Gianfranco FINI - Deputato Opposizione
XI Legislatura - Assemblea n. 171 - seduta del 22-04-1993
Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con la grande giamahiria araba libica popolare socialista
1993 - Governo IV Berlusconi - Legislatura n. 16 - Seduta n. 117
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , colleghi, signor presidente del Consiglio , desidero iniziare il mio intervento dandole atto, presidente Amato, di una sensibilità maggiore rispetto a quella dimostrata in passato da numerosi suoi predecessori. mi riferisco a ciò che ormai tutti quanti sanno: qualche settimana fa — preso atto, a seguito di una serie di vicissitudini di carattere giudiziario che hanno coinvolto molti suoi ministri, che si era sostanzialmente esaurito quello che ha definito « il ciclo vitale » del suo Governo — lei si è presentato al presidente della Repubblica per offrirgli la sua ampia e massima disponibilità a mettersi da parte per consentire la nascita di un Esecutivo più consono alle esigenze del momento. tutti sanno che il Capo dello Stato , verificata l' impossibilità di una rapida sostituzione del presidente del Consiglio — poiché incombeva il referendum del 18 aprile il cui esito allora appariva assai meno certo di quanto si sia poi rivelato — la pregò di rimanere « congelato » e di presentarsi successivamente al 18 aprile. il che è puntualmente accaduto. le do atto, signor presidente del Consiglio , della sensibilità dimostrata non in ordine alla puntualità della sua presentazione al Capo dello Stato — che ritengo fosse doverosa — ma nell' essersi presentato in Parlamento consentendo ad ogni forza politica di assumersi pubblicamente in questa sede le proprie responsabilità. ciò è estremamente importante in qualsiasi momento politico, ma diventa quasi essenziale in una fase particolarmente importante come quella che stiamo vivendo. occorre che in Parlamento ognuno si assuma precise responsabilità dinanzi alla pubblica opinione , non solo nel corso del dibattito odierno ma anche in momenti successivi; debbono farlo tutti coloro che ricoprono un ruolo istituzionale nella crisi della politica italiana . dopo il voto del 18 aprile è assolutamente ineludibile per ciascuno parlare chiaro. la lettura dell' esito referendario credo che accomuni in quest' Aula molti di coloro che si sono contrastati nel corso della campagna per i referendum. anche nelle sue parole di ieri, presidente Amato, abbiamo colto una sottolineatura di quello che è stato — a detta di molti — l' aspetto più evidente del plebiscito che ha caratterizzato la vittoria del « sì » . indubbiamente nel paese vi è un' esigenza insopprimibile di novità, di rinnovamento, che va molto al di là della singola legge elettorale ; si tratta di un rinnovamento che riguarda la politica nel suo complesso, il sistema, il ruolo dei partiti di Governo e di opposizione. tale richiesta di rinnovamento è strettamente legata ad una forte esigenza di pulizia che è emersa dopo l' esplosione di Tangentopoli e dopo tutto il fango che ha sommerso le istituzioni. tutti hanno interpretato il plebiscito dei « sì » come un' evidente volontà di cambiamento che ha portato molti ad affermare ed a scrivere, con una certa enfasi, che il 18 di aprile ha rappresentato la fine di un regime, la morte di un sistema, la nascita di una seconda Repubblica . addirittura vi è chi non ha esitato a scrivere che il 18 aprile è iniziata una sorta di rivoluzione pacifica delle urne, degli elettori contro i partiti. dico tutto ciò nella certezza di non apparire contraddittorio rispetto alla tesi che abbiamo sostenuto nel corso della campagna referendaria. nel sottolineare la forte spinta al cambiamento che si è espressa con il « sì » non vi è contraddizione rispetto al « no » che avevamo chiesto agli elettori. non sono pentito, nessun parlamentare del Movimento Sociale Italiano è pentito della scelta compiuta nelle scorse settimane. non siamo pentiti perché, contrariamente a quel che poteva apparire e che lo dico sinceramente — forse è apparso anche ad alcuni elettori, il nostro « no » non era teso a conservare, ma, al contrario, era ispirato ad una esigenza di rinnovamento, di moralizzazione, di un cambiamento autentico in profondità e non solo in superficie. un « no » dalla forte carica innovatrice, che forse è apparsa chiara più a qualche avversario politico che non alla totalità degli elettori, se è vero come è vero che persino