Massimo D'ALEMA - Deputato Opposizione
XIII Legislatura - Assemblea n. 518 - seduta del 13-04-1999
Bilancio ministero affari esteri
1999 - Governo I Segni - Legislatura n. 2 - Seduta n. 433
  • Comunicazioni del governo

signor presidente della Camera, colleghi deputati, vorrei anzitutto dire che con vero piacere vogliamo discutere, in questo momento così difficile, con il Parlamento non soltanto per chiedere, come è giusto, l' autorizzazione ad inviare soldati italiani in Albania a protezione della missione umanitaria, ma anche per raccogliere l' opinione del Parlamento su questa drammatica crisi e sulla sua possibile evoluzione. la discussione che si sta concludendo al Senato è stata di grandissimo interesse e non ho dubbi che anche alla Camera raccoglieremo indicazioni e suggerimenti importanti per l' azione di governo . d' altro canto, il Governo si è preoccupato, in questi giorni, di tenere informato il Parlamento attraverso il dialogo con le Commissioni competenti e credo che il Governo debba essere a disposizione del Parlamento in ogni momento, nel corso di una vicenda così delicata e impegnativa. voglio subito dire che l' impegno fondamentale nel quale ci stiamo attivando è quello di ricercare una soluzione politica e negoziata del conflitto in corso nel Kosovo. abbiamo compiuto ogni sforzo utile in questa direzione, agendo, come è giusto per un paese serio, in sintonia con i nostri alleati e senza mai rinunciare alla premessa di ogni possibile pace e cioè a quella richiesta al governo di Belgrado che cessi l' aggressione militare contro la popolazione civile albanese del Kosovo. purtroppo la guerra prosegue perché prosegue quella sciagurata azione di pulizia etnica da parte delle autorità di Belgrado; azione che, secondo le stime delle Nazioni Unite , ha già dato effetti ancora più gravi rispetto a quelli che si produssero in Bosnia. nonostante l' assenza a tutt' oggi di segnali di svolta espliciti e verificabili da parte di Slobodan Milosevic, abbiamo insistito perché si approfondissero le prospettive diplomatiche e non si cedesse all' idea di un' escalation militare pericolosamente inarrestabile. da questo punto di vista , le conclusioni del vertice dei ministri degli Esteri della NATO riunitisi ieri a Bruxelles (vertice che l' Italia fortemente volle e ricordo di aver detto di fronte al Parlamento che avevamo avanzato questa richiesta) confermano la linea che abbiamo seguito finora e possono contribuire ad un' evoluzione positiva della crisi. in particolare credo vada in questa direzione il sostegno alla dichiarazione con cui nei giorni scorsi Kofi Annan ha rilanciato il ruolo delle Nazioni Unite nella gestione e nella ricerca di una soluzione del conflitto. con quell' atto il segretario generale dell' Onu, facendo leva sull' autorità morale che gli è da tutti riconosciuta, ha inteso riaffermare il ruolo politico delle Nazioni Unite . per parte nostra, avevamo fortemente sollecitato un' iniziativa che riproponesse la centralità dell' Onu, abbiamo appoggiato e sostenuto quella dichiarazione e siamo convinti che l' impegno delle Nazioni Unite in questa drammatica vicenda sia la garanzia centrale per accelerare i tempi di una soluzione negoziata, condivisa e tale da coinvolgere tutti i paesi interessati ad una pace in quella regione. la dichiarazione finale del Consiglio atlantico che riconosce il valore degli sforzi in corso da parte di Kofi Annan per il raggiungimento degli obiettivi politici indicati dalla comunità internazionale , conferma che la strada intrapresa è quella giusta. vi è oggi un' assoluta chiarezza circa le condizioni necessarie per la sospensione delle azioni militari. le condizioni sono quelle ribadite, appunto, dal segretario delle Nazioni Unite nella sua dichiarazione del 9 aprile scorso e che voglio ricordare per punti: primo, la fine delle attività militari serbe nel Kosovo; secondo, la garanzia del ritiro delle forze militari, paramilitari e di polizia dalla regione; terzo, l' accettazione di una forza militare internazionale; quarto, il ritorno in patria, adeguatamente assistito e garantito, di tutti i profughi; infine, la riapertura contestuale di un negoziato tra le parti interessate. sono condizioni che, nella sostanza, richiamano quelle proposte dalla NATO, così come confermato dalle conclusioni del Consiglio atlantico di ieri. esse rappresentano la premessa per poter cominciare a discutere le basi di una pace giusta, fondata su principi di convivenza democratica e multietnica a garanzia