Massimo D'ALEMA - Deputato Opposizione
XIII Legislatura - Assemblea n. 306 - seduta del 30-01-1998
Bilancio ministero affari esteri
1998 - Governo VII De Gasperi - Legislatura n. 1 - Seduta n. 990
  • Attività legislativa

vorrei innanzitutto ringraziare i numerosi parlamentari che hanno preso la parola in una discussione che è stata assai ampia, impegnativa, seria, ricca (e non soltanto), com' era giusto che fosse, di osservazioni critiche, le quali tuttavia nella stragrande maggioranza degli interventi non hanno messo in discussione la necessità di fare le riforme e l' impegno perché esse divengano nuova legge fondamentale dello Stato. il dibattito è stato ricco anche di proposte concrete, di indicazioni assai utili nella individuazione di aspetti irrisolti, di miglioramenti seri ed anche rilevanti che possono essere introdotti nel testo per rendere più convincente e forte la proposta di riforma della nostra Costituzione. non so se il Parlamento rappresenti in qualche modo il paese. penso di sì. e se questo è vero, ritengo che la discussione che si conclude stamane rappresenti la più clamorosa smentita della tesi, che pure qui è variamente echeggiata, di un generale disinteresse intorno alle riforme costituzionali . mi sembra difficile che il Parlamento si impegni così appassionatamente su un tema al quale i cittadini non siano per nulla interessati, a meno che non si ritenga che noi siamo una casuale assemblea che rappresenta soltanto se stessa . non è così. in realtà, il bisogno delle riforme costituzionali è fortemente avvertito dal paese, anche se non sempre siamo riusciti (lo dico in modo autocritico) a fare arrivare ai cittadini un' informazione ricca, puntuale e precisa dei termini della nostra ricerca, che spesso sono stati presentati in modo distorto, approssimativo, come espressione di una politique politicienne che insegue esigenze tattiche o momentanee, e non come espressione di un confronto politico e culturale di grande respiro quale quello che si è potuto ascoltare nella discussione parlamentare di questi giorni. sono convinto, ripeto, che le molte critiche servano. talune sono state mosse in modo a mio giudizio ingiustamente pregiudiziale e distruttivo, qualcun altra muove da equivoci: ad esempio — vorrei rassicurare a questo riguardo — la mancanza di norme transitorie non è un oscuro complotto contro le regioni a statuto speciale , ma semplicemente una decisione che la Commissione ha preso, io credo saggiamente, ritenendo che le disposizioni finali e transitorie debbano essere presentate alla fine della discussione delle norme ed anche sulla base del risultato del lavoro parlamentare. forse, se qualche collega avesse scorso gli Atti parlamentari (non è obbligatorio, ma facoltativo) si sarebbe risparmiato l' apprensione delle norme scomparse, dell' oscuro complotto; a volte la lettura degli Atti parlamentari contiene notizie istruttive ed utili ad una discussione più serena. dalla discussione emerge una larga condivisione delle scelte di fondo che la riforma propone. questo spesso non significa condivisione del modo in cui nel testo si è data una risposta alle esigenze. ma non vi è dubbio che il dibattito parlamentare ci dimostra che una scelta federalista è considerata necessaria dalla stragrande maggioranza dei nostri colleghi e che, semmai, l' incoraggiamento è a compiere scelte più coerenti e coraggiose. entreremo poi nel merito, perché questo coraggio viene indicato in direzioni anche molto diverse l' una dall' altra; e quando passeremo dal dibattito generale alle scelte, sceglieremo quale coraggio è necessario e misureremo le coerenze. ma io non sono affatto dispiaciuto che noi siamo spronati a scelte ancora più coraggiose nella direzione di un forte decentramento dei poteri dello Stato, di un più marcato autogoverno delle comunità locali e delle regioni, di una più forte diffusione del principio di responsabilità. la grande maggioranza dei nostri colleghi condivide e comunque accetta l' elezione diretta del presidente della Repubblica . si è molto discusso — tornerò su questo punto — sui poteri che debbano essere attribuiti al presidente della Repubblica eletto dai cittadini, su quale rapporto debba esservi tra il presidente eletto e il Parlamento, tra il presidente eletto e il Governo. ritengo tuttavia, prima di affrontare questi problemi, che l' elezione popolare del