Massimo D'ALEMA - Deputato Opposizione
XIII Legislatura - Assemblea n. 34 - seduta del 17-07-1996
1996 - Governo VI De Gasperi - Legislatura n. 1 - Seduta n. 391
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , colleghi deputati, non è la prima volta come altri hanno già osservato che in questa Aula si discute delle riforme costituzionali ; anzi, più e più volte nell' Aula del Parlamento o durante i lavori delle Commissioni questo tema è stato affrontato nel corso degli ultimi quindici anni. è quindi evidente che, innanzitutto, occorre sottrarsi, noi stessi, a questa prospettiva e convincere i cittadini che non siamo di fronte ad uno stanco rituale. non è così, non può essere così. non possiamo arrenderci a questa prospettiva: è in gioco il successo non soltanto di questa o di quella parte politica , bensì di una nuova classe dirigente del paese, che si è venuta formando in un periodo molto difficile della vita nazionale; una classe dirigente composta da persone che hanno a lungo militato nella vita politica, che sono venute all' impegno politico in questi anni di crisi, dalla società civile , dalle professioni; una classe dirigente organizzata in partiti che hanno radici profondamente piantate nella storia del paese o organizzata in movimenti e partiti più recenti. credo che il punto di partenza , se vogliamo farcela, stia nel riconoscerci reciprocamente questa funzione, questo ruolo, nell' avere lo spirito che deve accomunare forze politiche e persone che, sia pure nella profonda diversità dell' ispirazione ideale e delle storie personali, hanno una comune responsabilità di fronte al paese, che sono in qualche modo legate da un comune destino, quello di dare un fondamento rinnovato alla nostra democrazia o di fallire insieme. negli anni tra il 1945 e il 1948 l' Italia si risollevò dalla tragedia della guerra, fu scritta la Carta Costituzionale , si avviò la ricostruzione e si gettarono le basi di uno sviluppo moderno, certamente segnato da profondi scontri sociali, politici, ideali, segnato da distorsioni ed anche, poi, da degenerazioni, ma che tuttavia ha rappresentato una grande trasformazione del nostro paese in un quadro di democrazia e di libertà. ciò fu dovuto al fatto che ci fu una classe dirigente del paese, pure politicamente e profondamente divisa e per ragioni assai più radicali di quelle che oggi dividono l' attuale classe dirigente — , tuttavia capace, nel quadro di una comune assunzione di responsabilità, non soltanto di definire con un compromesso le regole e le istituzioni, ma anche di riconoscersi all' interno di valori condivisi. quei valori avevano come fondamento la lotta antifascista e proprio la tragedia della guerra. è difficile pensare al periodo che stiamo vivendo come ad un periodo paragonabile a quello, e ciò rende per certi aspetti, per quanto possa apparire paradossale, persino più difficile il nostro compito. ricostruire un quadro di valori condivisi ed elaborare insieme regole che consentano il funzionamento di questa democrazia è operazione assai più artificiale, oggi, e richiede un sovrappiù di intelligenza, di applicazione, proprio perché ciò che abbiamo alle spalle non è una sia pur tragica ma esaltante esperienza comune. ciò che abbiamo vissuto in questi anni, tuttavia, è una cesura nella storia del nostro paese: l' esaurirsi di tutta una fase della vita nazionale, non a caso nel quadro di una cesura della vicenda mondiale, la fine di quella guerra fredda e di quell' ordine del mondo che hanno segnato la vita interna del nostro paese più di quella di ogni altra grande democrazia dell' Occidente, che hanno rappresentato un elemento ordinatore della vita politica italiana , un discrimine intorno al quale si sono formate le grandi forze democratiche, i grandi blocchi contrapposti. l' esaurirsi di una fase della vita nazionale ha visto consumarsi via via il ruolo dei partiti, in una lunga agonia che è durata per oltre un quindicennio. a mio giudizio, infatti, la funzione propulsiva