Gianfranco FINI - Presidente del Consiglio Maggioranza
XII Legislatura - Assemblea n. 126 - seduta del 24-01-1995
Autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio per l’esercizio finanziario 1948-1949
1995 - Governo V De Gasperi - Legislatura n. 1 - Seduta n. 24
  • Comunicazioni del governo

onorevole presidente , signor presidente del Consiglio , colleghi, credo innanzitutto di dover adempiere un dovere, che è quello di esprimerle, presidente Dini, tutta la nostra umana comprensione. lo faccio perché lei è vittima — e non per sua responsabilità, come cercherò di dimostrare da qui ad un attimo — di un evidente paradosso, una sorta di impazzimento della politica italiana . come abbiamo avuto modo di ascoltare, lei si accinge infatti a ricevere il voto di fiducia da una serie di uomini e di forze che certamente fino a qualche giorno fa davano di lei e del suo operato come ministro del Governo Berlusconi un giudizio assai diverso rispetto a quello che — un po' ipocritamente, a mio modo di vedere — le hanno espresso in quest' Aula. lei riceverà, infatti, il voto di fiducia dei parlamentari del gruppo del Pds, che fino a qualche tempo fa la consideravano un alfiere delle politiche antisociali. riceverà il voto di fiducia anche di chi, come l' onorevole Bossi, qualche tempo fa — quando era sconclusionato, come è stato stasera, ma assai meno nervoso — la definiva, con molto disprezzo, un ragioniere. riceverà il voto di molti deputati e di altrettanti senatori che non la stimano, o più correttamente che non l' hanno stimata o, per essere più preciso, che non l' hanno apprezzata. lei si è salvato, per un pelo, dal rischio di ricevere il voto anche da chi la considera una sorta di « brutto rospo » che purtuttavia doveva essere baciato perché, in caso contrario, chissà che cosa sarebbe successo. e non riceverà, al contrario, il voto di chi l' ha sostenuta quando è stato ministro del Governo Berlusconi, di chi l' ha stimata e di chi — glielo dico molto francamente — anche in questo momento tuttora la stima! è un evidente paradosso, è una sorta di impazzimento della politica nazionale e le responsabilità di siffatta situazione non sono, a nostro modo di vedere , imputabili alla sua persona. devo dire che i colleghi Fiori, Tatarella e La Russa hanno già espresso per Alleanza Nazionale quella che, a nostro modo di vedere , è la responsabilità di chi ha determinato una situazione che è apparsa con evidenza, a tutti o comunque a molti osservatori, diversa rispetto alle precedenti situazioni di crisi di Governo , fin dal dibattito che si è svolto in quest' Aula in occasione della seduta al termine della quale l' onorevole Berlusconi rassegnò le sue dimissioni. voglio, cioè, dire che era chiaro a molti che la crisi — apertasi per la decisione di un ex leader di partito, che aveva sostanzialmente deciso di togliere la fiducia al Governo di cui facevano parte i suoi uomini, senza però avere alcuna via di uscita politica — era diversa dalle precedenti anche e soprattutto perché questo è un Parlamento — e tornerò su tale argomento — eletto con una legge elettorale diversa dalle precedenti. era apparso chiaro, almeno a noi, ma non soltanto a noi, che nel momento stesso in cui fosse venuto meno il Governo Berlusconi — per decisione di chi qualche tempo fa amava dire, nell' immaginario leghista, che il 1995 sarebbe stato l' anno del samurai, mentre al contrario oggi si può tranquillamente definire come l' anno del kamikaze, perché non vi è mai stata opera di autodistruzione, negli ultimi tempi, più esigente di quella cui l' onorevole Bossi ha sottoposto se stesso e forse il suo partito, nel momento in cui si fosse aperta una crisi senza avere ben chiaro come risolverla, indubbiamente si sarebbe aperto un confronto politico molto aspro. ho ascoltato con attenzione, fra i tanti pregevoli interventi, quello svolto dall' onorevole Buttiglione che, se ben ricordo, ha anch' egli messo in evidenza come, avviata la crisi, si siano sostanzialmente confrontati dinanzi alla pubblica opinione non due blocchi di potere ma potremmo dire due scuole di pensiero, o comunque due modi certamente diversi di concepire la via di uscita ad una crisi di Governo apertasi in una repubblica parlamentare — il che è certamente rispondente a verità — ma con un Parlamento eletto, per la prima volta nella storia repubblicana, in