Pier Ferdinando CASINI - Deputato Opposizione
XIII Legislatura - Assemblea n. 304 - seduta del 28-01-1998
Revisione della parte seconda della Costituzione
1998 - Governo I Prodi - Legislatura n. 13 - Seduta n. 304
  • Attività legislativa

signor presidente , la necessità di procedere alla riscrittura della seconda parte della Costituzione nasce da due ragioni di fondo. la prima ragione è la fine della guerra fredda , la sconfitta delle ideologie, il compimento della vita democratica . la seconda ragione è la crisi della democrazia dei partiti, almeno come l' avevano immaginata i padri costituenti del 1946-1948 e come l' avevano praticata le forze politiche dopo di allora. è un passaggio solenne, una svolta profonda nella nostra vita nazionale. molti hanno sottolineato il rischio di un certo continuismo. noi riscriviamo, appunto, la seconda parte e teniamo ferma la prima, quella sui valori. è vero, ma non sottovalutiamo le differenze da allora ad oggi. allora eravamo un paese lacerato, una democrazia fragile e minacciata, avevamo paura gli uni degli altri. il compromesso fu cercato sulle garanzie, sulla reciproca difesa. il lavoro della Costituente fu lo spartiacque tra una guerra di liberazione non ancora archiviata e un' aspra contesa ideologica appena divampata. è forte la continuità di alcuni valori, ma non è meno forte il passaggio epocale che stiamo attraversando e non deve essere meno forte, quindi, la nostra spinta innovativa. per anni si è lamentato che mancasse un motore per le riforme. la Francia ha avuto la crisi algerina per passare dalla quarta alla quinta Repubblica ; noi abbiamo affidato alla politica, ai partiti, al Parlamento la possibilità di una sua rigenerazione. le delusioni dei tentativi del passato hanno lasciato il segno. anche per questa ragione avevamo proposto un' Assemblea costituente ; volevamo darci un appuntamento a cui il popolo sovrano partecipasse fin dall' inizio e nel modo più forte, un appuntamento che fosse sganciato dalla quotidianità della politica, dalle logiche di maggioranza, dalle fedeltà di schieramento. si è scelta un' altra strada; l' abbiamo condivisa malvolentieri e solo a patto che portasse alla stessa destinazione, cioè quella di un nuovo rapporto tra lo Stato e i cittadini. oggi, onorevoli colleghi , valutiamo appena una tappa di questo cammino, il testo che viene presentato all' Assemblea. è una tappa che giudichiamo insufficiente, per molti aspetti deludente, ma che pure segna l' inizio di un cammino. la domanda che ci poniamo e che orienterà il nostro voto è se questo cammino prosegue, se si fa più spedito, se è destinato ad arrivare ad un esito di vera riforma. finora questo cammino ci ha portato, almeno sulla carta, a disegnare un semipresidenzialismo innovativo ma controverso, un federalismo fin troppo timido e ritroso e una giustizia che cerca ancora un assetto di maggiore equità. proverò ad analizzare questi aspetti uno alla volta. forma di Stato. la bozza approvata sulla scorta dell' intelligente fatica del senatore D'Onofrio muove dal principio di sussidiarietà. non ho bisogno di ricordare che si tratta di un principio cardine della dottrina sociale cristiana, ma anche di un riferimento delle politiche e degli orientamenti di quasi tutti gli Stati europei . con questo tentativo di riforma cambia il concetto di sovranità nazionale. cambia per via dei poteri che l' Europa avoca alla comunità sovranazionale e cambia per via dei poteri che lo Stato restituisce alle autonomie locali. è questa, forse, la più grande rivoluzione del nostro tempo tra radici localiste che premono dal basso e globalizzazione dei mercati, dei costumi e forse, un domani, delle leggi, che si verifica sopra la nostra testa. noi reputiamo cruciale — lo dico al presidente D'Alema — ai fini di una nuova architettura dello Stato, che questa parte della riforma non resti arenata in quel groviglio di pigrizia, di ritardi, di conformismi, di conservatorismi istituzionali che minacciano il nostro