l' onorevole Occhetto nel corso di in dibattito televisivo diede atto che chi voleva la repubblica presidenziale avrebbe dovuto votare « no » ! ciò sta certamente a significare che nel « no » , o almeno nel nostro « no » , vi erano delle forti istanze di rinnovamento, non soltanto relative alla legge elettorale (che ritenevamo un finto problema), ma soprattutto relative al modello dello Stato. dico tutto ciò non certo per esercitarmi in un' arte che in Italia è — ahimè — antica, e che è quella di salire buoni ultimi sul carro del vincitore ; il carro del vincitore è affollato, ma l' arte di salirvi non fa parte della tradizione del Movimento Sociale Italiano , non è costume che mi appartiene. dico ciò solo perché voglio preavvertire la Camera e la pubblica opinione del ruolo che il Movimento Sociale Italiano , che era — lo ribadisco — dalla parte del « no » , intende esercitare dopo il 18 aprile. si tratta di un avvertimento teso innanzitutto a sventare quella che è una possibile schematizzazione — non dico una manovra — magari un po' pigra, ma che tutto sommato potrebbe apparire legittima. nessuno — sia chiaro — potrà ritenere a priori che, in ragione delle scelte che il Movimento Sociale Italiano ha chiesto per il 18 aprile, il nostro partito sia insensibile al nuovo che deve nascere, sia arroccato a difesa del vecchio o — in una parola sola — debba considerarsi estraniato da quello che sarà il futuro dibattito sulle vere riforme, avendo chiesto, senza esser seguito dagli elettori, di sconfessare il tentativo di impostare tutte le riforme unicamente sulla legge elettorale . l' operazione di ritenere che chi ha chiesto il « no » sia irrimediabilmente il vecchio e che chi, al contrario, era schierato con il « sì » sia inevitabilmente il nuovo, credo sia stata da più parti tentata anche per evidenti ragioni di carattere ideologico o post-ideologico; ma è certamente molto comodo sostenere, come qualcuno ha fatto, che le ali estreme dello schieramento, le forze più antagoniste, non sono sostenitrici delle novità perché hanno avuto dalle leggi elettorali fin qui in vigore il loro sostentamento e la loro ragione di esistere. è un' operazione tentata da più parti, lo ribadisco, e alla quale — lo dico subito — il Movimento Sociale Italiano non intende in alcun modo prestare il fianco. non intende farlo, non solo perché ritiene di avere dei titoli di carattere politico e, se me lo consente, presidente, anche di carattere morale certamente idonei e sufficienti (e in moltissimi casi assai più evidenti) ad interpretare quell' ansia di rinnovamento, di pulizia, di voglia di cambiamento che si registra nella società, ma anche perché questi titoli sono assai più consistenti di quelli di coloro che si sono scoperti innovatori della venticinquesima ora, dei tantissimi che hanno scoperto la necessità di ripulire la politica soltanto dopo l' esplosione di Tangentopoli, dei molti gattopardi, come li abbiamo chiamati nella campagna referendaria, che sono saliti — quelli sì — sul carro di colui o di coloro che si annunciavano come i vincitori. il Movimento Sociale Italiano dopo il 18 aprile non soltanto non farà assolutamente nulla per ritardare, anche di un solo minuto, ciò che viene annunciata un po' da tutti come la fine di un' epoca, ma anzi farà tutto ciò che potrà affinché quell' epoca finisca, e semmai finisca un attimo prima. da ciò si deduce che per noi non esiste più un fronte del « no » che si contrappone ad un fronte del « sì » ; la scelta tra il « no » e il « sì » è stata in ragione di un referendum che non fu chiesto certamente da noi. la scelta fra il « no » e il « sì » fu in qualche modo obbligata in ordine al tema specifico del referendum. continuare però a ritenere che, in Parlamento e fuori di esso, ci si debba dividere sul piano del vero rinnovamento tra sostenitori del sistema maggioritario e fautori del sistema proporzionale credo sia scelta non soltanto miope, ma non più corrispondente alla posta in palio, alla partita che si è aperta. se è vero che il 18 aprile si è determinato un cambiamento richiesto a furor di popolo , lo scontro politico, necessariamente, non deve essere più tra coloro che sostengono il maggioritario e coloro che sono favorevoli al proporzionale, ma riguardare anzitutto quanti ritengono che l' attuale sistema debba nella sua sostanza essere conservato. potremmo chiamare costoro i continuisti, oppure, come ho detto nella Commissione