virtù di una legge elettorale maggioritaria . credo, infatti, vada ricordato che questo è un Parlamento eletto per il 75 per cento con il sistema maggioritario e che quest' ultimo determina per forza di cose talune conseguenze, quando si apre una crisi di Governo , diverse da quelle che si producono in un sistema democratico parlamentare con un Parlamento eletto in virtù di una legge elettorale proporzionale. ho ascoltato alcuni interventi che mi fanno dire che il 18 aprile — credo di poterlo affermare, onorevole D'Alema , perché lei sa che noi le firme non le abbiamo raccolte, come sa anche che abbiamo preso atto, di un responso addirittura plebiscitario in ordine a quel referendum — molti hanno votato « sì » , e forse hanno anche raccolto le firme, nell' intima presunzione che anche se il referendum Segni fosse passato poi, in realtà, non sarebbe cambiato assolutamente nulla. ho avuto la conferma, da questo dibattito parlamentare , che non abbiamo sbagliato qualche tempo fa quando, in campagna elettorale referendaria, dicevamo: vi sono molti camaleonti che voteranno sì ma che hanno la convinzione che, pure se il maggioritario verrà introdotto, la regola rimarrà sempre la stessa. e la regola era ed è molto semplice: a chi appartiene, in una democrazia, la sovranità? si è affacciato questo ragionamento, che non è nuovo: ricordo un messaggio alle Camere del presidente della Repubblica di allora, Francesco Cossiga, che conteneva questo concetto, che tanto fece discutere. in una democrazia, a chi appartiene lo scettro della sovranità? appartiene al Parlamento o agli elettori che delegano i deputati ed i senatori ad esercitare il mandato? è stato un confronto aspro non voglio dire tra due modi diversi di concepire la democrazia (anche se tutto sommato lo potremmo dire senza scandalizzare nessuno): non vi è stato un confronto tra chi è democratico e chi ha tentazioni autoritarie o sogna derive plebiscitarie, ipotesi, queste, che sinceramente, onorevole Buttiglione, mi sembrano più sortite propagandistiche che serie analisi politiche. vi è stato piuttosto un confronto tra chi ritiene che, con un sistema elettorale maggioritario, il centro della sovranità sia negli elettori e chi ritiene che in presenza di una democrazia parlamentare con un Parlamento eletto con il sistema maggioritario , tale centro sia sempre e comunque nel Parlamento o addirittura nei partiti. un problema — dicevo — non nuovo, che forse si è affacciato soltanto in questa crisi, ma che è il problema o, se volete uno dei problemi. se andiamo a rivedere le posizioni assunte dalle due scuole di pensiero, dai due poli politici nel corso della crisi, ci accorgiamo, al di là di qualche asprezza del linguaggio — che vi è stata nell' una e nell' altra parte — come sempre accade quando lo scontro politico è su questioni serie — che il confronto si è prodotto tra chi, da una parte, come il Polo, sosteneva che, caduto un Governo, venuta meno una maggioranza politica in un Parlamento eletto con il sistema maggioritario , resasi evidente l' impossibilità di dare continuazione a quella maggioranza politica, fosse politicamente opportuno (in questo, onorevole Buttiglione, la penso esattamente come lei: si tratta non di liceità o di legittimità ma unicamente di opportunità politica), tornare a votare; e, dall' altra, chi, al contrario, riteneva che fosse politicamente opportuno verificare se in Parlamento esistessero le condizioni per dar vita ad un altro governo. le forze del Polo erano schierate a sostegno dell' opportunità politica del ricorso alle urne, il Pds ed il Partito Popolare (fra gli altri) erano schierati a sostegno della tesi della centralità del Parlamento in ogni caso e della necessità di verificare in quella sede la possibilità di costituire un altro governo. non voglio dilungarmi ulteriormente su questo punto. mi limito a sottolineare che accanto al Pds, al Partito Popolare ed a coloro che in buona sostanza erano stati sconfitti il 27 marzo, vi erano anche altri autorevoli interlocutori. non mi riferisco soltanto al ruolo che ha avuto il presidente della Repubblica — di cui parlerò da qui ad un attimo — ma ad esempio al ruolo dei sindacati, che in un corretto nuovo sistema democratico nel quale siano finalmente chiare le regole dovrebbero — io credo — essere ricondotti alla loro naturale ed istituzionale funzione, cioè quella