Massimo D'ALEMA - Deputato Opposizione
XIII Legislatura - Assemblea n. 513 - seduta del 26-03-1999
Per conoscere gli intendimenti del Governo circa la risposta alla nota del Governo dell’U. R. S. S. che propone la convocazione di una conferenza degli Stati europei per la organizzazione della sicurezza collettiva in Europa
1999 - Governo Scelba - Legislatura n. 2 - Seduta n. 226
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , l' intervento militare della NATO in Serbia e la drammatica situazione nel Kosovo sono, in queste ore, motivo di angoscia e preoccupazione per tutti noi. il Governo — come ha riferito mercoledì pomeriggio il vicepresidente del Consiglio , onorevole Mattarella — ha seguito in ogni istante l' evolversi della crisi; ne ha correttamente informato il Parlamento ed ha mantenuto la propria azione entro i confini del mandato previsto dalla Costituzione. ci troviamo ad un passaggio particolarmente difficile. le implicazioni ed i pericoli di quanto sta accadendo sono sotto i nostri occhi. d' altra parte, è la stessa vicenda storica di popolazioni a noi così vicine, non solo geograficamente, a rammentarci il ruolo che il nostro paese ha svolto, in particolare, in anni recenti, nei confronti di quelle regioni, ed il legame che ci unisce a quella parte d' Europa. siamo, dunque, in una condizione che impone a tutti — maggioranza e opposizione — senso di responsabilità ed equilibrio, necessari ad affrontare, sia pure nella differenza delle posizioni, una situazione politica ed un' emergenza militare di estrema gravità. considero questa una premessa fondamentale in un momento tanto delicato. non mi sento qui oggi a sostenere le ragioni di una maggioranza o gli interessi contingenti del Governo, ma ad esporre una linea di condotta che riteniamo giusta, legittima e doverosa sul piano politico e morale. sento tutta la responsabilità che grava sul presidente del Consiglio . credo che in questo momento si debba consentire al Governo ed al presidente del Consiglio di agire nella pienezza dei loro poteri, essendo chiaro che Governo e presidente del Consiglio rispondono al Parlamento anche degli errori che possono compiere...... nello svolgimento della loro funzione. la politica dell' Italia, insieme ai nostri alleati, punta a garantire i diritti umani e civili per decine di migliaia di profughi in fuga dalle città e dai villaggi del Kosovo ed a riaprire, una volta conseguito questo obiettivo prioritario, il dialogo per giungere ad una pace giusta che ponga fine a quel conflitto. ho ascoltato in questi giorni con rispetto le argomentazioni di quanti hanno espresso il loro netto dissenso verso l' azione militare della NATO, valutando questo come un atto di guerra, anzi come la guerra. personalmente, non condivido tale giudizio. risponderò, come è giusto, a questa preoccupazione; lo farò sulla base delle valutazioni che ho potuto compiere e delle informazioni di cui dispongo. con la stessa sincerità, però, chiedo al Parlamento di non sacrificare in un momento così cruciale il valore della coesione politica nazionale possibile, la consapevolezza, trasversale ai diversi schieramenti, di una comune responsabilità verso gli interessi del paese. credo sia essenziale, in momenti come questi, la ricerca della più larga unità intorno all' azione e al ruolo internazionale dell' Italia. solo un alto senso di responsabilità nazionale può rafforzare l' iniziativa diplomatica e l' efficacia delle scelte che siamo chiamati a compiere. la prima questione che è giusto affrontare riguarda la necessità dell' intervento armato, se cioè esistevano, al punto in cui si era giunti dopo la partenza del mediatore Holbrooke da Belgrado, soluzioni alternative ed efficaci che non implicassero l' uso della forza. la mia opinione è che non vi fossero, purtroppo, altre strade percorribili. prima della decisione di attaccare obiettivi e postazioni militari serbi era stata sviluppata un' azione diplomatica intensa e continuata, che puntava a tutelare le popolazioni albanesi del Kosovo nel pieno rispetto dell' unità e dell' integrità territoriale della Repubblica serba. l' Europa non ha, in alcun modo e in alcun momento, auspicato l' esito che oggi è davanti a