della democrazia dei partiti si era esaurita a metà degli anni Settanta e il paese ha vissuto per un lungo periodo il perdurare di una classe dirigente e di un sistema che non erano più in grado di dare risposte positive, che sono sopravvissuti attraverso l' espansione della spesa pubblica , attraverso la pratica consociativa. tutto questo ha gettato le basi di quella drammatica crisi politica e morale che si è chiamata Tangentopoli. in questi anni abbiamo vissuto il rischio di una confusa caduta, il rischio che il sommarsi del collasso del sistema politico con l' insorgere di un pericolo di bancarotta legato al debito pubblico finisse per travolgere non soltanto lo Stato democratico , ma le ragioni stesse dell' unità del paese. eppure abbiamo superato questa fase. io credo che a ciò abbia dato un contributo la sinistra. noi ci siamo sforzati di fare assumere alla sinistra o alla parte maggiore di essa una funzione positiva di coesione e di ricostruzione del paese. per questo mi viene da sorridere quando veniamo raffigurati come persone che tramano contro la governabilità. noi abbiamo garantito più di qualsiasi altra forza politica la governabilità nel corso di questi anni; ne abbiamo fatto un punto di principio della nostra collocazione: forza di garanzia, forza di tenuta del paese e delle sue istituzioni. questa è una delle ragioni per le quali noi abbiamo vinto le elezioni, ossia per avere allo stesso tempo impostato il dialogo per le riforme, cercato di porre alla destra (pure ad una destra che per molti aspetti non ci piaceva) le ragioni di una comune assunzione di responsabilità ed esserci fatti carico della stabilità e del Governo dell' Italia sostenendo il Governo Dini, sostenendo fino alla fine il tentativo Maccanico, non chiedendo le elezioni anticipate , con una coerenza testarda che a taluno è parsa suicida, ma che invece alla fine è risultata vincente; vincente perché siamo una forza che ha rassicurato il paese, compreso l' elettorato moderato. noi non ci discosteremo da questa impostazione e sarebbe davvero folle pensare che una forza politica che ha sostenuto il Governo Dini e che era pronta a sostenere il Governo Maccanico volesse mettere inciampi al primo Governo della Repubblica di cui fa parte. il 21 aprile non segna l' approdo della transizione italiana. ho già detto e lo ribadisco che l' errore più grave che la coalizione di centrosinistra potrebbe compiere è quello di interpretare il risultato elettorale come il compimento. il 21 aprile apre una grande opportunità, quella cioè di porre su basi più solide il processo di trasformazione del paese. il cambiamento è in atto: o governiamo il cambiamento o il cambiamento ci travolgerà. governare il cambiamento significa saperlo indirizzare verso la costruzione di uno Stato e di una Pubblica Amministrazione più moderni, più efficienti, più giusti, condizione per una rinnovata unità del nostro paese. noi non sopravvalutiamo, ma non sottovalutiamo neppure, i segnali di lacerazione. io penso che si debba creare un terreno di confronto. spetta alle forze più responsabili far sì che l' onorevole Bossi possa passare dalla propaganda alla politica: dalla propaganda, dall' agitazione propagandistica di obiettivi che non hanno consistenza, alla politica, cioè alla sfida costruttiva per le regole di una democrazia nella quale possa trovare risposta positiva il bisogno di autogoverno che viene dalle nostre comunità non solo del nord, ma anche del sud. uno Stato ed una Pubblica Amministrazione più efficienti sono condizione per entrare in Europa non dalla porta di servizio, non da straccioni; sono una condizione per affrontare la sfida della mondializzazione dell' economia, che chiama a competere non soltanto le singole imprese ma i sistemi-paese, in un mondo nel quale sempre più difficile è competere, vincere, conquistare uno spazio. governare il cambiamento significa indirizzarlo verso un sistema politico-istituzionale aperto ad un ricambio delle classi dirigenti , fondato