Achille OCCHETTO - Deputato Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 574 - seduta del 16-01-1991
Università
1991 - Governo III Moro - Legislatura n. 4 - Seduta n. 795
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , tutti noi siamo consapevoli dell' eccezionale gravità della situazione. qualunque passo compiremo, qualunque decisione verrà presa, avrà enorme importanza per l' intera convivenza internazionale. sin dall' inizio siamo stati consapevoli, come affermai nel dibattito del 23 agosto alla Camera, che ci troviamo di fronte ad una delle crisi più gravi dopo la seconda guerra mondiale ; una crisi che si è sviluppata in una delicata fase di transizione in tutte le relazioni internazionali. perciò dicevo allora che siamo profondamente convinti che si sia partiti con il piede sbagliato, attraverso iniziative unilaterali che avrebbero dovuto essere evitate e che abbiamo apertamente criticato. e per questo, aggiungevo, noi cerchiamo — e crediamo sia doveroso per tutti farlo — di collocare l' attuale crisi in un orizzonte più ampio, capace di prefigurare un modo nuovo di risolvere le controversie internazionali, di affermare e far rispettare il principio di legalità nei rapporti internazionali, senza correre i rischi di una incontrollata spirale di violenza, determinata da atti di guerra che potrebbero compromettere la pace mondiale e condizionare negativamente per lungo tempo i rapporti tra il nord ed il sud del mondo. le scelte che compiamo oggi — così ancora affermavo — possono prefigurare, nel bene e nel male, il nuovo assetto del mondo. nel frattempo, alcune scelte sono state fatte bene, molte altre male. ed oggi siamo tutti chiamati a guardare con estremo senso di responsabilità a quanto può accadere. tutti dobbiamo sentirci impegnati a fare ogni sforzo possibile per scongiurare una guerra che sarebbe disastrosa per l' intera umanità. noi tutti, insieme all' intera comunità internazionale , abbiamo condannato in modo netto ed inequivocabile l' aggressione del Kuwait da parte dell' Iraq e con ferma determinazione abbiamo inteso e intendiamo conseguire il ritiro iracheno ed il ripristino della legalità internazionale. noi tutti abbiamo pienamente sostenuto la funzione che l' Onu ha svolto per la soluzione della presente crisi. su questa base abbiamo appoggiato le risoluzioni del Consiglio di, sicurezza che hanno promosso l' operazione dell' embargo e l' azione di isolamento morale, politico e militare dell' Iraq. su questa linea si è realizzata una straordinaria convergenza e compattezza del mondo intero. siamo convinti che, nelle scelte che siamo chiamati a compiere, dobbiamo riuscire a mantenere e consolidare questa compattezza nel voler conseguire il ripristino della legalità internazionale e la salvaguardia della pace. deve essere molto chiaro, onorevoli colleghi , che qui non c' è chi vuole restaurare la legalità internazionale e chi non lo vuole. non è qui la diversità. la diversità è nel modo in cui ciò deve avvenire, nella scelta dei mezzi. lei, onorevole Andreotti, propone a questo Parlamento di decidere di affidare questo obiettivo al ricorso alle armi. non siamo d' accordo: esistono altri mezzi che non siano la guerra e sono mezzi più efficaci, più sicuri, più convenienti ai fini della restaurazione della legalità nel Kuwait ed ai fini di una costruzione della sicurezza e della pace nella regione. lei stesso ha riconosciuto che la strategia dell' embargo, dell' isolamento, della pressione non ha mancato di dare risultati. e vorrei ricordarle che gli ostaggi sono stati rilasciati grazie alla politica dell' embargo e prima delle rigidità dell' ultima fase. non si vede perché non dovrebbe consentirne altri più sostanziosi e decisivi, soprattutto se accompagnata e sostenuta da quella iniziativa politica e diplomatica sull' insieme dei problemi mediorientali che ha incontrato finora tanti ostacoli e resistenze e che, al contrario, è assolutamente necessaria. chi, onorevole Andreotti, vuole l' impotenza dell' Onu? nessuno e men che mai chi come noi, insieme con moltissimi altri, non vuole che dia prova di impotenza nell' assunzione di nuove iniziative, per le quali sono in campo proposte — fra cui le nostre — precise ed efficaci anche per togliere a Saddam Hussein alibi per i suoi arroganti rifiuti; che non dia prova di impotenza nella decisione di convocare una conferenza per il Medio Oriente . l' Onu non è un' entità astratta. la sua azione scaturisce da volontà concrete di tutti i soggetti della comunità internazionale , grandi e piccoli. è infine nelle mani di