di rappresentare interessi legittimi dei lavoratori e non di dare consigli al Capo dello Stato o ad altri. sostanzialmente, poi, durante questa crisi di Governo il ruolo assunto dalla Confindustria è stato analogo a quello dei sindacati. so bene che simili scelte sono state motivate con argomenti seri, che la pubblica opinione percepiva, se non come reali, almeno come esercitanti un certo tipo di richiamo: vi è una situazione economica che non può aspettare e si avverte la necessità di cavalcare una ripresa economica certamente in atto. in proposito, credo che bene abbia fatto Berlusconi a dire che se la ripresa economica è in atto sicuramente lo si deve alla congiuntura internazionale, ma anche al fatto che negli ultimi sette, otto mesi qualche cosa di positivo è stato sostanzialmente compiuto sulla base del lavoro di un Governo che aveva proprio lei, presidente Dini, a dirigere un ministero chiave. in realtà credo che l' atteggiamento dei sindacati ed in parte della Confindustria sia stato motivato, oltre che da questo richiamo alle esigenze dell' economia, anche da una valutazione più politica. in altri termini, il Polo delle libertà e del buon governo aveva vinto le elezioni del 27 marzo perché era riuscito a saldare un nuovo blocco sociale . l' analisi — e mi rivolgo soprattutto ai colleghi della sinistra — non è esclusivamente frutto della destra, ma è rispettabile ed è stata sostenuta anche dai banchi opposti ai miei. è innegabile che il 27 marzo si siano riconosciuti nel Polo tutti coloro che in qualche modo non erano più garantiti né dai sindacati né, nel mondo dell' imprenditoria, da una Confindustria che in Italia è certamente espressione, nel suo gruppo dirigente assai più che nella sua collegialità, di determinati potentati economici. ma anche di questo avremo modo di parlare, perché fra i problemi sul tappeto vi è quello delle regole. andrà affrontato e mi auguro che lo si possa fare quanto prima: non so se potremo esaminare la questione in un' Assemblea costituente ; lo faremo certamente in Parlamento, ma non vedo come si possa procedere ad un confronto su questo tema in un Governo. il Governo delle regole o quello in cui si sta un po' tutti insieme — anche se poi si è in dissenso sulle cose da fare — credo che sia, quello sì, un artificio dialettico degno dei bizantinismi della prima Repubblica . in ogni caso, il discorso delle regole deve per forza di cose comprendere anche un capitolo relativo alla reale rappresentanza o, se preferite, per proprietà di linguaggio, alla reale rappresentatività degli interessi sociali. non so se si voterà a giugno; in ogni caso se non si vota, a giugno ci si pronuncerà su qualche referendum. uno a noi pare di grande rilievo politico: quello relativo alla richiesta di abrogare le norme che consentono ai sindacati di avere una sorta di rappresentatività che non esitiamo a definire fittizia rispetto agli interessi reali dei lavoratori. ma anche di questo avremo modo di parlare. dicevo qualche istante fa che non vi è però ombra di dubbio che, fra i tanti motivi che hanno reso la situazione così difficile, uno a nostro modo di vedere deriva dal ruolo politico che ha assunto il Capo dello Stato . so che in questa parte del mio discorso entro in un terreno minato, avendo appreso di essere stato (credo da un senatore in vena di cercare facile pubblicità) niente meno che segnalato quale presunto colpevole di un grave reato qual è il vilipendio del Capo dello Stato . ritengo quindi, in questa circostanza, più che in ogni altra, di dover dosare le parole. penso, però, che rivolgere critiche politiche al presidente della Repubblica , sostenendo che egli ha assunto un ruolo politico in una crisi, non sia vilipendio. qualora si decidesse che, al contrario, di vilipendio si tratta, affronterei serenamente il giudizio di un' eventuale Aula di tribunale, anche perché l' unico tipo di giudizio nel quale posso essere chiamato a rispondere è quello per il classico reato di opinione. non vi è ombra di dubbio che il presidente della Repubblica ha avuto un ruolo politico. da qualche tempo a questa parte in Italia il Capo dello Stato — e non lo dico per il Capo dello Stato Scalfaro, ma anche riferendomi all' ultima parte del settennato Cossiga — pur in una Repubblica che è parlamentare, agisce come se la nostra fosse una Repubblica per certi aspetti assai