Giuliano AMATO - Presidente del Consiglio dei Ministri Maggioranza
XI Legislatura - Assemblea n. 171 - seduta del 22-04-1993
1993 - Governo I Amato - Legislatura n. 11 - Seduta n. 171
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , desidero ringraziare la Camera per il dibattito che si è svolto. esso ha preso l' avvio dalle comunicazioni del Governo, che hanno aperto il problema dell' Esecutivo, consentendo ad ogni gruppo di manifestare indicazioni esplicite, chiare e generalmente ben argomentate sulla situazione attuale e sulle prospettive di soluzione della questione relativa al Governo; orientamenti che saranno di sicura utilità al Capo dello Stato . il modo in cui è stata affrontata la questione, che da questa sera sarà nelle mani del presidente della Repubblica , rappresenta una novità istituzionale importante per il nostro sistema democratico. in questa breve replica è mio dovere constatare, anche allo scopo di riferirne poi al Capo dello Stato , che l' indicazione che per primo avevo ieri prospettato, e cioè quella della rilevantissima utilità di una legislatura che continui, è un' indicazione che ha trovato il maggioritario consenso dell' Assemblea. alcuni gruppi si sono espressi chiaramente in senso contrario: lo ha fatto l' onorevole Fini, lo ha fatto l' onorevole Bossi, lo hanno fatto gli onorevoli Novelli e Magri. tuttavia, da parte degli altri gruppi è venuta una diversa indicazione, che sicuramente è maggioritaria, e lo è nei due sensi nei quali avevo proposto alla Camera che dovesse esserlo. la richiesta di cambiamento, cioè, che è venuta attraverso il voto referendario, è una richiesta non di scioglimento, ma di nuove regole con le quali avere un nuovo Parlamento ed una nuova rappresentanza di Governo. questa è un' indicazione diffusa nella Camera; è evidente che non sarà facile mettere rapidamente d' accordo i punti di vista che vedo diversi in ordine al sistema elettorale , sul quale dare poi agli elettori le nuove regole. tuttavia, lo diceva da ultimo l' onorevole Segni, il referendum c' è stato ed ha definito un indirizzo; questo indirizzo, con adattamenti che hanno un limite, oltre ad essere legalmente vincolante per il Senato è politicamente vincolante anche per la Camera. è una prima ragione che trovo tranquillizzante per il paese e per i cittadini. vi è un Parlamento che intende continuare a lavorare; vi è un Parlamento che non intende sottrarsi al compito difficile di dettare le regole per un futuro Parlamento che sarà diverso dall' attuale. so che non sarà compito facile, considerando anche la vita di ciascuno di noi; un Parlamento non è un organo astratto ma è composto da tanti uomini che lavorano insieme, ciascuno con i propri problemi e con i problemi di coloro che accanto ad essi lavorano. questo Governo ha vissuto l' esperienza di un lavoro reso per servizio, di una continuità che ha avvertito imposta dalla necessità e non dal proprio desiderio di restare; ha fatto un' esperienza che in qualche modo, forse, non è diversa da quella che attende il Parlamento nei mesi prossimi. ma il Parlamento nei prossimi mesi ha davanti esattamente la stessa esigenza: sono i cittadini che gli chiedono di restare, perché chiedono regole per poter cambiare. la seconda ragione per la quale avevo chiesto questo dibattito — e in ordine alla quale vedo che si registra un ancor più diffuso consenso — era per accertare se, ed in qual modo e con quali prospettive, fosse condivisa l' esigenza di una discontinuità in relazione al Governo, alla sua attuale conformazione, al quadro politico che lo sorregge. sono grato — e lo dico ora perché prima ho ritenuto giusto ascoltarvi — a chi ha condiviso l' azione del governo ed ha usato anche questa occasione per dimostrare di averla condivisa; l' azione del nostro Governo è stata difficile per tanti motivi, e in fondo anche perché aveva una maggioranza esile, più di altri governi. ancora maggiore, perciò, è, e non può non essere, la gratitudine del Governo per coloro che , fin dall' origine, a partire da un certo momento in determinati momenti; hanno sostenuto la sua azione; infatti, se è stato difficile per noi, lo è stato di certo anche per loro. tuttavia, si è altresì condiviso, al di là di ciò che di bene e di male il Governo ha compiuto, il fatto che vi è stato un mutamento, che esige un cambiamento anche per quanto riguarda il Governo. il senso, il segno, il valore del voto referendario al riguardo mi pare siano un denominatore comune di coloro che hanno parlato a nome dei gruppi. in merito a tale mutamento, se sia stato mutamento di regime o meno e di che cosa si sia trattato, permettetemi di cercare di chiarire, in relazione a fraintendimenti ed anche risentimenti che può aver provocato quanto ho detto ieri, che sono di sicuro dovuti al modo in cui mi sono espresso, e non al concetto che ho cercato di esprimere. so