noi, anzi ha lavorato per evitarlo. per molti mesi abbiamo lavorato insieme con i nostri partner e in accordo con gli USA e la Russia ad una soluzione diplomatica; e ciò, nonostante la guerra fosse già scoppiata e la repressione dell' esercito serbo avesse prodotto migliaia di vittime, di feriti e di profughi. è giusto ricordare che in nessun modo e in nessun momento l' Europa aveva mostrato indulgenza o sostegno nei confronti di attività terroristiche e di guerriglia, come quelle poste in essere dall' Uck; e comunque tali attività, come è logico, non potevano e non possono giustificare una reazione che porti alla repressione contro interi paesi, villaggi, comunità. voi ricorderete che nell' ottobre dell' anno scorso giungemmo sull' orlo di un conflitto, nel momento in cui apparve chiaro che la repressione serba investiva massicciamente le popolazioni del Kosovo. fu allora, infatti, che il governo italiano aderì alla decisione di emanare il cosiddetto act order e deliberò che, nel caso fosse necessario un intervento della NATO nel Kosovo, le basi in Italia sarebbero state a disposizione dell' Alleanza. malgrado ciò, malgrado la crisi fosse giunta a quel punto, l' iniziativa dell' Europa e dell' Italia portò al riaprirsi di un negoziato, alla ricerca di una soluzione pacifica. fin dal marzo 1998 il Consiglio di sicurezza dell' Onu, con la risoluzione numero 1160, aveva sollecitato le autorità di Belgrado ad avviare un negoziato in vista di una soluzione politica al problema del Kosovo. nel settembre dello stesso anno, la risoluzione numero 1199, oltre a rinnovare l' appello per l' immediato cessate-il-fuoco, sottolineava come la situazione in quella regione rappresentasse una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, citando esplicitamente l' articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite che — come è noto — fa riferimento al possibile ricorso alla forza militare. un mese dopo, infine, una terza risoluzione, la numero 1203, autorizzava la NATO a svolgere ricognizioni aeree e all' uso della forza, quantomeno per proteggere o evacuare gli osservatori internazionali della missione dell' Osce. lo spirito di quelle risoluzioni dunque muoveva chiaramente nella direzione di porre freno al conflitto e di bloccare la persecuzione sistematica e feroce della popolazione albanese del Kosovo. è certamente legittimo sostenere che, sul piano strettamente giuridico, l' intervento della NATO avviene senza un mandato specifico delle Nazioni Unite . al contempo è impossibile negare purtroppo che ciò dipende da una sostanziale paralisi del Consiglio di sicurezza , bloccato nelle sue deliberazioni dai reciproci veti dei suoi membri. le stesse parole con cui il segretario generale dell' Onu, Kofi Annan , riferendosi all' iniziativa militare della NATO, ha riconosciuto che in determinate circostanze l' uso della forza può essere inevitabile, sono una conferma di questa condizione oggettiva di difficoltà. nell' autunno scorso, da parte sua, la NATO stessa aveva già minacciato l' uso della forza militare come eventuale strumento di pressione nei confronti del presidente Milosevic... l' ho già ricordato! naturalmente, vi era allora la speranza che il negoziato potesse avere successo. naturalmente, vi era allora la speranza che il negoziato potesse avere successo, anche se le notizie, le immagini e i racconti che provenivano da Pristina e dalle città adiacenti offrivano compiutamente la misura della tragedia che si andava consumando per volontà e responsabilità del governo di Belgrado. lo sviluppo successivo degli avvenimenti ha reso, purtroppo, la situazione ancora più drammatica, mentre le autorità serbe chiudevano, progressivamente, ogni spiraglio al dialogo e alla trattativa. si è giunti così al fallimento del negoziato di Rambouillet, malgrado inizialmente il governo jugoslavo avesse mostrato interesse (il governo della Serbia in modo particolare) almeno alla parte politica del possibile accordo di pace e, cioè, a quella relativa alla definizione dell' autonomia del Kosovo nell' ambito dell' integrità territoriale della Repubblica federativa jugoslava. in realtà, alla fine la mancata firma dell' accordo non è dipesa soltanto dalla