somigliante ad una di tipo presidenziale. ancora una volta mi rivolgo ai colleghi della sinistra, ricordando quante polemiche, quanti dibattiti e — in quel caso sì — quanti vilipendi nei confronti di un presidente della Repubblica (Cossiga) che interveniva attivamente, decisamente, politicamente ogni qual volta riteneva fosse in qualche modo suo diritto dovere farlo. la sinistra in quella circostanza arrivò addirittura a proporre per il presidente Cossiga un procedimento di impeachment, ritenendo che si fosse in presenza di una lesione di fatto del giuramento del Capo dello Stato di fedeltà alla Costituzione. noi crediamo che il presidente Scalfaro nella crisi abbia assunto un ruolo politico ha affermato solennemente, nel corso del messaggio di Capodanno, ma anche nelle udienze alle quali tutti i leaders di partito sono stati chiamati dopo la crisi del Governo Berlusconi, che a suo modo di vedere non era assolutamente un fatto patologico lo scioglimento delle Camere , ma si trattava di una normale fisiologia democratica, pur essendo evidente a tutti che era un fatto traumatico. ha affermato altrettanto solennemente che in ogni caso andava rispettato il responso elettorale del 27 marzo; non ricordo chi abbia giustamente fatto presente nel dibattito che è la prima volta che il Capo dello Stato interviene rilevando che vi è la necessità di rispettare il responso delle precedenti elezioni. evidentemente — lo dico con assoluta certezza — anche al Capo dello Stato non sfugge che qualcosa di profondo è cambiato nello stesso momento in cui abbiamo un Parlamento eletto con il sistema maggioritario . certo, vi sono determinate conseguenze in assenza di regole. è innegabile che la crisi è stata resa ancor più difficile dal fatto che siamo passati da una repubblica parlamentare , che per tantissimi decenni si è basata su una legge elettorale proporzionale, ad una repubblica parlamentare con una legge elettorale maggioritaria , mantenendo però inalterato tutto il resto dell' edificio istituzionale. lasciate che lo dica come appunto critico nei confronti di chi votò quella legge. quando, infatti, in quest' Aula, nella scorsa legislatura, qualcuno da questi banchi invitava a stare attenti, perché si commetteva un errore madornale nel varare la legge elettorale mantenendo inalterato l' edificio della nostra Costituzione, chi oggi si lamenta del fatto che non vi sono regole sosteneva che la nostra era un' obiezione priva di senso. è innegabile — dicevo — che, dopo aver affermato che in teoria il Capo dello Stato era vincolato al fatto che la Costituzione è il vangelo laicus su cui giura un presidente della Repubblica e quindi sciogliere le Camere non è un fatto patologico ma solo traumatico, e dopo aver detto che il voto del 27 marzo andava rispettato — ecco la critica politica — egli in realtà si è comportato in modo difforme. è infatti apparso evidente a tutti che, pur considerando le elezioni un fatto fisiologico e non patologico, non aveva alcuna intenzione di prendere neppure in considerazione l' ipotesi di sciogliere il Parlamento se non dopo aver verificato l' impossibilità di dar vita ad un Governo. ma come ha operato tale verifica? rispettando il risultato del 27 marzo oppure al contrario tentando di sterilizzare e di allontanare quanto più possibile il significato politico di quel risultato? se essere accusati di vilipendio significa dire che a nostro modo di vedere il Capo dello Stato ha tentato di dar vita ad una maggioranza di Governo quanto più lontana possibile dall' esito elettorale del 27 marzo, allora di tale accusa mi faccio carico e ne rispondo dinnanzi agli italiani. prima di arrivare alla soluzione Dini, vi era qualche altro passaggio politicamente opportuno: il reincarico o il rinvio alle Camere. al contrario, ci siamo sentiti rispondere che, poiché i capi dei partiti che andavano al Quirinale per le consultazioni affermavano non esservi una maggioranza alternativa e poiché coloro che salivano al Colle dicevano al presidente Scalfaro che il rispettivo gruppo parlamentare di appartenenza non sarebbe stato disposto a rinnovare in sede di voto la fiducia a Berlusconi, non era possibile rinviare il Governo alle Camere, né conferire un reincarico. allora da umile allievo ad un maestro... se mi lasciate qualche secondo, credo di poter rispondere all' obiezione, se l' ho ben compresa. tante