Pier Ferdinando CASINI - Deputato Opposizione
XIII Legislatura - Assemblea n. 537 - seduta del 19-05-1999
Sugli sviluppi della crisi nei Balcani
1999 - Governo I D'Alema - Legislatura n. 13 - Seduta n. 537
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , se c' è una divisione in questo Parlamento, essa non riguarda la pace; riguarda semmai il legame tra la pace e la sicurezza, tra la pace e i nostri impegni internazionali, tra la pace e la sorte di quelle centinaia di migliaia di profughi del Kosovo che sono vittime — e non da ora — di una spaventosa guerra etnica. sono quei profughi, sono quelle vittime che hanno sancito l' inevitabilità — uso le parole del Capo dello Stato — delle azioni militari di questi due mesi. possiamo sospendere ora quelle azioni? possiamo farlo senza avere certezza che stia per cominciare un negoziato vero? possiamo farlo senza offrire una ragionevole possibilità ai profughi, cacciati dalle loro terre, di farvi ritorno e di vivervi in pace? questa è la domanda a cui oggi il Parlamento italiano è chiamato a rispondere. la risoluzione della maggioranza elude la domanda; sostituisce alla risposta che non può dare un auspicio che non costa molto. ancora una volta vi è differenza di toni e di argomenti tra il presidente del Consiglio e la sua base parlamentare, ma questo accentua e non risolve il problema! il punto è che non basta sospendere i bombardamenti per riaprire magicamente la via del negoziato e tanto meno per far cessare quelle atrocità che hanno portato la NATO, e in essa l' Italia, a percorrere l' inevitabile strada della forza. nessuno di noi percorre a cuor leggero quella strada. abbiamo orrore delle tante vittime civili che i bombardamenti di queste settimane hanno provocato. non ci sentiamo di giustificare come errori le troppe volte che le bombe non sono cadute su obiettivi militari e strategici. abbiamo avvertito però ancor di più l' afonia di un' Europa socialista senza voce, incapace di guidare alla pari un' alleanza occidentale, che appare troppo sbilanciata e che in questi mesi ci ha visto oscillare tra obbedienze quasi acritiche e malumori poco costruttivi. siamo convinti che la politica internazionale richieda un' infinita capacità di comprensione delle ragioni e delle culture altrui, persino dei loro legittimi egoismi. è stato questo il grande retaggio di una Europa moderata a guida popolare che nei decenni passati ha saputo far sentire tutto il peso della propria presenza sulla scena internazionale e che non a caso ha coinciso con i momenti più felici di unità e di forza del nostro continente. noi abbiamo assunto ora, come italiani e come europei, una responsabilità. abbiamo scelto di garantire ad un popolo il diritto di vivere in pace in quel che resta delle loro case. quel diritto — è ovvio — non può essere affidato alla buona volontà del loro carnefice. esistono condizioni minime che la comunità internazionale ha posto a Belgrado. se quelle condizioni non vengono rispettate, la fine dei bombardamenti rischia di essere anche la fine delle nostre concrete possibilità di negoziato. non possiamo lasciar credere a Milosevic e al suo regime che la determinazione della comunità internazionale a ripristinare le regole della convivenza non sia così forte e così convinta da piegare la sua resistenza. noi italiani non possiamo ricadere, ancora una volta, nella vecchia abitudine dei giri di valzer! su questi temi cruciali non può esistere — lo dico con chiarezza — un gioco delle parti fra D'Alema e la sua maggioranza. se faremo questi errori, non avremo aperto le porte del negoziato, ma avremo posto noi stessi e la comunità internazionale davanti al bivio atroce tra la resa e una guerra ancor più cruenta. la responsabilità di una grande opposizione come la nostra è di evitare quel bivio. cercheremo di farlo tenendo fede ai nostri impegni, alle nostre alleanze e alle nostre vocazioni. tanto più vi terremo fede quanto più vediamo che la maggioranza se ne allontana.