni scorsi e che, secondo quanto egli ci ha riferito a Bari, è stato ascoltato con attenzione ed apertura. il successo di questa linea diplomatica dipenderà in eguale misura dalla coesione e coerenza con cui essa verrà sostenuta all' interno della NATO: su questo punto vi è una piena convergenza tra il governo tedesco ed il governo italiano , due paesi chiave dell' azione militare che la NATO sta conducendo, i quali concordano sull' assoluta necessità di una soluzione politica del conflitto sotto l' egida dell' Onu. in particolare, il cancelliere Schroeder ci ha confermato, dopo la sua visita dell' altro ieri ad Helsinki, l' importanza cruciale del tentativo congiunto che coinvolgerà nei prossimi giorni Cernomyrdin ed il presidente finlandese sulla base di uno sforzo concordato con il sottosegretario americano Talbott. sulla base di questi elementi possiamo ritenere che oggi le premesse di una soluzione negoziale siano più vicine: una nuova risoluzione dell' Onu fondata sui principi definiti dal G8 è un obiettivo realistico e necessario. posso comprendere che in questa situazione cresca, anche sotto la spinta di un' opinione pubblica stanca della guerra, la richiesta di una sospensione dei bombardamenti della NATO da parte di chi vede in questo una condizione necessaria a facilitare il conseguimento dell' obiettivo finale. personalmente ritengo che il Governo in questa fase debba agire con spirito di iniziativa, come abbiamo dimostrato di sapere e di volere fare in tanti momenti di questa lunga crisi, assicurando all' Italia un ruolo di paese protagonista dell' iniziativa politica e di pace. dall' Italia sono passati Cernomyrdin per andare a Belgrado e Rugova per andare in Europa: non a caso dall' Italia. ma nello stesso tempo ritengo che, proprio al fine di un successo dell' iniziativa di pace, in un momento così delicato, il compito dell' Italia sia di agire in sintonia con i propri alleati, al fine di evitare che una mancanza di coordinamento in un passaggio così decisivo finisca con il compromettere, anziché favorire, le prospettive del dialogo e della pace. tutto ciò di fronte ad un interlocutore duro, attento, come attenta è la leadership di Belgrado, alla possibilità che si aprano crepe nello schieramento internazionale, deciso ad ottenere il massimo possibile di ciò che si può ottenere e, soprattutto, deciso ad ottenere un successo politico. tornerò su questo punto; noi vogliamo la pace, è indiscutibile, ma non possiamo dimenticare che una pace stabile, durevole passa attraverso la sconfitta non della Jugoslavia, ma della politica della pulizia etnica , del cinismo di chi si è reso responsabile dell' assassinio di migliaia e migliaia di persone. io penso che la comunità internazionale sarà nelle condizioni di fare un calcolo soltanto dopo, ma che la valutazione della scomparsa nel Kosovo di un numero di persone fra le 100 o 200 mila si avvicini alle dimensioni della tragedia che è stata compiuta. quando una classe dirigente , come è successo ieri in una giornata di aperture, continua a ripeterci che non vi sarebbero profughi se non per la paura delle bombe della NATO...... negando ciò cui l' intera comunità internazionale ha assistito, vale a dire l' azione determinata di un esercito e di gruppi paramilitari che sono andati casa per casa a scacciare e terrorizzare la popolazione, a derubare, a uccidere, a violentare, non si può nascondere una politica che deve essere sconfitta e che non può essere premiata. una pace giusta passa attraverso una sconfitta di questa politica che consenta di voltare pagina nei Balcani. in tale situazione l' Italia ha assunto una iniziativa, noi consideriamo che la decisione di sospendere i bombardamenti sia quella verso la quale ci si deve muovere. tuttavia, essa deve essere posta in questo contesto come parte essenziale di un processo politico negoziale costruito sul ruolo centrale delle Nazioni Unite e da tale processo, assunto nella sua interezza e