volte in passato ho sentito l' onorevole Scalfaro, quando non era ancora presidente della Repubblica , prendere la parola dai banchi parlamentari. ricordo che in un suo memorabile intervento — lo dico senza alcuna ironia — al termine del dibattito sul messaggio di Cossiga alle Camere, concluse dicendo: « viva il Parlamento! » . a me sarebbe piaciuto che simile linearità il presidente della Repubblica avesse dimostrato rinviando il Governo Berlusconi alle Camere per verificare se la sovranità è realmente nel singolo parlamentare che risponde del suo operato senza vincolo di mandato...... o se al contrario fa testo la parola del leader di partito che sale al Quirinale. non capisco, amici della sinistra, colleghi della sinistra, di cosa vi scandalizziate. ma siete veramente certi che l' Italia sia entrata nella democrazia dei fax? giustamente contestate la democrazia dell' iperpotere televisivo; ma quando ci si sente dire che fa testo un fax e che quest' ultimo è prioritario rispetto alla possibilità dei singoli deputati della Lega di esprimersi in Parlamento, allora credo che si sia ampiamente al di là... l' ultima occasione in cui, almeno personalmente — ma credo di poter esprimere perlomeno il pensiero di chi come me è stato denunciato per vilipendio — ho avuto qualche elemento in più per affermare che il presidente della Repubblica aveva agito per formare sì un Governo, ma un Governo molto lontano dalla maggioranza emersa con il voto del 27 marzo, ce l' ha fornita — onorevole presidente della Camera — proprio il presidente del Consiglio , dottor Dini. egli, in assoluta sincerità, ha affermato che il mandato che il Capo dello Stato gli ha conferito esclude la presenza di qualsivoglia ministro che sia stato tale anche nel Governo Berlusconi. il tutto ovviamente in una cornice tecnica. voi sapete che nel Governo Berlusconi vi erano uomini ai quali si poteva certamente riconoscere una qualifica tecnica pari, per lo meno, a quella che si riconosce a coloro che fanno parte del Governo Dini. il semplice fatto, però, che quei tecnici fossero in qualche modo diventati uomini politici , eletti il 27 marzo nelle liste del Polo delle libertà e del buon governo , veniva considerato dal presidente della Repubblica una sorta di impedimento oggettivo alla conferma dell' incarico. lei, onorevole Buttiglione, ha avuto l' amabilità di citare il professor Fisichella come uno dei personaggi culturalmente più attenti a certe dinamiche politiche ed in particolar modo come uno degli studiosi più seri dei fenomeni totalitari e autoritari in Italia. credo che non avrebbe stonato affatto il ministro Fisichella, tecnico, in un Governo di tecnici; credo che non avrebbe stonato affatto il ministro Martino, tecnico, in un Governo di tecnici, e potrei continuare citando altri nomi. ma evidentemente vi era una ragione politica consistente nel fatto che il Governo da presentare alle Camere doveva essere tecnico ma doveva, in qualche modo, avere il consenso tanto del Pds quanto del Partito Popolare , perché quello era l' obiettivo per sterilizzare il 27 marzo, per farlo apparire lontano agli occhi della pubblica opinione , per poter dire chiaramente che la parentesi non tanto, o meglio non solo, Berlusconi, ma 27 marzo è archiviata e che adesso c' è un Governo che, tranne il presidente del Consiglio , è tutto diverso, ma soprattutto diversa è la maggioranza che lo sostiene. ci è stato chiesto perché non lo sosteniamo anche noi, per quale motivo non tentiamo anche noi di mettere il cappello su tale Governo, perché lasciamo il Governo, retto da un galantuomo e con tanti insigni professori, ostaggio di coloro che lo votano pur non avendo in molti casi stima nei confronti delle persone che lo compongono, o comunque non avendola avuta nel passato. onorevoli colleghi , non abbiamo escluso a priori questa ipotesi, abbiamo soltanto posto la condizione che si trattasse di una parentesi, di una tregua, di un momento di sospensione di un dibattito politico che sta diventando molto intenso. a condizione che si sappia che il Governo Dini porta gli italiani a votare a giugno, noi siamo disponibilissimi a votarlo: lo abbiamo detto fin dal primo momento in cui l' onorevole Berlusconi ha indicato al Capo dello Stato il dottor Dini quale possibile presidente del Consiglio . un governo di tregua, un « governo parentesi » , un Governo