Giuliano AMATO - Presidente del Consiglio dei Ministri Maggioranza
XI Legislatura - Assemblea n. 140 - seduta del 24-02-1993
1993 - Governo I Amato - Legislatura n. 11 - Seduta n. 140
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , siamo ad un passaggio particolarmente delicato e difficile della nostra vita nazionale. è forse il caso di dire che quelli che stiamo vivendo sono, o potranno alla fine risultare, fra i giorni più drammatici e difficili per la nostra Repubblica e per la salvezza delle sue istituzioni democratiche. ciascuno di noi è posto davanti alle proprie responsabilità, io per primo, il Governo per primo; non intendo perciò sottrarmi, ed il primo e pregiudiziale modo per farlo è parlare, sui grandi come sui piccoli aspetti dei nostri problemi attuali, il linguaggio della verità, o di quella che io sento essere la verità. comincio dal rimpasto, che è poi l' occasione di queste mie comunicazioni. venerdì pomeriggio mi sono giunte le lettere di dimissioni dei ministri De Lorenzo e Goria. De Lorenzo mi scriveva: « intendevo continuare a servire il paese in un momento difficile per l' attuazione di leggi che, come la riforma sanitaria , richiedono impegno, passione, competenza. questo proposito, però, viene meno oggi che si è arrivati a coinvolgere anche la mia famiglia in modo tale da privarmi di quella serenità che reputo indispensabile per il pieno assolvimento dell' ufficio ministeriale. di qui le mie irrevocabili dimissioni, dettate esclusivamente da sentimenti di dignità personale e di senso dello Stato, che caratterizza la cultura e la politica liberale » . Goria, a sua volta, mi scriveva: « da settimane sono indicato del tutto arbitrariamente quale ministro inquisito; non sono destinatario di avviso di garanzia , né per i fatti che implicitamente vengono evocati e che si riferiscono ad una truffa che nell' ormai lontano 1976 io scoprii, interruppi e denunciai, né per altri episodi ai quali sono del tutto estraneo e che peraltro hanno giustamente offeso la coscienza dei cittadini onesti ormai da un anno a questa parte. mi considero una persona per bene, sono disposto ad offrire in ogni sede politica e giudiziaria ragione di tutti i miei comportamenti, non posso tollerare di subire senza potermi di fatto difendere accuse ingiuste, e neppure argomentate. ho dunque deciso di fare l' unica cosa che mi pare adeguata: rassegnarti l' incarico di ministro delle Finanze » . queste due dimissioni intervenivano poche ore dopo la chiusura al Senato di un dibattito politico, che sebbene occasionato dalle precedenti dimissioni del ministro Claudio Martelli, aveva fatto stato della maturazione cui erano giunti i rapporti politici. io stesso, ed è vicenda di quattro giorni fa, avevo concluso il dibattito dicendo che, di fronte ai problemi che abbiamo ed in nome della necessaria ripresa economica e morale dell' Italia, pensavo come penso tuttora che un Governo con più larghe basi parlamentari sarebbe stato una soluzione ottimale. dicevo allora che, per conseguire questo risultato, da parte mia non avrei certo posto questioni personali di alcun genere e mi sarei messo ben volentieri da parte. avevo in quell' occasione espresso apprezzamento per gli sforzi che aveva fatto in particolare il collega Martinazzoli, per verificare la possibilità di giungere ad un risultato del genere e avevo preso atto di quanto egli stesso — come a me era capitato di fare per i miei colloqui — mi aveva comunicato: di non ritenere che fossero maturate soluzioni diverse, che non si fosse prodotto, almeno al momento, un risultato. tuttavia, andando ad affrontare una seconda fase nell' attività del Governo ritenevo, come ritengo tuttora, che quell' esigenza dovesse rimanere presente a chi governa: l' esigenza che per dare all' Italia la fiducia di cui oggi essa ha bisogno occorresse ed occorra cercare convergenze più larghe, più solide, attorno alle soluzioni che dobbiamo con coraggio trovare. pensando a questo presente e pensando