complessità, non può prescindere. sono concetti che ho esposto ripetutamente nei giorni scorsi e che riassumo nei loro termini operativi. siamo persuasi che, nel caso in cui vi sia un accordo, una convergenza sul testo di una risoluzione del Consiglio di sicurezza , l' Alleanza Atlantica dovrebbe procedere ad una pausa delle azioni militari perché questa sarebbe la condizione per la riunione del Consiglio di sicurezza e per l' adozione di una risoluzione. è chiaro che questa proposta dell' Italia rappresenta un passo più in là rispetto alle posizioni sin qui sostenute e sostenute ancora oggi dai nostri alleati, i quali ritengono che una pausa dei bombardamenti si possa avere soltanto nel momento in cui da parte di Belgrado vi sia l' accettazione delle condizioni poste e l' inizio del ritiro delle truppe. ritengo giusto mantenere una posizione che rappresenti un passo più in là rispetto ai nostri alleati. in questi termini la posizione italiana è considerata con rispetto e valutata ed è sul tavolo delle opzioni possibili. ne abbiamo discusso con il presidente Chirac per telefono e con il cancelliere Schroeder e domani intendo recarmi alla NATO per parlarne con il segretario generale e rivolgermi al Consiglio atlantico riunito. ho già riscontrato tra i nostri alleati interesse e rispetto verso la posizione italiana e ancora nella giornata di domani, nel pomeriggio, avremo occasione di discuterne direttamente con il Primo Ministro francese Lionel Jospin, che sarà ospite del nostro paese anche nella giornata di venerdì. altra cosa, come è evidente, sarebbe invocare un' incondizionata interruzione unilaterale delle azioni militari della NATO, indipendentemente da qualsiasi novità sul piano politico, da qualsiasi concreto avanzamento nella definizione di una risoluzione dell' Onu e nella decisione di riunire il Consiglio di sicurezza . questa posizione non avrebbe una realistica possibilità di ascolto in sede atlantica — non mi riferisco a certe posizioni che possono apparire estreme, ma all' opinione comune dei nostri alleati — e credo che finirebbe per rendere non più facili, ma più difficili gli sforzi di mediazione in atto. a tale proposito voglio ricordare che lo stesso ministro degli Esteri russo Ivanov, pur rivendicando una sospensione delle azioni della NATO, ha comunque sottolineato che il suo paese non considera ciò una pregiudiziale al proseguimento degli sforzi diplomatici verso un accordo sul testo della risoluzione del Consiglio di sicurezza . esiste una differenza di fondo tra la ricerca di una tregua a tutti i costi, che nelle condizioni attuali potrebbe risolversi nell' accettazione dello statu quo , e la ricerca tenace di una pace giusta e duratura. si tratta di un punto sul quale vorrei attirare l' attenzione: una tregua che non inneschi un processo politico, ma che apra semplicemente una lunga e defatigante discussione con un interlocutore duro, tenace e poco propenso ad accogliere le condizioni della comunità internazionale , significherebbe mantenere la condizione attuale di un Kosovo occupato, dal quale è stata espulsa la popolazione, determinerebbe progressivamente la perdita di speranza dei profughi di poter ritornare nel loro paese, aprirebbe una fase molto delicata e, credo, creerebbe il rischio di una ripresa, a quel punto drammatica, del conflitto. aggiungo che una simile tregua riguarderebbe la NATO, ma difficilmente potrebbe riguardare il popolo del Kosovo, i combattenti dell' Uck; quindi, ci troveremmo in una situazione in cui le operazioni militari continuerebbero sul terreno con ferocia; ecco perché considero la tregua necessaria se e in quanto inneschi il processo politico della pace, dell' effettiva cessazione delle operazioni militari e dell' avvio delle scelte necessarie per consentire ai profughi di rientrare nel loro paese. la mia convinzione è che la chiave di volta di tutto ciò possa essere proprio la risoluzione del Consiglio di sicurezza , che difficilmente