Bettino CRAXI - Presidente del Consiglio Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 574 - seduta del 16-01-1991
Sul caso Cirillo
1991 - Governo I Spadolini - Legislatura n. 8 - Seduta n. 527
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevole presidente del Consiglio dei ministri , onorevoli colleghi , alcune ore prima di essere assassinato, il leader palestinese Abu Jihad si era incontrato a Tunisi con l' ambasciatore italiano Claudio Moreno, aveva ascoltato le proposte contenute in un messaggio del governo italiano , le aveva commentate favorevolmente, aveva dichiarato di condividerle, si era immediatamente attivato per stabilire i contatti necessari: l' Olp avrebbe chiesto il ritiro iracheno dal Kuwait, lo avrebbe fatto nell' interesse dalla pace, e mettendo in rilievo l' interesse vitale del popolo palestinese a collocare la sua propria questione in una cornice di pace; una decisione urgente, e sullo sfondo il disegno di un processo negoziale impegnato a riportare pace e sicurezza in tutta la regione ed a risolvere finalmente, dopo le troppe assenze e le troppe insensibilità di questi anni, e nonostante la drammatica eloquenza di una rivolta popolare, la questione palestinese . con la sua intelligenza viva e riflessiva, con il suo spirito concreto e realistico, Abu Jihad aveva subito colto il valore e la portata della proposta italiana, che del resto aveva molti punti di contatto con altre che l' avevano preceduta. egli aveva capito l' importanza di portare il peso dell' Olp sulla bilancia di un processo di pace. lo avevano capito anche i suoi nemici ed i nemici della pace ed è per questo che è stato assassinato. purtroppo, ancora una volta il popolo palestinese si trova al centro di una bufera e rischia di essere trascinato lontano dai suoi obiettivi e dalla finalità del moto di indipendenza di cui è protagonista. onorevoli colleghi , non è per riportare all' ordine del giorno del mondo la causa palestinese che l' Iraq ha prima invaso e poi dichiarato l' annessione del Kuwait; non è per favorire il popolo palestinese e la sua lotta che Saddam Hussein ha lacerato le relazioni del mondo arabo , ponendosi contro la gran parte delle nazioni che lo compongono. Saddam Hussein non ha dichiarato guerra ad Israele, bensì allo Stato arabo del Kuwait, membro della Lega araba , sostenitore della causa palestinese; un paese che ospitava centinaia di migliaia di lavoratori palestinesi emigrati. la bandiera di una causa giusta è stata levata in modo mistificatorio ed ingiusto e solo dopo che la reazione internazionale all' aggressione del Kuwait si è rivelata di proporzioni e di ampiezza assolutamente imprevedibili. di tutta questa mistificazione — è evidente — regge un solo argomento, ossia l' assai differente reazione manifestata dalla comunità internazionale di fronte ad altre violazioni dei diritti dei popoli ed altre aggressioni, ad altri rifiuti di ottemperare alle disposizioni contenute nelle risoluzioni dell' Onu. tuttavia, non possiamo non riflettere sul fatto che solo ora il mondo comincia ad uscire dalle rigidità, dal clima di sfiducia, dalle paralisi e dai condizionamenti negativi creati dalla contrapposizione tra i blocchi militari, che ha sempre reso ardua la soluzione di problemi che andavano risolti, ed invece venivano fatti marcire. di fronte alla reazione della comunità internazionale , delle Nazioni Unite , della grande maggioranza dei governi arabi, il regime iracheno avrebbe dovuto e dovrebbe prendere atto della situazione, trarne le conseguenze con assoluta e logica serenità e realismo. innanzi ad un pronunciamento internazionale così autorevole e vasto da parte di quasi tutti gli Stati dei diversi continenti, non si sarebbe trattato e non si tratterebbe per l' Iraq di una umiliazione, di una sconfitta né di un disonore, ma, al contrario, come ha detto anche Papa Wojtyla nella sua predicazione di pace, di una decisione che gli farebbe onore. una decisione in questo senso, anche solo annunciata, sarebbe salutata come un atto di saggezza, come la vittoria della ragione, come il segno di un desiderio di ritornare nella comunità internazionale per discutere, senza pregiudizi e senza minacciose affermazioni ultimative, tutti i problemi che sono sul tappeto. ieri Daniel Ortega , di ritorno dai suoi colloqui di Bagdad, mi ha riferito che la sola parola che Saddam Hussein non intende pronunciare è « ritiro » , mentre è la prima che avrebbe dovuto, o che dovrebbe, formulare. su questa base potrebbe, allora, tornare ad incontrarsi il Consiglio di sicurezza per quella riunione in extremis , che viene invocata ormai sul nulla: un nulla che non sia il rischio del disfacimento delle Nazioni Unite sotto il peso di un fallimento sostanziale e di una resa che sarebbe lenta, progressiva, ma inevitabile. l' Iraq ha aperto questo conflitto; l' Iraq era ed è perfettamente in condizione di sanarlo, prima che precipiti in uno scontro militare aperto. questi mesi, onorevoli colleghi , come già ricordato, sono stati purtroppo teatro di continui rifiuti, di violenze selvagge compiute ai danni delle popolazioni del Kuwait, di prepotenze e di manovre inutili sugli ostaggi e per mezzo di essi, di tentativi e di occasioni deliberatamente mandate al macero. il presidente degli USA è stato « bollato » come Giuda; gli appelli del pontefice sono stati del tutto ignorati; i tentativi del segretario generale dell' Onu mortificati quando erano ancora in anticamera; la Comunità Europea neppure presa in considerazione e tutto intorno si è avuta una moria di piani che sono nati e si sono spenti uno dopo l' altro. molti paesi arabi hanno offerto la loro mediazione ed hanno avanzato piani per la soluzione della