presidente della Repubblica sia un passo in avanti della democrazia italiana, segni la fine di una lunga epoca nella quella l' Italia e la Germania, dopo la sconfitta del fascismo e del nazismo, sono stati tra i pochi grandi paesi democratici del mondo non retti da una monarchia a non prevedere l' elezione popolare del presidente della Repubblica . il fatto che nel nostro paese il presidente della Repubblica sia eletto dai cittadini è un segno dell' approdo di una lunga evoluzione democratica, della fine della paura verso una democrazia fragile quale oggi il nostro paese non è più. nella nostra discussione dobbiamo forse liberarci da un collegamento che immiserisce questo tema, che riduce il tema dell' elezione diretta in relazione al tema della stabilità di Governo. penso in realtà che l' elezione popolare del presidente della Repubblica corrisponda innanzitutto alla necessità di dare più forza ed autorevolezza alle istituzioni dello Stato, a collegarle più fortemente al popolo, a dare ad esse una più forte legittimazione in un paese in cui la debolezza delle istituzioni è una debolezza della democrazia; perché alla debolezza delle istituzioni fa da contrappeso la forza di altri poteri, assai profondamente radicati nella nostra società. credo anche che sia largamente condivisa l' esigenza di un superamento dell' attuale procedimento legislativo , di quel bicameralismo perfetto che certamente ha corrisposto ad un' esigenza di garanzia, di ponderazione nel procedimento legislativo , che ha rafforzato quella centralità del Parlamento e delle forze politiche nel Parlamento rappresentate che ha lungamente caratterizzato il nostro sistema, ma che non appare più al passo con le necessità di un sistema democratico, da una parte in grado di prendere le sue decisioni in modo più rapido e dall' altra in grado di mettere in evidenza la responsabilità politica , il principio di responsabilità politica , e quindi una più chiara dialettica tra Governo e opposizione, anche nella vita parlamentare; una dialettica più chiara e più nitida di quanto non abbia potuto delinearsi in una lunga storia repubblicana, nella quale la sostanziale impossibilità di cambiare le classi dirigenti al Governo, se non attraverso un processo di cooptazione o di trasformismo, ha fatto da contrappeso ad un coinvolgimento in un meccanismo di codecisione parlamentare delle grandi forze popolari escluse dal Governo del paese. non nego affatto che questo sia stato un modo di garantire un equilibrio democratico, di includere in una comune responsabilità forze divise da pregiudiziali ideologiche, dalla guerra fredda . ma quella lunga stagione è finita e dobbiamo pensare ad un nuovo parlamentarismo nel quale si incardini in modo più nitido e trasparente una dialettica tra Governo ed opposizione sul modello delle grandi democrazie del mondo occidentale (e comunque, ormai, dell' Europa). queste esigenze sono largamente condivise e mi ha fatto davvero piacere sentire nelle parole dell' onorevole Nilde Iotti, diciamo, assai nette e coraggiose, la critica — lo ricordava anche Cesare Salvi — più coraggiosa dei limiti della Costituzione del 1948; tanto più coraggiosa a fronte di certe difese d' ufficio improntate ad un conservatorismo pigro e pauroso. e cioè che già nella Costituzione del 1948 si risentiva troppo di impostazioni del passato, di un influsso del sistema liberale prefascista e non si teneva conto a sufficienza di un dibattito che il costituzionalismo europeo aveva affrontato negli anni Trenta — da cui l' Italia era rimasta, ovviamente, tagliata fuori — che andava sotto il nome del razionalismo del potere e cercava un equilibrio nuovo e più moderno tra Parlamento e Governo. vale a dire che dall' autorevolezza di un costituente, di uno di quei padri costituenti — in questo caso si direbbe « madre » ; giustamente il pensiero femminile rifiuterebbe l' uso dell' espressione padre...! — al cui lavoro, alla cui tensione ideale ci si è variamente riferiti, viene la testimonianza dei limiti di quell' impianto costituzionale, dei limiti, già allora, di un parlamentarismo puro che non regolamentava la forma di governo , la cui riproposizione oggi, a mio giudizio, sarebbe davvero impensabile. questo non significa affatto che il Parlamento, come lo delineiamo nel progetto di riforma, non resti un punto centrale del sistema democratico. ora, dalla