opposizione al dispiegamento di una forza militare di interposizione composta da forze della NATO; ma non soltanto della NATO giacché vi era la dichiarata disponibilità della Russia a schierare i propri militari affianco a quelli della NATO, sul modello seguito in Bosnia. l' Italia, fra l' altro, aveva più volte sollecitato la necessità, di intesa con il governo albanese, che un eventuale dispiegamento di una forza di pace avvenisse sia sul territorio del Kosovo, sia sul territorio dell' Albania, rendendo chiaro anche così che non si trattava dell' occupazione di un paese, ma del dispiegamento nella regione di forze di interposizione necessarie per implementare e rendere effettivo un trattato di pace . in realtà, il presidente Milosevic ha scelto lucidamente la rottura, il rifiuto di quell' ultima e risolutiva mediazione a cui si è aggiunta l' aperta violazione degli accordi sottoscritti in precedenza e l' avvio di una nuova offensiva verso una popolazione già stremata, provocando la fuga disperata di decine di migliaia di civili, privi di qualsiasi protezione ed esposti ad una repressione brutale. l' Alto commissariato delle Nazioni Unite ha reso note le dimensioni di questa tragedia: 250 mila persone senza casa; di queste, 65 mila persone soltanto nell' ultimo mese e ben 25 mila dopo l' interruzione della trattativa di Parigi. ad oggi più di un quinto dell' intera popolazione del Kosovo, 440 mila persone, risulta in fuga o rifugiata altrove. a questo si aggiungono le notizie delle rappresaglie, delle uccisioni, dei villaggi in cui si uccidono gli uomini e si spingono le donne e i bambini verso il confine albanese. sono le cifre di una catastrofe umanitaria: indiscutibile! ma, certo, è difficile dire che con i bombardamenti sia cominciata la guerra. c' era già. da qui, dall' incrocio fra il fallimento della trattativa e la reazione militare di quella stessa parte che si è opposta all' accordo di pace è scaturita la decisione della NATO di colpire militarmente, una decisione pesante e di cui mi sento corresponsabile con gli alleati giacché, come è ovvio, il passaggio dall' act order alla decisione di avviare le iniziative militari è passato attraverso la consultazione dei capi dei governi alleati. io penso che subire in silenzio l' aperta violazione da parte del regime serbo di accordi firmati, unitamente alla ripresa vigorosa della repressione e dell' uccisione di civili inermi avrebbe voluto dire abdicare alla possibilità di proteggere quelle popolazioni con conseguenze e costi incalcolabili. tutto ciò in un contesto che vede quell' area complessivamente esposta a pericoli di nuovi e più vasti conflitti. sarebbe questa una ipotesi che vanificherebbe gli sforzi compiuti dalla comunità internazionale e dal nostro paese fino dal varo dell' operazione « Alba » e tesi a pacificare uno dei bacini dove tensioni e lacerazioni di impronta nazionalista hanno radici più antiche e profonde. in modo particolare, il ruolo che l' Italia ha svolto in Albania — paese esposto, per ovvie ragioni, alle ripercussioni del conflitto in atto — e in Macedonia dove soldati italiani fanno parte della forza NATO lì dislocata in appoggio ai verificatori dell' Osce ci imponeva una assunzione di responsabilità anche per tutelare i paesi che hanno intrapreso da poco la strada di una faticosa pacificazione. da queste considerazioni, dunque, è doveroso muovere. il mio giudizio è che l' intervento militare si è reso necessario e inevitabile come pressione estrema verso il regime di Belgrado affinché cessi la persecuzione delle popolazioni civili albanesi e scelga la via del negoziato e della pace. vorrei anche aggiungere che prima di arrivare a questa decisione l' Italia ha sviluppato una propria intensa iniziativa per sollecitare l' accordo, d' intesa e assieme alle iniziative degli alleati, non solo con la partecipazione attiva e rilevante del nostro paese al gruppo di contatto, ai negoziati di Rambouillet, ma anche attraverso il rapporto con la Russia — ricordo il viaggio del ministro Dini a Mosca come tentativo di una iniziativa e di una pressione che è stata, purtroppo, anche quella inascoltata — e anche attraverso lo sforzo di un dialogo diretto con i dirigenti