il governo di Belgrado potrebbe rigettare, ma anche nello scenario — che giudico poco realistico — di una persistente opposizione di Belgrado, anche di fronte ad una risoluzione dell' Onu, fino ad un suo totale isolamento, a quel punto, dall' intera comunità internazionale , compresa la Russia e la Cina, credo che una tale risoluzione conferirebbe ad una forza delle Nazioni Unite un' autorità tale da consentire di entrare nel Kosovo e di ristabilire la pace. se siamo giunti a delle vere prospettive negoziali, per altro, è anche perché di fronte alle responsabilità di Milosevic la comunità internazionale ha reagito, assumendosi la responsabilità e anche il peso di difendere i diritti umani e civili di una minoranza oppressa. è giunto il momento che le autorità di Belgrado prendano atto di ciò e si convincano che il folle disegno etnico perseguito, con conseguenze rovinose per la stessa nazione serba, deve essere definitivamente abbandonato, come per altro comincia a pensare una parte della stessa opinione pubblica serba, con primi segni di incrinatura della compattezza intorno alla linea di Milosevic. se, come ovviamente nessuno auspica, i tentativi negoziali in corso dovessero fallire, Belgrado si troverà di fronte sempre di più una comunità internazionale compatta e consapevole delle proprie ragioni. il complesso di queste osservazioni conferma come ogni nostra posizione, ogni nostro atto o comportamento, sia stato contrassegnato non solo da lealtà verso l' alleanza di cui siamo parte, ma anche dallo sforzo a volte creativo per favorire una soluzione politica del conflitto. in questo senso credo si debba riconoscere all' Italia un ruolo importante, non solo per la nostra naturale esposizione all' area teatro della guerra, ma per la responsabilità e la coerenza con cui abbiamo agito. l' atteggiamento che abbiamo assunto ha contribuito a fare del nostro paese uno degli avamposti della tessitura di una possibile soluzione politica. quando Ibrahim Rugova è giunto nel nostro paese, abbiamo parlato a lungo con lui — noi, il Governo, la commissione parlamentare e molti esponenti politici — ed abbiamo potuto ascoltare il racconto che egli ci ha fatto della situazione del suo paese, traendo da quelle informazioni — come molti fra noi, credo — motivo ulteriore di allarme, di preoccupazione, ma anche la conferma del valore della posizione italiana in questa vicenda tormentata. lo sottolineo perché non possiamo che muovere, nelle nostre valutazioni, dalla situazione che oggi vive il Kosovo. il presidente Rugova ha usato parole ed immagine crude, ci ha descritto la sua città svuotata dagli abitanti, ci ha parlato del Kosovo come di una terra desolata, una specie di Parco Nazionale da cui sia stata bandita ogni forma di vita. ha detto di condividere le condizioni poste a Belgrado dai paesi amici del suo popolo — citando l' Europa, la comunità internazionale , gli USA — ritenendole l' unica speranza per costringere Milosevic a recedere dai suoi piani e ad accettare un' ipotesi negoziale. e ha infine sostenuto l' obiettivo di una forza internazionale efficiente e che comprenda i paesi della NATO per garantire condizioni di sicurezza al rientro dei profughi. io continuo a pensare che non sarà facile convincere quelle centinaia di migliaia di persone a tornare nel loro paese dopo l' esperienza che esse hanno vissuto e che sarà possibile farlo soltanto in condizioni di garantita sicurezza, che non può che essere assicurata da una forza internazionale in grado di reagire e di essere scudo nei confronti delle violenze. sono queste posizioni comuni a tutti i profughi che hanno avuto modo di esprimersi in queste settimane: questa è la verità! certamente chiunque abbia visitato ed incontrato queste persone non ha avuto la sensazione che essi vedano nei paesi dell' Europa e dell' Occidente i loro nemici. ci considerano giustamente come loro amici, come coloro i quali si sono mobilitati per contrastare la