tutti noi la scelta dei mezzi più giusti, più idonei, più efficaci, più coerenti. e questi mezzi, anche ora, non sono quelli della guerra ma, lo ripeto, della continuazione dell' embargo, dell' accentuazione della pressione, dello sviluppo dell' iniziativa politica e diplomatica sull' insieme dei problemi mediorientali. noi rifiutiamo di trasformare il 15 gennaio 1991 in un ultimatum; un ultimatum che non ha più come destinatario Saddam Hussein ; un ultimatum che la comunità internazionale pone a se stessa , privandosi di ogni alternativa alla guerra. questo, onorevole Andreotti, è il senso del discorso che lei ha fatto. lei non ha considerato, non si è misurato — mi dispiace dirlo — con gli argomenti, le proposte, le ipotesi diverse dalla guerra che pure esistono. lei non si è curato di cercare di proporre prospettive ulteriori; si è preoccupato di null' altro che di schierarsi come se ormai non restasse che fornire argomenti di persuasione propagandistica allo schierarsi stesso. noi siamo convinti che è possibile perseguire un' azione volta a colpire la prepotenza, sviluppando e rafforzando l' embargo e l' isolamento internazionale dell' Iraq, e per converso pensiamo che una soluzione militare, procurando incalcolabili sofferenze umane che fermamente vogliamo siano risparmiate, non ci consentirebbe di conseguire né una fase duratura di pace né la stabilità. non siamo solo noi a pensarlo. è una convinzione — dobbiamo saperlo — condivisa da larga parte dell' opinione pubblica mondiale, da ampi settori politici americani, da personalità come Kennedy e Carter. voglio ricordare in particolare quanto è stato scritto nei giorni scorsi da Sam Nunn , presidente della Commissione forze armate del Senato americano. egli ha sottolineato l' efficacia della strategia delle sanzioni, ha documentato con grande precisione i risultati ottenuti e quelli che ancora potevano essere realizzati, fino alla possibilità concreta di piegare per questa via la prepotenza aggressiva del dittatore iracheno. ed è stato lo stesso Sam Nunn a dubitare sia della brevità della guerra, sia della sua efficacia a produrre stabilità. « vorrei chiedere » — egli ha affermato — « di quali garanzie disponiamo in merito alle conseguenze della guerra » . e aggiungeva: « c' è qualcuno che abbia cominciato a pensare a ciò che accadrà dopo che avremo vinto » ? sono interrogativi inquietanti, cui sono chiamati a rispondere tutti coloro che fossero disponibili ad appoggiare iniziative di guerra. sono interrogativi che milioni di uomini si pongono con angoscia in queste ore e che si saldano, in tante mobilitazioni in Italia e in tutto il mondo, ad una crescente volontà di sventare la guerra, nella consapevolezza che una guerra potrebbe offuscare e gelare le prospettive (che ci sono) di una evoluzione pacifica e cooperativa di tutte le relazioni internazionali; nella consapevolezza tormentosa, di cui si è fatto massimo interprete il pontefice, che la guerra potrebbe essere, sarebbe un' avventura senza ritorno. noi tutti abbiamo visto qual è l' entità micidiale delle forze in campo. noi tutti sappiamo quali potranno essere le risposte del dittatore per poter accontentarci di giocare con le parole, magari cercando di esorcizzare la guerra chiamandola con un altro nome. no! non è così. per questo concordo con le domande angosciose del pontefice quando si è chiesto ed ha chiesto a tutti noi: oltre ai combattenti, quanti civili, quanti bambini, quante donne, quanti anziani sarebbero vittime innocenti di una simile catastrofe? chi può prevedere le distruzioni e i danni ambientali che ne verrebbero e non solo in quell' area? certo, noi sappiamo che, se gravissimo è ormai il pericolo di guerra, questo è dovuto all' arroganza ed alla pervicacia con cui Bagdad ha rifiutato sinora e sta rifiutando ogni disponibilità a modificare il proprio atteggiamento. ma le chiavi della pace e della guerra non sono solo a Bagdad. la scelta, se passare o meno la parola alle armi, è fondamentalmente nelle mani della comunità internazionale . e se si è creata una situazione in cui sembra non esserci alternativa alla guerra, ciò è dovuto al fatto che all' inescusabile rigidità di Saddam Hussein si è venuta progressivamente affiancando una parallela rigidità da parte americana, che noi consideriamo non necessaria e non comprensibile. la verità è che fra due rigidità in campo era necessario far intervenire, senza veti e pregiudiziali, una componente — sia essa l' Onu, un' alta personalità, uno Stato — , che potesse realmente muoversi al di sopra delle parti, a cui affidare