discussione emergono linee di correzione, di evoluzione del progetto. su alcune di queste linee proposte voglio dire brevemente la mia opinione, anche perché ritengo che i relatori siano intervenuti in modo assai convincente, persino brillante, replicando a critiche talora eccessive e dimostrando soprattutto una cosa: che le proposte della Commissione possono essere condivise o meno, possono essere diversamente ordinate, ma si ispirano al costituzionalismo contemporaneo, non sono delle stravaganze, delle invenzioni, un « pasticcio » . mentre talora alcune delle proposte che da posizioni critiche si avanzano — come mi sforzerò di dimostrare — esse sì sono proposte che non corrispondono a nessuna esperienza nel mondo ed io temo che questo non sia casuale. temo che ci siano delle serie ragioni per cui in nessun paese del mondo si scambia il ruolo del presidente della Repubblica o del capo del governo con quello del sindaco o altre cose di questo tipo, che mi sembra si ispirino a visioni rozze, forse politicamente comprensibili, ma difficilmente traducibili in una proposta costituzionale. per quanto attiene alla forma di Stato, a me sembra che le critiche — che d' altro canto, con notevole abilità e astuzia dialettica, il relatore D'Onofrio aveva anticipato a se stesso , in modo da porsi in una posizione assolutamente tranquilla, nel senso di proponente e critico del testo, maggioranza e opposizione a sé medesimo (come si vede che la tradizione conta e che l' abitudine di far da Governo e opposizione maturata in lunghi anni è utile anche nella seconda Repubblica ...!)...... — i punti critici, i nodi da risolvere sono quelli che sono stati indicati. c' è forse ancora il peso di un eccesso di poteri statali, che io non ravviso tanto nella elencazione. qui D'Onofrio è stato assolutamente convincente nel ricordare le lunghissime elencazioni delle Costituzioni federali. starei a dire che è proprio la scelta di un rovesciamento dell' articolo 117, è proprio la decisione di attribuire alle regioni una potestà legislativa generale che obbliga alla elencazione delle potestà legislative del Parlamento nazionale. se noi avessimo voluto fare l' elenco dei poteri delle regioni, sarebbe stato un lungo elenco. ma quello c' è già nella Costituzione attuale; avremmo potuto allungarlo un po', ma non avremmo mutato il criterio. è proprio nelle Costituzioni federali che vi sono i lunghi elenchi dei poteri che restano allo Stato centrale, poteri che possono anche far sorridere, come sono, ad esempio, la ginnastica, i pesi o le misure, ma che comunque corrispondono alle necessità. forse questo eccesso di poteri statali si può riscontrare, così come ci hanno detto i comuni e le regioni italiane, in una norma di chiusura che, nella sua indeterminatezza, può apparire un passe-partout. intendiamoci: norme di chiusura di questo tipo ci sono in tutte le Costituzioni ed alcune di esse sono ancora più indeterminate. tuttavia, capisco il sospetto che nasce da una tradizione centralistica; capisco, cioè, il modo in cui le classi dirigenti regionali e locali guardano a noi sulla base dell' esperienza del passato, cioè di quel denegato regionalismo, di quello svuotamento della riforma regionale, che è la storia d' Italia. siccome questo sentimento ha un fondamento, credo che dobbiamo cercare di dare una risposta positiva, di limitare, di precisare, di non introdurre in Costituzione strumenti che possano essere utili in modo troppo arbitrario per svuotare i nuovi poteri regionali e delle comunità locali. quanto al federalismo italiano, io stesso più volte ho denunciato l' anomalia e l' improprietà riscontrabili nell' uso dell' espressione « federalismo » . nei paesi in cui vi sono Costituzioni federali il federalismo è, innanzitutto, il frutto di una vicenda storica. noi non possiamo riscrivere la storia d' Italia (lo dico agli amici della Lega). forse, se avessero prevalso i federalisti lombardi anziché il centralismo sabaudo, la storia d' Italia sarebbe stata diversa, ma è difficile ora pensare che, non dico la Commissione bicamerale, che ha esaurito i suoi lavori, ma neppure quest' Aula, così più ricca di dottrina, possa cambiare la storia del nostro paese. qualcuno ci ha subito aiutato dicendo che si sarebbe dovuto parlare di « neofederalismo » . quello del ricorso al « neo » è un sistema magico che consente... io non mi permetto, anche