Massimo D'ALEMA - Deputato Opposizione
XIII Legislatura - Assemblea n. 501 - seduta del 10-03-1999
Caso Montesi
1999 - Governo Scelba - Legislatura n. 2 - Seduta n. 200
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , i sentimenti di indignazione e di rabbia che l' incidente alla funivia del Cermis aveva generato nel paese poco più di un anno fa si sono rinnovati nei giorni scorsi di fronte alla notizia che una Corte marziale degli USA ha assolto dall' imputazione di omicidio plurimo il pilota dell' aereo che causò la tragedia. per molti quella sentenza ha significato il riaprirsi di una ferita: per i parenti delle vittime, innanzitutto, già colpiti negli affetti più cari, ma anche per le popolazioni di Cavalese e del Trentino, così duramente segnate da un evento che, a distanza di mesi, continua a non trovare giustificazione e a interrogare la coscienza di quanti avevano il compito di vigilare e di impedire che un episodio di tale gravità potesse verificarsi. in questa sede è bene ricordare che, immediatamente dopo l' incidente, furono avviate, e in parte, rapidamente concluse, tre distinte attività di indagine finalizzate a ricostruire la dinamica dei fatti e ad individuare eventuali responsabilità. fu in particolare la procura della Repubblica di Trento ad aprire un' inchiesta alla quale si affiancò il lavoro di due commissioni tecniche istituite rispettivamente dal comando militare statunitense e dallo stato maggiore dell' aeronautica militare italiana. la conclusione inequivocabile di quelle prime indagini fu che non erano state ragioni connesse all' insufficienza dei mezzi o guasti meccanici o altri eventi imprevisti ad aver indotto l' aereo a volare ad una quota incompatibile con le norme previste, oltre che naturalmente con le caratteristiche morfologiche e con le strutture ubicate nella zona del disastro. in particolare, l' inchiesta tecnica americana parlò esplicitamente di un errore dell' equipaggio e, per la precisione, di un comportamento di volo aggressivo con la conseguente violazione delle regole e delle procedure previste. in almeno due delle sei tratte compiute nel corso della missione, risultò che l' aereo era sceso al di sotto dei mille piedi raggiungendo una velocità di 180 chilometri orari superiore alla velocità massima consentita. mille piedi, dunque, poco più di 300 metri, a fronte di una direttiva emanata il 21 aprile 1997 dall' aeronautica militare italiana per i voli di addestramento degli aerei di paesi stranieri schierati nelle basi italiane non stanziali, che indicava l' obbligo a rispettare una quota di volo mai inferiore ai 650 metri. l' aereo volò, quindi, più di una volta nel corso della stessa esercitazione sotto la quota minima consentita, fino ad una distanza dal suolo di soli 113 metri, altezza alla quale avvenne la collisione con il cavo della funivia. non si può parlare, dunque — e per la verità quasi nessuno ha osato farlo — , di una imprevista fatalità, tale da negare l' esistenza di precise responsabilità individuali. la medesima inchiesta tecnica, del resto, aveva appurato come indicazioni e limiti inerenti alle modalità di volo nelle esercitazioni fossero contenuti in numerosi documenti a disposizione del personale americano. erano altresì state trasmesse alla stazione operativa del gruppo le mappe aeree che riportavano la segnalazione di tutte le funivie distribuite sulle aree di sorvolo. di tale trasmissione — come ho avuto modo di far rilevare in questi giorni — sono disponibili le ricevute dell' avvenuta consegna da parte dell' aeronautica militare italiana. a conclusione di una indagine parallela la commissione istituita dalla nostra aeronautica militare ha sostanzialmente condiviso e confermato queste risultanze, sottolineando in particolare come, dagli elementi acquisiti, l' incidente fosse da attribuirsi ad un fattore umano e, in termini specifici, alla violazione di normative e disposizioni che non consentivano all' equipaggio l' adozione di una rotta e la navigazione ad una quota così