anche ad un futuro nel quale, grazie anche ad una legge elettorale necessaria, forze politiche oggi divise dovranno comunque lavorare insieme. avevo alle spalle, venerdì pomeriggio, questa discussione e queste sue conclusioni e davanti, lunedì, l' apertura dei mercati. ritenevo che sui binari così tracciati della futura attività di Governo fosse mio dovere continuare con questo Governo, metterlo rapidamente in condizioni di fare ciò che venerdì io stesso mi ero impegnato a fare durante la discussione al Senato e provvidi dunque al rimpasto. potevo certo limitarmi a sostituire i due ministri della Sanità e delle Finanze. ma, intervenendo una delle due sostituzioni nel settore economico, sarei stato al di sotto dei miei doveri se non avessi colto l' occasione per affrontare una delle questioni più delicate che si erano venute creando nel Governo e che proprio nei giorni precedenti si era aggravata, quella dell' unità di indirizzo nel delicato settore del riordinamento delle partecipazioni statali e delle privatizzazioni. onorevoli colleghi , il decreto che proprio domenica il Governo ha adottato nasce anche da qui. esso certo risponde ad un' esigenza che avevamo già avvertito; avevamo comunque in animo di farlo per dare immediato vigore alla soppressione del ministero delle partecipazioni statali , così come un opportuno quesito referendario chiedeva di fare. tuttavia, non direi la verità se non aggiungessi che non lo avremmo fatto con gli ulteriori contenuti che sono noti se questo non fosse stato l' unico modo che non io, ma il Governo nella sua quasi unanimità, si è trovato a disposizione per garantire una unità che è indispensabile in un delicatissimo settore. un' unità che era messa a repentaglio dagli orientamenti espressi sull' argomento dal ministro dell' Industria , in disaccordo con gli altri due ministri competenti nella materia e con l' intesa che lui stesso aveva dato al piano predisposto dal ministro del Tesoro , trasmesso al Parlamento e sul quale il Parlamento stesso, attraverso le competenti Commissioni, si era espresso. proprio in questi giorni era pervenuto a me, agli altri ministri e al Cipe un documento — che era stato richiesto dal Consiglio il 30 dicembre e che avrebbe dovuto avere per oggetto linee di politica industriale per il paese — il quale conteneva fondamentalmente la riproposizione dell' ipotesi della super holding nella quale accorpare tutte le ex partecipazioni pubbliche, in contrapposizione alla quale era stato definito il piano di riordino presentato al Parlamento. mi rendo conto che non è, quella adottata, la soluzione più adeguata. altra sarebbe stata e sarebbe la via maestra. ma la Costituzione vigente non consente né a me né al collegio di imporla. in assenza di altre soluzioni, quel decreto diviene strumento essenziale dell' indirizzo di Governo. un indirizzo che noi dobbiamo rafforzare e rendere adeguato con efficacia e con prontezza di fronte all' intreccio perverso dei problemi che rischia di soffocare l' Italia. onorevoli colleghi , c' è in tutta Europa una fase recessiva che è più pesante e più strutturale di altre che abbiamo vissuto. non siamo in presenza soltanto di una congiuntura bassa, ma siamo in presenza degli effetti progressivamente prodotti da una divisione internazionale del lavoro che vede ormai l' Europa pericolosamente schiacciata tra i paesi che hanno raggiunto più alti livelli di tecnologia e di organizzazione del lavoro e i paesi che hanno, di contro, costi del lavoro più bassi dei paesi europei e che non hanno quei sistemi di protezione sociale ai quali giustamente i popoli d' Europa assegnano parte delle loro risorse. in questa situazione e di fronte alle prospettive che tale divisione internazionale del lavoro ci propone, le difficoltà delle nostre economie sono soltanto accentuate dalla fase recessiva, ma risalgono in realtà a ragioni che esigono dall' Italia, da tutti i paesi europei e dalla Comunità Europea uno sforzo concorde e congiunto