crisi, ma nessuno di essi è riuscito ad aprirsi una strada; nessuna iniziativa politica e diplomatica è riuscita a crearsi un varco nell' intransigenza e nella durezza della posizione irachena. non vi sono riusciti i paesi che avevano avuto ed avevano particolari relazioni di amicizia e collaborazione con il regime di Bagdad; non vi è riuscita l' Unione Sovietica né la Francia e nemmeno autorevoli rappresentanti di forze politiche di primo piano di tutti i continenti. eppure, i possibili scenari di guerra sono ormai noti a tutti e tutti sono consapevoli del carattere devastante delle offensive che possono essere condotte con i mezzi militari schierati in campo, ed ognuno può immaginare — se non proprio calcolare — la gravità delle conseguenze che ne seguiranno in termini umani, economici, politici e morali. stiamo assistendo e partecipando ad un dramma, alcuni aspetti del quale risultano totalmente incomprensibili. come si possa insistere a considerare un affare americano, un prodotto dell' imperialismo statunitense, un' avventura generata da interessi americani quello che sta avvenendo è difficile dire. se così fosse, non vedremmo oggi schierati, o convergenti sulla medesima linea — se non proprio sul medesimo fronte — Stati, nazioni, sistemi tanto diversi e lontani tra di loro. bisogna, semmai, chiedersi perché si sia creato un caso internazionale che non ha precedenti. mai si era vista la comunità internazionale così unita e determinata nel raggiungimento di un comune obiettivo, nell' affermazione di un principio e nella richiesta che le risoluzioni dell' Onu siano rispettate. mai un paese si era trovato in una situazione di tanto isolamento, di tanta unanime condanna. la leva di tutto ciò è stata, a mio parere, il rifiuto di accettare come un fatto compiuto la cancellazione, con un atto di violenza, dello Stato del Kuwait, ma anche la minaccia di una spirale aggressiva capace di provocare una destabilizzazione e stravolgimenti tali nella regione del Golfo da aprire, presto o tardi, la via ad un conflitto di ben maggiore portata. ciò che sbalordisce, e che non ha precedenti nella storia, è vedere uno Stato che pure sa, e non può non sapere, che perderà la guerra, gettarsi egualmente a testa bassa in una provocazione di guerra. abbiamo osservato tanti regimi dittatoriali lanciarsi allo sbaraglio in avventure militari nella convinzione o nell' illusione di uscirne vincitori, ma mai nessuno che abbia lanciato sfide di guerra ben sapendo di essere destinato a perdere. tutto questo ha colorato di irrazionale e di fanatico la condotta del regime iracheno, che è sfuggita al nostro orizzonte, ai principi in cui crediamo, al desiderio che ogni contrasto fosse oggetto di dialogo e di negoziato, allo spirito pacifico e pacifista della nostra tradizione, che è una tradizione di uomini e di donne di pace che, tuttavia, non si sono mai confusi con un pacifismo ipocrita e rinunciatario. si tratta di una tradizione di uomini e di donne che hanno saputo seguire la via del sacrificio quando questo si è reso necessario per opporsi alla provocazione, alla violenza ed all' aggressione. il 2 agosto 1990 il Consiglio di sicurezza dell' Onu dichiarava — come ha ricordato questa mattina il presidente del Consiglio — che l' invasione del Kuwait da parte dell' Iraq costituiva una rottura della pace e della sicurezza internazionale e, come tale, la condannava. con la medesima risoluzione lo stesso organismo esigeva il ritiro immediato e incondizionato delle forze irachene e invitava l' Iraq e il Kuwait ad intraprendere immediatamente intensi negoziati per regolare le loro differenze ed appoggiare tutti gli sforzi compiuti a questo proposito, in particolare quelli della Lega degli Stati arabi . da allora sono state adottate, in un crescendo di preoccupazione e di determinazione, altre undici risoluzioni del medesimo tenore. l' ultima, in ordine di tempo, è la risoluzione del 29 novembre 1990, in base alla quale si dichiara che « con il suo comportamento l' Iraq sfida apertamente il Consiglio » , aggiungendosi che « il Consiglio è risoluto a fare pienamente rispettare le sue decisioni e quindi esige che l' Iraq si conformi pienamente alla risoluzione 660 ed a tutte le ulteriori risoluzioni e, senza ritornare su nessuna delle sue decisioni, decide, in segno di buona volontà , di osservare una pausa per dargli l' ultima possibilità di farlo » . la risoluzione citata prosegue autorizzando « gli stati membri che cooperano con il Governo kuwaitiano, se il 15 gennaio 1991 l' Iraq non ha pienamente applicato le risoluzioni sopramenzionate, ad usare tutti i mezzi necessari per fare rispettare ed applicare la risoluzione 660 e tutte le risoluzioni ulteriori, per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale nella regione » . onorevoli colleghi , noi abbiamo riconosciuto il valore e la validità di questa risoluzione del Consiglio di sicurezza dell' Onu. ora affronteremo, con dignità e coerenza, le difficoltà che si dovessero presentare. il governo italiano , investito di una grande responsabilità in una situazione così tesa, complessa e difficile, ha attivamente ricercato un punto di appoggio per sviluppare una iniziativa di pace, e lo ha fatto con particolare scrupolo. per parte nostra lo abbiamo costantemente sostenuto ed incoraggiato. di fronte all' aggravarsi della situazione, per le decisioni di natura militare che potrebbe essere chiamato ad adottare, il Governo avrà per intero il nostro reale appoggio, nella speranza che nel paese e tra le forze democratiche si allarghi e si approfondisca la consapevolezza dei doveri che l' Italia, non ultima tra le nazioni libere e progredite, ha verso la comunità internazionale .