Pier Ferdinando CASINI - Deputato Maggioranza
XII Legislatura - Assemblea n. 310 - seduta del 10-01-1996
1996 - Governo Dini - Legislatura n. 12 - Seduta n. 310
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , siamo qui oggi in quest' Aula per assumerci delle responsabilità; non possiamo nasconderci dietro Dini o scaricare sull' Esecutivo contraddizioni che sono della politica, dei partiti, dei due poli. c' è stata all' inizio di questo dibattito una franca ammissione: il Governo tecnico ha esaurito il suo ruolo; anche per noi, come ha ricordato questa mattina il collega Rocco Buttiglione. non partecipiamo però al gioco dello scaricabarile. per noi l' « inciucio » è rappresentato da un lato da chi desidera non sciogliere i nodi e andare avanti giorno per giorno — in una parola, tirare a campare — , dall' altro da chi innesta un conto alla rovescia per il Governo, che da domani sarebbe delegittimato e a sovranità limitata ; e noi diciamo che non serve, per assolvere i nostri impegni europei, un simile Governo. in questo anno il percorso tra noi e il presidente del Consiglio è stato diverso. non abbiamo condiviso le modalità della nascita del Governo, non il percorso, non i deragliamenti, come quelli sulla giustizia, non il profilo tecnico, a volte troppo sensibile ai bisogni di una parte politica . ma il presidente del Consiglio ci darà atto — come credo e spero daranno atto i cittadini — che mai ci siamo sottratti all' assolvimento delle nostre responsabilità, così sulle pensioni, così sulla legge finanziaria ; gli interessi del paese prima di tutto. d' altro canto lo scenario italiano merita questi sacrifici del proprio particolare. è uno scenario non roseo: una crisi epocale e mondiale, ma tanto più italiana, dello stato sociale ci obbliga finalmente alla trasformazione di uno Stato assistenziale in uno stato sociale moderno; un deficit pubblico fuori controllo e le contraddizioni socio-economiche destinate ad aggravarsi alla luce dei parametri di Maastricht, cui siamo sensibili perché vogliamo continuare nel cammino europeo; una Pubblica Amministrazione e servizi pubblici inadeguati; un sistema della giustizia che non gode più di un clima di serenità; una conflittualità che si è registrata, per molti versi, tra potere legislativo e magistratura; una cultura del sospetto, che ha paralizzato e paralizza migliaia di amministratori e pubblici funzionari onesti; la disoccupazione, che in alcune aree del paese raggiunge livelli del 30 per cento , soprattutto nel Mezzogiorno; la criminalità, flagello dello stesso Mezzogiorno. ed è solo nostro dovere ricordare che un' Italia a due velocità non può entrare in Europa! onorevoli colleghi , abbiamo dunque il dovere di uscire da quello che si definisce il « teatrino » della politica. e in questo « teatrino » una delle rappresentazioni che va per la maggiore è quella che oppone il partito della chiarezza al partito del rinvio. non è così! la divisione vera è quella che oppone in campo istituzionale uomini e partiti che vogliono cambiare subito a uomini e partiti che non vorrebbero cambiare mai, o si illudono che sia possibile aspettare. c' è su questo tema una trasversalità vera in quest' Aula, come hanno dimostrato le iniziative dei giorni scorsi, che noi seguiamo con attenzione, degli onorevoli Segni, Occhetto ed Adornato. vi è una trasversalità vera, che deve coincidere con una libertà di coscienza dei parlamentari. fuori dalle « conventicole » dei partiti ciascuno si deve assumere davanti alla nazione una responsabilità personale in ordine al percorso di rinnovamento vero delle istituzioni. il vero partito del rinvio è quello che, da un lato, vorrebbe le elezioni a giugno e, dall' altro, usa le elezioni per sottrarsi alle sue contraddizioni in materia istituzionale. a questo partito trasversale , che vorrebbe scambiare la riforma, che non sa realizzare, con le elezioni, da cui si illude di trarre giovamento, noi vogliamo opporre la nostra forte volontà politica di mettere mano, oggi e non domani, alla seconda Repubblica . a questa condizione, le elezioni possono essere rinviate; se questa condizione non c' è, allora è più giusto votare subito! ma noi vogliamo realizzare questa condizione e chiamare all' appello in quest' Aula i parlamentari che hanno eguale sensibilità. e bisogna dire che il primo ostacolo a tale progetto è la cultura istituzionale conservatrice di una parte del centrosinistra, una cultura aggrappata ad una tradizione nobile ma datata; ed è così datata da diventare un freno. una cultura, onorevole Andreotti, che porta il Partito