che vada con lungimiranza alla innovazione tecnologica , a processi formativi di alta qualità, a processi di mobilità guidata degli stessi ceti intermedi in vista di professionalità più efficientemente rivolte al lavoro ed alla produzione, con i quali potremo sopravvivere e difenderci nel prossimo decennio. di tale problema è partecipe l' Italia. ma in Italia vi è qualcosa di più, che rende in qualche modo unico e particolarmente grave il problema italiano: c' è la contemporanea virulenza di una crisi politico-morale che ha scarsi precedenti nel nostro paese, e forse in tutta Europa, e che determina in tutte le vicende che viviamo la presenza di un veleno in più e quindi di una difficoltà grave e corrosiva in più: perché nella protesta che c' è, che è legittima e che è fondata, per il posto di lavoro , si unisce, si aggiunge e si confonde una protesta contro una politica dalla quale non si ha quel che si ottiene, ma della quale soprattutto si vede un aspetto degenerativo che la rende ostile ed odiata più di quanto normalmente non sia. e, nel mondo delle imprese, ai motivi di ansia e di preoccupazione che si avvertono, per gli ordinativi che vengono meno, per i mercati esteri sui quali in fase di congiuntura bassa, nonostante la svalutazione della lira, non si riesce a vendere quanto ci si sarebbe aspettati (non dimentichiamo che la nostra svalutazione sarebbe vantaggiosa soprattutto nei confronti del marco; ma è proprio la Germania quella che ha la recessione più profonda in tutta Europa), si aggiunge l' ansia per la libertà personale dell' imprenditore, di altri imprenditori, per la possibilità di chiusura o di rallentamento del lavoro legata al fatto che le amministrazioni pubbliche locali, con le quali si lavora, sono guidate da soggetti inquisiti. vi è quindi una specie di macchia d' olio, di paralisi e di inquietudine che sta allargandosi in larga parte d' Italia. è questo intreccio che esige urgenti e lungimiranti interventi; è questa situazione che impone a tutti noi di dare la maggiore forza possibile alle soluzioni che sapremo trovare. il tempo si sta davvero esaurendo per ricreare la fiducia di cui gli italiani hanno bisogno nella ripresa economica e nella ripresa morale della loro patria. la fiducia nella ripresa economica passa per una politica che ponga al centro lo sviluppo, la crescita dell' economia reale e che allenti la morsa della disoccupazione, il timore dei padri e delle madri di perdere il posto di lavoro che hanno, l' angoscia dei figli e delle figlie di non entrare mai nel mercato del lavoro , a cui hanno titolo ad entrare. è intenzione del Governo raccogliere le fila di quanto già si è preso a fare e annodarle a quelle del negoziato, mai interrotto, sulla grande questione delle relazioni contrattuali e salariali per addivenire ad un grande patto sull' occupazione tra le parti sociali , garantito e rafforzato dagli strumenti che Governo e Parlamento possono mettere a disposizione. nell' intervenire in questa materia io non dimenticherò mai — e non intendo dimenticarlo o rinunciarvi — ciò cui ho sempre creduto: che la forza dei lavoratori e del mondo del lavoro è forza da mettere a disposizione di essi stessi e di chi li rappresenta in un negoziato nazionale decentrato con le controparti che sia la fonte dei risultati che essi ottengono. un tempo alcuni chiamavano questo « riformismo » . il Governo, in occasione della reiterazione del decreto sull' occupazione — che avverrà il 5 marzo — , intende raccogliere la normativa che si è venuta creando, migliorarla anche attraverso il confronto con le parti sociali e fornire quindi quella strumentazione più adeguata di cui il patto sociale per l' occupazione si potrà utilmente avvalere. vi è poi la questione morale . il paese è turbato dalle dimensioni e dalle caratteristiche dei fenomeni di corruzione che stanno emergendo. a questo turbamento, che è indignazione e giusta rivolta morale, dobbiamo la prima delle nostre risposte: e non saremo mai