perché temo le righe rosse e blu dei professori, di utilizzare queste espressioni. parliamo di federalismo indubbiamente in termini politici, intendendo un forte decentramento dei poteri dello Stato, anzitutto delle potestà legislative, verso le regioni, ma anche un forte decentramento dei poteri amministrativi verso comuni e province, cioè verso le comunità locali. è chiaro che a tale riguardo sorge immediatamente un forte problema, che è stato posto in modo molto netto dai parlamentari della Lega ma anche, ad esempio, dall' amico Salvati. c' è un' altra possibile scelta — non vi è dubbio — una scelta federale, cioè, che faccia perno sulle regioni e che ricostruisca il foedus come patto tra regioni e Stato, probabilmente credo, anche avendo la forza ed il coraggio, sulla scorta di studi fatti in questi anni, di ripensare i confini delle regioni italiane, per rendere più efficace il federalismo. questa è una scelta possibile. naturalmente, esigerebbe una forza politica straordinaria di questo Parlamento, anche perché urterebbe con i sentimenti, le attese, le aspettative, la volontà di una larga maggioranza dei nostri concittadini. quando si parla del federalismo adversus centralismo, c' è la più vasta unità. se noi andassimo a spiegare ai nostri concittadini che il nostro federalismo consegnerà alle regioni la potestà ordinamentale sui comuni e sulle province, la rivolta dei cittadini sarebbe guidata dai sindaci eletti dai cittadini stessi. ecco perché bisogna essere molto attenti: è molto facile creare un fronte della critica ma, in realtà, dentro questo fronte si nascondono impostazioni profondamente diverse, tra le quali noi dobbiamo sapere scegliere. ritengo che la storia e la realtà del nostro paese, la stessa realtà istituzionale che si va trasformando in questi anni di transizione, spingano verso un federalismo anomalo, certamente anomalo, che prevede una pluralità di soggetti istituzionali costitutivi della Repubblica. questo non perché, come ha detto qualche collega della Lega, vogliamo dividere per comandare, ma perché questa articolazione corrisponde alla realtà storica e istituzionale del paese, ai sentimenti e al modo di vedere dei cittadini che si aspettano dal Parlamento che il sindaco che hanno eletto abbia più poteri, non che i suoi poteri debbano passare attraverso un' assemblea regionale, spesso considerata non meno lontana del Governo di Roma. allo stesso tempo si aspettano che la regione abbia funzioni più chiare, non di tipo amministrativo, perché semmai la riforma deve incoraggiare il fatto che le regioni abbiano una funzione di programmazione e di legislazione e che per certi aspetti si corregga una distorsione amministrativa del regionalismo italiano che, secondo me, non ha dato buoni frutti. io sono convinto, come molti hanno sottolineato, che questa riforma, proprio perché non si tratta di un patto fra regioni e Stato, ma di un complesso decentramento di poteri verso soggetti differenti, richieda di incardinare in un' assemblea legislativa la rappresentanza del territorio. questo è un punto da esaminare con attenzione, non per responsabilità della relatrice, ma per la sua evidente complessità — parliamoci chiaro — perché questo è il punto più delicato, in cui il riformatore riforma se stesso . è chiaro che si tratta di una questione complessa. io non parlerò mai di Senato federale in quest' Aula. qui bisogna parlare di Camera, perché se noi impostiamo il dibattito in altri termini... non ne usciamo. il problema è che maturi la generale consapevolezza nella rappresentanza che bisogna articolare diversamente la rappresentanza stessa, senza creare una Assemblea di serie A ed una di serie B ma, lo ribadisco, articolando diversamente la rappresentanza. ci sono molte proposte in campo. la mia personale opinione è che troveremo una soluzione se ci orienteremo comunque per una assemblea elettiva. a tale riguardo credo si commetta un errore da parte dei nostri amici delle regioni e dei comuni non capendo come, nella realtà italiana, un Parlamento di secondo grado avrebbe minore autorevolezza, sarebbe più debole nel rappresentare le ragioni delle autonomie di una Camera federale , ma elettiva, espressione della volontà dei cittadini e quindi forte nel confronto con le istituzioni « centrali » . so che sto terminando il tempo a mia disposizione e so anche che non sono senatore e