l' autorità necessaria, il compito, i poteri per superare questo quadro di rigidità. il fatto è che agli inizi di novembre, come hanno detto esponenti del partito democratico americano, che sono stati ascoltati in un alto dibattito (come appunto ha ricordato l' onorevole Andreotti), il presidente Bush ha abbandonato la strategia difensiva, intesa ad ottenere la liberazione del Kuwait per mezzo di sanzioni economiche contro l' Iraq; non sono io a dirlo. noi invece continuiamo a ritenere che la via più saggia e più efficace, l' unica via saggia ed efficace da seguire e da sostenere sia il mantenimento e l' accentuazione della pressione sull' Iraq. ed è alla luce di questa impostazione, alla quale ci siamo sempre coerentemente attenuti, che già il 29 novembre, subito dopo l' ultima risoluzione del Consiglio di sicurezza , chiesi al governo italiano — e confermo oggi tale richiesta — di intervenire presso l' Onu affinché non si precipitassero decisioni riguardanti forme di pericolosi automatismi nell' uso della forza e perché si ottenesse l' esigenza di insistere sull' embargo. purtroppo non ci si è mossi con la necessaria convinzione in questa direzione. per parte nostra, però, noi ribadiamo con fermezza questo orientamento e questa posizione e chiediamo perciò al Governo di sostenere in tutte le sedi internazionali la necessità che l' Iraq si impegni al ritiro delle sue forze armate dal Kuwait e ne avvii la realizzazione, che si assicuri all' Iraq, sotto la garanzia dell' Onu, che in tal caso esso non verrà attaccato militarmente e che nel frattempo si insista a puntare sul tempo, sulla fermezza, sull' inasprimento delle misure di isolamento economico, politico e diplomatico dell' Iraq anziché sull' impiego delle armi. lei, onorevole Andreotti, ha affermato che non si può attendere indefinitamente il ripristino della legalità. bene; ma in realtà la comunità internazionale , per altre situazioni gravi, ed in particolare sulla questione palestinese , sta indefinitamente attendendo il ripristino della legalità. tra il premiare l' illegalità, la prepotenza, e la guerra, vi è un' altra via da seguire, quella dell' inasprimento delle sanzioni, come è stato chiesto anche da gran parte del Senato e della Camera dei rappresentanti degli USA. sosteniamo questa linea, forti della chiarezza con la quale abbiamo affermato sin dall' inizio che occorreva aiutare il Consiglio di sicurezza nel suo impegno volto ad ottenere il ristabilimento della pace e della legalità internazionale violata dall' Iraq, facendo ricorso all' articolo 41 della Carta dell' Onu, che riguarda sanzioni economiche e misure capaci di imporre il rispetto delle decisioni. solo così si rimane rigorosamente all' interno di operazioni di polizia internazionale, dal momento che (e vorrei che su questo si riflettesse realmente) la natura della guerra moderna pone un limite insuperabile all' uso della forza, travalica nei fatti ogni possibile classificazione di operazioni militari nel quadro di mere operazioni di polizia. questa è una realtà angosciante, un dato della tecnologia, che è immanente alla natura della guerra medesima e della guerra moderna e che non può essere nascosto (scusiamoci tanto fra di noi se dobbiamo dire queste cose con dolore, perché qui non si vuole fare della propaganda) da ipocrisie verbali, perché non si vuole riflettere con la necessaria pacatezza e consapevolezza su questa drammatica realtà. accanto a ciò, noi ci siamo battuti e quindi chiediamo che il Governo si impegni perché sia convocata, indipendentemente dalla crisi in atto, una conferenza internazionale sul Medio Oriente . nessuno può negare che tale iniziativa sia indispensabile se si vuole davvero dare risposta ai molteplici, intricatissimi e drammatici problemi del Medio Oriente . e non ce lo dice solo la crisi attuale: dalla primigenia questione palestinese al conflitto Iran-Iraq, dalla devastazione del Libano alla stessa invasione dell' Afghanistan, sono stati ricorrenti le tensioni, i conflitti che hanno reso evidente questa verità. non vi è alcun nesso, non può esservi — è del tutto evidente — tra l' aggressione irachena e la necessità di una conferenza di pace per il Medio Oriente . il nesso c' è piuttosto, ed è ineludibile, tra questa proposta e le ripetute deliberazioni delle Nazioni Unite , della Cee, della Lega araba , dell' Italia, degli organismi autorevoli come l' Internazionale socialista , il cui consiglio il 9 ottobre a New York chiese, appunto, una conferenza internazionale sotto l' egida delle Nazioni Unite con la partecipazione di