Fausto BERTINOTTI - Deputato Opposizione
XII Legislatura - Assemblea n. 300 - seduta del 14-12-1995
In merito all'invio di un contingente militare italiano in Bosnia
1995 - Governo Dini - Legislatura n. 12 - Seduta n. 300
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , signori del Governo, deputati, questo Parlamento ci scuserà se facciamo uno strappo rispetto alla regola che richiede una discussione, per altro impegnata, su una questione come quella oggi all' ordine del giorno riguardante l' ex Iugoslavia, un problema che concerne un binomio cruciale nella storia del nostro tempo, come quello del rapporto tra la pace e la guerra. se facciamo questo strappo — mi rivolgo soprattutto a lei, onorevole presidente — è perché riteniamo che possa intervenire in queste prossime settimane un fatto o dei fatti i quali potrebbero essere di estrema gravità per il paese. pertanto sentiamo il dovere di esprimere qui un allarme democratico. l' ultima volta che in quest' Aula si è discusso con la ripresa diretta delle telecamere e perciò alla presenza di tutto il paese, il presidente del Consiglio ha annunciato solennemente la sua intenzione di dimettersi entro e non oltre il 31 dicembre di quest' anno. non avremmo alcun dubbio sull' impegno preso e sulla determinazione di mantenerlo, ma sentiamo tirare una cattiva aria, sentiamo alzarsi un clima in cui tutto si può corrompere a scapito della chiarezza. « pasticcio » è un termine che non darebbe l' idea della gravità di quello che si determinerebbe se questo impegno solenne non venisse mantenuto. questo impegno solenne può essere osservato in un solo modo, con la rimessione esplicita del mandato al presidente della Repubblica e con la connessa fine dell' esperienza di Governo. questo atto non può essere sostituito da un dibattito qualsiasi, anche di fiducia o sfiducia, su un Governo che ha già annunciato solennemente a questa Camera la sua volontà e determinazione di dimettersi. dopo le dimissioni non c' è altro che la possibile consultazione del presidente della Repubblica , o per fare un nuovo Governo, qualora se ne trovi la maggioranza, oppure — come noi crediamo — per andare alle elezioni. se non vi fosse un atto di questo genere, ossia le esplicite dimissioni del Governo e la sua fine, saremmo di fronte ad una lacerazione drammatica delle regole parlamentari e della democrazia, saremmo di fronte ad un colpo di stato , seppure bianco. lo diciamo fin d' ora alla sua alta responsabilità, perché le conseguenze di questo strappo sarebbero incalcolabili. per parte nostra ci alzeremmo con tutta la nostra forza, con tutta la forza di cui saremmo capaci per difendere l' onorabilità di questo Parlamento. ma ancora più grave sarebbe la sfiducia che si aprirebbe tra i cittadini e lo Stato, tra i cittadini ed il Parlamento. signore e signori, abbiamo lanciato questo allarme democratico pur sapendo di suscitare un problema. siamo solo colpiti per il fatto che altri non avvertano questa urgenza democratica. noi avvertiamo tutta l' importanza del problema che qui stiamo a discutere. ci ha ispirati sempre l' esigenza di lavorare per la pace e di lavorare alla pace con la pace! abbiamo indagato anche in quest' Aula sulle cause del conflitto, sulla crisi della politica che ha determinato la rottura di grandi costruzioni statuali che erano state capaci di andare oltre la comunità e l' etnia; e, invece, abbiamo dovuto registrare le tendenze gravi che avevano ridisegnato le prepotenze del mercato, dei mercati d' armi, e anche le responsabilità — sì! — delle cancellerie europee, di paesi importanti come la Germania che hanno accumulato gravi responsabilità nel veder nascere o leadership nazionaliste o, addirittura, xenofobe. si è coltivata l' illusione che un intervento militare avrebbe potuto risolvere la contesa e portare alla pace; si è consentito che l' Onu logorasse la sua autorevolezza e la sua capacità di iniziativa politica in un' oscillazione tra la ricerca della pace e la presunzione dell' intervento militare. noi, che abbiamo indagato su queste dimensioni e su questi problemi, siamo oggi meno ottimisti di altri sulle possibili conseguenze dell' accordo di Dayton, che ci pare più una tregua che non il raggiungimento della pace. anche noi, come il ministro degli Esteri , siamo