bicamerale per le riforme istituzionali , coloro che parlano non di seconda Repubblica , ma di secondo tempo della prima Repubblica , quelli che, in buona sostanza, poiché è intangibile la prima parte della Costituzione, ritengono che l' Italia debba sostanzialmente rimanere nell' ambito della cultura, dell' assetto internazionale e della situazione sociale dell' immediato dopoguerra. questi sono certamente (ve ne sono tantissimi nel fronte del « sì » ) i finti riformatori, i continuisti nella sostanza, coloro, in una parola, che cercano di traghettare se stessi , più che le istituzioni, verso il nuovo. contro costoro vi saranno indubbiamente, forse più fuori del Parlamento che dentro di esso (ma anche all' interno di quest' Aula si avranno occasioni di verifica), coloro che vogliono interpretare appieno lo spirito del 18 aprile, a prescindere dalla posizione che liberamente avevano assunto prima di quella data. al fronte del continuismo e, tutto sommato, della conservazione del sistema, credo che, sulla spinta del 18 aprile, non tarderà a contrapporsi un altro fronte di autentico rinnovamento, del quale il Movimento Sociale Italiano non soltanto non esiterà a far parte, ma cercherà di assumere al suo interno un ruolo di stimolo, di garante del rinnovamento, di autentica e direi insopprimibile rappresentazione di pulizia e di moralità, ruolo che per tanto tempo ha esercitato. non credo di sbagliare affermando che, quando si ricomporranno gli schieramenti tra chi vuole conservare e chi invece intende autenticamente cambiare, molti di coloro che attualmente si trovano nell' affollatissimo versante dei vincitori del 18 aprile dovranno rapidamente traslocare altrove ed assumere la tradizionale posizione di conservazione (non fosse altro che di privilegi) occupata per tanto tempo . è indubbio che il banco di prova più immediato (non dico più autorevole) per cominciare a ricollocare ciascuno (non soltanto le forze politiche , ma anche il Capo dello Stato ) nel ruolo che effettivamente occupa nel conflitto, nello scontro, nella contrapposizione tra il vecchio ed il nuovo, dopo l' infatuazione del 18 aprile, il banco di prova più veritiero per capire chi vuole davvero la novità e chi, al contrario, tenta di passare per innovatore ma intende in sostanza mantenere l' antico, è la nascita del nuovo Governo. parlo ovviamente di un Governo davvero nuovo, e non soltanto rinnovato; un Governo che deve essere nuovo nella composizione e nel programma e risentire innanzi tutto della spinta plebiscitaria del 18 aprile. mi sembra che la semplice ipotesi di un Amato-bis o di un Esecutivo presieduto da un uomo che abbia in tasca una tessera di partito sia un sostanziale insulto a quello che tutti quanti abbiamo salutato, dall' una e dall' altra parte, come il giorno della fine di un sistema. se finisce un sistema, se muore una Repubblica e ne nasce un' altra, chi è stato intimamente collegato alla prima è molto difficile che diventi automaticamente colui che tiene a battesimo la seconda. mi fa piacere, signor presidente del Consiglio , che abbia fatto un cenno di assenso, dimostrando così di condividere questo passaggio. non può nascere un Governo presieduto da un uomo che abbia in tasca una tessera di partito, quale che sia il partito, ovviamente, perché ci vuole coerenza. se si afferma che il partitismo e la partitocrazia sono stati messi nell' angolo in modo inequivocabile: dagli italiani il 18 aprile, mi permetto di dire che la nascita del Governo verificherà anche la volontà del Capo dello Stato di essere non soltanto il garante della centralità del Parlamento (e questo ha dimostrato di esserlo), ma anche e soprattutto il garante della volontà degli italiani, quale si è espressa il 18 aprile. deve nascere un Governo presieduto da un uomo non appartenente alla partitocrazia. potrei capire se il presidente del Consiglio desse l' incarico all' onorevole Segni, che è stato colui che ha messo in moto il meccanismo che il 18 aprile ha portato all' allontanamento della partitocrazia dai poteri istituzionali (secondo molti; non ci crediamo fino in fondo e ne parlerò). potrei capire se il presidente della Repubblica dovesse affidare l' incarico ad un' alta carica dello Stato; mi permetto di dire alla più alta carica dello Stato, proprio perché non si passa dal vecchio al nuovo se non con una sottolineatura, anche nella figura del presidente del Consiglio , di questo momento epocale