Giulio ANDREOTTI - Presidente del Consiglio dei Ministri Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 574 - seduta del 16-01-1991
Sulla situazione del Golfo Persico
1991 - Governo VI Andreotti - Legislatura n. 10 - Seduta n. 574
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , le risoluzioni approvate a larga maggioranza, rispettivamente dal Senato della Repubblica il 22 agosto dello scorso anno e dalla Camera dei Deputati il giorno successivo, hanno rappresentato e rappresentano il punto di riferimento per l' azione del governo . infatti, se da un lato impegnavano all' attuazione delle misure di embargo contro l' Iraq adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite , dall' altro sottolineavano la necessità di valorizzare la spinta di solidarietà manifestatasi in tutto il paese fin dagli inizi dell' occupazione militare del Kuwait, per promuovere iniziative concrete e idonee a favorire la soluzione non soltanto di questa più recente crisi, ma anche delle altre gravi questioni aperte da tempo nell' area mediorientale. alle direttive che ho ricordato l' Italia si è scrupolosamente attenuta, anche nell' esercizio, durante il precedente semestre, della Presidenza di turno del Consiglio delle comunità europee . il Parlamento seppe, dunque, cogliere due degli aspetti più significativi e, certamente, i più importanti aperti dall' invasione irachena. mi riferisco alla purtroppo stagnante ricerca di sbocchi di altre irrisolte crisi in quella tormentata regione ed alla riconsiderazione del ruolo del petrolio quale fonte energetica mondiale e presupposto dello sviluppo economico e sociale , in particolare per le nazioni più povere del nostro pianeta. allora, agli inizi dell' occupazione irachena, ed ancora di più oggi, dopo tante sofferte vicende delle quali la più drammatica è stata la detenzione degli ostaggi, la questione essenziale, direi cruciale, continua ad essere quella se sia lecito occupare ed annettere impunemente uno Stato sovrano. a questo interrogativo non è certo difficile dare una risposta per chi, come noi, riconosce valore effettivo al diritto delle genti , alle regole della convivenza internazionale ed agli obblighi delle Nazioni Unite . credo che nessuno in quest' Aula accetti una diversa impostazione del problema; perché, in caso contrario, sarebbero la forza e la potenza a prevalere, eliminando i progressi, lenti ma pur sempre certi, che stiamo compiendo sulla via di una pacifica convivenza internazionale, di una migliore comprensione e di una più forte solidarietà fra i popoli, nel quadro, appunto, di un sistema di sicurezza e di cooperazione facente capo alle Nazioni Unite . sono queste le ragioni che ci hanno indotto, con il conforto del Parlamento, ad approvare senza esitazioni la decisione americana di assicurare un immediato sostegno militare all' Arabia Saudita e a dare subito dopo attuazione alle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza sulle misure di embargo e sugli strumenti idonei a rendere quest' ultimo veramente effettivo. la condanna dell' intervento militare iracheno, e ancor di più della frettolosa annessione, è stata espressa dalla comunità internazionale in termini fermi e senza smagliature. la prima risoluzione del Consiglio di sicurezza — quella che reca il numero 660 e condanna l' invasione preannunciando le sanzioni nei confronti dell' Iraq — era stata adottata all' unanimità dei presenti il 2 agosto. la risoluzione 661 del 6 agosto, che proclamava l' embargo, era stata adottata con 13 voti a favore e 2 astensioni (Yemen e Cuba), mentre le risoluzioni 662 e 664, che consideravano l' invasione del Kuwait come nulla e mai avvenuta e ribadivano che gli stranieri dovevano essere liberi di lasciare l' Iraq ed il Kuwait, venivano approvate all' unanimità rispettivamente l' 8 ed il 18 agosto. le risoluzioni 665 e 666, adottate rispettivamente il 25 agosto ed il 13 settembre, con 13 voti favorevoli e due astensioni (si tratta ancora dello Yemen e di Cuba), riguardavano, invece, l' autorizzazione alle flotte presenti nel Golfo ad adottare misure per rendere esecutivo l' embargo e l' istituzione di un comitato di controllo dell' embargo stesso. le risoluzioni 667 e 669 furono invece adottate all' unanimità, rispettivamente il 16 ed il 24 settembre. esse condannavano le misure vessatorie adottate dalle forze di occupazione irachene contro le rappresentanze diplomatiche nel Kuwait e contemplavano l' istituzione di un comitato per l' esame delle richieste di assistenza da