durevole dell' effettiva sicurezza e del rispetto dei diritti umani e civili delle popolazioni. dal vertice di ieri a Bruxelles è uscita rafforzata la coesione dell' Alleanza a sostegno di un' azione militare legittima, a fronte di una catastrofe umanitaria senza precedenti per l' Europa e la cui responsabilità va ricondotta integralmente alle autorità di Belgrado. voglio insistere in questa sede sul fatto che il nostro appoggio consapevole all' azione della NATO è derivato da una riflessione profonda che ha preceduto e accompagnato quell' impegno. in particolare, dal rigore di un approfondimento, anche sul piano morale, sull' uso legittimo della forza; una riflessione tanto più delicata in un paese come il nostro, dove i sentimenti radicati di avversione alla violenza e di amicizia sincera e consolidata verso gli altri popoli — in particolare quelli a noi vicini al di là dell' Adriatico — rendevano non facile e scontata l' adesione ad un' azione militare. vorrei sottolineare a questo proposito quanto i legami di amicizia con il popolo serbo restino vicini ai sentimenti della nostra nazione. sono sentimenti radicati nel passato e che dobbiamo salvaguardare per un futuro che, come dirò alla fine di questo mio intervento, dovrà vedere un progressivo avvicinamento tra l' Unione Europea e questa regione. dobbiamo ricordare anche che un popolo con la cultura e la storia di quello serbo è stato a lungo privato della possibilità di informarsi e di esprimersi liberamente, direi della possibilità di conoscere la verità su questo conflitto, sulle sue ragioni, sul suo svolgimento, così come è testimoniato dal fatto che una delle poche voci libere dell' informazione di quel paese è stata soppressa da un gruppo di assassini qualche giorno fa. altrettanto forte è però il rifiuto — mentre viva è l' amicizia nei confronti di quel popolo — verso le politiche di un regime che, per conservare se stesso , non esita a pianificare la repressione sistematica di centinaia di migliaia di persone ed il sentimento di solidarietà verso quanti — in quella condizione disperata — non disponevano degli strumenti necessari alla propria difesa e sopravvivenza. la nostra scelta, quindi, è stata presa non senza un senso di profonda angoscia. ma era una scelta inevitabile e coerente con i principi in cui crediamo. dopo mesi di intensi quanto inutili sforzi diplomatici, eravamo giunti al bivio: assistere e tacere, oppure agire per cercare almeno di arginare una violenza indiscriminata ed odiosa. abbiamo discusso proprio di questo anche al Senato ed ho ascoltato con grande rispetto le obiezioni di chi ritiene, al contrario, che l' azione della NATO abbia finito per favorire il dilagare della violenza, anziché rappresentare un argine nei confronti di essa. vorrei ricordare, naturalmente a tutti noi, la storia di questi anni. in Bosnia la NATO attese quattro anni per agire. in quei quattro anni la violenza produsse 200 mila morti e 2 milioni di profughi. noi non agimmo, non facemmo nulla, rivolgemmo degli appelli quando per tre mesi l' esercito jugoslavo bombardò Vukovar e quando entrarono tra le rovine di quella città le squadre paramilitari per sgozzare i superstiti. il nostro non agire, però, non frenò la violenza. questo lo ricordo, onestamente, perché capisco il peso di queste scelte e credo che tutti voi comprendiate il peso che queste scelte hanno su chi ne porta la diretta responsabilità. non credo però si possa accettare l' argomento secondo cui la repressione contro le popolazioni del Kosovo è legata o nasce dai bombardamenti della NATO. in realtà, questa repressione era stata pianificata e preparata ammassando truppe ai confini del Kosovo anche mentre si negoziava a Rambouillet ed ha precedenti molto pesanti, che testimoniano come il metodo della pulizia etnica non sia un' improvvisazione di queste settimane, ma una politica scientificamente perseguita in questi anni. io credo che la maggioranza dei cittadini italiani abbia compreso le nostre decisioni e la nostra assunzione di responsabilità. ha compreso che l' uso della forza rappresentava la soluzione estrema, ma inevitabile dinanzi ad una tragedia incontenibile con altri mezzi. su questo aspetto lo stesso segretario generale dell' Onu si è pronunciato con parole significative in un discorso di pochi giorni fa a Ginevra. in quella sede Kofi Annan ha detto (cito le sue parole): « sta emergendo, lentamente ma io credo con certezza, una norma internazionale contro la repressione violenta delle minoranze, una