lavoro. vi sono alcuni nodi irrisolti che sicuramente fanno parte di quel groviglio. D'Onofrio ne ha elencati cinque ed io li voglio ricordare nello stesso ordine: è troppo generico il potere legislativo dello Stato in materia di interesse nazionale ; il sistema impositivo locale non è un pieno federalismo fiscale ; il Senato non diviene una Camera di autentico snodo federale; le assemblee legislative regionali non partecipano al procedimento di revisione costituzionale; non è chiaro infine il senso dell' autonomia speciale delle regioni. c' è poi un sesto nodo da sciogliere che riguarda il rapporto tra pubblico e privato, tra poteri pubblici e iniziativa dei singoli, quella che D'Onofrio ha chiamato la sussidiarietà orizzontale. lo scioglimento di questi nodi per noi è decisivo. diamo atto alla Lega di aver fatto sventolare per prima la bandiera del federalismo, quando molti erano legati ad un' idea, ad una prassi centralista dello Stato. ma ora, paradossalmente, quella bandiera rischia di andare smarrita tra derive secessioniste e pulsioni centraliste che si alimentano a vicenda . il movimento politico dei cattolici — lo dico agli amici popolari — fu decisivo alla Costituente nel battere le resistenze di Togliatti e del Pci contro le regioni. oggi deve essere altrettanto capace di ricavare dalle sue ispirazioni il principio che esiste un legame non egoistico, non gretto tra le risorse prodotte e i diritti della comunità. questo legame, per noi, si chiama federalismo e noi lo coltiviamo come un antidoto fondamentale tanto all' arroccamento del paese quanto alla sua disunione. vogliamo ribadire una volta di più che questa non è una battaglia di circostanza, è un processo, non un prodotto; un divenire, non ancora una conquista. conosciamo gli ostacoli e le resistenze. per molti, anche in quest' Aula il federalismo è una questione marginale, per noi è decisiva. misureremo principalmente su questo terreno e sull' accoglienza riservata ai nostri emendamenti come a quelli presentati dai comuni, dalle province, dalle regioni, il grado di innovazione dell' intera riforma costituzionale . forma di governo : vengo al semipresidenzialismo. è persino rituale ricordare da parte nostra che l' elezione diretta del Capo dello Stato è uno dei fulcri delle proposte istituzionali del Polo. il nostro partito ha concorso in Commissione a votare a favore consapevole della portata di questa novità e delle resistenze che sentivamo già allora intorno ad essa. oggi queste resistenze aumentano. da un lato si rimette in discussione il principio dell' elezione popolare diretta del Capo dello Stato nel nome di una tradizione parlamentaristica da salvaguardare; dall' altra si contestano i pochi poteri concessi al Capo dello Stato nel nome della pienezza e della coerenza del disegno presidenzialista. è bene osservare, colleghi, che queste due critiche sono opposte e non giova alla chiarezza che a volte si sommino l' una all' altra nel segno di un verdetto definitivo e senza appello. i poteri, le competenze, le responsabilità del presidente eletto — lo ha detto il relatore Salvi — non ci sembrano così scarne; riguardano la politica estera e di difesa, che ha effetti sempre più forti in tempi di frontiere aperte e di collaborazione internazionale; riguardano la possibilità, non arbitraria, di scioglimento delle Camere . non è poco. ci batteremo perché non sia meno di questo, almeno su questo punto, ma voglio dire con chiarezza che saremmo preoccupati se, invece, fosse di più. c' è, indubbiamente, qualche rischio nel paese di derive plebiscitarie. ma questi rischi stanno nella crisi della politica, nello smarrimento dell' opinione pubblica , nell' uso distorto del sistema della comunicazione. non si può confondere la domanda dell' uomo forte con la riforma presidenzialista. e non si può esorcizzare la deriva plebiscitaria limitando quello che a molti appare ormai come un diritto di scelta. si può invece, e si deve, porre un argine alla tendenza a