parte dei paesi più colpiti dalle conseguenze dell' embargo. la risoluzione 670 del 25 settembre, che estendeva le misure d' embargo al settore aereo, ebbe un solo voto contrario (quello di Cuba) e la risoluzione 674, del 29 ottobre, che riguardava la situazione degli ostaggi in Kuwait ed in Iraq, venne adottata con 13 voti favorevoli e 2 astensioni (sempre dello Yemen e di Cuba). dopo la risoluzione 677 del 27 novembre, che riguardava la protezione dell' anagrafe kuwaitiana, approvata per consenso, il Consiglio di sicurezza adottava il 28 novembre, con 12 voti a favore, 1 astensione (quella della Cina) e 2 voti contrari (quelli dello Yemen e di Cuba), la risoluzione 678 con la quale gli stati membri delle Nazioni Unite , che avevano deciso di cooperare con il governo del Kuwait (cioè gli Stati che avevano inviato forze militari nel Golfo) venivano autorizzati ad utilizzare tutti, dico tutti, i mezzi necessari per sostenere e mettere in atto le risoluzioni del Consiglio di sicurezza , a cominciare, naturalmente, dalla risoluzione 660 che, come ho ricordato poc' anzi , aveva reso unanime condanna dell' invasione del Kuwait. sul testo della risoluzione 678 tornerò fra poco. sembra importante sottolineare, come già avevo fatto in Senato il 22 agosto, che la realtà nella quale va oggi inquadrata la nuova crisi del Golfo è quella della riconquistata possibilità da parte dell' Onu di tutelare in maniera efficace la pace e la sicurezza internazionale. avevo osservato allora che, più di una riconquistata possibilità, si doveva forse parlare di una tappa non ancora in precedenza raggiunta nel concerto tra le nazioni; perché gli anni della guerra fredda , caratterizzati da una tensione continua, persistente e, aggiungerei, a tutto campo fra le due maggiori potenze, avevan paralizzato gran parte delle capacità effettive di governo mondiale dell' Organizzazione delle Nazioni Unite . questo nuovo ruolo delle Nazioni Unite , questa funzione di coordinamento e di Governo delle relazioni internazionali, ispirate al rispetto dei diritti reciproci, compresa l' inviolabilità delle frontiere, non possono essere in alcun modo umiliati. nessuno di noi vuole la guerra, nessuno di noi può rimanere insensibile di fronte alle prospettive di un ricorso all' uso della forza, con i sacrifici che esso comporta prima di tutto in termini di vite umane . ma lo stesso statuto delle Nazioni Unite , che pone tra i suoi fini quelli di salvaguardare le future generazioni dal flagello della guerra e di creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere altrimenti mantenuti, prevede (cito testualmente) « efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace » . sono certo, onorevoli colleghi , che tutti voi siete convinti che il primato, l' autorità delle Nazioni Unite , quali noi li concepiamo per un ordinato sviluppo della comunità delle nazioni, soprattutto di quelle meno favorite, non possono essere messi a repentaglio privando le istituzioni societarie di una efficace possibilità d' intervento. coloro che hanno in orrore l' uso della guerra, e noi, certamente, siamo tra quelli, debbono anche preoccuparsi che l' Onu non rimanga un profeta disarmato e le sue risoluzioni non restino parole dette al vento! l' Iraq si è trovato ad essere il punto di verifica di questa nuova potenziale stagione di Governo giuridico del mondo e di soluzione pacifica delle controversie internazionali. le dodici risoluzioni del Consiglio di sicurezza , da quella del 2 agosto a quella del 28 novembre, hanno costituito il complesso coerente di misure con le quali, a partire dalla condanna espressa nella risoluzione 660, la comunità internazionale ha inteso esercitare crescenti pressioni sul presidente iracheno per non lasciare dubbi sulla determinazione a non sottostare al fatto compiuto, consentendo nello stesso tempo a Bagdad una via di uscita onorevole. al fine di garantire l' efficacia di tale impostazione e di dare adeguato sostegno all' iniziativa diplomati casi è reso necessario tenere sempre aperta la prospettiva dell' opzione militare. si è giunti, così, alla risoluzione 678, già ricordata, del 28 novembre che, fissando un termine di 45 giorni per procedere al ritiro, lasciava tutto lo spazio necessario perché Saddam Hussein avesse a convincersi dell' inanità di un approccio fino ad allora improntato ad inflessibilità assoluta, e l' opzione negozia le avesse a prevalere. parlare di ultimatum di fronte ad un lasso di tempo così ampio è dunque del tutto improprio. ed in