norma che deve assolutamente prevalere sulle preoccupazioni di sovranità » . è chiaro che tale principio, per le sue implicazioni, richiede la massima prudenza politica, una fonte ampia di legittimazione, una codifica certa sul piano del diritto internazionale . è anche evidente, però, che dietro a quell' affermazione vi è la conferma che l' uso della forza come risorsa legittima ed estrema deve essere previsto laddove falliscano tutti gli strumenti negoziali e diplomatici a disposizione. gli avvenimenti drammatici di queste settimane, nonché l' iniziativa e le posizioni espresse dalle Nazioni Unite , hanno quindi confermato le ragioni di una risposta adeguata ed efficace ad una tragedia umanitaria esplosa nel cuore dell' Europa. voglio ripetere ancora che l' operazione militare in atto non è una guerra contro la Serbia o contro un popolo, che sentiamo amico e che troppo a lungo è rimasto isolato dall' Europa a causa della politica del suo Governo. consideriamo tutti i paesi coinvolti in questa crisi, a pieno titolo, una parte dell' Europa; lo sono per ragioni storiche e culturali, per la civiltà che lì si è venuta formando nel corso dei secoli. appunto per questo, però, vogliamo che il futuro di tale regione sia in una pace giusta, stabile, duratura, fondata sulla convivenza fra etnie e nazionalità diverse. ho ricordato anche al Senato che l' obiettivo dell' azione militare non è piegare la Serbia, ottenere una resa incondizionata o sconfiggere militarmente quel paese, ma indurre, attraverso la forza, il governo di Belgrado ad accettare le condizioni poste dalla comunità internazionale e soprattutto a rispettare i diritti umani e civili delle popolazioni del Kosovo. questa sfida, la sfida di una pace giusta, investe le sorti stesse dell' Europa e la possibilità che l' unione politica, e non solo monetaria, che stiamo costruendo abbia una voce autorevole ed eserciti una funzione reale nei nuovi equilibri mondiali. dall' esito di tale vicenda deriveranno, dunque, conseguenze rilevanti per tutti noi. l' Europa potrà ricevere un nuovo slancio, ampliare i propri orizzonti e contare di più, oppure subire un brusco arretramento delle proprie ambizioni. conta molto il modo in cui siamo e saremo attori di questa vicenda, senza velleità ma consapevoli delle responsabilità che spettano ad un grande paese come il nostro. oggi siamo chiamati ad assolvere le nostre funzioni: sul piano dell' azione militare, su quello dell' assistenza umanitaria ad una quantità enorme di profughi e su quello, decisivo, della ricerca di una soluzione diplomatica che possa far tacere le armi. sono i tre livelli di un' azione che ci vede impegnati con rigore e coerenza ed anche — voglio dirlo — con il rispetto dei nostri alleati e della comunità internazionale . non credo si debbano confondere voci legittimamente critiche di osservatori, di politologi, di studiosi di strategia più o meno autorevoli, con il riconoscimento che, invece, viene da parte dei nostri alleati ad un paese, l' Italia, che certamente fronteggia i pericoli maggiori e paga il prezzo più alto ad un conflitto che si svolge ai nostri confini, che comporta la chiusura dei nostri aeroporti — non di quelli di altri paesi — , che ci chiama in causa anche per i legami che abbiamo con i popoli e con i paesi interessati, legami profondi dal punto di vista civile, umano ed economico. si tratta dell' apprezzamento verso un paese, l' Italia, che senza attendere disposizioni o decisioni comuni ha assunto l' avanguardia dell' azione umanitaria, affrontando così anche una grande questione geopolitica, al di là del contenuto umanitario della missione « arcobaleno » ; se noi, infatti, non fossimo balzati al di là dell' Adriatico, oggi avremmo 300 mila disperati boat people nello stesso Adriatico, con un grande problema per l' Italia e per l' Europa. credo che dobbiamo rendere atto al nostro paese del modo in cui, con equilibrio e maturità, sta affrontando uno sforzo straordinario. dobbiamo darne atto alle nostre forze armate e ai volontari, all' amministrazione pubblica e alle imprese private, a quello slancio generoso di solidarietà che dimostra con quanta intelligenza e coraggio gli italiani abbiano saputo reagire ad una sfida così difficile. dobbiamo darne atto, noi come Governo, anche ad una opposizione che si è comportata con senso di responsabilità nazionale e con lealtà nei confronti del Governo stesso, che si è assunto le proprie responsabilità. vorrei anche dire — consentitemelo — che non si deve