personalizzare oltre misura il processo politico. questo è il senso di alcuni contrappesi che la Commissione bicamerale ha individuato e ai quali, per la parte nostra, terremo fede nel voto sugli emendamenti. ci sembrano esagerate certe paure ed esagerate certe sottovalutazioni. dovremo fugare le paure con un' azione di equilibrio e di bilanciamenti costituzionali, ma non vorrei che, all' estremo opposto, finissimo per dar corda all' idea che si tratta di una riforma all' acqua di rose. qui sta in fondo il cuore del passaggio che ci siamo ripromessi da un tempo all' altro della nostra Repubblica. qui si realizza una connessione forte con il federalismo. qui sta il di più di sovranità, di potere decisionale che viene restituito agli elettori. tornare indietro su questo punto, disperdere questa promessa, magari con un miraggio di un risultato migliore, ci sembra un errore e una miopia. la giustizia è la terza grande questione a cui la Commissione si è dedicata, con alterne fortune e nel mezzo di controversie politiche di principio che appaiono tuttora ben lungi dall' essere risolte. il relatore Boato è arrivato a chiedersi se esista uno stato di diritto . è una domanda così forte, così inquietante che lascia un dubbio a quanti l' hanno ascoltato, quale che sia la risposta che ciascuno in quest' Aula in coscienza si sente di dare. lo stato della giustizia è stato descritto efficacemente dal Capo dello Stato nel suo messaggio di fine anno . il presidente Scalfaro ha giustamente denunciato il « tintinnar di manette » , la troppa loquacità dei magistrati, la stessa incertezza del diritto. evidentemente, le indebite interferenze politiche dei magistrati non sono solo quelle che lamentava Calamandrei cinquant' anni fa. non c' è dubbio che un certo giustizialismo abbia condizionato la politica di questi anni, riservando agli uni una condanna, a volte immeritata e a volte no, e agli altri un vantaggio di parte che non ha a che vedere né con i meriti né con le virtù. la domanda se questo stato di cose non richieda un ripensamento di alcuni aspetti istituzionali non è tuttavia un aspetto della contesa politica; è un aspetto del rapporto tra lo Stato e i cittadini. la separazione delle carriere avrebbe garantito al meglio la parità tra accusa e difesa. è ovvio che se il giudice e l' accusatore fanno parte della stessa carriera, se uno dei due può essere superiore all' altro, se uno dei due può trovarsi un domani a giudicare l' altro, si forma uno squilibrio a tutto danno della difesa. parlo della difesa dei cittadini, non di quella dell' establishment politico e finanziario del paese. del resto, le due sezioni del Csm che senso hanno se non quello di riconoscere che questo problema esiste? noi abbiamo riconosciuto il problema, ma abbiamo dimezzato la soluzione. da parte nostra ci batteremo perché ci sia coerenza, perché la soluzione o sia coerente, intera, netta e forte, più di quanto non sia il problema che abbiamo davanti a noi, o non sia per nulla, perché è chiaro che c' è una schizofrenia nel testo finale a cui si è pervenuti. quello che non possiamo accettare in ogni caso è l' idea che esista un tabù, un argomento precluso da ragioni misteriose alla libera discussione e decisione parlamentare. c' è infine un convitato di pietra a questo tavolo delle riforme: è la legge elettorale . rispetto la tacita convinzione che ha portato in questo avvio di dibattito ad evitare di affrontare una questione che formalmente non rientra nell' ordine del giorno . ma avverto anche che una riforma costituzionale non può che essere un atto di reciproca garanzia. essa non può prevedere, da nessuna parte, una furbizia volta ad avvantaggiare gli uni o gli altri attraverso la forzatura dei meccanismi della rappresentanza. tutto si può fare in questa materia, tranne una cosa: decidere una legge controversa con una maggioranza risicata o casuale. questa considerazione vale per chi immaginasse un doppio turno di collegio congegnato in modo da favorire