Giulio ANDREOTTI - Presidente del Consiglio dei Ministri Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 596 - seduta del 22-02-1991
Sulla situazione del Golfo Persico
1991 - Governo VI Andreotti - Legislatura n. 10 - Seduta n. 596
  • Comunicazioni del governo

onorevole presidente , onorevoli colleghi , nei duecento giorni seguiti all' infausta iniziativa di Saddam Hussein con l' occupazione del Kuwait e la sua frettolosa annessione, suscitandosi non infondato allarme negli altri stati del Golfo ed una massiccia condanna internazionale, l' opinione pubblica mondiale si è domandata in che modo fosse possibile convincere il governo di Bagdad a tornare indietro. vorrei ricordare che non uno solo tra gli stati dei cinque continenti ha ritenuto valide le giustificazioni storiche addotte da Saddam Hussein . si è trattato di una posizione del resto comune a tutti noi in quest' Aula come è emerso dal dibattito di ieri (o a quasi tutti, perché il collega Viviani ha voluto rievocare — non ho compreso bene in quale chiave interpretativa — la guerra del Regno del Piemonte alle delle due Sicilie). l' Arabia Saudita , che si sentiva particolarmente minacciata dopo la facile marcia irachena sul Kuwait conclusasi in poche ore, ottenne un immediato sostegno determinante di truppe americane e di altri stati, compresi quelli arabi che vedevano dissolversi le intese regionali e arrecare profonde delusioni a quei leaders — a cominciare da Mubarak — che avevano più volte garantito che i timori verso l' espansionismo di Saddam Hussein erano infondati. fu decretato dall' Onu un embargo assistito da vigilanza navale, sperando che l' isolamento commerciale dell' Iraq inducesse Bagdad ad una saggia riflessione. dopo una prima fase, l' Onu fissò per questo un ulteriore termine di 45 giorni durante i quali febbrili e molteplici sono stati gli sforzi — noti e per ora non noti — per ottenere il risultato della liberazione del Kuwait offrendo a Saddam Hussein argomenti e coperture per districarsi — come ho detto ieri — dalla criminosa avventura. l' inizio delle operazioni militari, esaurita ogni altra speranza e nell' assenza di ogni altra valida alternativa, non ha esaurito il dispiegarsi dei tentativi di buoni uffici, che hanno culminato nell' iniziativa di Gorbaciov, che non poteva certo distaccarsi dall' obiettivo di fondo e cioè l' indipendenza del Kuwait, per aderire alla quale anche una sola condizione veniva definita letteralmente inaccettabile ed irreale. vi sono molti argomenti nei dibattiti parlamentari sui quali possono valere schermaglie dialettiche e posizioni tattiche. non è quello che oggi riunisce la Camera uno di questi argomenti. i lutti e le distruzioni che si sono susseguiti sono addebitabili solo alla volontà di sopruso di Saddam Hussein e non saranno certo gli alleati a volerne in seguito portare il conto al tormentato popolo dell' Iraq, che non ha certo avuto responsabilità nell' offensiva del 2 agosto e nella successiva escalation negativa. si è anche chiesto ieri al Governo se vi fosse adesione in qualsiasi maniera ad un disegno che, andando oltre la liberazione del Kuwait, miri a dare all' Iraq una ben più ampia lezione distruttiva. si è anche chiesto se, mettendo l' accento sull' enorme e squilibrato potenziale bellico dell' Iraq, io non avessi in qualche modo aderito ad un concetto di guerra preventiva . orbene, se Saddam Hussein non avesse attuato la sua gravissima iniziativa militare contro il Kuwait, nessuno si sarebbe sognato — e di fatto si sognò — di agire militari contro di lui. si può anzi dire che vi fu una tacita acquiescenza al riarmo massiccio e continuato dell' Iraq, non prendendosi mai impegni veri per quel disegno di sicurezza globale dell' area che pure era stato solennemente previsto dalla risoluzione dell' Onu con cui fu fatto cessare il fuoco dopo la infausta e massacrante guerra tra Iraq e Iran. tutto l' impegno dell' Italia, in piena armonia con la politica dell' Onu, è stato soltanto per restituire l' indipendenza al Kuwait, sentendo peraltro l' urgenza di successive azioni diplomatiche di ampio respiro per raggiungere consensualmente e sotto l' egida dell' Onu condizioni stabili di equilibrio e di sicurezza per tutti. aggiungo che, quando sono falliti i tentativi di convincimento e gli esperti hanno valutato l' inefficacia dell' embargo, è stato fatale il ricorso a quelle ulteriori misure determinate dal Consiglio di sicurezza dell' Onu (che altro non erano se non il ricorso alle armi), tutti noi, che ci sentivamo orgogliosi per la lunga marcia di rasserenamento e di pace realizzata su scala mondiale, uscendo dalla sterilità della guerra fredda e confidando nell' azione politica internazionale della cooperazione della sicurezza, ci siamo