mettere enfasi su quelle discussioni, su quei diversi punti di vista , su quelle diverse sensibilità che si sono manifestate nell' ambito di una maggioranza, plurale nella sua composizione, attraversata — come era comprensibile in una vicenda così drammatica — da dubbi e da sofferenze. alla maggioranza io do atto di avere consentito al Governo di agire con coerenza e con fermezza. di ciò voglio ringraziare innanzitutto quanti hanno espresso il loro consenso in un modo comprensibilmente più sofferto. l' Italia deve uscire da questa drammatica vicenda come un paese rispettato dalla comunità internazionale , leale ai suoi impegni e alle sue alleanze, autorevole nelle sue iniziative. io credo che questo sia un compito che abbiamo tutti, che alla fine questo sarà un patrimonio del paese e che questo patrimonio sarà al servizio di chi, di volta in volta, sarà chiamato a governare l' Italia, un paese che noi vogliamo che sia considerato, dopo questa drammatica vicenda, più serio e più affidabile di quanto non sia stato considerato anche nel passato. sul piano militare, l' azione della NATO — giunta oggi al ventesimo giorno di operazioni — ha conseguito tre risultati significativi. è stata ottenuta una riduzione importante del potenziale bellico di Milosevic: sono stati colpiti centri di comando strategico, di difesa aerea e particolari infrastrutture industriali e logistiche. è stato realizzato un isolamento parziale del Kosovo con l' interruzione delle vie di comunicazione, il blocco dei rifornimenti e l' intervento sulle unità corazzate dirette nella regione. ciò ha determinato la conseguente riduzione della capacità operativa dell' esercito e della polizia serba impegnati a tutt' oggi in una repressione sistematica della popolazione civile del Kosovo. purtroppo — lo sappiamo — l' azione della NATO ha prodotto vittime civili. vogliamo esprimere il nostro dolore per questo fatto e ribadire che la NATO agisce — lo sappiamo per testimonianza diretta e per impegno delle nostre autorità militari e civili — con l' obiettivo di evitare o di limitare il più possibile il coinvolgimento delle popolazioni. ma noi sappiamo che queste vittime ci sono state e il cordoglio del governo italiano è per tutte le vittime di questo conflitto, senza ovviamente discriminazione di razza, di appartenenza o di popolo. le guerre sono fatti dolorosi e drammatici. sì, ma vorrei che si ricordasse che questa guerra l' ha innanzitutto cominciata il regime di Belgrado. cara Maria Celeste, la NATO è intervenuta dopo che avevano già ucciso più di 300 mila persone. parallelamente la NATO ha confermato e ristrutturato la propria presenza in Macedonia dove sono presenti, tra gli altri, 1.097 bersaglieri italiani della brigata Garibaldi, sotto il comando del corpo alleato di rapida reazione. la NATO, nello stesso tempo, è impegnata a trasferire in Albania, a breve, una componente terrestre della forza alleata mobile dell' Alleanza che avrà compiti di sostegno e di protezione delle organizzazioni umanitarie. anche in questo caso è prevista la partecipazione di circa 2 mila soldati italiani per l' invio dei quali il Governo si appresta a chiedere un voto del Parlamento. ovviamente, si tratta di una missione che ha obiettivi esclusivi di supporto delle operazioni umanitarie e che non prefigura una successiva azione di terra in territorio jugoslavo, scenario questo escluso ancora ieri dal Consiglio atlantico . vorrei aggiungere che per questo obiettivo sarebbe del tutto incongruo inviare 8 mila militari in Albania, dato che è evidente che un' operazione di terra contro la Jugoslavia comporterebbe ben altro spiegamento di forze. come è noto, siamo stati noi, l' Italia, a chiedere, prima dell' avvio delle azioni militari, che vi fosse in Albania un supporto NATO a sostegno della emergenza umanitaria, che non è cominciata con i bombardamenti, perché prima di essi già 65 mila profughi erano scappati dal Kosovo... questa emergenza umanitaria ha assunto in Albania dimensioni impressionanti, come ho potuto constatare direttamente anch' io, recandomi lì alcuni giorni fa. l' emergenza umanitaria, purtroppo, non si limita solo all' Albania ma investe Macedonia e Montenegro, con effetti di destabilizzazione dell' intera regione balcanica. si tratta di fronteggiare una sfida difficile non soltanto sul piano quantitativo degli aiuti, dell' assistenza, ma anche sul piano qualitativo, perché si tratta spesso di persone che fuggono da un paese nel quale hanno subito o hanno assistito a violenze