che non potrei permettermelo, ma chiedo ancora qualche minuto di tolleranza. vorrei spendere qualche parola sulla forma di governo . il senatore Salvi ha esposto quanto andava detto ed ha cercato di spiegare il senso di questo semipresidenzialismo europeo che si propone, che certamente non è uno stravagante e pericoloso pasticcio, ma è un impianto costituzionale che somiglia alle Costituzioni che più recentemente si sono scritte nel nostro continente. se noi avessimo proposto, come in Polonia, che il Capo dello Stato nomina il Primo Ministro , ma che il Parlamento, entro quindici giorni, se non gli va bene , ne può nominare un altro al posto di quello nominato dal Capo dello Stato , ci avreste detto che siamo degli eversori, eppure in quel paese non è avvenuta alcuna guerra civile . quello al nostro esame è il modello prevalente nell' Europa dove non ci sono le monarchie; rispetto a questa forma di semipresidenzialismo, è quello francese che rappresenta un' eccezione. ma non voglio addentrarmi in una discussione sulla Francia, sui limiti di una soluzione o di un' altra, anche perché lo ha già fatto splendidamente il senatore Salvi. mi dovete invece consentire di svolgere qualche considerazione banalmente politica e storico-politica. noi siamo arrivati ad elaborare questa proposta sulla base di una vicenda, tutta scritta, che è stata travagliata e sofferta. non si tratta di un modello rocambolesco; il voto lo è stato, mentre il modello è stato lungamente elaborato, ponderato e studiato. il momento della decisione è stato sofferto, incerto. abbiamo cercato un' intesa sulla linea del Governo del Primo Ministro fin dall' inizio, non scartando — almeno non la mia parte politica — l' ipotesi di un semipresidenzialismo, sulla scorta delle proposte del professor Sartori o del « documento Maccanico » , che si ispirasse al modello francese ma « temperato sulla base della tradizione parlamentare italiana » (cito alla lettera) che noi, fin dall' inizio, non escludevamo. vorrei anche dire che questa ipotesi non era affatto estranea alla cultura dell' Ulivo. peraltro ricordo bene un articolo del presidente Prodi su La Repubblica , in risposta ad un articolo del dottor Di Pietro , dove egli indicava nel modello del semipresidenzialismo francese uno sbocco possibile, e da parte sua condiviso, della crisi costituzionale italiana. so bene anche che nell' Ulivo vi erano posizioni diverse; ricordo il travaglio, nella scrittura del programma comune, nelle posizioni dei popolari, ma non si trattava di un' ipotesi estranea alle forze presenti nell' Ulivo. sulla linea del Governo del Primo Ministro noi ci eravamo spinti fino ad ipotizzare soluzioni — queste sì — abbastanza estranee rispetto alla tradizione europea perché, preoccupati come eravamo di costruire in Italia un premierato all' inglese (di impiantarlo cioè su un sistema politico profondamente diverso), eravamo arrivati ad ipotizzare che si potesse scrivere il nome del candidato premier sulla scheda accanto al nome del candidato deputato (se in Inghilterra si proponesse di scrivere il nome di Tony Blair su tutte le schede, davvero apparirebbe come una stravaganza). in Europa il premierato si fonda sulla tradizione politica, sulle Costituzioni materiali, sul costume, sulla mentalità, sui sistemi politici e noi volevamo costruirlo su vincoli che a un certo punto apparvero un po' troppo opprimenti, fino all' estremo di un capo del governo eletto in uno con la sua maggioranza, persino con un premio di maggioranza . ma ve lo immaginate un Parlamento nel quale cento persone sono elette come premio di maggioranza della vittoria del capo del governo ? ma quale autonomia o forza avrebbe? altro che pericolo semipresidenziale! lì davvero si configurava all' estremo, sotto il nome di Governo del Primo Ministro , una forma di presidenzialismo totalmente estranea alla cultura e alla tradizione costituzionale del mondo democratico, perché dove c' è il presidenzialismo il Parlamento è libero e non ha un vincolo fiduciario con il presidente proprio per poter rappresentare un altro potere. l' approdo semipresidenziale, a mio parere, nasce anche da queste difficoltà. oltre un certo limite « europeo » (lo dico tra virgolette) il Governo del Primo Ministro non poteva spingersi e certamente noi non avremmo dato una risposta a quella domanda di elezione diretta , di legittimazione