repressione che li ha colpiti. non hanno paura di noi queste centinaia di migliaia di persone che fuggono dal Kosovo. evidentemente hanno avuto più timore di quelli che andavano nelle loro case per bruciarle, per ucciderli o per stuprare le loro mogli, onorevole Bertinotti!? la pace, una pace giusta, impone il rispetto dei diritti di queste persone. proprio mentre affrontiamo il passaggio che può riaprire la strada al negoziato, è fondamentale mantenere fermo il giudizio sulle ragioni di questa crisi, al di là delle valutazioni — che pure possono essere diverse — circa il modo in cui la NATO ha reagito e circa la conduzione della campagna in questi due mesi. ma le ragioni di fondo sono lì; sono in una politica che ha fatto della pulizia etnica un sistema di governo. questa, dunque, è la situazione. molto si è detto e scritto in questi ultimi giorni sugli effetti reali che l' azione della NATO ha prodotto sul potenziale bellico di Milosevic; in particolare, la discussione circa l' efficacia di tali misure si è riaccesa dopo i più gravi e drammatici errori compiuti nelle ultime settimane, culminati nel bombardamento dell' ambasciata della Repubblica popolare cinese a Belgrado, nella morte di diverse decine e di centinaia di civili serbi e kosovari, di profughi in fuga dal Kosovo. voglio cogliere l' occasione per riaffermare di fronte al Parlamento il giudizio del governo italiano su questi incidenti e il nostro cordoglio per le vittime, nonché per informare il Parlamento che — come è ampiamente riscontrabile — la posizione italiana nelle sedi competenti è stata costantemente quella di richiamare alla massima vigilanza sulla selezione degli obiettivi. l' Italia ha insistito — spesso non seguita in questa posizione non dico dalla generalità, ma qualche volta e in qualche caso da qualcuno degli alleati — sull' esigenza di circoscrivere gli attacchi aerei alle sole infrastrutture strategiche ed alle postazioni militari. naturalmente, ci assumiamo la responsabilità generale di ciò che fa l' Alleanza Atlantica , ma siccome queste discussioni avvengono in un organo politico — il Consiglio atlantico — credo che sia giusto che il Governo informi il Parlamento della linea di condotta italiana in tali discussioni. la nostra posizione, dunque, è stata costantemente improntata alla richiesta della massima vigilanza e della delimitazione degli obiettivi degli attacchi aerei alle infrastrutture strategiche e alle postazioni militari. non vi è stata da parte nostra alcuna sottovalutazione di tali episodi, che sono stati da noi vissuti come grandi e profonde tragedie; ne abbiamo colto integralmente la portata e ci siamo attivati — condividendone la responsabilità — per cercare di evitare che essi possano ripetersi. abbiamo chiesto una severa inchiesta sulle ragioni che hanno condotto, in modo particolare, al bombardamento dell' ambasciata cinese, che resta difficilmente comprensibile. le nostre posizioni hanno trovato eco ed apprezzamento innanzitutto in Cina ed in una valutazione del governo cinese circa la serietà della posizione italiana. ciò vale su un piano diverso per alcuni dei riflessi che il conflitto sta avendo nel nostro paese. credo che la maturità dimostrata dai cittadini italiani in un passaggio così difficile esiga da parte di tutti — ed in primo luogo dei nostri alleati — il massimo rispetto e la massima correttezza. per questa ragione, riteniamo particolarmente preoccupante l' episodio del ritrovamento di un certo numero di bombe della NATO sui fondali dell' Adriatico settentrionale, per le possibili conseguenze di tale episodio, ma soprattutto per il fatto che il Governo non è stato prontamente ed adeguatamente informato in proposito dalle autorità dell' Alleanza. eravamo a conoscenza del fatto che — non ora, ma da diversi anni, a partire dal 1992 — erano state individuate in alcune aree dell' Adriatico (acque internazionali nel mare Adriatico) zone di rilascio di ordigni per aerei in difficoltà — le cosiddette Jettison zone — , in base a decisioni che risalgono a diversi anni fa. tuttavia, il fatto che si sappia che esistono zone delimitate nelle quali è prevista una tale possibilità non coincide affatto con la notizia che tale possibilità sia divenuta un fatto. questa seconda notizia avrebbe dovuto esserci comunicata in modo puntuale, anche per mettere il governo italiano nella condizione di adottare tutte le misure necessarie, in particolare quelle volte a garantire la sicurezza e la bonifica di tali aree con i mezzi a nostra disposizione. tutto ciò non è accaduto, come ha riconosciuto l' Alleanza Atlantica , e proprio per questo motivo abbiamo inoltrato una richiesta formale di chiarimento e siamo certi che, in tempi rapidi, avremo un quadro preciso della situazione e saranno prese misure affinché analoghi episodi non abbiano a ripetersi. questi episodi, che sono gravi e sui quali il Governo non ha mancato di prendere posizioni chiare nei confronti dei suoi alleati e di fronte all' opinione pubblica , avvengono nel quadro di un' azione militare di grande portata che, senza alcun dubbio, nel corso di queste settimane, ha ridotto la capacità di azione complessiva delle forze armate jugoslave e delle forze serbe nel Kosovo. io credo che senza quest' azione militare difficilmente si sarebbe aperta la possibilità di arrivare ad una pace giusta. naturalmente, non stiamo combattendo una guerra che ha l' obiettivo di sconfiggere la Jugoslavia e, non a caso, in tutti i momenti abbiamo insistito per accompagnare l' azione militare all' offerta di un' equa soluzione politica. lo scontro in atto non è una prova di forza tesa ad umiliare un popolo o una nazione: è, invece, una battaglia dura e dolorosa, volta ad affermare un principio che assegni alla sfera dei diritti umani e civili di una minoranza, ovunque collocata, un carattere di precedenza anche in relazione ai principi di sovranità. è, quindi, l' aprirsi di una prospettiva storica nuova che l' Europa, innanzitutto, deve far propria se vuole vedere avanzare, insieme alla moneta unica , uno spazio civile europeo, una grande area di convivenza civile e di condivisione dei valori di libertà, tolleranza e democrazia. se siamo giunti fin qui e se il nostro paese ha saputo onorare i propri impegni, ma anche assolvere al ruolo politico che gli compete, è merito del modo in cui non soltanto il Governo e la sua maggioranza, ma il Parlamento nel suo complesso, con le diverse posizioni espresse, hanno operato senza tacere differenze o dissensi, ma senza mai abdicare alle proprie responsabilità. il passaggio che si apre ora accresce — non diminuisce — queste responsabilità. la compattezza della maggioranza, quindi, e l' equilibrio del Parlamento sono elementi cruciali perché in questa fase si rafforzi il ruolo dell' Italia nello stimolare una soluzione negoziale rapida e convincente. sono personalmente convinto che, se parteciperemo a questo processo con maturità e saggezza, l' Italia potrà assolvere ad una funzione di primo piano nella strategia che dovrà caratterizzare il dopoguerra, quando, cioè, si affronterà il capitolo della ricostruzione economica di quell' area ed il problema più complessivo di una stabilizzazione a lungo termine per i Balcani. non credo si tratti di riflessioni che anticipano i tempi. dobbiamo sapere che la fine auspicabile della guerra scoprirà immediatamente nuove emergenze umanitarie, economiche, politiche e sociali. in quel momento, per l' Europa e per noi, avrà inizio una nuova sfida, forse meno drammatica, ma non meno lunga e difficile. le prime stime sui costi della ricostruzione di quell' area indicano investimenti necessari per una cifra che oscilla fra i 2 ed i 3 miliardi e mezzo di dollari per tre anni. sarà questa una opportunità unica per discutere una strategia di sviluppo e integrazione dell' intera area balcanica, ma soprattutto l' occasione per un progressivo avvicinamento di quei paesi, inclusa una