bestiali e che hanno bisogno di essere aiutate, curate sul piano delle ferite fisiche e morali di cui portano il segno; spesso si tratta di persone anziane, di bambini, di donne. purtroppo, per molti dei maschi adulti, probabilmente, il destino è quello fotografato dall' alto, nelle fosse comuni che sono state individuate nel Kosovo. l' Italia ha assunto su questo fronte un ruolo di primo piano , dando espressione ad una nostra specifica sensibilità verso il dramma dei profughi e mostrando una preparazione particolarmente apprezzabile per i tempi e per la qualità dell' intervento. nel corso di questa prima fase, abbiamo concentrato gli sforzi in territorio albanese, anche sulla scorta della nostra presenza precedente e per i legami particolari di amicizia e di solidarietà che ci legano a quel paese. io stesso, nel corso della visita a Tirana e a Kukes nel giorno di Pasqua, ho avuto modo di rassicurare il presidente della Repubblica albanese Meidani e il Primo Ministro Majko sull' impegno coerente dell' Italia per una tenuta complessiva di un paese già stremato dalle difficoltà di una ripresa economica faticosa e bisognoso — tanto più adesso, di fronte al dramma dei profughi — di un' azione efficace e coordinata di solidarietà internazionale. varando la missione « arcobaleno » , abbiamo di fatto avviato uno straordinario intervento umanitario che non ha precedenti e ci colloca alla testa dell' impegno europeo su questo fronte. il Consiglio dei ministri ha provveduto a creare un' apposita struttura di coordinamento, che avrà la funzione di armonizzare iniziative pubbliche e private, progettate o in corso d' opera. è intenzione del Governo assumersi fino in fondo le proprie responsabilità, confortati dall' apporto fondamentale e irrinunciabile che, ancora una volta, proviene dagli organismi non governativi e da una gara spontanea di generosità che ad oggi ha già raccolto, grazie al contributo di tanti cittadini italiani, oltre 30 miliardi di lire . io voglio ringraziare ogni singola persona e famiglia italiana per quanto sta facendo e vorrà fare in futuro. voglio ringraziare i nostri rappresentanti civili e militari per l' impegno profuso e i volontari che si mobilitano in ogni parte del paese. senza queste energie e queste persone, l' Italia non potrebbe fronteggiare questa drammatica emergenza. vorrei sapessero che di questo siamo consapevoli e che, anche per questa ragione, è maggiore la nostra gratitudine. grazie a queste forze, alla data del 12 aprile sono stati già allestiti in Albania sei centri di accoglienza , per un totale di 14.500 posti, dotati di assistenza sanitaria e cucine. noi contiamo, in breve tempo, di essere in grado di accogliere e di assistere direttamente 28 mila persone, con l' impegno esclusivo dell' Italia, senza considerare poi quanto abbiamo dato al governo albanese e alle organizzazioni internazionali dal punto di vista dei mezzi e degli strumenti, del cibo e dei materiali che abbiamo trasferito prontamente con un ponte aereo e navale in Albania. questo sforzo impegna quotidianamente quasi mille persone: molti sono volontari, i quali prestano questo servizio senza alcuna retribuzione. sono anche convinto di poter dire che l' assistenza che viene prestata ai profughi è di grande qualità e di forte contenuto umano. noi abbiamo deciso di assistere i profughi il più possibile vicini alla loro patria, alle loro case e di non favorire l' orientamento proposto da altri paesi di trasferirli altrove: l' abbiamo fatto anche sulla base di un principio poi confermato da un' apposita direttiva dei ministri dell' Interno dell' Unione Europea , riuniti a Lussemburgo il 7 aprile scorso. naturalmente, ciò non impedisce all' Italia, come è già avvenuto, di accogliere persone che richiedono cure mediche specifiche o un' assistenza particolare: lo abbiamo fatto e continueremo a farlo, ma credo che sarebbe sbagliato accettare l' idea di una dispersione dei profughi kosovari in giro per il mondo; sarebbe sbagliato e finirebbe per favorire un successo della pulizia etnica . voglio ricordare che in quest' azione il nostro paese agisce in stretto coordinamento con le istituzioni europee competenti e con l' Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, come concordato a Bruxelles tra il commissario Emma Bonino ed il sottosegretario Ranieri e a Roma nel corso della visita della signora Ogata, che io stesso ho incontrato. come ho avuto modo di ripetere più volte nel corso delle settimane passate, la partecipazione