l' annessione di un partito rispetto all' altro e vale ancor di più per chi immaginasse un sistema elettorale tale da diminuire il grado di democraticità, di trasparenza nel consenso popolare. in nome di questi principi non andremo a lezione dal professor Sartori e ci faremo spiegare meglio quali sono gli ingredienti di una crostata politica che va per la maggiore. per ora constatiamo che la schizofrenia dei sistemi elettorali crea sconcerto tra gli eletti e gli elettori. basti pensare alla necessità di una coerenza unitaria e all' attuale sistema in vigore per comuni, province, regioni, Camera e Senato: non ve ne è uno che coincida, nemmeno casualmente, con l' altro! mi avvio alla conclusione. signor presidente , mi è capitato di dire più volte nei giorni scorsi che noi non saremmo stati i dinamitardi della bicamerale. naturalmente, di dinamitardi ce ne sono molti altri. ce ne sono tra quanti si dedicano già al referendum, prima di avere misurato un risultato finale ancora in larga parte da costruire; ce ne sono tra quanti i referendum li vorrebbero moltiplicare, per trovarne almeno uno sul quale organizzare una maggioranza nel dissenso; ce ne sono tra quanti, all' opposto, vorrebbero imprimere su quel risultato un tale sigillo di conservazione da archiviare qualsiasi riforma per chissà quanto tempo. c' è poi il rischio di isolare le riforme dalla quotidianità della politica. un nuovo disegno può riuscire solo a patto di legarsi a comportamenti coerenti. esistono almeno tre condizioni politiche essenziali da rispettare. la prima. deve finire la commistione tra partiti e Stato. il superamento delle pratiche di occupazione della società e delle istituzioni; la diminuzione del tasso di statalismo; un ripensamento del rapporto tra politica ed economia sono parti essenziali di un nuovo assetto della Repubblica. la seconda. non deve mai più riaffiorare la tentazione di demonizzare l' altra parte, di trasformare l' avversario in nemico, di ricorrere a pratiche di delegittimazione che non hanno più ragione, a partire dalla fine della grande guerra ideologica che è stata combattuta in questo secolo e che nel nostro paese si è conclusa con la piena affermazione di quei valori di democrazia e di tolleranza che solo cinquant' anni fa, al tempo di De Gasperi , erano così insidiosamente minacciati. questa considerazione — è ovvio — riguarda anche il tema della giustizia. non ho bisogno di ripetere che non è un paese normale , onorevole D'Alema , quello in cui una parte politica viene colpita per via giudiziaria; tanto meno può dirsi normale un paese in cui un' altra parte politica viene inopinatamente risparmiata da indagini, accertamenti, processi. la terza ed ultima condizione. deve rafforzarsi un tessuto di rappresentanza, di associazionismo, di partecipazione politica, che il lungo disincanto degli ultimi venti-trent' anni e le difficoltà della nostra transizione ancora incompiuta hanno finito per sfilacciare. sapremo, signor presidente , rispettare questa condizione? anche questi comportamenti fanno parte di un tentativo di novità politica ed istituzionale a cui siamo chiamati. c' è, infine, una condizione in più, fondamentale, che riguarda la capacità del Parlamento — e, soprattutto, della maggioranza — di sottrarsi a logiche di parte. anche su questo si misurerà uno spirito costituente, che fino ad ora abbiamo sentito aleggiare in modo assai debole e confuso. l' onorevole D'Alema ha invitato tutti a non spezzare il filo del dialogo. è un invito che non respingiamo. noi diciamo a lui, però, di non attorcigliare troppo quel filo e di non volgerlo nelle direzioni degli interessi della sua parte. il filo delle riforme non può essere un filo rosso e nero, tessuto nel segno di una impensabile rivincita postuma degli eredi delle ideologie sconfitte; deve essere, al contrario, un filo pluralista. se quel filo riuscirà a legare maggioranza ed opposizione in un disegno istituzionale comune ed innovativo, non saremo certo noi a spezzarlo!