tutte le parti interessate, che potrebbe aprire la strada ad una soluzione definitiva e globale — afferma sempre l' Internazionale socialista — di tutti i conflitti nel Medio Oriente , inclusi il conflitto araboisraeliano, il problema palestinese e la crisi del Libano, e potrebbe contribuire allo stabilimento di un nuovo ordine di pace per tutti gli Stati ed i popoli della regione. il nesso c' è, ed è forte, tra la proposta di una tale conferenza, il ruolo assunto dall' Onu per la soluzione di questa crisi, l' unità morale e politica dimostrata dalla comunità internazionale in tutti questi mesi. non si può, non si deve disperdere tutto ciò. chiediamo pertanto che il Governo si impegni a chiedere una convocazione urgente del Consiglio di sicurezza che deliberi la convocazione della conferenza, che deve contribuire alla soluzione della crisi. non si può certo pensare che essa possa avvenire sopra uno sterminato cimitero; ma soprattutto, nelle drammatiche ore che stiamo vivendo, chiediamo al Governo che si rivolga all' alleato statunitense perché non proceda ad un attacco nei confronti dell' Iraq, che non si appenda il mondo alla logica dell' ultimatum e si ottenga anche una moratoria, come è stato detto da esponenti del Partito di maggioranza relativa. gli spazi negoziali sono, infatti, ancora aperti e devono rimanere aperti. noi invitiamo, dunque, questo Parlamento a valutare fino in fondo e tempestivamente l' importanza e la gravità delle scelte che è chiamato a compiere, che consideri fino in fondo gli enormi pericoli insiti nell' azione militare. noi chiediamo ancora una volta che il Parlamento si impegni in favore delle proposte che avanziamo, e dichiariamo che se viceversa il Governo insiste nel presentare le sue proposte e se esse sono approvate da questa Assemblea, vengono meno per noi le motivazioni su cui si basa la presenza del contingente italiano nel Golfo. insomma, nella situazione nuova che così si determina dal momento che non si appoggia un progetto alternativo, occorre ritirare le nostre navi. noi voteremo contro ogni richiesta che voglia prolungare la presenza delle forze armate italiane nel Golfo. la nostra opposizione alle scelte che ci sono state proposte qui dal Governo è sorretta dalla profonda convinzione che non si doveva e non si deve ingessare ed irrigidire in un unico momento decisivo la grande ed insostituibile risorsa negoziale e che occorreva ed occorre saper combinare l' embargo con la pazienza ed il negoziato. la sfida da affrontare è una sola. la comunità internazionale doveva e deve imporre il ripristino della legalità; e deve farlo senza il ricorso alla guerra. allora, onorevole Andreotti, le rileggo l' appello rivolto dal pontefice ai responsabili delle sorti del mondo perché riflettano « sull' estrema necessità di far prevalere il dialogo e la ragione e di preservare la giustizia e l' ordine internazionale » , e aggiunge (lei l' ha letto ma lo voglio sottolineare) « senza ricorrere alla violenza delle armi » . purtroppo ci troviamo, invece, di fronte ad un fallimento, proprio perché alla fine non si è riusciti ad uscire dall' alternativa diabolica tra accettazione dell' illegalità e guerra, perché la comunità internazionale non è riuscita a mettere in campo la necessaria risorsa negoziale. ci si è incamminati entro una strettoia, una strettoia che potrebbe essere fatale. noi condanniamo — lo ripeto — la folle ostinazione di Saddam Hussein ; egli si macchia di una colpa gravissima verso l' intera umanità. ma critichiamo anche gli impedimenti che sono venuti da altre parti. proprio ieri l' onorevole Martelli ha sostenuto che l' intransigenza israeliana ha avuto effetti paralizzanti della possibilità e dei processi di pace. ma allora non bisogna lasciarsi paralizzare; non si può e non si deve tuttora accettare ciò come una fatalità. la nostra contrarietà nasce anche dalla considerazione, del tutto razionale ed oggettiva, dell' impossibilità di risolvere i problemi attraverso la guerra, dal momento che la guerra nel mondo di oggi può essere in quella regione, come viene da più parti denunciato, non la soluzione di un problema, ma l' apertura di nuovi drammatici problemi. se infatti è indubbio che coniugare il ripristino della legalità con il rifiuto della guerra costa tempo, risorse e grandi sforzi, quanto tempo, risorse, sforzi e lutti verrà a costare un' operazione diversa? siamo contrari alle decisioni che ci sono state prospettate, anche perché — come ha sostenuto un illustre commentatore di problemi internazionali — pensare che un' eventuale guerra contro