di transizione, di nascita del nuovo sistema. potrei al limite capire un Governo affidato ad un tecnico nel senso vero della parola, intendendo per tecnico un uomo che non abbia in tasca una tessera di partito; affidato ad un tecnico autenticamente tale, vale a dire laico, perché, come tutti i colleghi mi insegnano, in questo Parlamento si entra soltanto per indicazione dei partiti. non si è tecnici se si ha lo stato di parlamentare, avendo — tranne che per i senatori a vita — acquisito 10 stesso in ragione dell' appartenenza ad una lista. potrei capire tutta questa serie di posizioni fortemente innovative. certamente non capirei io, e non capirebbero gli italiani che hanno votato « sì » , e neppure gli italiani che hanno votato « no » , una soluzione diversa da queste, magari condita con un po' di fantasia partitocratica, ammantando per istituzionale — come mi è parso di leggere — il ministro dell'Interno , il quale ovviamente è espressione di un Governo e quindi istituzionale non può essere se non nella carica che riveste, che è cosa però del tutto diversa da chi presiede la Camera dei Deputati o il Senato. certamente gli italiani non capirebbero una soluzione tesa ad affidare il compito di formare il Governo a qualche esponente (magari di secondo piano, non troppo colorato, un po' sbiadito, come mi pare si dica in queste ore) di quelli che sono stati i tradizionali punti di riferimento , i pilastri di questo sistema di potere. se il Governo non può non nascere che con un presidente del Consiglio o istituzionale o tecnico, altrettanto evidentemente i ministri dovranno essere del tutto indipendenti dai partiti. il 18 aprile non può non aver sepolto, tra le tante cose brutte, il manuale Cencelli . il 18 aprile non può non aver archiviato definitivamente la fase, quarantennale e da tutti deprecata (ma quella era la regola), nella quale i segretari dei partiti che davano vita ad una coalizione concordavano con il presidente del Consiglio i nomi dei ministri in ragione anche dell' appartenenza alle correnti. tutto ciò sarebbe non un insulto al 18 aprile, ma un' autentica beffa per chi in assoluta buona fede era convinto che votando « sì » si sarebbe data vita davvero ad un grande cambiamento. governo istituzionale o Governo tecnico , i ministri comunque devono essere slegati, totalmente svincolati, dalla contrattazione tra i partiti. dal che discende ovviamente che la maggioranza che dovrà sostenere il nuovo Governo dovrà essere non precostituita, una maggioranza che nasce dal confronto sul programma nelle Aule del Parlamento; se la maggioranza nasce prima, fuori di qui, se nasce da intese più o meno tacite tra coloro che si accingono a sostenere il Governo nascituro, siamo ancora nel solco del vecchio, anzi del vecchissimo. siamo nell' ambito della preistoria della prima Repubblica . non c' è alcuna novità, se non formale. occorre quindi una maggioranza non precostituita, che nasca su un programma illustrato dal presidente del Consiglio e dai suoi ministri nelle Aule del Parlamento. dal che discende ovviamente che il programma non può essere il libro dei sogni: deve essere un programma centrato esclusivamente su quella che è, secondo noi, la più esplosiva ed anche la più drammatica delle esigenze nazionali, che altro non è che la tante volte richiamata, spesso a sproposito, questione morale . perché c' è stato e c' è un disgusto profondo nei confronti della politica, a volte direi anche ingeneroso per molti aspetti, ma insopprimibile; e il propellente del 18 aprile è stato certamente il profondo sdegno di tutti gli italiani nei confronti dello spettacolo indecoroso che le istituzioni hanno dato dell' Italia nel mondo intero, offendendo quindi i sentimenti di tutti gli italiani. non ricordo chi abbia scritto che è come se 18 aprile, si sia materializzato nelle urne, con una croce sul « sì » , lo sdegno che tanti italiani provarono quando si sparse la notizia che il Governo aveva predisposto il famoso decreto che fu chiamato « colpo di spugna » . chiunque l' abbia scritta, credo che questa sia una grossa verità, anche perché tantissimi di coloro che hanno messo la croce sul « no » erano mossi da identico sdegno. è una verità di cui credo debba tener conto anche il Capo dello Stato . ne deve tener conto così come dimostrò di tenerne conto quando non firmò quel decreto. presentare quindi un programma centrato sulla questione morale , finalizzato a risolverla, non