in grado di darla se non prenderemo atto che il mondo politico sta subendo dai giudici grandi ferite, certo, ma che non sono i giudici la fonte della sua malattia. era probabilmente e sicuramente l' insieme delle sue precedenti malattie la ragione delle ferite alle quali oggi stiamo assistendo. ma il paese è anche turbato dagli effetti economici e sociali che si stanno determinando in conseguenza di un' azione giudiziaria così estesa da comportare, per il numero delle imprese che coinvolge e per il numero di attività di cui determina la paralisi, le conseguenze delle quali poc' anzi parlavo. è turbato, altresì, dalle alterazioni che stanno subendo istituti basilari del nostro sistema democratico: non è uno stato di diritto quello che le difese e la cultura stessa del garantismo riserva agli onesti ed ai presunti onesti, mentre i disonesti o i presunti disonesti divengono oggetto di linciaggi e di arbitri. è il momento, è l' indilazionabile momento, di dare a tutto questo le risposte politiche che gli stessi giudici ci chiedono e che ci rimproverano, anzi, di non avere ancora adottato. è il momento delle nostre responsabilità: il Governo intende assumerle con tutta la necessaria urgenza. ciò significa azioni che garantiscano la non ripetibilità futura dei guasti passati e che pongano, d' altra parte, fine alla condizione di invivibilità — che ormai è economica e sociale — determinata dagli effetti a ondata del passato. è urgente, urgentissima, la nuova disciplina sugli appalti; è urgente una nuova disciplina del finanziamento della politica; sono urgenti nuovi, forti, credibili controlli sull' azione dell' amministrazione. ho già annunciato al Senato — e in questi giorni ho già perfezionato l' avvio del lavoro — che, con la collaborazione della Corte dei conti e del Consiglio di Stato , sto impostando una iniziativa che ci consenta di affidare alle procure regionali, da attivare, della Corte dei conti , un ricorso d' ufficio contro gli atti delle amministrazioni nazionali, regionali e locali, entro pochi giorni dalla loro adozione, davanti ai giudici amministrativi, a tutela della imparzialità amministrativa ed affinché l' eccesso di potere rioccupi il posto che gli spetta e non sia sostituito ab initio dall' abuso di potere penale. occorrono interventi, ai quali sta lavorando il ministro di grazia e Giustizia, sui reati sin qui commessi, che, senza colpi di spugna ed assicurando comunque sanzioni restitutorie e interdittive, regolino con equilibrio il passato. occorre procedere lungo queste linee, occorre farlo con determinazione e con certezza. per questo ho ritenuto di chiedere io la fiducia: perché si sappia per che cosa mi viene data; perché si sappia per che cosa mi viene negata. un ultimo punto e ho concluso: la data dei referendum. nulla vorrei fare che possa concorrere alla tesi, giustamente respinta dai presidenti Napolitano e Spadolini, della delegittimazione del Parlamento. li ringrazio, anzi, come cittadino italiano per aver respinto quella tesi e mi associo alle loro parole. per questo e in relazione a questo potrebbe avere un senso collocare i referendum nella fase finale del periodo consentito dalla legislazione e lasciare così un arco di tempo più ampio perché le elaborazioni legislative connesse ai quesiti referendari abbiano luogo. ma, almeno per i referendum elettorali, la fine di aprile, una convocazione, da farsi presto e prevedibile per la fine di aprile, potrebbe per contro aver senso. se questo Parlamento è legittimato — ed è legittimato — tale è ora e tale resterebbe anche dopo i referendum, e dopo i referendum potrebbe lavorare con più serenità e corroborato e orientato dal voto popolare potrebbe condurre in porto il lavoro per la legge elettorale che è necessaria. queste sono le due ipotesi. personalmente propendo per la seconda; mi rimetto tuttavia anche alle valutazioni che i gruppi potranno esprimere per raccoglierle nella replica e portare una proposta al Governo. vi ringrazio.