diretta delle istituzioni che viene dal paese e di cui certe forze politiche a destra si sono fatte interpreti. tuttavia vorrei che si capisse che la domanda viene dal paese, non dalla destra. credo che da questa soluzione non si possa tornare indietro; l' elezione popolare del presidente della Repubblica è un approdo convincente della riforma. noi dobbiamo definire con esattezza, proprio per prevenire i conflitti, i confini e le responsabilità di un presidente della Repubblica che non può essere stretto in un' alternativa troppo misera tra funzioni di Governo e garanzia. il senatore Salvi ha già spiegato che vi sono funzioni politiche che non sono meramente arbitrali o di garanzia e che non sono funzioni di Governo. dobbiamo definire con esattezza la funzione di questo presidente della Repubblica in modo che la sua elezione popolare, cioè i suoi poteri siano un contributo alla stabilità e non al conflitto e alla instabilità di Governo, essendo chiaro che la responsabilità del governare compete al Governo, il quale è l' espressione della maggioranza parlamentare . la stabilità allora non si appoggerà sulla elezione del presidente della Repubblica , bensì su una legge elettorale in grado di consentire ai cittadini di scegliere la maggioranza parlamentare e in un modo tale che essa sia il più possibile omogenea. e poi la stabilità, lasciatemelo dire, è un fatto di cultura, di scelte politiche, di maturazione del sistema politico del paese. infatti, oggi abbiamo una certa stabilità, anche senza le regole che la obbligano, perché è cresciuto un bipolarismo nel quale è forte la coscienza che senza stabilità è debole il paese e non andiamo in Europa; è cambiata la mentalità. questo non lo si impone per legge, ma costituisce un' evoluzione che fortunatamente è in corso . non voglio nascondervi neppure il tema della legge elettorale , che è reale. siamo stati sconfitti, come è stato qui ricordato. e vorrei dire a chi lamenta che non siamo andati a Parigi ma a Vienna, che la via per Parigi passava attraverso l' adozione del doppio turno uninominale. chi ha votato contro quella scelta ha ostruito la via per Parigi, politicamente e istituzionalmente. e non mi si venga a dire che è colpa mia: siamo andati da un' altra parte perché lì non siamo potuti andare, per ragioni che qui non voglio rivangare. credo allora che, poiché essendo stati battuti abbiamo ripiegato su un' ipotesi di più vasta convergenza della quale l' amico e compagno Cossutta fa una bandiera al punto di considerarla un tema dirimente per la sopravvivenza del Governo della Repubblica — e a proposito dei patti con la destra trovo un po' forte che la crostata diventi un sinonimo di governabilità, perché quello fu il risultato principale di quelle discussioni — ritengo che quel testo possa essere sviluppato in modi diversi. quel testo verso il quale si appuntano moltissime delle critiche — mi trovo nella curiosa situazione che le più violente critiche contro la Commissione bicamerale sono state rivolte ad un' ipotesi di riforma costituzionale che non ho assolutamente condiviso e che mi sono arreso ad accettare soltanto perché le riforme si facessero, e poiché ritengo che bisogna portare i pesi che ci si mettono sulle spalle — credo che possa essere discusso. si lavori per trasformare quel testo in una proposta di legge , facendo i conti con le critiche, con le aporie, rendendo più trasparente il confronto. non c' è nessun modo migliore per liberarsi dei convitati di pietra che scrivere dei testi, esaminarli, discuterli. credo che in questo modo si aiuta a costituire il confronto costituente in termini più trasparenti. lei ha ragione, ma sono temi politici... non affronto i temi delle garanzie. avremo modo di parlarne e vorrei fare una considerazione politica, concludendo. no, avrò modo di farlo anche questo pomeriggio, in una sede non istituzionale. voglio soltanto dire una cosa da questo punto di vista . vi sono alcuni singoli punti che nel testo, come è noto, non ho condiviso e che spero si possano correggere perché — mi riferisco alla parte delle garanzie — ritengo siano sbagliati, controproducenti. in particolare mi riferisco all' articolo che affronta il tema del Consiglio superiore della magistratura , della sua composizione, delle sezioni separate. credo però che non si debba dire che la proposta della bicamerale contiene una spallata