può significare soltanto predisporre una legge che modifichi le gare d' appalto o nuove leggi contro i corrotti e contro i corruttori. sono aspetti certo non marginali, ma comunque non centrali, non sostanziali. il vero impegno che il nuovo Governo figlio del 18 aprile, il Governo che dà il via al grande cambiamento, il Governo che traghetta con una rivoluzione pacifica l' Italia dal vecchio al nuovo, non può, sulla questione morale , che essere quello di dare una duplice garanzia, semplicissima, agli italiani tutti. la prima garanzia è certamente quella più semplice, apparentemente, ma forse più complessa: la garanzia che le autorizzazioni a procedere siano concesse. e anche se non mi sfugge il fatto che il Governo di per sé non ha alcun tipo di competenza sulle autorizzazioni a procedere , è altrettanto vero che un grande esempio, un segnale — questo sì, reale, forte, significativo — verrebbe da quel presidente del Consiglio che eventualmente potesse dire in quest' Aula e quindi alla nazione: « chi si è impegnato a sostenere il mio Governo si è impegnato anche a votare per le autorizzazioni a procedere » , perché i governi non le votano ma i parlamentari sì! e le autorizzazioni a procedere dovrebbero essere concesse nei confronti ovviamente di tutti. non dimentichiamo infatti quello che tante volte è stato richiamato, autorevolissimamente, magari proprio per contrastare alcune tesi che venivano da questa parte. chi oggi parla di complotti, chi vede nella magistratura il nemico della verità, chi ipotizza trame internazionali, dovrebbe ricordare che ci sono stati momenti in Italia in cui a parlare duramente contro coloro che la verità non la cercavano nei fatti ma nei teoremi erano innanzi tutto coloro che in ragione del loro impegno politico venivano accusati soprattutto di estremismo. ci siamo passati. in tante occasioni veniva detto in quest' Aula autorevolissimamente: « l' autorizzazione a procedere non è un giudizio. con essa non si anticipa la condanna. si deve però garantire alla magistratura il diritto di andare avanti » . ebbene, quel che valeva in passato vale ancor di più oggi. la concessione delle autorizzazioni a procedere diventa il primo banco di prova della credibilità di tutti coloro che il 18 di aprile hanno gioito per aver vinto. credo che nessuno si scandalizzerà se, qualora questa esultanza dovesse tradursi in fatti concreti, gioiranno non solo quello che hanno votato « sì » , ma anche quelli che votarono « no » . e accanto a questa semplice, elementare garanzia che il Governo deve dare alla pubblica opinione vi è l' altra, più squisitamente politica e di cui abbiamo parlato tutti fuori di qui e parliamo qui quella di arrivare quanto prima al rinnovo del Parlamento. il che porta automaticamente a definire l' ipotetico governo che mi sto sforzando di individuare come figlio del grande rinnovamento, anche come Governo a termine. ormai è chiaro a tutti che gli italiani vogliono tornare alle urne. del resto, nessuno difende più non tanto la legittimità di questo Parlamento, quanto i titoli morali che esso ha per continuare a legiferare. qualche tempo fa eravamo gli unici o alcuni tra i pochi a sostenere che vi era una delegittimazione strisciante, che derivava dal fatto che è imbarazzante per gli italiani che in quest' Aula del Parlamento vi — siano — se non ho fatto male i conti — 184 o 284 inquisiti. il loro numero aumentano in progressione geometrica e cresce parallelamente nella pubblica opinione la certezza che il primo dovere dei rinnovatori sia quello di rinnovare il Parlamento. il Governo dunque non può che essere un Esecutivo a termine, che porti gli italiani a votare nuovamente per moralizzare le istituzioni. e se questo è l' argomento centrale, mi rendo anche conto che esso è il più spinoso perché da più parti si dice che occorre andare a nuove elezioni, certo, ma con nuove regole. il semplice fatto che le nuove elezioni siano ormai da tutti (almeno apparentemente) dichiarate inevitabili è già di per sé motivo di soddisfazione per chi, come noi, era di questa opinione anche qualche mese addietro. non c' è più nessuno, credo, che abbia la faccia tosta di dire che questo è un Governo di legislatura o che l' attuale Parlamento ha dinanzi a sé i quattro anni che il calendario gli destina. si deve andare alle elezioni. si discuterà molto, come già è accaduto, di quando e come andarci. credo che molti si aspettino da parte nostra