Massimo D'ALEMA - Ministro della Difesa Maggioranza
XI Legislatura - Assemblea n. 5 - seduta del 25-05-1992
Sulle condizioni delle forze armate
1992 - Governo II Craxi - Legislatura n. 9 - Seduta n. 531
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

ha scritto oggi uno dei più acuti studiosi del fenomeno mafioso che con l' uccisione di Giovanni Falcone, di sua moglie e di tre giovani agenti non siamo di fronte ad una sfida allo Stato, ma ad una indiscutibile vittoria della mafia sullo Stato e sulle sue leggi. questo è il colpo più duro che poteva essere infetto alla credibilità dello Stato democratico nella lotta contro la mafia. non siamo, signor presidente del Consiglio , nel corso del processo che porterà la mafia alla sua fine: ne vediamo al contrario crescere la potenza e la ferocia, e avvertiamo il rischio che tra la gente, in Sicilia anzitutto, dopo l' esplosione, comprensibile e giusta, di rabbia e di protesta di questi giorni, possano sopravvenire il senso di un fallimento e la rassegnazione. purtroppo la sua risposta, onorevole Andreotti, ancorché precisa e ricca di dettagli, accresce una sensazione di confusione e di impotenza. restano aperti, e non poteva che essere così, inquietanti interrogativi e sospetti. come e da chi gli assassini mafiosi possono essere stati informati su spostamenti protetti dal segreto? quali sono — speriamo che possa essere accertato — la natura e le possibili provenienze dell' esplosivo usato? quali le modalità di preparazione di un attentato che appare come un vero e proprio atto di guerra, e che ci fa immaginare un controllo del territorio e una rete di protezioni veramente impressionanti? forse non a caso quel pezzo di strada si trova a cavallo tra i territori di comuni i cui consigli sono sciolti o in via di scioglimento per inquinamento mafioso delle assemblee elettive. non si capisce, lo dico con molta serietà, quale nesso vi sia tra l' assassinio di Giovanni Falcone e le discussioni circa la natura e la funzione della superprocura antimafia — questione che ella ha posto — , a meno che non si ritenga che una relazione vi sia; altrimenti si tratterebbe di polemiche della cui utilità mi permetto di dubitare. altri sono gli interrogativi: perché ora? in quale strategia si inscrive questo massacro e quali intenti rivela? si tratta di interrogativi ai quali non è facile dare risposta, ma che sono essenziali per comprendere dove e come potrà essere inferto un nuovo colpo e come si dovrà reagire. non vi è dubbio che tra gli intenti vi sia stata innanzitutto la volontà di vendetta, la volontà di eliminare un nemico pericoloso e coraggioso della mafia, ed insieme la volontà di esibire potenza, dominio, di incutere paura. tuttavia, abbiamo l' impressione di essere di fronte ad un atto che travalica tali intenti. si è usata in questi giorni la parola « terrorismo » , ma non credo che essa cancelli la parola « mafia » . l' espressione « terrorismo politico-mafioso » è meno di quanto possa sembrare un' espressione oscura e contorta. d' altro canto connessioni tra mafia, terrorismo e, in qualche caso, apparati deviati sono emerse in diversi episodi che hanno insanguinato l' Italia negli ultimi quindici anni: sono documentate negli atti di almeno quattro importanti processi. non siamo, dunque, di fronte a fantasie. né abbiamo dimenticato che dopo l' inquietante e misterioso omicidio dell' onorevole Salvo Lima fu il ministro dell'Interno ad avanzare l' ipotesi di un piano destabilizzante, subito smentita dal presidente del Consiglio che qualificò tale ipotesi come una « patacca » , con una di quelle polemiche, non inconsuete, che non rafforzano il prestigio né del Governo né dello Stato. noi non siamo in grado di parlare — perché non sappiamo — di complotti, di piani e di disegni; vediamo, tuttavia, come oggettivamente la violenza mafiosa contribuisca a scardinare le istituzioni, a spezzare la fiducia del cittadini, ad incrinare il sentimento di solidarietà e di unità tra gli italiani. vediamo come questa violenza, per le forme spavalde e tragiche che assume, spinga verso una sorta di condizione libanese o sudamericana e vediamo anche come la forza della mafia affondi le sue radici nella debolezza dello Stato e della democrazia, nella condizione di disgregazione, di corruzione e di debolezza del sistema politico , nell' intreccio tra affari, politica ed assistenzialismo che domina tanta parte del nostro Mezzogiorno. per questo non basta, pur essendo necessaria, una rigorosa e ferma politica di difesa della legalità e dell' ordine democratico. noi la chiediamo, presidente: chiediamo maggiore efficacia, organizzazione, mezzi, capacità di indagine; chiediamo coesione e collaborazione tra i poteri dello Stato e non polemiche inutili. noi riteniamo che non serva mostrare il volto feroce. sarebbe non solo inumano, ma tragicamente farsesco, uno Stato che minacciasse la pena di morte ad assassini che non riesce a prendere. vediamo che cosa invece si può fare; vediamo cosa può fare questo Parlamento, a cominciare dalla ricostituzione della Commissione antimafia. lavoriamo a misure e provvedimenti utili, a cominciare da quelle correzioni del codice di procedura penale che la Commissione antimafia della trascorsa legislatura ha proposto. ma è evidente che la sfida mortale tra lo Stato democratico e la grande criminalità organizzata può essere vinta soltanto se si avviano, nel contempo, rinnovamento e rigenerazione morale, se si lavora a rompere quel rapporto tra affari, politica e criminalità che inquina la vita di tanta parte del paese. se non si rinnova profondamente, la democrazia sarà sconfitta: ne siete consapevoli? questo noi oggi ci domandiamo, anche alla luce delle resistenze, dello spirito di conservazione, della difesa di vecchie logiche di potere che abbiamo visto affiorare qui in questi ultimi giorni. ne siete consapevoli? questo è il nostro interrogativo, ma è anche il nostro impegno, perché non rinunceremo alla battaglia affinché l' insieme delle forze democratiche del nostro paese mostri di capire che questa democrazia può essere salvata soltanto trasformandola e rinnovandola profondamente.