sentiti in quel momento sconfitti. ma ben più gravi sarebbero le conseguenze se l' ordine di restituzione votato dall' Onu fosse caduto nel nulla. sarebbe legittimata la ripresa della corsa al riarmo, potendo per il futuro ogni stato temere che un vicino più forte ne decreti ad un certo momento impunemente l' occupazione e la fine. il progressivo ammassarsi di uomini e di mezzi alleati nel Golfo veniva presentato da taluni polemicamente come una decisione già presa di non limitarsi alle altre pressioni. posso dire per scienza diretta che non era questa la volontà politica dei responsabili, a cominciare dal presidente Bush, con il quale ho avuto più volte occasione di intrattenermi in questi mesi. più degli altri il presidente degli USA sperava che Saddam Hussein si ravvedesse, perché non era certo a cuor leggero che vedeva i rischi concreti di infiniti lutti nelle famiglie del suo e degli altri popoli. si è detto che l' Europa poteva fare di più. militarmente non credo, e penso che se l' Arabia Saudita e gli altri avessero potuto chiedere a paesi più vicini sostegno deterrente per bloccare la minaccia, lo avrebbero fatto. ma non per questo io ritengo che — pur associando i problemi della sicurezza al disegno di Unione Europea — dobbiamo coltivare per il futuro progetti di prevalente armamento continentale. viceversa, noi lavoriamo con disperata tenacia per affermare il primato del diritto internazionale , la rivalutazione dell' Onu, la piena applicazione del modello di Helsinki e delle nuove intese sancite dal recente accordo di Parigi. in queste ultime ore hanno continuato ad alternarsi momenti di sconforto ed altri di speranza che Saddam Hussein volesse rinunciare alla sua protervia ed ostinazione per porre termine ad un conflitto che si avvicinava ad una svolta ben più cruenta. il discorso pronunciato ieri dal dittatore iracheno non era stato certo indice di un ragionevole ripensamento di chi si è spinto così avanti sulla via della violenza e della distruzione. egli ha ancora una volta presentato la crisi cercando di rovesciare sugli altri, a cominciare dai paesi arabi, la responsabilità di questa tragedia. nessun cenno egli ha fatto all' iniziativa sovietica a seguito della quale il ministro degli Esteri Tarek Aziz si portava ieri sera stessa a tarda ora a Mosca. a parte le differenti caratteristiche della filosofia e della psicologia di quei popoli rispetto ai nostri modelli, Saddam Hussein è particolarmente imprevedibile. per restare agli eventi dell' invasione kuwaitiana, sorprese e deluse innanzitutto — come ho già detto — i suoi amici ed alleati che reagivano quasi con irritazione a chi manifestava preoccupazioni. attuò quindi la misura della ospitalità forzata (chiamò così gli ostaggi) per migliaia di stranieri, iniziando una restituzione a piccole rate per arrivare poi ad un qualche permesso di partenza generalizzata moti dandolo persino con accenni al valore familiare del Natale cristiano. sembrò che fosse segno di avvio alla soluzione pacifica, ma non fu così. più tardi, ad operazioni militari già iniziate, nominato ministro il suo ambasciatore a Roma, ci inviò rapidamente un successore e fummo reciprocamente lieti del suo sollecito accreditamento, seguito pochi giorni dopo dalla rottura diplomatica decisa unilateralmente anche con lo Stato italiano. di più ampia portata furono le speranze di utili incontri, fissati, revocati e poi ripresi con il governo statunitense. per queste ed altre esperienze anche il tono apparentemente definitivo del rifiuto di ieri nel messaggio televisivo non tolse qualche residua speranza, fermo restando comunque che anche se fosse iniziata l' offensiva terrestre non avremmo tutti cessato di ricercare spiragli utili per indurlo a restituire finalmente il Kuwait, evitando ulteriori catastrofi. poiché si è fatto appello alla coscienza (che non è monopolio di alcuna parte ed in nome di una concezione soggettiva nella quale si fanno e si tollerano talora le cose più inverosimili), credo di poter dire che in tutta questa vicenda nessuno può affermare che la coalizione internazionale non abbia dato prova — per realizzare l' obiettivo di liberazione fissato dall' Onu — di grande senso di paziente responsabilità, cercando sempre di offrire a Saddam Hussein una strada di ritorno. vorrei ricordare in proposito ancora una volta che, pur rifiutandosi lo specioso collegamento tra il suo dovere di restituire il maltolto ed altri problemi di insicurezza e di ingiustizia dell' area mediorientale, non a caso il 1° ottobre parlando all' Onu il presidente Bush rinnovò esplicitamente l' impegno ad affrontare — subito dopo la restituzione del Kuwait alla sua indipendenza — gli altri problemi della zona, citando esplicitamente la Palestina ed