di Belgrado, nelle forme possibili, per incoraggiarli a scegliere l' accordo di pace e, nello stesso tempo, per sottolineare come l' Europa e i paesi del gruppo di contatto si rendessero garanti dell' integrità jugoslava a sostegno di un' autonomia del Kosovo, che non è e che non vuole essere un fattore di disgregazione della Repubblica jugoslava . tutto questo è stato inutile. siamo così giunti agli attacchi militari delle ultime quarantotto ore: non credo sia giusto dire che questi attacchi militari configurino l' inizio di una nuova guerra... la guerra c' era già, una guerra cruenta, tragica e dolorosa come lo sono tutte le guerre. l' intervento militare della NATO è stato ed è finalizzato a far cessare quel conflitto, a riprendere la strada del negoziato e naturalmente ad ottenere tutto questo nel tempo più breve possibile. vorrei che questo elemento non finisse per perdere il rilievo che merita. per troppi anni l' Europa è stata giustamente accusata di impotenza verso le tragedie che si consumavano nei Balcani, a poca distanza da qui, sull' altra sponda dell' Adriatico. l' azione in Bosnia, per quanto tardiva, si è dimostrata essenziale per il ristabilimento dell' ordine e per il rispetto degli accordi di Dayton, che si è potuto ottenere soltanto dopo l' uso della forza e con il dispiegamento di una forza militare multinazionale, ponendo fine ad una delle più spaventose stragi che abbiano insanguinato l' Europa dopo la seconda guerra mondiale ; anzi, certamente la più spaventosa. io sono partecipe dell' angoscia di queste ore, senza dubbio, ma credo che non sia giusto dimenticare che l' angoscia comincia con il massacro di Vukovar, con le fosse comuni, con gli stupri etnici, molto prima dell' intervento militare della NATO, molto, molto prima! né credo che possiamo dimenticare che quella strage, così spaventosa, si è potuta compiere anche perché per lungo tempo l' Europa non ha agito. anche questo pesa sulla nostra coscienza! la prospettiva nei confronti del Kosovo è, per quanto ci riguarda, esattamente quella che abbiamo perseguito in Bosnia, in un contesto che è certamente più difficile: finalizzare concretamente le azioni militari alla riapertura di una trattativa e al perseguimento di un accordo. ciò significa che l' iniziativa di questi giorni è volta a bloccare una drammatica crisi umanitaria e va sostenuta rigorosamente entro questi parametri. vorrei citare su questo punto la dichiarazione del Consiglio europeo : « la nostra politica non è diretta contro la popolazione jugoslava o serba, né è diretta contro la Repubblica federale jugoslava o la Serbia. è diretta contro l' irresponsabile leadership jugoslava sotto la guida del presidente Milosevic. è diretta contro le forze di sicurezza che stanno cinicamente e brutalmente combattendo contro una parte della loro popolazione » . questa dichiarazione del Consiglio europeo , d' altro canto, è in sintonia con la dichiarazione del segretario generale della NATO, che ha precisato nella posizione politica ufficiale con la quale ha dato il via all' azione militare i suoi obiettivi; questi obiettivi non sono quelli della disgregazione della Jugoslavia, dell' indipendenza del Kosovo, o della distruzione di quel paese; sono l' accettazione di un accordo politico provvisorio negoziato a Rambouillet, il rispetto dei limiti imposti alle forze armate e alle forze di polizia speciale serbe dall' accordo firmato dalla Serbia il 25 ottobre dell' anno scorso , l' arresto dell' uso eccessivo e sproporzionato della forza nel Kosovo. sono obiettivi limitati, di fronte ai quali sarebbe sufficiente una reale disponibilità del governo di Belgrado per porre fine all' azione militare. purtroppo questa non c' è. noi puntiamo, quindi, ad un' azione militare breve e strettamente concentrata sull' obiettivo. io, l' ho già detto, credo che l' esperienza che dal 1991 ad oggi abbiamo vissuto nella ex Jugoslavia ci dica che dobbiamo avere il coraggio di reagire, non perché la forza possa o debba sostituirsi alla strategia della politica e del dialogo, ma perché il suo uso, limitato e finalizzato, può rivelarsi indispensabile quando gli strumenti della ragione e della persuasione pacifica si rivelino