attenti ed interessati ad ogni forma di ripresa della vita civile in paesi così martoriati; ma temiamo che questa ripresa di vita civile sia tutt' altro che stabile e garantita: in ogni caso, è pagata con forme di apartheid etnico che non sono solo — come sembra credere l' onorevole Andreatta — l' eredità di pure tragiche vicende di questi mesi, ma anche il rischio che incombe su di un futuro di divisione e di nuovo conflitto. il mancato ritorno di centinaia di migliaia di profughi nelle loro case costituisce un ulteriore elemento di minaccia della possibilità di realizzare davvero la pace. ecco la nostra preoccupazione: oggi abbiamo una tregua, ma domani? domani vi è il rischio soltanto che prenda forza e consistenza quello che è l' elemento saliente di questa tregua: l' intervento della NATO ed il rischio di una perduranza nel tempo dell' intervento della NATO e di un' allargamento nello spazio! la NATO ed il suo intervento come l' elemento caratterizzante di una situazione incerta ed inquieta! la pace? guardiamo i limiti di questo accordo e gli elementi che riguardano non solo i profughi senza case ma anche, addirittura, maggioranze di interi popoli che non si ritengono pacificati. guardiamo inoltre i segni dei piani economici che si delineano, che sembrano voler privilegiare alcune aree contro altre. anche oggi, nel suo intervento a Parigi, Clinton è sembrato essere molto pensoso circa le sorti della pace. lei stessa qui, signor ministro, ha usato parole preoccupate; le sue parole sui profughi sono importanti! le poniamo però il seguente quesito: questi accordi, e soprattutto l' intervento così come si delinea non contraddice questa preoccupazione? la natura di tale intervento non minaccia, invece che aiutare i processi di cui vi sarebbe bisogno? noi siamo preoccupati — certo, come tutti — in primo luogo per le vite umane , anche di nostri connazionali, che possono essere messe a rischio. non c' è nessun elemento egoistico in ciò; parliamo di vite umane , come di quelle che lì sono state duramente provate. ci chiediamo tuttavia qualcosa di più: questa è davvero una missione di pace , oppure è una missione che contiene degli elementi di ambiguità e di guerra e che espone particolarmente alcuni nostri connazionali al rischio della loro vita? questi connazionali non sono una indistinta umanità — come è stato affermato in questa sede — ma sono, invece, nella memoria di quei popoli, forze che erano state occupanti. in molti paesi della Bosnia vi sono ancora lapidi che ricordano i morti nel conflitto contro gli odiosi occupanti italiani e tedeschi. il rischio, e l' esposizione al rischio, è per i nostri connazionali più alto che per altri. eppure avevamo ragionato, ci eravamo dichiarati disponibili, oltre questa preoccupazione, oltre la preoccupazione che interviene su qualsiasi forma d' intervento non volontario, se la missione fosse stata guidata, organizzata, sotto l' egida dell' Onu. così, invece, non è accaduto. noi, che vogliamo valorizzare l' intervento di quelli che sono stati chiamati i « caschi bianchi » , composti anche dai contingenti italiani, da obiettori di coscienza che volontariamente vogliono svolgere realmente operazioni di pace, esprimiamo la nostra ferma opposizione all' intervento dei militari italiani sotto la NATO: un intervento di parte, con una connotazione di guerra che rende la missione particolarmente rischiosa e contraddittoria con le finalità di pace che vogliamo rivendicare. perché non l' Onu? questa domanda è senza risposta. l' onorevole Andreatta diceva poco fa che bisogna essere partecipi dell' Europa; già, dell' Europa, dell' Europa nel mondo, dell' Europa nell' Onu, non della NATO. in paesi come la Germania — e concludo — nel Bundestag gli esponenti di molte forze si sono alzati per criticare l' intervento militare (non solo esponenti della Pds tedesca e molti parlamentari della Spd, ma anche la maggioranza dei parlamentari verdi). non avvertiamo in quest' Aula uguale tensione, uguale sensibilità. noi facciamo la nostra parte criticando l' intervento militare, contestandolo, e guardando con preoccupazione al rischio della guerra e vi diciamo che ne abbiamo discusso troppo poco, che il Parlamento non è stato sovrano in questa decisione, che è stata invece la decisione del Governo.