sulla competizione fra progetti e fra programmi, che tuttavia non mette in discussione le basi solide della democrazia, della collocazione internazionale del nostro paese. una competizione tanto più viva ed accesa in quanto non suscita timori e paure, non crea l' angoscia « se vince l' altro, che fine farò » , sul modello delle grandi democrazie del nostro continente, puntando ad un' integrazione del sistema politico italiano, delle forze politiche italiane, nel quadro delle grandi componenti ideali e politiche che animano la democrazia europea, la sinistra, nelle sue diverse articolazioni, ma innanzitutto quella grande sinistra democratica di ispirazione socialista, laburista, socialdemocratica, che rappresenta la più grande forza politica dell' Europa. e, sull' altro versante, un processo di integrazione delle forze moderate e di destra, nel quadro delle grandi correnti democratiche europee. questo è interesse del paese. perseguire questo processo non significa affatto mettere in discussione il quadro delle alleanze che abbiamo costruito; d' altro canto, non sarebbe l' Italia l' unico paese europeo nel quale, di fronte alla forza della destra, i popolari e la sinistra democratica collaborano nel Governo. ve n' è un lungo elenco: ve lo risparmio, perché penso sia noto. la scelta di un asse di centrosinistra per noi come asse della governabilità non è in contraddizione con l' impegno di portare avanti quel grande disegno di ricomposizione della sinistra italiana nel quadro della sinistra democratica riformista europea, che è credo utile non solo alla sinistra ma anche alla modernizzazione della società italiana . naturalmente, non è obbligatoria (come la leva), è facoltativa. è legittimo che vi siano altre forze che nella sinistra vogliono mantenere una loro identità; ciò richiederà un dialogo, una ricerca unitaria, e tuttavia vedo in questo processo la strada maestra se vogliamo riproporre la sinistra in quella dimensione europea e mondiale senza la quale la sinistra stessa non ha ragione d' essere. dunque, in questo periodo che ci sta di fronte credo che sia interesse comune avere stabilità di Governo, in un quadro che spero possa diventare presto più sereno, meno inutilmente nervoso; una competizione civile, perché una democrazia dell' alternanza deve vedere coprotagonisti diversi soggetti; un impegno fattivo per avviare l' innovazione istituzionale. stabilità ed innovazione devono stare insieme. innanzitutto è compito della maggioranza dimostrare che stabilità ed innovazione possono convivere. senza l' innovazione, la stabilità non solo non serve ma è destinata a cadere; senza stabilità non si produce nulla di nuovo, ma si rientra nella fibrillazione convulsa dell' ingovernabilità e del discredito delle istituzioni. il cammino dell' innovazione è tracciato, anche se a me non sfugge che vi sono nodi problematici seri, che devono essere affrontati. e tuttavia le grandi questioni sono quelle di un forte decentramento in senso federalista dei poteri dello Stato, che si articoli sulla valorizzazione del ruolo delle regioni e delle città, in un equilibrio che tenga conto della peculiare storia italiana. noi non abbiamo alcun timore del federalismo, anche perché l' autogoverno del nord sarà largamente impersonato da una classe dirigente che ci è amica, onorevole Bossi: lei sa che nella capitale della Padania il sindaco è l' ex segretario della federazione del mio partito, quindi evidentemente i cittadini padani, che votano liberamente, in un paese democratico, si scelgono una classe dirigente che non tutta la pensa come lei. il secondo punto è quello di una riforma dell' istituto parlamentare, che vive una profonda crisi, di cui noi siamo testimoni ed interpreti. la crisi dell' istituto parlamentare fa sì che, progressivamente, la funzione legislativa si sia spostata verso l' Esecutivo, attraverso la pratica dei decreti legge , e il Parlamento appaia svuotato di un ruolo. la paralisi del Parlamento è un danno gravissimo, innanzitutto