bene, cari colleghi , quando siano nati i primi partiti italiani. so bene che non sono nati settant' anni fa; io stesso appartengo ad un partito del quale l' anno scorso è caduto il centenario e che non si è trovato nella condizione di celebrarlo come avrebbe voluto e come in passato aveva meritato. so bene che il Partito Popolare è coevo, o quasi, e so bene che partiti storici come quello liberale e quello repubblicano sono ancora più vecchi. so bene quale differenza vi sia, in ogni caso, tra un sistema monopartitico e un sistema pluripartitico, e quanto e per quanti aspetti siano state rilevantissime le differenze tra i partiti di questo dopoguerra e il monopartito di un regime totalitario. so bene che ora ciò che serve — l' ho detto ieri — non è certo la sparizione dei partiti, ma il loro ritornare, caso mai, a come erano alle origini, legittimati dal loro radicamento sociale e non dalla loro connessione con le istituzioni. questo erano i partiti all' origine. quel centenario che poco è stato celebrato si riportava alle origini di un partito in cui era solo la dedizione agli altri la ragione del far parte di quelle comunità che fu il primo partito socialista . il Partito Popolare ebbe esattamente la stessa matrice e le stesse radici, per certi versi. tuttavia, quella che noi chiamiamo la degenerazione progressivamente intervenuta nei partiti italiani, quel loro lasciar vuota la società, quel loro perdere poco alla volta la capacità di essere non tanto collettori quanto organizzatori e moderatori, per più versi, della domanda collettiva e diventare invece, in sede nazionale e in sede locale, erogatori di risorse disponibili attraverso l' esercizio del potere pubblico, quella degenerazione, dicevo, è stata in realtà il ritorno alla progressiva amplificazione di una tendenza forte della storia italiana, che in quest' ultima era nata negli anni Venti e trenta con l' organizzazione di quel partito. questo è un fatto acquisito nella nostra storiografia. chiedo scusa, perché forse qui ha prevalso il mio mestiere; per un giurista la parola regime è addirittura una parola neutra. esiste un regime parlamentare , un regime monopartitico e uno pluripartitico, un regime liberale e un regime d' altro genere, esiste un regime economico di un tipo e uno di un altro tipo. ma è un dato di fatto che il regime fondato su partiti che acquisiscono consenso di massa attraverso l' uso dell' istituzione pubblica nasce in Italia con il fascismo ed ora viene meno. non a caso — riflettiamo su questo, colleghi — nello stesso momento viene meno il regime economico fondato sull' impresa pubblica, che era nato negli anni 30. si tratta di un regime economico e di un regime di partiti che attraversa, per certi aspetti, un cambiamento pur importante, fondamentalissimo, come il passaggio tra quel regime e la Repubblica, ma che ora viene meno. non a caso (lo dico ai colleghi democristiani) Luigi Sturzo negli anni Cinquanta , così lucidamente contrario allora alle partecipazioni statali , Luigi Sturzo... Luigi Sturzo parlava anche in nome del partito che non era stato Stato; reagiva al ritorno di un congegno economico in cui vedeva un prevalere, sulla libertà della società, dell' istituzione e forse dello stesso partito. comunque tutto questo può essere naturalmente contestato. ritenevo giusto da parte mia spiegare il senso in cui lo dicevo, che non riguardava un partito ma tutti i partiti e che non intendeva assimilare questi partiti a ciò a cui essi non sono assimilabili. questo fra l' altro intendevo dire, ed intendevo dirlo senza secondi fini di alcun genere. qualcuno ha letto nel fatto che lo abbia detto queste cose una sorta di autocandidatura per il futuro: nulla di più sbagliato. credo che, sebbene un po' professore, in tutti questi anni io sia riuscito ad imparare abbastanza tanto le malizie quanto le prudenze della politica. e né la malizia né la prudenza di un autocandidato mi avrebbero suggerito di dire le cose che ieri ho detto. voglio aggiungere che se ieri non ho pronunciato la parola « dimissioni » , non l' ho fatto per una ragione procedurale molto semplice; non perché avessi anche al riguardo delle riserve mentali, ma per la ragione semplicissima (che i cultori del diritto e della prassi parlamentare conoscono) per la quale un presidente del Consiglio che annuncia che si sta dimettendo potrebbe costringere il presidente della Camera a sospendere immediatamente la seduta e a prevenire così quel dibattito che invece volevamo si svolgesse. è questa la ragione per cui io, pur sapendo perfettamente quali fossero le mie intenzioni, le ho mimetizzate sotto le parole neutre: « trarrò domani le conseguenze che risulteranno necessarie » . quelle conseguenze per me, cari colleghi , e per noi, erano fin da ieri sera le dimissioni del Governo , che mi reco ora a rassegnare nelle mani del Capo dello Stato .