Popolare italiano a vedere nel presidente eletto dai cittadini quasi l' incarnazione di un demonio antidemocratico e che porta D'Alema — pur così desideroso di organizzare accordi elettorali — ad avere tante perplessità in ordine al dialogo istituzionale con la Lega. d' altronde , il programma di Prodi è la rappresentazione visiva di questo ostacolo: in 88 tesi e 133 pagine, infatti, non si parla mai del presidenzialismo — evidentemente non si vuole la scomunica del professor Elia — ma non lo si esclude nemmeno, per non perdere qualche « fogliolina » tra le più verdi dell' Ulivo. prima di una proposta comune va dunque recuperato lo spirito giusto; va recuperato lo stile di una contrapposizione, lo spirito che, durante il periodo della guerra fredda — mi rivolgo ad un costituente presente in quest' Aula: all' onorevole Iotti — portò cattolici, liberali e comunisti non ad essere i protagonisti della nascita consociativa dell' Italia, ma a ricostruire il paese ed a mettere le basi di una convivenza comune. quello stesso spirito in Germania porta i democratici cristiani ed i socialisti, pur in presenza di grandi polemiche, a concorrere assieme, da due posizioni diverse, a realizzare il grande disegno dell' unità tedesca; quella stessa unità negli USA porta democratici e repubblicani, in presenza di grandissime contrapposizioni politiche, a condividere la necessità di un' intervento militare in Bosnia. un grande patto nazionale che non ha nulla a che fare con la consociazione permanente, che non annulla le diversità ed i ruoli anzi li nobilita: questa per noi (per il centro cristiano democratico , per i cristiano-democratici uniti e per la LIF) è l' accettazione di un minimo comune denominatore di valori condivisi, su cui fondare la rinascita italiana. tutti sono legittimati in questo processo: c' è la fine della democrazia bloccata, finalmente, non c' è più la conventio ad excludendum di una parte del paese. non è un dato numerico, amici della destra, è un elemento politico istituzionale e non è un caso che la parte più avvertita della sinistra, anche in quest' Aula, anche nei momenti di maggiore contrapposizione con Berlusconi, abbia riconosciuto al leader di Forza Italia su questo terreno il merito storico di aver sdoganato la destra, e questo è un merito di cui vogliamo farci vanto in un momento così difficile per il nostro paese. oggi, dunque, mi chiedo e chiedo alla sinistra se sia possibile continuare nella politica del giorno per giorno, senza sciogliere i nodi. il direttore del Il Corriere della Sera ritiene che se non si vota siamo in un pantano. è vero, il rischio c' è, ma è almeno pari, direttore, a quello di votare con vecchie regole, producendo un voto nullo e ambiguo o nessuno in quest' Aula, anche quanti preferirebbero la strada elettorale subito, ignora questo rischio. senza una nuova legge elettorale , senza una completa trasformazione istituzionale, infatti, il nostro sistema rischia di produrre risultati permanentemente ambigui. perché si è esaurita la carica emotiva del 27 marzo, amici del Polo? perché la gente appare sempre più stanca di questa politica, come il Censis puntualmente rileva? perché siamo a metà del guado, nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica , perché un sistema, su cui tante speranze si fondavano in ordine al cambiamento possibile, registra i vizi della proporzionale, senza i vantaggi del maggioritario. ed io in queste condizioni, lo dico con franchezza, rifiuto la frenesia un po' incosciente, con cui si vorrebbe correre alle urne per addossare alla prossima legislatura quei problemi istituzionali che rinunciamo a risolvere in questa. più il tempo passa e più si perdono occasioni, più i problemi si complicheranno e più saranno destinati ad ingarbugliarsi. più che gli ostacoli, oggi dobbiamo cogliere le opportunità e queste risiedono nella disponibilità delle forze politiche , nella consapevolezza che senza riforme anche il voto anticipato sarebbe sterile o fonte di nuove frustrazioni. il presidente Dini ha correttamente indicato tre strade tra le quali noi prediligiamo la prima: un percorso costituente, un grande impegno per il paese. ma non è serio, lo dico senza polemica all' onorevole D'Alema , farlo balenare e confidare che si sciolga al sole elettorale di giugno, né annunciarlo come miracolo — lo dico ad altri questa volta — per poi seppellirlo sotto una coltre fitta di scetticismo e di incredulità. di questo percorso, colleghi deputati, ha fatto parte nei giorni scorsi l' esplorazione onesta e generosa di Silvio Berlusconi condotta