impotenti. la forza naturalmente può fermare la forza, ma — lo sappiamo — non può costruire la pace. l' azione militare, cioè, non è sostitutiva — né in quanto metodo né in condizioni di assoluta eccezionalità — dell' azione diplomatica e politica. solo un accordo politico fra le parti, garantito dalla presenza internazionale sul terreno, potrà garantire una pacificazione di quella regione. per questo motivo il tavolo negoziale deve rimanere aperto, anche in un momento così drammatico. e questo atteggiamento è anche la garanzia migliore perché l' iniziativa militare di oggi rappresenti un passaggio, grave ma necessario, di un processo politico che deve tornare ad essere tale. un processo che dovrà ripartire dai principi affermati a Rambouillet: l' autonomia del Kosovo, nel quadro della integrità territoriale della federazione jugoslava; il pieno ristabilimento dei diritti umani e civile; l' eliminazione di ogni minaccia alla pace e alla stabilità della regione. questo è l' obiettivo strategico che delimita il significato dell' azione militare nella quale siamo coinvolti insieme con i nostri alleati. a questa strategia riferiremo ogni successivo sviluppo dell' iniziativa della NATO, a partire dalla sua concentrazione su obiettivi di esclusiva rilevanza militare, e ciò anche al fine di limitare al massimo il rischio, da noi avvertito con la massima angoscia, del coinvolgimento della popolazione civile. siamo perfettamente consapevoli della necessità di commisurare mezzi e fini e intendiamo valutare, sotto questo profilo, l' efficacia dei risultati dell' azione militare in corso . ciò significa che, evitando qualsiasi automatismo, intendiamo mantenere il controllo politico delle varie fasi di tale azione. è anche in rapporto a questa finalità che abbiamo sviluppato nel Consiglio europeo , conclusosi questa mattina — nel testo era scritto « ieri » — a Berlino, un impegno comune per garantire una gestione equilibrata delle conseguenze internazionali della crisi in atto. in particolare, siamo convinti che la Russia debba rappresentare un fattore imprescindibile per le prospettive di pace, sicurezza e stabilità dell' Europa di oggi e del futuro. sarebbe dunque molto preoccupante una crisi duratura dei rapporti tra quel paese, l' Europa e la NATO; al contrario, è essenziale che proprio la Russia riesca a svolgere nei Balcani, e soprattutto nei confronti di Belgrado, un ruolo costruttivo che possa facilitare la ripresa più rapida delle trattative. da questo punto di vista , il dialogo fra l' Europa e la Russia si è sviluppato in modo molto intenso in queste ore, ad esso abbiamo partecipato anche noi: ieri il ministro degli Esteri ha discusso con il suo collega russo Ivanov, questa mattina il presidente dell' Unione Europea , il cancelliere Schroeder, ha lungamente discusso con il Primo Ministro Primakov. da questo punto di vista la presa di posizione di Eltsin, tesa a non interrompere gli sforzi verso una composizione politica è certamente un segnale positivo; così come ho ritenuto e ritengo incoraggiante che il ministro degli Esteri russo abbia inteso farsi promotore di una possibile riunione del gruppo di contatto. sono espressioni della volontà della Russia, al di là della durezza del giudizio espresso in questi giorni di non volere interrompere un rapporto diretto con l' Europa, con il mondo occidentale. dunque un' assunzione di responsabilità che apprezziamo e che, per parte nostra, incoraggeremo, nella convinzione che ciò possa contribuire ad una riapertura del dialogo e ad un allentamento della tensione. sarà, quindi, nostro obiettivo sfruttare la prima interruzione delle operazioni militari per proporre una ripresa dell' iniziativa politica del gruppo di contatto al più alto livello possibile, finalizzata a rilanciare le possibilità di attuazione del piano di pace. in questo senso, ho affermato, nella giornata di ieri, che vedo avvicinarsi il momento in cui sarà necessario e possibile tornare all' iniziativa politica. è un concetto che ribadisco anche in questa sede. questa affermazione non ha nulla a che fare con uno strappo rispetto alle nostre responsabilità o col venir meno di un atteggiamento di solidarietà verso i nostri alleati. noi