effetti, lungo tutto l' arco della crisi non sono mai cessati i contatti con il governo iracheno per indurlo ad accettare le risoluzioni delle Nazioni Unite . basti ricordare, fra le altre, le ripetute visite del re di Giordania a Bagdad, le iniziative del sovrano del Marocco, dell' Algeria, dell' Unione Sovietica , del Movimento dei non allineati . la stessa vicenda dello scambio di visite del segretario di Stato e del ministro degli Esteri iracheno ha mostrato la volontà di Bagdad di sottrarsi al confronto: il governo degli USA aveva proposto ben quindici date e nessuna è stata accettata dalla controparte, che avrebbe voluto collocare l' incontro solo a ridosso del termine fissato dal Consiglio di sicurezza . da parte nostra, non abbiamo mancato di sfruttare al massimo tutte le occasioni di incontro con i rappresentanti di tutti i paesi coinvolti nella crisi, facendo conoscere più volte direttamente o indirettamente la nostra posizione a Bagdad. io stesso ho avuto modo d' incontrarmi il 6 dicembre con una delegazione dell' assemblea nazionale irachena e di ribadire, l' 11 dicembre, il nostro punto di vista al sottosegretario agli affari esteri dell' Iraq Wisam Al-Zauawi, mentre affidammo precisi messaggi di sollecitazione e di consiglio all' ambasciatore iracheno a Roma nominato ministro di Stato per gli affari esteri . la comunità internazionale , la Comunità Europea e l' Italia nel difficile esercizio della Presidenza, hanno ispirato la loro strategia ad una triplice esigenza: far pervenire a Bagdad un segnale costante di fermezza e di coesione circa la necessità di evacuazione totale ed incondizionata del Kuwait; favorire un ritiro che non apparisse una inutile umiliazione; non isolare la crisi del Golfo dal più complesso, drammatico quadro mediorientale. abbiamo voluto concorrere ad evitare che Bagdad pensasse di poter sfruttare le complessità dei sistemi democratici nell' aspettativa dell' emergere di dissensi tra i paesi europei ; di poter far leva giorno dopo giorno sui timori delle conseguenze economiche e strategiche del minacciato conflitto; di potersi servire di eventuali ritorni dell' Unione Sovietica alla vecchia politica. se ancora qualche giorno fa il presidente iracheno poteva forse sperare su esitazioni e dissensi negli USA, sul diniego del Congresso all' uso della forza, il voto di questo fine settimana è giunto a togliere ogni residua illusione in questa direzione. dopo un dibattito dai toni elevati e ricco di sofferta drammaticità, gli stessi parlamentari che proponevano di protrarre per qualche tempo l' embargo non hanno lasciato dubbi sulla necessità che l' occupazione e l' annessione del Kuwait dovessero essere annullate. il Congresso ha chiesto al presidente degli USA di imporre anche con la forza il rispetto della legalità internazionale. da parte nostra ci siamo sempre preoccupati che si offrissero al governo di Bagdad condizioni che incoraggiassero l' evacuazione del Kuwait. le abbiamo precisate in un documento che esprime la posizione ufficiale del Governo, in linea, del resto, con l' atteggiamento dei nostri partners comunitari. le ha riproposte, invano, il segretario generale delle Nazioni Unite nella sua missione a Bagdad. esse riguardano, come noto, la garanzia di non aggressione in caso di ritiro; la revoca delle sanzioni, ad esclusione di quelle sulla vendita di armi; la disponibilità ad organizzare le necessarie verifiche e a garantire la successiva fase transitoria con la presenza di osservatori e di una forza di interposizione delle Nazioni Unite ; il ritiro, al termine della crisi, delle truppe affluite nella penisola arabica. abbiamo, pertanto, espresso a più riprese, a livello comunitario come a quello nazionale, la disponibilità ad affrontare con appropriate iniziative diplomatiche tutti i conflitti ed i problemi del Medio Oriente e del Golfo. una volta ristabilito lo status quo , lo stesso Iraq potrebbe affrontare al tavolo negoziale le questioni aperte che più lo interessano direttamente. mai come in questi giorni sono riemerse con forza sia la proposta tendente alla istituzione di una conferenza di pace sulla questione mediorientale sia quella più recente, alla quale l' Italia ha offerto un contributo non marginale, volto ad avviare nell' area mediorientale una stabilità basata sui criteri della sicurezza e della cooperazione. su queste linee si era anche espresso il Consiglio europeo di Roma di metà dicembre. l' ipotesi della conferenza si è arricchita in questi giorni dell' indicazione di una