all' azione della NATO e lo sforzo in campo umanitario si sono combinati con l' azione del governo per esplorare ogni tentativo di composizione diplomatica della crisi. siamo sempre rimasti convinti che non esiste una soluzione militare del conflitto separata dall' iniziativa per una soluzione politica. il ministro Dini ha già riferito in proposito in Parlamento. voglio aggiungere che io stesso, in stretto raccordo con lui, mi sono impegnato quotidianamente in contatti con i leader più importanti dei paesi alleati e con i leader russi, il presidente Eltsin e il Primo Ministro Primakov, nonché con il segretario generale della NATO, Solana. ogni nostro sforzo è stato ispirato alla ricerca di una soluzione che garantisse a tutti gli abitanti del Kosovo la possibilità di vivere in un clima di sicurezza e di fiducia. occorreva, dunque, e occorre tuttora lavorare affinché albanesi e serbi del Kosovo possano rientrare nelle proprie case e convivere pacificamente. questo significa il ritiro immediato delle truppe serbe dalla regione e, una volta soddisfatte le garanzie indicate dall' Onu, la cessazione delle azioni militari contro Belgrado. con questo spirito abbiamo offerto pieno appoggio ai tentativi di mediazione avviati da subito dalla dirigenza russa e al tentativo operato dalla Santa Sede . ho incontrato personalmente, lo scorso 3 aprile, il segretario di Stato vaticano, cardinale Sodano, al quale ho espresso l' auspicio che l' intervento autorevole effettuato il giorno precedente a Belgrado da monsignor Tauran, intervento che avvenne sotto gli auspici e con l' apporto concreto del governo italiano , potesse dare i frutti sperati. così purtroppo non è stato. al precedente 30 marzo risaliva, invece, l' incontro tra il presidente serbo Milosevic ed il Primo Ministro russo Primakov. in quell' occasione la rigidità di Belgrado aveva condotto al sostanziale rifiuto di una nuova mediazione. vogliamo comunque proseguire il nostro rapporto con il Governo russo, tanto in sede di gruppo di contatto quanto sul piano delle relazioni bilaterali, e tale volontà ho espresso personalmente al presidente Eltsin in un colloquio telefonico di tre giorni fa. siamo convinti che questo contatto permanente con le autorità di Mosca sia una scelta giusta e intendiamo proseguire il dialogo e la cooperazione con quel paese, non soltanto perché Belgrado lo considera come un interlocutore privilegiato, ma anche per il grande peso che la Russia ha e deve avere nella ricerca di un assetto stabile e pacifico per i Balcani ed in generale nel mantenimento di una situazione di pace e di sicurezza in Europa. è mia convinzione, del resto, che, lungo tutta la crisi, la Russia abbia mantenuto un atteggiamento di equilibrio e moderazione, esprimendo, in più occasioni, l' aspirazione sincera per una soluzione pacifica della crisi. abbiamo visto con piacere l' incontro di questa mattina ad Oslo tra il segretario di Stato americano, signora Albright, e il ministro degli Esteri russo Ivanov. l' incontro non ha rimosso, come d' altro canto era prevedibile, tutte le ragioni di dissenso e di contrasto: resta una diversa opinione, non solo sull' azione della NATO, ma anche sulla natura e la qualità della forza internazionale che dovrà, una volta raggiunta una tregua vera, garantire il rientro dei profughi e la sicurezza del Kosovo. certamente, però, questo incontro ha segnato un avvicinamento su molti punti di principio importanti ed è testimonianza del fatto che non solo l' Italia, ma anche la NATO e tutti gli alleati occidentali considerano essenziale il dialogo con la Russia. anche per questa ragione abbiamo aderito prontamente alla proposta dell' utilizzo della sede del G8 come ulteriore ricerca di uno sbocco politico. la prima verifica in tal senso si è avuta a Dresda lo scorso 9 aprile nella riunione dei direttori politici di quell' organismo. restiamo favorevoli a nuovi incontri in sede G8, anche ad un livello politico più elevato. nella ricostruzione delle verifiche diplomatiche di questa fase, è giusto ricordare come abbiamo esaminato con massima attenzione la cosiddetta tregua unilaterale annunciata da Belgrado in occasione della Pasqua ortodossa. speravamo sinceramente che potesse aprire uno spiraglio per la composizione del conflitto. l' analisi svolta e le consultazioni con i nostri alleati hanno però evidenziato l' ambiguità e la non credibilità di una proposta che giungeva all' apice di una violenta azione repressiva ( « l' ordine regna nel Kosovo » : questo è il