fuori dagli interessi di partito, un tentativo impopolare per vedere se vi era e se vi è la possibilità di un' intesa. di questo percorso fa parte là fine del Governo tecnico e la nascita di un Esecutivo politico in cui la presenza dei politici sia garanzia di questo gentlemen' s agreement reciproco. una discontinuità è necessaria e mi si consenta di dire che è necessaria soprattutto per alcuni ministri, che saranno anche tecnici, ma che vedo molto attenti a coltivare relazioni politiche in vista delle prossime elezioni. siamo dunque per formalizzare una crisi che di fatto è già aperta: formalizzarla oggi per finalizzarla subito all' apertura della fase costituente. e lo diciamo da questa sede con rispetto al presidente della Repubblica , senza preclusioni per il timoniere che ha fatto onestamente il suo dovere. questo percorso non è un attentato alla democrazia maggioritaria, ma è l' unico modo per radicarla effettivamente. un anno fa, nel disinteresse generale, nello scetticismo dei più, il centro cristiano democratico per primo lanciò il tema dell' Assemblea costituente , eletta con il concorso del popolo. è un' idea che ha registrato alti e bassi e che oggi viene riproposta nel dibattito parlamentare a cui partecipiamo. certo, se dobbiamo pensare all' altra Assemblea costituente , il contesto è completamente diverso, perché nel 1946-1948 c' era la guerra fredda e su tutto prevaleva la preoccupazione di non ricadere nella dittatura. i costituenti allora si illudevano che il Governo debole fosse la garanzia più sicura contro il ritorno delle maniere forti; ogni ipotesi presidenzialista è stata per decenni criminalizzata ed equiparata al fascismo; nel nostro paese non si è nominato De Gaulle , per molto tempo lo si è quasi esorcizzato e criminalizzato. oggi vogliamo rilanciare non solo il tema dell' Assemblea costituente sul piano del metodo, ma anche due grandi obiettivi che debbono trovare un' intesa possibile all' interno del Parlamento, quello del presidenzialismo e del federalismo. faccio riferimento ad un presidenzialismo corrispondente ad una dilatazione dei poteri presidenziali che di fatto si è già verificata: basti pensare a come hanno operato, anche con lungimiranza, presidenti della Repubblica come Pertini, Cossiga e oggi Scalfaro; un modello che ci porti non negli USA, dove non c' è la nostra tradizione di multipartitismo, ma più vicino, e corrisponda ad un accrescimento della responsabilità degli elettori, un modello francese nel quale il potere sia condiviso tra presidente e Parlamento. su questa strada è possibile attuare il doppio turno non come baratto, ma come accordo dignitoso tra i due poli. quanto al federalismo, noi lo chiediamo per il nord e per il sud del paese, secondo un sistema che favorisca, in ragione della sua maggiore affinità, la nostra piena integrazione europea ; un federalismo fiscale come antidoto vero alla secessione. a tale proposito voglio ricordare che i cosiddetti centristi democristiani, prima ancora della nascita del nostro partito, parlarono già di presidenzialismo e federalismo. sottolineando che questo è il nostro punto di partenza , voglio far presente che quando si apre un processo costituente vero nessuno può decidere prima quale sarà il punto di arrivo , ma se non ci si mette mai in cammino siamo sicuri che non si arriverà mai da nessuna parte. questa è una condizione ineludibile per costruire la democrazia dell' alternanza. siamo stati bipolari, signor presidente , quando ciò rappresentava un' eresia e per questo abbiamo sacrificato l' unità di un grande partito non accettiamo lezioni o insinuazioni, che peraltro vengono regolarmente smentite dai fatti. il bipolarismo non è mai la rissa, non è lo strappo del tessuto istituzionale, non è la demonizzazione dell' avversario, né l' irrisione dell' alleato né il pugno chiuso teso a colpire un oratore contrario; il bipolarismo, quando fosse trasformato in campagna campale senza quartiere, sarebbe — questo sì — un regalo ai nostalgici della prima Repubblica . il nostro bipolarismo è un' altra cosa, si fonda sulla condivisione delle regole, sul rispetto dell' autonomia, delle competenze, sulla neutralità delle istituzioni. se tutto questo non è, non c' è un bipolarismo più lineare e magari più muscoloso, al contrario ce n' è uno precario e destinato prima o poi ad infrangersi sul muro delle sue stesse esagerazioni. se non assumiamo questo impegno, il rischio di tornare indietro è forte; lo è per chiunque vinca le elezioni e lo è ancora di più per il paese se nessuno, come è possibile, le vincerà.