ci siamo assunti le responsabilità che ci dovevamo assumere, pur essendo un paese esposto in modo particolare alle conseguenze di questa crisi. lo abbiamo fatto con lealtà, perché ritenevamo tale scelta giusta sul piano del principio ed anche perché sappiamo che, al di fuori delle alleanze internazionali di cui l' Italia fa parte, il nostro paese conterebbe di meno e sarebbe meno sicuro. ma proprio le responsabilità assunte ci danno il diritto di sollecitare i nostri alleati ad un confronto in grado di condurre le azioni militari in corso verso una rapida ripresa del dialogo. ciò corrisponde, del resto, alle necessità del paese ed alle attese della maggioranza dell' opinione pubblica . da parte nostra, intendiamo promuovere tali sforzi con chiarezza e senza alcuna furbizia. riteniamo giusto agire così, perché siamo convinti che una leale adesione all' alleanza internazionale di cui facciamo parte non implichi la rinuncia al nostro punto di vista su questioni delicate e ad una discussione alla pari con i nostri alleati. non concepiamo, dunque, un tempo delle armi separato da quello della politica. consideriamo, invece, decisivo che da subito venga realizzato ogni sforzo per riaprire, nelle mutate condizioni, il tavolo della trattativa; a questo impegno ci siamo dedicati nel corso di queste ore. sono evidenti le difficoltà del momento, ma non è intenzione del Governo rinviare il tentativo di una ripresa del confronto, a partire dalla possibilità di convocare in tempi rapidi una nuova riunione del gruppo di contatto. c' è un contributo che l' Italia può dare al conseguimento di questo obiettivo fondamentale e che deriva dalla nostra collocazione al centro del Mediterraneo, dal ruolo politico e dal rispetto verso il nostro paese, dalla conoscenza profonda delle forze, delle culture e delle diverse identità che si misurano in questo conflitto. avviare questo processo implica, naturalmente, che il governo di Belgrado interrompa ogni attività militare nel Kosovo e torni a considerare la necessità della firma degli accordi di Rambouillet, sotto la garanzia del vertice del gruppo di contatto. allo stesso tempo, invitiamo i rappresentanti albanesi del Kosovo a non discostarsi dalla scelta, già maturata, di sottoscrivere gli accordi precedentemente raggiunti. lo spazio della politica, dunque, non è chiuso, anzi bisogna compiere ogni sforzo per allargare lo stretto sentiero del confronto e della diplomazia: a questo imperativo si ispira l' iniziativa del Governo. parallelamente, continueremo a premere, come abbiamo fatto in sede NATO e nel corso del Consiglio europeo di Berlino, affinché sia varato nell' area un piano umanitario su vasta scala, in grado di garantire rifugio e sicurezza ai profughi del Kosovo nei paesi confinanti, in primo luogo in Macedonia e in Albania. è questa la prima condizione per consentire a quelle popolazioni, in caso — come speriamo — di nuovi e duraturi accordi, di poter rientrare nelle loro case. ciò, ovviamente, non esclude la necessità di prevedere e di provvedere tempestivamente per quanto attiene alle esigenze di una nuova, possibile ondata di profughi diretti sulle coste del nostro paese. a tale scopo il ministero dell'Interno ha predisposto un piano urgente di accoglienza ed un rafforzamento del controllo della costa adriatica, al fine di prevenire ogni possibile incidente, anche in mare, per queste povere persone che dovessero, spinte dalla disperazione, cercare di raggiungere con mezzi di fortuna il nostro paese. proprio per evitare che accada quello! la riunione del Consiglio dei ministri di questa mattina ha dichiarato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale per fronteggiare tale eventualità. voglio infine confermare dinanzi al Parlamento che il contributo specifico delle forze armate italiane è limitato alle attività di difesa integrata del territorio nazionale , come per altro previsto dalla decisione assunta dal governo italiano alla fine del mese di settembre dello scorso anno , dalla delibera del governo italiano , e successivamente riconfermata, in merito all' adesione italiana al cosiddetto act order , a suo tempo deliberato dalla NATO. signor presidente , onorevoli colleghi , ho