vorrei dire per l' opposizione, persino più che per la maggioranza, perché, alla fine, quest' ultima dispone del Governo e della possibilità che questo ha di agire attraverso i provvedimenti amministrativi, attraverso i decreti legge , in un meccanismo sempre più improprio, che si avvita: il Governo fa le leggi, il Parlamento fa confusione, converte decreti. noi dobbiamo spezzare questa spirale, restituire al Parlamento il ruolo di una sede legislativa alta poche leggi e di una sede incisiva di controllo e di indirizzo; dobbiamo attribuire all' Esecutivo maggiori compiti, spostare verso l' Esecutivo e verso la periferia funzioni importanti che oggi svolge il Parlamento: una sola Camera legislativa e politica, il che non significa necessariamente monocameralismo, perché proprio in relazione ad una riforma federale può avere senso un' assemblea nazionale delle regioni, delle autonomie, come sede di coordinamento, di quadro, di indirizzo, sulle materie che competeranno alle assemblee elettive regionali e locali. vi è, infine, il nodo più duro, quello della riforma della forma di governo : ma, anche qui, se sgombriamo il campo da ideologismi, da un uso spesso propagandistico di riferimenti istituzionali, il ventaglio delle scelte possibili si è venuto abbastanza restringendo. vi è, da una parte, un' ipotesi di Governo del Primo Ministro , legata ad una legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere, in uno, la maggioranza con il suo leader. in buona sostanza, si tratta di far diventare norma istituzionale ciò che oggi è costume, il modo in cui i cittadini vivono l' attuale sistema: ma noi sappiamo che quando si crea una disparità tra Costituzione materiale e Costituzione scritta ciò è fonte di rischi gravissimi. l' altra possibilità è quella di un sistema di tipo semipresidenziale, che non spezzi però il legame fiduciario tra Parlamento e Governo, ché il presidenzialismo propriamente detto, quello americano, appare largamente estraneo alla civiltà ed alla tradizione del nostro continente. io non considero nessuna di queste due ipotesi impraticabile e credo che avviare su questo tema una discussione serena, approfondita, non ideologica, non pregiudiziale, non vincolata da obblighi di maggioranza né di opposizione ci potrà portare a trovare le soluzioni più utili per il nostro paese. un' ultima cosa voglio dire sul modo di procedere. l' opposizione la principale opposizione, il Polo ha sostenuto e sostiene legittimamente la necessità di un' Assemblea costituente , che io preferirei chiamare di revisione costituzionale. io è noto non criminalizzo questa ipotesi; non penso che l' elezione di un' assemblea di revisione costituzionale con compiti delimitati sarebbe un fatto in sé eversivo; vi sono opinioni diverse, ma io ribadisco un' opinione che non esprimo ora per la prima volta. dico che oggi questa via è quella più tortuosa e più rischiosa. la si poteva scegliere in alternativa alle elezioni politiche ; si poteva forse dare vita ad un Governo ad ampia base per fare le riforme. qualche tempo fa... l' autobus è passato! ci sono state le elezioni e la prima riforma (nel senso della democrazia dell' alternanza) è che chi ha vinto le elezioni governi. andare verso le elezioni politiche generali per poi fare le riforme costituzionali ... diciamoci la verità, il rischio è che questo inasprisca tutti i conflitti, blocchi tutte le possibilità di intesa. noi proponiamo una via parlamentare. in quale modo? discutiamone! siamo qui non penso per ingannarci; la maggioranza propone una via parlamentare. quale via parlamentare? discutiamone! sono convinto, e lo dico nello spirito del documento approvato dal nostro gruppo, che sapremo trovare insieme una via parlamentare per provarci, nella consapevolezza che se non ci riusciremo ancora una volta, dopo quindici anni che se ne parla, poi non ci ascolterà nessuno quando ci daremo la colpa a vicenda : sarà un' intera classe dirigente ad essere condannata dai cittadini italiani.