all' autonomia della magistratura, perché non c' è: non c' è. se poi vogliamo dire che quel testo è stato frutto di una elaborazione faticosa, che esso reca il segno, qua e là, persino in certe espressioni — non ne faccio colpa a Boato — di un malessere verso la magistratura, di una diffidenza, di una preoccupazione garantista che è cresciuta in questi anni difficili e in forme non sempre giuste — sono garantista ma il garantismo deve essere considerato più ampiamente, come garanzia dei cittadini, come rispetto delle leggi, della legalità e non solo dei diritti degli imputati — questo sì. nella nostra proposta però non c' è un attacco all' autonomia dei magistrati. se non diciamo questa verità e subiamo una campagna falsa, a mio giudizio, da questo punto di vista , facciamo un torto al Parlamento, a noi stessi e impostiamo, in modo sbagliato, il necessario confronto con la magistratura. ho letto la relazione della presidente dell' Associazione nazionale dei magistrati che credo non contenga solo critiche, ma anche proposte delle quali il Parlamento dovrà tener conto, come teniamo conto delle osservazioni provenienti dai comuni, dalle regioni, dai professori, da tutti. il Parlamento deve dialogare con il paese e tener conto di quello che il paese propone, soprattutto nelle sue espressioni più qualificate. a mio giudizio, questo dibattito dovrebbe aiutare a sgombrare il campo da posizioni propagandistiche, da timori, da timori politici. all' onorevole La Malfa vorrei dire che ognuno è padrone di ritenere che le riforme si debbano o non si debbano fare, ma certamente non è vero che il processo riformatore mina la stabilità politica . una cosa è sicura da questo punto di vista : l' aver avviato un processo riformatore è stato un elemento di rafforzamento nella stabilità politica ed istituzionale del paese. questo mi è ben chiaro e me ne sono assunto la responsabilità, a garanzia di una stabilità politica che credo di aver costruito come altri, ma non meno di altri, per il paese. penso che ce la faremo; ce la faremo in quanto ci libereremo da ragioni contingenti, da calcoli strumentali, da preoccupazioni legate allo sviluppo dei nostri movimenti politici , dal timore che se accettassimo una certa riforma, qualcuno potrebbe costituire un movimento; però, ragionando così, saremo sconfitti. qui non c' è nessun asse! si è polemizzato perché in una certa fase c' era l' asse D' Alema-Berlusconi , l' inciucio; adesso si parla dell' asse D' Alema-Fini . è veramente deprimente introdurre, in un dibattito così importante per il futuro del nostro paese, argomentazioni desunte dalla polemica politica quotidiana più trita! credo che qui costruiremo un asse, diciamo così, tra quanti comprendono che stiamo gettando le basi di una nuova stagione democratica per il nostro paese. sono interessato a che le riforme, come ho detto più volte, siano sentite come proprie dalla grande maggioranza degli italiani e del Parlamento; sono disposto a collaborare con tutti quelli che guardano lontano e vogliono dare un' impronta al processo riformatore, indipendentemente dalle proprie opinioni politiche. l' onorevole Berlusconi ha pronunciato un discorso in questa sede, ma ha ragione l' onorevole De Mita quando sostiene che quel discorso non guarda lontano, perché appare prigioniero di convenienze, di problemi, di divisioni... è un giudizio mio che lei potrà anche contestare. penso, e lo dico con dispiacere, che anche nell' impostazione di Rifondazione comunista ci sia un residuo ideologico, propagandistico, perché non è vero che in questa proposta c' è il presidenzialismo, altrimenti non avremmo ricevuto tante critiche da quella parte, così come non è vero che in questa proposta c' è una spallata all' autonomia dei giudici. quindi, non essendo vere le due critiche principali, tutto il ragionamento appare indebolito da una impostazione propagandistica. so bene che Rifondazione comunista rappresenta una ricchezza di cultura e di rappresentanza sociale e spero che questa forza sia nel processo costituente non con un' impostazione propagandistica, ma con la ricchezza delle sue proposte, più di quanto non sia avvenuto sin qui. ritengo che questo sia lo spirito con il quale il Parlamento può vincere la sua sfida. non è soltanto una sfida del Parlamento e del ceto politico: sono convinto che il successo delle riforme sia il successo dell' Italia.