possibile scadenza, la fine del 1991, che era condivisa se non da tutti, già da alcuni paesi, come la Francia, la Germania e l' Italia. questo abbiamo voluto dirlo subito, per essere sicuri che il messaggio pervenisse alle autorità di Bagdad nella speranza di impedire il ricorso alle armi. la richiesta di una simultaneità nella soluzione di tutti i problemi dell' area mediorientale appare, anche alla luce dell' esperienza passata, impossibile. ma — come è stato sottolineato dallo stesso presidente Bush nel suo importante intervento del 10 ottobre alle Nazioni Unite — vi è un collegamento obiettivo tra le diverse questioni nel senso che il ritiro degli iracheni creerebbe le condizioni per un superamento negoziale del conflitto araboisraeliano. una volta risolto il problema del Golfo — e non ci rassegniamo ancora a che questo avvenga in maniera coattiva — la comunità internazionale ed in primo luogo la Comunità Europea (che non può dimenticare la dichiarazione di Venezia del 1980 per la causa palestinese né la ripetuta attenzione per la tragedia del Libano) sono impegnate con uguale determinazione erga omnes (nessuno escluso) a risolvere i problemi ancora aperti nell' area, in un quadro di sicurezza globale. è un concetto, questo, che ha ricevuto particolare accentuazione anche nell' incontro tra il segretario di Stato Baker e il collega Tarek Aziz a Ginevra, il cui verbale, quando sarà noto, dimostrerà ancor più di quanto si sappia fino ad ora come da parte americana l' impegno ad una coraggiosa politica di giustizia nel Medio Oriente sia effettivo. va detto pertanto con molta chiarezza, specialmente in questa delicata fase della crisi, che l' occupazione del Kuwait costituisce l' ostacolo maggiore all' avvio di una qualunque soluzione negoziale dei problemi dell' area. anche per questo il governo italiano si è rivolto direttamente al presidente Arafat, pregandolo di un intervento chiaro e coerente presso le autorità irachene. abbiamo così cercato di sgombrare il campo dall' idea che il permanere della situazione di illegalità determinata dall' atteggiamento di Bagdad potesse in qualche modo giovare al popolo palestinese . il dialogo con l' Iraq avrebbe potuto e potrebbe ancora avviarsi in un ampio ventaglio di concludenti prospettive, sol che vi fosse da parte irachena la volontà di ottemperare alle risoluzioni delle Nazioni Unite . ma questo, purtroppo, non è finora accaduto. nessuno spiraglio, nessuna concessione, nessuna flessibilità sono venuti da Bagdad. nell' incontro di Ginevra, come ci ha indicato il segretario di Stato Baker, Bagdad non ha mostrato alcuna autentica disponibilità negoziale. nessun cenno, infatti, nemmeno indiretto od ipotetico, è venuto dal ministro degli Esteri iracheno per un ritiro anche parziale. la stessa negativa conclusione è stata espressa dal segretario generale delle Nazioni Unite al ritorno dalla sua missione a Bagdad. anche il piano in sei punti, presentato dal governo francese , che è stato a lungo discusso nelle giornate di lunedì e di ieri dal Consiglio di sicurezza , cercava di venire incontro alle esigenze irachene ed aveva ricevuto il pieno appoggio italiano. ma le dichiarazioni fatte ieri sera dal ministro degli Esteri Dumas, secondo le quali su tale piano, che era stato portato a conoscenza degli iracheni fin dalla settimana scorsa, Bagdad non aveva dato segni di reazione, non hanno fatto altro che confermare le previsioni più pessimistiche; le quali si sono concretizzate nell' esplicito rifiuto del piano, anch' esso in sei punti, presentato a Bagdad dallo Yemen. purtroppo, la riunione del Consiglio di sicurezza si è conclusa ieri sera con un nulla di fatto. i suoi membri hanno tuttavia concordato di affidare al segretario generale il compito di lanciare, a poche ore dalla scadenza del termine fissato dalla risoluzione 678, un ultimo appello perché Saddam Hussein receda dal rifiuto di accedere al ripristino della legalità che tutto il mondo gli chiede e non può che esigere. dunque, due strategie a confronto: da un lato una ragionata dislocazione di forze, accompagnata da crescenti pressioni sul piano diplomatico per indurre Bagdad a ripiegare; dall' altro, un' azione che punta sul logoramento degli avversari, sull' alto costo delle operazioni militari, sui possibili dissensi ed esasperazioni del mondo arabo . la politica di fermezza fin qui seguita non è stata priva di frutti. l' aggressione è stata arginata, gli ostaggi sono stati rilasciati, la coalizione internazionale ha mantenuto la