distante dagli standard minimi di sicurezza previsti. una volta concluse la ricerca tecnica statunitense e quella italiana, il 16 marzo dell' anno scorso , le autorità americane hanno deciso, sulla base delle disposizioni contenute nella convenzione sullo statuto delle forze (sofa, questa è la sigla tecnica), firmata a Londra nel 1951, di esercitare nel proprio paese la giurisdizione nei confronti dei componenti l' equipaggio del velivolo. quella convenzione, ratificata successivamente dal nostro Parlamento, definisce i principi generali che disciplinano la presenza di truppe alleate sui rispettivi territori dei paesi membri della NATO. tra le altre norme previste, stabilisce con estrema precisione le competenze dello « Stato che invia » e dello « Stato ricevente » in merito alla giurisdizione. in particolare, prevede che nel caso di reati commessi al di fuori dell' esercizio delle proprie funzioni la competenza per l' esercizio dell' azione penale sia dello Stato ricevente (quello cioè nel quale il reato viene materialmente compiuto) mentre nel caso di reati commessi nell' esercizio di funzioni ufficiali la competenza è dello Stato che invia. la richiesta delle autorità americane è stata dunque assolutamente legittima, alla luce delle convenzioni e degli accordi ratificati dal nostro Parlamento. d' altra parte, è stato già ricordato a suo tempo come l' Italia ebbe modo di avvalersi di tale norma in occasione del disastro aereo di Ramstein in Germania nel 1988. in quella specifica circostanza, nonostante da parte delle autorità tedesche fosse stata avanzata una richiesta formale di rinuncia all' esercizio della giurisdizione, il nostro paese scelse di esercitare direttamente la giurisdizione per quegli avvenimenti. fin qui, dunque, la ricostruzione, parziale e sintetica, ma essenziale, dei fatti. la vera domanda, però, è che cosa succederà adesso e quali passi è giusto compiere affinché le vittime di quella tragedia ottengano piena giustizia, evitando al contempo che episodi analoghi possano ripetersi. vorrei dire con sincerità che, un anno dopo quegli eventi luttuosi, il paese ed il Parlamento sono posti di fronte a due verità. la prima — in assoluto la più negativa — è che i responsabili di quanto avvenuto non sono stati ancora individuati né puniti. la seconda è che quella tragedia, come ho detto all' inizio, è una ferita ancora aperta soprattutto per quanti — e sono molti — continuano ad interrogarsi su come sia potuto accadere qualcosa che mai sarebbe dovuto avvenire e su quali siano i responsabili — perché l' unica certezza al momento è che una responsabilità esiste — della morte di venti persone. a queste domande un paese civile non può sottrarsi; non può farlo perché dalle risposte a questi interrogativi dipende la possibilità di ottenere giustizia per le vittime e la certezza che tragedie analoghe non possano ripetersi. sono i concetti che ho espresso pochi giorni fa al presidente Clinton ed è l' impegno che oggi il Governo rinnova solennemente di fronte al Parlamento. ho apprezzato la sincerità con la quale il presidente degli USA ha riconosciuto la responsabilità del proprio paese in questa vicenda. sono state parole importanti che hanno contribuito a rendere più franco e diretto il dialogo e la ricerca di una soluzione per i problemi aperti dopo quel tragico incidente. da parte mia, ho esposto le ragioni di una profonda insoddisfazione per la situazione che si è determinata e per le difficoltà che il perseguimento delle responsabilità sembra incontrare, né ho ritenuto giusto tacere sul fatto che ogni equa e doverosa azione di risarcimento non può in alcun modo esaurire o rallentare la ricerca delle cause di una simile tragedia, delle eventuali colpe o mancanze che l' hanno determinata. in discussione non è — come è evidente — il nostro rispetto verso la giurisdizione militare americana; tale, del resto, è l' atteggiamento proprio di una autorità politica nei confronti della magistratura in ogni democrazia. noi attendiamo, dunque, l' esito