ricordato all' inizio il senso di preoccupazione e di angoscia che provano milioni di nostri concittadini in queste ore; la temporanea chiusura ad esclusivi scopi operativi degli aeroporti civili di Brindisi, Bari e Trieste, così come il coinvolgimento nelle azioni in corso di basi militari situate sul nostro territorio, determinano inevitabilmente un grado di tensione comprensibile. siamo consapevoli dell' impatto, anche emotivo, di questi eventi sull' opinione pubblica e, in particolare, sulle popolazioni della costa adriatica più vicine ad un conflitto che si consuma a poche centinaia di chilometri da loro. a quelle popolazioni desidero rivolgermi nuovamente in questa sede, confermando che non vi è pericolo per la sicurezza nazionale, per i centri abitati, per i cittadini del nostro paese. a questa sensibilità si aggiunge la preoccupazione che quanto sta avvenendo possa condurre ad un progressivo aggravamento della crisi, e che, in ogni caso, l' uso delle armi non possa favorire per definizione una ripresa del negoziato. sul punto specifico credo di avere già risposto nel merito ma pure non intendo rimuovere il dubbio morale che la stessa autorevole voce del Papa ha levato in proposito. gli eventi di questi giorni impongono in primo luogo ai governi ma anche a ciascuno di noi un' assunzione di responsabilità. l' uso della forza per disarmare un aggressore è legittimo quando non esistano nell' immediato altre vie di difesa e di reazione. il punto è certamente nel fissare regole e modalità rigorose nell' applicazione di quel principio. nessuno qui e fuori da qui può ritenere di declinarlo a seconda delle convenienze: un principio è tale se vale sempre...... ma è tale anche se la politica trova la forza per farlo rispettare. la vicenda del Kosovo da questo punto di vista è un altro monito all' Europa che siamo impegnati a costruire, indica la necessità urgente di attrezzare le istituzioni...... ed il governo dell' Unione sul terreno di una politica estera comune; sollecita la necessità di una strategia di prevenzione e di iniziativa verso le aree più esposte ai pericoli di crisi; ripropone il tema di un modello comune di sicurezza e di difesa. ci restituisce insomma la questione di fondo: se l' Europa deve pensarsi come attore internazionale capace di svolgere il proprio ruolo autonomo dentro i nuovi equilibri mondiali del secolo che si sta concludendo. il percorso realizzato in questi anni va nella direzione giusta e molti passi sono stati compiuti, ma molti altri restano da compiere. in particolare è decisivo che verso i Balcani l' Unione Europea concepisca, come soluzioni stabili alle crisi che si sono succedute nel corso di questi anni, un piano complessivo di pace, di ricostruzione, di sviluppo a lungo termine , favorendo in tal modo l' evoluzione democratica di quell' area ed il suo progressivo inserimento nell' Europa più civile. da questo punto di vista , la crisi dei Balcani, anche per le sue implicazioni simboliche, deve tradursi in uno stimolo ad accelerare gli sforzi verso la costruzione di una grande Europa politica più solida, più forte, più responsabile, più unita. per fare questo non basta la moneta: servono istituzioni, classi dirigenti consapevoli, strategie e programmi. è questa, esattamente, la strada che la parte più larga e avvertita dell' Europa ha scelto di intraprendere. il nostro compito è partecipare a questo sforzo con senso di responsabilità e riscoprendo pienamente quella vocazione che può fare dell' Italia uno dei soggetti vitali per la ricerca di un nuovo equilibrio nel Mediterraneo e nei Balcani. la vicenda drammatica di questi giorni può riconsegnarci il linguaggio e gli scenari di un' Europa di inizio secolo. la prova cui siamo chiamati è invece compiere ogni sforzo possibile per fondare le basi dell' Europa del futuro: un continente dove diritti umani e civili, convivenza e rispetto di ogni nazionalità, dialogo e coesione sociale rappresentino i valori comuni per una stagione prolungata di pace e di stabilità. a questo obiettivo è ispirata l' azione del governo . a questo obiettivo lavoriamo, a partire da queste giornate drammatiche, per rafforzare il ruolo internazionale e la funzione del nostro paese.