sua coesione. il consenso non è venuto meno nella fase dell' embargo e tutti questi mesi non hanno indebolito la volontà di restaurare il diritto e di fare fronte comune. ma il Kuwait continua a rimanere occupato e, allo stato, non vi è alcun segnale, neppure tenue, di mutamento nella posizione di Bagdad. il ripristino della legalità internazionale non può essere indefinitamente rinviato ed è questo il significato della risoluzione 678. non ci nascondiamo le incognite dell' intervento militare, le ulteriori tensioni e gli squilibri che potrebbero sorgere, dopo, nell' area. ma sbaglieremmo se, per inseguire un futuro più tranquillo, noi ci arrendessimo al perpetrato sopruso. la crisi del Golfo rappresenta un test decisivo per la capacità di organizzare un progetto di sicurezza collettiva, continuando su quella via del disarmo progressivo che ha contrassegnato positivamente la vita internazionale negli ultimi anni, non senza l' apporto convinto dell' Italia. la comunità internazionale deve far fronte comune davanti a chi intende riproporre la logica della violenza nei rapporti internazionali. la storia insegna che quando questo è stato tollerato le conseguenze sono state gravissime per tutti e la pace non si è salvata. le Nazioni Unite , la loro autorità politica e morale, la loro capacità di difendere l' ordine internazionale, sono oggi valori in gioco. gli USA, che pure avevano gli strumenti per una solitaria esibizione di forza accanto all' Arabia Saudita ed al Kuwait, hanno collegato il loro intervento ai principi ed alle regole della Carta delle Nazioni Unite . un intervento conforme ad un' alta tradizione. vorrei ricordare in particolare ai giovani che non vi era certo petrolio da salvaguardare in Europa quando gli USA sono venuti qui a combattere ed a morire per contribuire in modo decisivo a liberarci dalla dittatura nazifascista. la risposta odierna della comunità internazionale ha portato nella penisola arabica truppe di paesi lontani e diversi, sottolineando l' esistenza di una coesione mai registrata in questo dopoguerra. i paesi che hanno inviato forze nel Golfo sono stati 28, dei quali 13 arabi ed islamici, 12 occidentali e 3 dell' est europeo. i costi politici di una inazione sarebbero altissimi. l' errore peggiore sarebbe di coinvolgere le Nazioni Unite in una Monaco mediorientale. verrebbe vanificato il principio della difesa degli Stati più piccoli dalla prevaricazione dei grandi, verrebbe annullata tutta la logica che ha sostenuto la mobilitazione internazionale contro l' aggressione. bisogna fare in modo che le Nazioni Unite siano capaci non soltanto di dettare le regole della legalità, ma anche di farle rispettare. esse rappresentano l' espressione più alta di quell' aspirazione ad una convivenza internazionale capace di assicurare la sicurezza ed il diritto di tutti. la rimozione dei paralizzanti veti incrociati in seno al Consiglio di sicurezza , ai quali abbiamo assistito per tanti anni, consente oggi di vedere le Nazioni Unite in una luce nuova, di farne lo strumento, non soltanto nelle parole ma anche nei fatti, di un mondo diverso. e per questi motivi che all' aggressione ci si può validamente opporre soltanto seguendo lo schema tracciato dal Consiglio di sicurezza . la risoluzione 678 condiziona l' uso della forza alla circostanza che tutte le ricerche della pace siano state esaurite ed, inoltre, prevede il ricorso a misure militari come reazione collettiva estrema. queste condizioni sono oggi purtroppo al limite della grave svolta. l' Italia si muove in sintonia nell' ambito degli obblighi che derivano dalla Carta delle Nazioni Unite . la situazione attuale è quella che la Carta stessa definisce nel capitolo settimo « minaccia alla pace » , « violazione della pace » , « atto di aggressione » , per far fronte alla quale contempla anche misure implicanti l' impiego della forza armata quando le altre si siano purtroppo rivelate inadeguate. siamo, dunque, in presenza di una risoluzione del Consiglio di sicurezza che contempla l' attuazione di efficaci misure collettive per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. la risoluzione 678 nel secondo paragrafo conferisce agli Stati, che, come l' Italia, cooperano nella penisola arabica, il potere di adottare tutte le misure necessarie per sostenere ed attuare le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza , a cominciare dalla risoluzione 660. queste misure comprendono, secondo quanto previsto nell' articolo 2 dello statuto, l' obbligo degli stati