dei procedimenti in corso , uno dei quali, nei confronti dello stesso pilota, muove dall' accusa grave di aver ostacolato il corso delle indagini; siamo consapevoli però, in ogni caso, che il compiuto accertamento dei fatti e il perseguimento delle responsabilità non potranno dipendere esclusivamente dai procedimenti attualmente in corso . è chiaro, infatti, che la sentenza di assoluzione per il pilota del velivolo non può che spostare il livello della responsabilità: accertato che l' incidente non fu il frutto di una terribile fatalità ma dipese da un complesso di errori umani, è chiaro che l' assoluzione dell' ufficiale che si trovava fisicamente ai comandi dell' aereo rimanda ad altre responsabilità. ho sottolineato, nel corso del colloquio con il presidente Clinton, l' esigenza irrinunciabile che eventuali responsabilità superiori a quelle finora indagate possano essere accertate prontamente, con il massimo di completezza, anche in conseguenza delle risultanze definitive dei procedimenti penali tuttora in corso negli USA. l' adesione convinta del presidente degli USA a questa nostra richiesta significa che i nostri due governi convengono che le responsabilità della tragedia debbano essere accertate in tutta la loro interezza, senza alcuna zona d' ombra. ciò corrisponde al nostro interesse nazionale e a quel contesto di lealtà e collaborazione indispensabile tra paesi alleati e fondamento della stessa Alleanza Atlantica . per questo complesso di ragioni, non intendo commentare nel merito il verdetto della Corte marziale statunitense che lo scorso 4 marzo ha prosciolto il pilota dell' aereo, né mi attendevo che il presidente Clinton, nel corso del nostro incontro ufficiale a Washington, potesse assumere nei confronti della magistratura militare del proprio paese un atteggiamento diverso. mi limito a ripetere, anche in questa sede, che quella sentenza è stata, per molti ed anche per me, un fatto sconcertante e non perché molti fossero alla ricerca di un capro espiatorio , perché non era di questo che si trattava; lo sconcerto nasceva dal fatto che dopo quel giudizio, il quale, è bene ricordarlo, in base alla normativa vigente in quel paese è da considerare definitivo e non motivato, si è accresciuta la preoccupazione che la verità sui fatti del Cermis possa allontanarsi, offuscarsi ulteriormente. dopo quella sentenza, insomma, in una parte dell' opinione pubblica non solo italiana ma anche americana è cresciuto il timore che la possibilità di fare piena luce su quegli eventi si riduca e, ciò che è peggio, si indebolisca la volontà di andare fino in fondo e di svelare ogni aspetto di quell' incidente: cause, responsabilità, livelli di comando eventualmente coinvolti. il nostro compito è rispondere a tale preoccupazione. lo faremo in primo luogo se sosterremo con fermezza che non saremo appagati, che l' Italia non sarà ripagata, finché non sarà stata fatta piena luce su quanto è accaduto. l' azione del governo si atterrà rigorosamente a questo imperativo: chiedere che ogni aspetto venga chiarito e, di conseguenza, compiere ogni atto finalizzato ad ottenere tale risultato. lo faremo con serietà e coerenza: a partire dal fatto che quanto chiediamo agli altri imponiamo a noi stessi. il Governo ha stabilito, di fronte alle richieste della procura militare di Padova che indaga sulle eventuali responsabilità del comando italiano della base e della procura della Repubblica di Trento di accedere al testo dell' accordo quadro bilaterale Italia-Stati Uniti d' America del 20 ottobre 1954, di porre tale documento a disposizione dell' autorità giudiziaria . si tratta di un accordo finora secretato che ha disciplinato, anche in virtù di successive integrazioni, l' uso da parte delle forze armate statunitensi delle infrastrutture concesse loro in uso sul nostro territorio. noi non solo non opporremo il segreto, ma metteremo tali documenti a disposizione dell' autorità giudiziaria . la seconda questione fondamentale che questa vicenda impone di affrontare investe