tecnico un Governo capace di stemperare la tensione in attesa di ridare la parola alla politica e agli elettori, affinché determinino una maggioranza politica che risulti tale dal confronto tra due poli alternativi (è questo il punto: alternativi). non vi è assolutamente nulla di male, dottor Dini, in termini politici — l' ho detto pubblicamente: in televisione un insigne deputato del Pds me lo ha contestato se per due mesi l' intero Parlamento, destra e sinistra, vota un Governo tecnico di tregua. ma se i due mesi diventano sei, nove o dodici, non siamo più alla tregua, siamo alla coabitazione, viene meno lo spirito di un sistema elettorale maggioritario, di un sistema bipolare che vede, per forza di cose, democraticamente a confronto due schieramenti alternativi. mi sento alternativo allo schieramento di sinistra e so che questo si sente alternativo allo schieramento di cui faccio parte; ma se siamo alternativi, non è possibile per nove o dodici mesi tenere in vita un Governo che diventa non il governo di tregua, ma quello che va a commissariare la politica e che cancella il 27 marzo! per questo, in modo politicamente insistito, abbiamo detto che vogliamo avere certezza del fatto che si voti. sappiamo perfettamente che non esistono governi a termine, che il Capo dello Stato non può dire... siamo però sufficientemente in grado di sapere quali siano le procedure costituzionalmente corrette per tranquillamente rendere evidente a tutti che questo è un Governo che nasce con la volontà esplicita di durare poco, ma anche di rimettere agli elettori la possibilità di scegliere. si è corso il rischio — sto concludendo presidente — qualora il Polo avesse votato « sì » , di dar vita ad una sorta di neoconsociativismo tecnico, a durata non si sa bene se limitata o illimitata. badate bene: forse, a noi di Alleanza Nazionale sarebbe persino convenuto. immaginatevi — e per un attimo mi rivolgo in particolar modo ai colleghi di Forza Italia — quanti elogi; la piena, totale legittimazione della destra: Fini e D'Alema che votano lo stesso, identico Governo. saremmo rimasti nell' ambito della maggioranza; nessuno avrebbe avuto assolutamente più nulla da ridire. eppure, non l' abbiamo fatto, e sarebbe stato addirittura una sorta di piccolo trionfo personale se qualcuno di noi l' avesse fatto un minuto prima di qualche esponente di Forza Italia . in quel momento, infatti, la sinistra avrebbe detto: « ecco, questa è la riprova; è molto più affidabile Alleanza Nazionale di Forza Italia » . sono vecchi, vecchissimi, logori schemi propagandistici. la politica è un' altra cosa! noi non l' abbiamo fatto perché abbiamo voluto rimanere leali. a che cosa? ad un uomo? ad un' esperienza di Governo? certo, anche; leali però soprattutto ad un impegno che abbiamo assunto con gli elettori; perché in campagna elettorale destra e sinistra, centro e vari intermedi schieramenti hanno chiesto il voto vincolando quel consenso,...... perché chi è stato eletto in alternativa ad un candidato progressista o, progressista, in alternativa ad un candidato di centrodestra, non può far finta che quel voto non ci sia stato. ciò, infatti, era esattamente quanto accadeva prima, quando il voto veniva dato ad un partito che poi si metteva d' accordo in Parlamento con altri partiti. di qui a qualche giorno — concludo davvero e chiedo scusa — si celebrerà un altro paradosso (ho cominciato il mio intervento con un paradosso); il paradosso è, presidente Dini, che saremo noi, che questa sera non le accorderemo la fiducia perché ci asterremo, a lavorare politicamente in Parlamento affinché in tempi brevissimi si possano realizzare i quattro obiettivi che lei voleva, mentre coloro — o alcuni di coloro — che oggi le votano la fiducia tenteranno di rallentare. mi auguro che alla fine prevalga la volontà di tutti — a partire dal Capo dello Stato — di mettere fine a questa parentesi e di tornare al voto. allora si avrà il terzo paradosso, perché sono certo, per la stima che le porto, per la considerazione che ho nei suoi confronti per il suo operato come ministro in un Governo che ha attraversato certamente momenti difficili, che lei — ecco il terzo paradosso — , se vorrà continuare il suo impegno politico, sarà certamente candidato di chi oggi non le vota la fiducia e sarà avversato in campagna elettorale da chi ipocritamente questa sera gliela accorda.