membri di fornire alle Nazioni Unite — cito testualmente — « ogni assistenza in qualsiasi azione che queste intraprendono in conformità alle disposizioni del presente statuto » . non siamo, dunque, nell' ipotesi di guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, che l' Italia ripudia con l' articolo 11 della Costituzione. il nostro ordinamento giuridico si conforma, ai sensi dell'articolo 10 della Costituzione, alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. la decisione di concorrere, se non scongiurata in extremis dal governo iracheno , all' azione militare nel Golfo — che il Governo sottopone all' approvazione del Parlamento — si ispira alla previsione della seconda parte dell' articolo 11 della nostra Costituzione, in virtù della quale l' Italia « favorisce le organizzazioni internazionali » , la cui azione tende ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni. vuole il caso che qualcuno di noi non solo abbia letto la Costituzione, ma abbia anche avuto l' onore di votare questo articolo nella seduta dell' Assemblea costituente svoltasi il 24 maggio 1947! è necessario chiarire questi concetti per fissare la natura ed i limiti dei poteri costituzionali del Governo nell' attuale vicenda. una partecipazione con gli alleati alle azioni nel Golfo è conforme alla lettera ed allo spirito dell' articolo 11 e non comporta, quindi, il ricorso all' articolo 78 della Costituzione stessa, che prevede la deliberazione da parte delle Camere dello stato di guerra . noi, dunque, non chiediamo che venga deliberato lo stato di guerra . chiediamo, invece, il sostegno del Parlamento per l' azione da svolgersi con la collaborazione delle unità navali ed aeree delle nostre forze armate presenti nel Golfo, rispettivamente nelle missioni « Golfo 2 » e « locusta 90 » , per l' esecuzione delle misure previste nei paragrafi 2, 3 e 4 della risoluzione 678 del Consiglio di sicurezza , per la difesa della pace ed il ripristino della sicurezza internazionale. signor presidente , onorevoli colleghi , ci siamo appena lasciati alle spalle le angosce della guerra fredda e delle sue molte battaglie. all' euforia con la quale abbiamo accolto la fine del totalitarismo nei paesi dell'est e la riunificazione della Germania succede un diffuso senso di inquietudine, reso ancor più acuto dai recenti drammatici eventi di Vilnius. il crollo del vecchio ordine, che abbiamo salutato come una vittoria della democrazia, si accompagna ad eventi che non possono non suscitare in noi turbamento e riprovazione e se la situazione attuale della Lituania e degli altri paesi baltici ci porta a riflettere sulla fragilità degli equilibri raggiunti, io penso che le prospettive, così coraggiosamente aperte da chi ha promosso i processi di liberalizzazione in atto, debbano essere incoraggiate e sostenute dal comportamento, coerente ma insieme fermo, dei nostri governi. abbiamo davanti a noi problemi la cui soluzione sfugge agli schemi del passato e la stessa crisi del Golfo sollecita la responsabilità dei paesi che vogliono concorrere ad un nuovo ordinamento internazionale fondato sulla giustizia e sul rispetto dei diritti degli Stati e degli individui. di fronte ad una minaccia che investe i principi di convivenza pacifica dell' intero sistema internazionale, le nazioni debbono dimostrare di voler mettere la forza al servizio del diritto. soltanto a queste condizioni noi saremo in grado di concorrere a realizzare un avvenire migliore nel quale diventi reale l' auspicio espresso domenica scorsa dal Papa nel senso che i responsabili delle sorti del mondo riflettano « sulla estrema necessità di far prevalere il dialogo e la ragione e di preservare la giustizia e l' ordine internazionale senza ricorrere alla violenza delle armi » . ci sorregge la convinzione che tutti gli sforzi sono stati compiuti per evitare una soluzione cruenta ed altri ancora si stanno dispiegando finché non arrivi l' irreparabile. siamo sorretti anche dalla certezza che, in un momento in cui incominciamo ad intravvedere i contorni di un nuovo assetto internazionale, nessuno deve sottrarsi alle responsabilità che derivano dinanzi all' avvenire pacifico per le nuove generazioni. dinanzi ai giovani noi abbiamo il diritto ed il dovere di dire che è stata proprio la fermezza delle democrazie a scongiurare nel tormentato dopoguerra i rischi di un nuovo immane conflitto ed a far maturare una stagione nuova nei rapporti internazionali. questa è la nostra irrinunciabile carta di credito , politica e morale.