soltanto una risposta al quando andarci. la diamo immediatamente: prima ci si va e meglio è. e nessuno si scandalizzi della posizione missina, poiché chiedevamo il « no » anche per accelerare lo scioglimento delle Camere . credo che nessuno si scandalizzerebbe neppure se, dopo aver detto « andiamoci quanto prima » , affermarsi ora che non è uno scandalo andarci con una legge elettorale maggioritaria al Senato ed una proporzionale alla Camera. nessuno si scandalizzerebbe, perché tutti sanno che abbiamo difeso il « no » . e nessuno, penso, si potrebbe scandalizzare in termini — come dice il presidente Casavola — tecnico-politici o tecnico-giuridici, perché pur non essendo politicamente auspicabile ciò è del tutto lecito, e comunque non incontra particolari ostacoli sul piano giuridico. potrei quindi limitarmi a dire: andiamoci quanto prima, andiamoci con la legge attualmente in vigore . ma poiché so che questa proposta al momento non ha possibilità di essere accolta, voglio lanciare quella che a me pare una piccola sfida, anche per dimostrare che non erano parole al vento quelle che ho detto all' inizio, circa il fatto che il 18 aprile vi è stato davvero un rinnovamento e che sull' onda del 18 aprile devono andare avanti i rinnovatori veri — ai quali crediamo di poter tranquillamente dire di appartenere — e non quelli finti. andiamo alle urne dopo aver fatto una legge elettorale che recepisca il principio maggioritario, perché così si sono pronunciati gli italiani, ma che lo coniughi a quello che è stato il grande richiamo, l' araba fenice di tutta la campagna referendaria: il discorso della governabilità, della possibilità di garantire finalmente agli italiani che il loro voto non serva ad eleggere soltanto un Parlamento, ma direttamente una coalizione di Governo. la sfida che lanciamo è quella di misurare sulla riforma della legge elettorale la volontà del Parlamento di dar vita non solo ad una legge elettorale , ma anche ad una riforma istituzionale . se il 18 aprile è stato il grande avvio della stagione delle riforme, fare soltanto una legge elettorale maggioritaria che recepisca lo spirito del referendum dovrebbe essere facilissimo per voi. avete oltre l' 85 per cento dei voti in quest' Aula; potete prendere l' impianto del maggioritario così come è uscito dal referendum per il Senato e sottoporlo all' esame della Camera. così si andrà a votare tra uno, due mesi. so benissimo che incontrereste molte difficoltà a farlo, perché vi sono forti contrasti tra i vari modi di intendere il maggioritario. allora io rilancio la sfida: diamo vita ad una riforma della legge elettorale che sia anche riforma istituzionale . diamo vita ad una legge elettorale che consenta all' elettore, accettando il principio maggioritario, di scegliere direttamente chi governa, la coalizione che governa — che, se raggiunge la maggioranza relativa , fruisce del premio di maggioranza per poter governare — e la coalizione che perde, o coloro che perdono, che siano presenti in Parlamento per controllare. questo vuol dire interpretare il voto del 18 di aprile, vuol dire dare davvero agli italiani la sensazione che ci troviamo all' ultimo giro per il vecchio sistema. non credo sinceramente che lo spirito con cui il Parlamento vivrà le prossime settimane sia questo. prevedo al contrario il ricorso al tatticismo esasperato, il tentativo di prendere tempo. è un tentativo che il Movimento Sociale Italiano tenterà di impedire, perché se davvero il 18 aprile è stato il grande momento della rinascita nazionale, come è stato scritto, la rinascita nazionale non può perdersi nella palude in cui si è impantanato nella commissione parlamentare per le riforme istituzionali il varo della legge elettorale . né si può tardare ulteriormente a dare delle risposte. se la prima risposta è quella di rimoralizzare le istituzioni, e quindi di sottoporle nuovamente al giudizio degli elettori, si vada quanto prima a quell' appuntamento. vari il Parlamento una legge elettorale che faccia proprio il principio maggioritario, ma lo coniughi con il diritto dell' elettore a scegliere chi governa! si archivi definitivamente il sistema dei partiti, si dia al prossimo Parlamento quel mandato costituente che da più parti viene auspicato; e allora gli italiani avranno la sensazione di avere a che fare con un Parlamento che recepisce l' esito del voto del 18 di aprile, e non con uno che lo utilizza per rimanere in carica !