Serbia democratica, all' Unione Europea come garanzia di una loro ripresa e condizione perché l' Europa sviluppi finalmente un disegno coerente e complessivo di legami con quelle regioni. è vero, questa guerra cambierà molto del rapporto tra l' Europa e i Balcani. nulla sarà come prima, ma la vera sfida è fare in modo che si realizzi subito un salto di qualità sostanziale, innanzitutto nel modo di guardare ai problemi di quella parte d' Europa, assumendo sino in fondo l' idea che il futuro di quell' area è una parte importante per il nostro futuro comune. i primi passi di questa strategia sono già stati avviati. a fine maggio si terrà in Germania un primo incontro in vista di una conferenza europea sui Balcani. abbiamo anche convenuto che nel prossimo vertice europeo di Colonia si dovrebbe procedere finalmente alla nomina di un responsabile della politica estera e della sicurezza comune. abbiamo avanzato nei colloqui con il cancelliere Schroeder la candidatura dell' Italia, e possibilmente — io ritengo — della stessa città di Bari che per la sua collocazione e per la sua storia è una porta verso il levante, per questa conferenza dell' Unione Europea con i paesi dell' area balcanica. lo stesso professore Romano Prodi, nella sua veste di presidente della Commissione europea, ha sottolineato più volte la centralità del tema, indicando le linee generali di una strategia dell' Unione Europea per la ricostruzione e la stabilizzazione dei Balcani. parallelamente la NATO ha svolto a Washington con i paesi più vicini alla Serbia una prima discussione sul problema della stabilità nel sud est europeo, mentre per quanto riguarda gli aiuti e i finanziamenti alla ricostruzione il Fondo Monetario e la Banca mondiale hanno iniziato a definire nuove linee di intervento; in particolare Banca mondiale e Unione Europea hanno stabilito un accordo di cooperazione e l' apertura di un' unica sede nell' area. sono temi su cui dovremo tornare a discutere molto presto — spero presto — e con maggiore approfondimento. come ho già detto stiamo combattendo una lotta durissima e anche dolorosa per la difesa di intere popolazioni strappate alla loro vita di ogni giorno. l' Italia si è assunta pesanti responsabilità ma, come ho ripetuto altre volte, siamo un grande paese: un paese in grado di far fronte alle proprie responsabilità. voglio ringraziare ancora una volta quei cittadini e quelle associazioni e i rappresentanti delle forze armate che da settimane si sacrificano in un' opera infaticabile, in particolare di assistenza e di aiuto verso i profughi. il nostro è di gran lunga il paese che ha fatto di più per questo: lo diciamo senza iattanza polemica. abbiamo già accolto nel nostro paese, attraverso la Puglia, quasi 12 mila persone che sono fuggite dal Kosovo (mi riferisco a quest' ultimo periodo). abbiamo deciso di ospitare altre 10 mila persone, provenienti dalla Macedonia, nella base di Comiso, divenuta simbolo di solidarietà. assistiamo direttamente con strutture, materiali e personale italiano quasi 50 mila profughi in Albania. nessun paese — lo rivendico non a nome del Governo, ma a nome di quelle migliaia di volontari che si sono resi protagonisti di quest' opera — ha fatto ciò che ha fatto l' Italia. il nostro obiettivo rimane quello di consentire a questi profughi, a tutti i profughi, di tornare nel loro paese, ed è quello di impedire che i diritti di questa minoranza e di tutte le minoranze vengano nuovamente violati e calpestati come è avvenuto nel passato. è una battaglia per la vita e per i diritti umani quella che stiamo conducendo, una battaglia che può essere vinta soltanto con una soluzione politica, fondata su principi giusti e coerenti. nulla di meno è possibile; è stata e sarà una prova dura, ma dall' esito di questa prova dipendono le prospettive di una regione a noi vicina e, in qualche misura, le stesse prospettiva di sicurezza, di sviluppo e di coesistenza dell' Europa del prossimo secolo. grazie.