naturalmente il nodo della prevenzione di possibili, ulteriori incidenti e la necessità di rivedere, a tal fine, il complesso delle procedure di addestramento e di esercitazione delle forze alleate in Italia. su questo piano il Governo ritiene quindi molto importante l' avvio, concordato nei giorni scorsi a Washington, di un negoziato bilaterale coordinato dai ministri della difesa Cohen e Scognamiglio sulla sicurezza e sulla revisione delle regole e delle procedure previste per lo svolgimento di attività operative nelle basi situate sul territorio italiano. a questo proposito, il ministro Scognamiglio ha incaricato il capo di Stato maggiore della difesa, generale Arpino, di designare un ufficiale in possesso dei requisiti e dell' esperienza necessari a dirigere tale attività, in stretta collaborazione con l' ufficiale statunitense nominato in queste ore dal ministro Cohen. il capo di Stato maggiore ha nominato capo della delegazione italiana il generale Leonardo Tricarico. tale commissione, quindi, potrà insediarsi nei prossimi giorni e cominciare il suo lavoro. voglio sottolineare che questo negoziato rappresenta una novità significativa che consentirà di accelerare la ridefinizione di ogni procedura particolare relativa ad esercitazioni e attività di addestramento delle forze americane in Italia, con l' obiettivo di realizzare condizioni di assoluta sicurezza per le popolazioni, eliminando la possibilità di ogni loro coinvolgimento nelle attività medesime. è di fatto l' impegno comune ad aggiornare accordi particolari tra Italia e USA per quanto attiene agli aspetti operativi del funzionamento delle basi presenti nel territorio italiano. un aggiornamento, del resto, già avviato con il memorandum di intesa, firmato dai ministri della difesa italiano e statunitense nel febbraio del 1995 denominato Shell agreement, che introduceva nuove normative e vincoli per ogni singola base presente nel nostro territorio. tale documento, coperto fino a questo momento da riservatezza, il Governo ha deciso di mettere a disposizione del Parlamento e, cioè, delle Commissioni difesa del Parlamento, perché esse possano prenderne piena conoscenza. riteniamo che il negoziato avviato in questi giorni potrà imprimere maggiore velocità ed efficacia al completamento di tale nuovo quadro normativo. intendiamo, dunque, discutere insieme regole e limitazioni, le norme relative alla sicurezza delle popolazioni, quali aree potranno essere oggetto di sorvolo e quali precluse, quali garanzie in termini di distanza limite di ogni esercitazione aerea, marina o terrestre andranno offerte ai cittadini residenti. insomma, affronteremo insieme un complesso di norme che dovranno rappresentare la più elevata garanzia che episodi come la tragedia di Cavalese non possano riproporsi, neppure con caratteri e modalità assai meno drammatiche. in questo quadro, sarà necessario aprire una riflessione all' interno dell' alleanza sulle modalità con cui gli accordi del 1951 trovano oggi applicazione. ho visto che in questo senso si è espresso anche il Parlamento europeo in un documento — credo — approvato proprio oggi. ho parlato di modalità con cui quegli accordi trovano applicazione. è evidente infatti che, pur rimanendo fermi i principi della giurisdizione così come sono formulati in quegli accordi, è possibile, in primo luogo, che nella pratica se ne pretenda l' applicazione soltanto in casi straordinari, in secondo luogo, che, quando la giurisdizione venga attuata dal paese che invia, possano esservi determinate garanzie per il paese nel quale è avvenuto il presunto reato, compresa quella di potersi costituire in giudizio. vorrei aggiungere che è del tutto evidente che, se alla fine dei procedimenti penali in corso negli USA le responsabilità della tragedia di Cavalese non venissero accertate (e questo ho detto con assoluta franchezza al presidente degli USA e, ancora in queste ore, al segretario generale della NATO, che ha voluto chiamarmi ed esprimermi la sua solidarietà), tanto più si