il Libano. era l' annuncio della fine dell' impotenza dell' Onu e delle colpevoli distrazioni internazionali. come ha detto re Fand il 19 febbraio « Saddam Hussein è responsabile di tutte le calamità che hanno colpito la nazione araba. egli ha perduto tutte le occasioni per arrivare alla pace, rifiutandosi di ritirarsi ed insistendo invece nell' occupazione del Kuwait. perché i leaders di alcuni paesi arabi — si è chiesto — stanno cercando di nascondere la realtà e di ribaltare i fatti, volendo ignorare la ragione principale, cioè la morte e la violazione nelle cose più sacre subite dal popolo del Kuwait? » . su Saddam Hussein ricade quindi la responsabilità delle distruzioni e delle sofferenze sia della sua nazione sia della terra kuwaitiana, spogliata, sconvolta, colpita nel cuore con l' esodo forzato di centinaia di migliaia di lavoratori stranieri che trovano lì possibilità di vita e mezzi di rientro, con le rimesse degli emigrati, per i loro poveri paesi di origine. signor presidente , onorevoli colleghi , le ultime notizie provenienti da Mosca, in questo alternarsi di speranze e di delusioni, hanno riacceso la fiducia nella fine del conflitto e nella restituzione della libertà al Kuwait senza ulteriore spargimento di sangue. pazienza e saggezza sembrano potere finalmente prevalere, arrecando sollievo ma anche l' infinita tristezza per le vite umane sacrificate, che nessuno sa quante siano, in questo strano conflitto ripreso in diretta dalle televisioni ma ermetico sulle conseguenze effettive — umane e materiali — delle operazioni militari. consultazioni incrociate sono in corso tra tutti i paesi interessati, per valutare analiticamente i contenuti e la concretezza di quanto è emerso ieri. sui due punti del piano Gorbaciov sui quali Bush aveva espresso particolari riserve, uno — circa il rilascio dei prigionieri — mi sembra positivamente risolto, mentre per l' altro (durata delle operazioni di ritiro dal Kuwait da iniziarsi immediatamente) si tratta di una specificazione che non dovrebbe essere difficile, tenendo conto che, se furono impiegati due giorni per l' occupazione, non ne possono servire molti di più per il ritiro. vi è da chiarire la natura di « non condizioni » per tutto il resto, ma ricordo che anche un solo condizionamento per il ritiro totale dal Kuwait era stato definito, come ho detto sopra, dallo stesso Gorbaciov in perfetta linea con l' Onu, irreale ed inaccettabile. vi è poi da rispettare — e non è questione di forma — la competenza del Consiglio di sicurezza dell' Onu ai fini del momento di abrogazione di tutte le misure adottate; decisione che non può essere ovviamente lasciata ad intese bilaterali e che non credo possa aversi prima del completo ritiro dal Kuwait. ma vi è anche da accettare in modo inequivocabile, stante la difformità sostanziale tra le chiusure del discorso pomeridiano di ieri del rais e l' ampia disponibilità espressa dal suo ministro degli Esteri , se questi abbia potuto manifestare una decisione definitiva ed inequivocabile del governo iracheno . le conversazioni di Mosca continuano questa mattina e mi auguro che ogni punto venga chiarito in modo accettabile e sicuro, per annullare l' operazione di terra e far cessare al più presto le ostilità. in questo momento occorre, a nostro avviso, mantenere e rafforzare la coesione con tutti i nostri partners. su questi aspetti sono stato stamane in contatto, attraverso le nostre cancellerie diplomatiche, con Washington, Londra, Parigi e Mosca. ho potuto avere una conversazione telefonica con il presidente Mitterrand e ho avuto modo di consultare direttamente anche il Primo Ministro Major, constatando che vi sono molti punti di contatto del nostro modo di valutare. inizierà ora, auspicabilmente, il duro ma entusiasmante impegno per porre le basi, se riusciamo a chiudere la crisi del Kuwait, di un' autentica costruzione di una generale convivenza pacifica, corrispondente alla volontà di tutti i popoli, garantita da strumenti internazionali più forti ed efficaci di quelli di cui dispongono i prepotenti, rafforzata da una crescente correzione degli enormi disparità economiche e sociali, salvaguardata da un sistema internazionale di limitazione e di controllo nel macabro mercato degli armamenti. le armi — ricordiamo Cicerone — dovrebbero cedere davvero e per sempre alle toghe. la dura lezione della tragedia kuwaitiana potrà, un giorno — è il nostro voto — essere ricordata come il punto di svolta per potere considerare non più utopistico — attraverso la forza dell' Onu — un sistema di autentica e stabile sicurezza internazionale. questa, in fondo, io sono sicuro che — spogliata da ogni particolarismo — è la volontà (e quindi l' impegno) comune del Parlamento e del popolo italiano .