comunicato di Belgrado, una sinistra assonanza) e che si presentava quindi come non credibile, non menzionando neppure il possibile ritiro dell' esercito e delle milizie serbe dal Kosovo. come pensare, in queste condizioni, ad un ritorno libero e sicuro delle centinaia di migliaia di profughi kosovari in fuga nei Balcani? a quel punto non esisteva altra strada percorribile se non la conferma delle condizioni poste dalla NATO e, come ho detto, sostanzialmente riproposte, sia pure con una modulazione diversa, dal segretario generale delle Nazioni Unite , condizioni indispensabili per una sospensione dell' azione militare e una riapertura della trattativa. ancora nella giornata di domani a Bruxelles, il Consiglio straordinario dei capi di Stato e di governo dell' Unione Europea tornerà ad esaminare le possibilità e le prospettive di una soluzione rapida della crisi. non posso che confermare — ancora una volta — come l' Italia farà il possibile perché si compia, in quell' occasione, un concreto passo verso la pace. considero molto importante che la riunione dei capi di Stato e di Governo europei abbia già sostanzialmente, prima del suo svolgimento, manifestato una grande attenzione e sostegno all' iniziativa di Kofi Annan , invitando il segretario generale delle Nazioni Unite a prendere parte alla discussione fra i leader europei. nessuno può ignorare che, a seconda di come verrà affrontata e gestita la soluzione di questa crisi, muteranno gli equilibri e le prospettive di medio e lungo periodo in un' area strategica per il futuro dell' Europa. ciò rende ancora più necessaria e pressante la volontà di costruire in tempi rapidi una soluzione diplomatica che consenta non solo di fermare la guerra, ma di gettare le premesse di una pace vera, che offra prospettive reali di sicurezza e stabilità a paesi e popolazioni immersi da troppo tempo nell' angoscia di un futuro incerto e pericoloso. le condizioni sono note: Belgrado blocchi la persecuzione verso i cittadini del Kosovo; richiami truppe e milizie presenti in quella regione, offrendo garanzie certe per un controllo sul terreno dell' avvenuto ritiro. su queste basi noi riteniamo che la composizione delle forze internazionali incaricate di garantire il ritorno dei rifugiati kosovari possa prevedere una significativa partecipazione di contingenti russi e di altri paesi che non fanno parte della NATO. l' ipotesi di una Forza multinazionale così composta, sotto l' egida dell' Onu, è stata avanzata da più parti e non soltanto dal nostro paese. è evidente, fra l' altro, che una simile forza avrebbe non soltanto il compito di proteggere il rientro di profughi cacciati con le baionette e che difficilmente potrebbero rientrare, se non in un quadro di sicurezza, ma avrebbe anche il compito di disarmare altre forze militari — penso all' Uck — che agiscono nella regione e di garantire la sicurezza di tutti, albanesi e serbi, che vivono nel Kosovo. in particolare, la partecipazione della Russia non solo faciliterebbe un accordo, ma permetterebbe di ricollocare al centro della soluzione dei conflitti balcanici un rapporto di collaborazione attiva con Mosca, recuperando una ferita che la vicenda di queste settimane inevitabilmente ha prodotto. infatti, noi non perseguiamo un cambiamento degli equilibri nei Balcani, bensì un rafforzamento della stabilità e, quindi, guardiamo all' apporto della Russia non in spirito antagonistico, ma, al contrario, di indispensabile collaborazione. la stessa dichiarazione finale del Consiglio atlantico , del resto, sottolinea l' importanza di una collaborazione con la Russia. è necessario, infine, guardare fin d' ora alla dimensione futura e alla stabilità di lungo periodo che l' Europa, con la propria azione, deve contribuire a determinare nei Balcani. per molti aspetti — voi capite — il ristabilimento in quella regione di principi di convivenza pacifica, di principi democratici e di rispetto dei diritti umani è essenziale per il futuro dell' Europa e, in particolare, di questa area dell' Europa nella quale noi viviamo. la stabilità deve basarsi non solo sulla sicurezza, ma anche su effettive possibilità di sviluppo economico e sociale che rendano la crescita in quei paesi e le condizioni di vita di quelle popolazioni più accettabili e non esposti al pericolo di nuovi tracolli. è questa la via da seguire se si vogliono eliminare le cause della conflittualità etnica e costruire, gradualmente, uno spazio di tolleranza, di coesistenza pacifica e di progressiva