accentuerebbe la necessità non solo di una discussione circa le modalità di attuazione di quegli accordi ma anche di un adattamento e di un aggiornamento degli accordi stessi perché risulterebbe evidente la loro inadeguatezza. riteniamo che questo sia l' approccio più serio ai problemi drammatici aperti di fronte a noi e che la tragedia ha riproposto con una urgenza non rinviabile. vorrei dirlo con parole semplici: di fronte ad episodi così impressionanti e a problemi che hanno una natura tecnica tanto complessa non basta indignarsi e protestare né possono aiutare soluzioni radicali e velleitarie. il problema vero non è eliminare le basi — almeno secondo me — ma ridefinirne ruoli e modalità di funzionamento. d' altro canto mi è capitato di dire che quelle basi non sono una concessione ma uno strumento al servizio della nostra sicurezza e sono un apporto che l' Italia dà ad una alleanza e ad una responsabilità comune. la presenza di installazioni e strutture militari che ospitano forze statunitensi e di altri paesi alleati sul nostro territorio deriva dall' adesione al trattato di Washington del 1949 e, successivamente, dalle disposizioni degli accordi attuativi di quel trattato, la già citata convenzione sullo statuto delle forze, l' accordo bilaterale italo-americano del 1954 e il memorandum di intesa del 1995. non si tratta, quindi, di un atto di imperio di un paese straniero né così potrebbe essere per ovvie ragioni. sono presenze regolamentate e contrattate e che, come è noto, non godono di alcuno statuto di extraterritorialità e che hanno già subito — come ho appena ricordato — adeguamenti di norme e di vincoli cui sono assoggettate. la stessa convenzione sulla giurisdizione non è una concessione ad un potente alleato ma è una norma di cui anche l' Italia — come ho ricordato — si è giovata in una drammatica circostanza. di questo si tratta, ma ciò non significa che tali norme non possano essere aggiornate quando esse si rivelino inefficaci al fine di garantire la ricerca della verità e la giustizia. oggi, l' impegno del Governo è quello di proseguire questo lavoro al fine di giungere ad una configurazione più efficiente e sicura di tali strutture e di garantire ai cittadini il massimo della sicurezza e del rispetto del loro territorio. è un impegno che consideriamo prioritario, nel momento in cui, in termini più generali, stiamo affrontando questioni che investono i caratteri e la natura di un moderno sistema integrato di sicurezza europeo. è una questione strategica che un grande paese deve sapere approfondire con la determinazione, l' autorevolezza e la competenza necessaria. tali caratteristiche non dipendono unicamente dalla grandezza e dalla potenza di un singolo paese ma anche dalla serietà e dal rigore dei comportamenti che si assumono e dalla capacità di riconoscere, quando è giusto, i propri errori. la prima vera riforma del nostro comune sistema di difesa è legato al giudizio che i cittadini daranno di quelle istituzioni e di quegli apparati. ecco perché la verità sulla tragedia del Cermis ha per noi un valore morale e politico al tempo stesso , perché una denegata giustizia, in una vicenda così drammatica, rischia di gettare un' ombra sulla professionalità di forze che devono garantire innanzitutto la sicurezza e l' incolumità dei cittadini. Claudio Magris ha scritto un anno fa che « il minimo diritto che abbiamo è quello di conoscere la verità » . egli aggiungeva che, « se una grande potenza si sentisse messa in pericolo dalla verità di ciò che è accaduto a Cavalese, verrebbe da dubitare che si tratti di una grande potenza » . noi faremo la nostra parte affinché si accerti la verità e affinché i familiari delle vittime, oltre ad un risarcimento economico, possano essere risarciti nell' unica forma degna che è quella di conoscere la verità, di vedere puniti i responsabili e di avere la certezza che nulla di ciò che abbiamo visto potrà mai riproporsi. per questo ci impegniamo di fronte al Parlamento e al paese, con rigore e serietà.