integrazione. pace, democrazia e sviluppo devono procedere insieme e l' Europa si deve rendere garante di ciò con un programma di lungo periodo al servizio dei Balcani. questo dovrebbe essere il contenuto di una conferenza sui Balcani dopo la pace, volta a creare le condizioni di una strategia di medio-lungo periodo di convivenza e di crescita. i conflitti etnici in quella regione non sono un destino o una vocazione di quelle popolazioni. come è stato scritto, « l' odio esplode solo se c' è qualcuno che decide di servirsene » : nazionalisti senza scrupoli e dittatori. ecco perché all' Europa spetta un ruolo decisivo nel futuro dei Balcani, perché la sfida è costruire un ponte solido tra la civiltà europea che si esprime nell' Unione Europea e quest' altra parte dell' Europa, a tutti gli effetti parte della nostra storia e del nostro futuro. già da domani discuteremo nel vertice di Bruxelles su come affrontare il difficile passaggio dalla guerra alla pace e certo dovremo pensare a come l' Italia potrà contribuire, insieme alla comunità internazionale , ma con una propria particolare responsabilità, a gettare le basi di un' evoluzione democratica di quella regione. già nel corso del vertice di Berlino l' Unione Europea si è data l' obiettivo di elaborare una strategia comune di stabilizzazione del sud est europeo, della quale già domani cominceremo a discutere in vista di un' azione che dovrà essere al centro del nostro impegno fin dai prossimi giorni e che dovrà combinare politiche di sostegno ai processi di democratizzazione, incentivi allo sviluppo economico e misure di stimolo alla fiducia verso una ripresa in quell' area. credo che questa scelta dell' Europa possa essere liberamente compresa e adottata dai popoli della regione balcanica, accettando la responsabilità di costruire le loro democrazie sulla base di principi e di regole che ci potranno unire, e che sono già codificate, per esempio, dal Consiglio d' Europa . spetta a noi non chiudere le porte ma, anzi, lavorare per un percorso di avvicinamento. non ritengo che questa sia una fuga in avanti, credo anzi che mettere in campo questa prospettiva possa incoraggiare le forze di pace , possa indicare una prospettiva anche per il popolo serbo e per la classe dirigente più responsabile di quel paese. ripeto, noi non vogliamo una sconfitta o un' umiliazione ma vogliamo, anche attraverso l' uso della forza, costruire una pace senza zone d' ombra o pericolose ambiguità, pretesto di conflitti futuri, una pace che sia una garanzia per tutti. vorrei — consentitemi — dire ancora una parola sull' impegno del governo italiano in queste ore, esprimere un ringraziamento a quanti hanno operato con una particolare responsabilità, al ministro della Difesa e al ministro degli Esteri ; dire con chiarezza al Parlamento che le posizioni e le iniziative che il governo italiano ha assunto sono l' espressione di una decisione collegiale, di cui il presidente del Consiglio porta per primo la responsabilità. non ci sono due, tre linee del governo italiano . no, né quattro né cinque! questo è legittimo, lasciatemi dire la mia opinione, poi voi aggiungerete. c' è un' azione politica coerente, c' è un filo che lega l' apporto responsabile e leale che diamo all' azione militare della NATO, un' alleanza di cui facciamo parte per libera scelta degli italiani, e l' azione umanitaria, di cui siamo protagonisti, l' azione politica che l' Italia ha sviluppato certamente in un dialogo costante con gli alleati, ma anche senza mai rinunziare ad un profilo di autonomia, ad una peculiarità che ci appartengono. nessuno ci ha chiesto spiegazioni per il fatto che siamo l' unico paese dell' Alleanza Atlantica che ha mantenuto una propria rappresentanza diplomatica a Belgrado. credo che sia stata una scelta giusta e vorrei — consentitemi — ringraziare quei dipendenti dello Stato italiano, non del Governo, che in questo momento stanno offrendo un servizio più difficile al paese: i nostri militari, i funzionari civili della protezione civile , del ministero dell'Interno che sono lì, ai confini con il Kosovo, dove si ha un' altra percezione di questi fatti rispetto a quella che si può avere qui; il nostro personale diplomatico che ha continuato a lavorare a Tirana, a Skopje o a Belgrado, anche a 150 metri da dove sono cadute le bombe per rappresentare l' Italia, la sua politica, la sua azione di pace. credo — voi me lo consentirete — che almeno quest' ultima cosa la possa dire a nome non mio o del Governo ma di tutto il Parlamento.