l' Iraq possa servire a varare un nuovo ordine internazionale è, più che un' ingenuità, un' ipocrisia. innanzitutto perché, date le premesse, questo conflitto rischia di avere un carattere talmente devastante che il suo « dopo » è del tutto imprevedibile e poi perché un nuovo ordine internazionale non potrà mai nascere dall' azione di pochi gendarmi planetari, ma potrà essere unicamente il frutto dell' innalzamento del minimo comune denominatore etico di tutti gli abitanti di questo pianeta, dell' accettazione cioè di alcune regole di comportamento, sia pure minime, che impegnino in modo uguale tutte le nazioni piccole e grandi. in sostanza, aggiungo io, una nuova democrazia mondiale: una democrazia mondiale che purtroppo è stata contraddetta da molti passaggi significativi. ci chiediamo se il Consiglio di sicurezza dell' Onu abbia accettato — quando non si doveva accettare — che passasse una sorta di veto nascosto; siamo passati dai veti palesi a quelli occulti e questo invece non andava fatto e andava comunque respinto. si sarebbe dovuto appoggiare risolutamente il piano francese; vi erano gli elementi per una revisione ed una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza e si potevano riaprire gli spazi di un negoziato: perciò ci opponiamo. ci opponiamo, infine, perché non accettiamo il passaggio dalla fase dell' embargo a quella delle azioni militari, comunque essa venga camuffata, perché non ci sentiamo di dire a nessun cittadino italiano, di fronte a quanto di grave ed incalcolabile da questo momento potrà accadere: « sapete, in Parlamento abbiamo deciso che non era guerra » ...! non si può coprire la realtà dietro le finzioni giuridiche. so benissimo che il tormento ed il dubbio passano in questo momento attraverso la coscienza di ciascuno di noi e di ciascuno di voi; sappiamo che oggi tutte le coscienze dei democratici sono agitate da un duro dilemma, dal dubbio che si debba scegliere in una direzione tra pace e legalità. una pace che sacrificasse il diritto sarebbe infatti una pace fragile, perché ferita dall' ingiustizia; una legalità ripristinata attraverso la guerra produrrebbe sconvolgimenti imprevedibili. difficile prevedere se dopo avrebbe senso parlare di legalità. ma questa stessa tormentata consapevolezza deve portarci a riflettere, a non pensare che non vi sia altra scelta, a credere invece che è ancora possibile tenere insieme le due cose, pace e legalità. mi rivolgo anche a coloro che si apprestano a fare una scelta diversa dalla nostra, molto probabilmente con la morte nel cuore: ebbene, ciò che di meglio l' Italia ha potuto fare, anche attraverso l' appoggio esterno al piano francese, non deve andare perduto. in questo passaggio cruciale della vita dei popoli, di fronte al rischio che il mondo conosca nuovi e terribili sconvolgimenti, noi sentiamo il dovere morale di rivolgere un estremo appello in favore della pace, di rappresentare un sentimento diffuso nel nostro popolo, una volontà di ricercare e percorrere le vie della pace, della tolleranza, perché si affermi ovunque il diritto internazionale ed i diritti dei popoli, perché la libertà e la giustizia divengano valori universalmente riconosciuti e validi in ogni area del nostro pianeta. onorevoli colleghi , noi non ci muoviamo in una linea di disimpegno, ma proponiamo una linea alternativa per affrontare e risolvere i problemi che ci stanno di fronte. tutta la forza della nostra posizione sta, appunto, nella volontà di prospettare soluzioni positive partendo dal presupposto che la guerra è un' avventura senza ritorno, è una sciagura, anche sulla base di valutazioni realistiche dei rapporti internazionali: non nasce solo da questioni di principio e di legittimità, ma anche da una corretta interpretazione del dettato costituzionale, della sua avversione alla guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali, a cui si riferiranno altri esponenti del nostro gruppo. il nostro « no » viene anche da una considerazione politicamente di fondo: la guerra non avrebbe il risultato di fornire maggiori garanzie per la pace in avvenire; viene da un' allarmata valutazione dei costi e dei rischi che il ricorso ai mezzi estremi dell' azione militare comporterebbe. ai giovani dunque si possono dire tante cose; l' unica cosa che non si può e non si deve dire è che non vi è nessuna alternativa alla guerra. nessun giovane credo sia animato da un atteggiamento antiamericano e a nessuno di noi vanno ricordate le pagine più belle della vittoria sul nazifascismo. anche in questi giorni abbiamo apprezzato che in America vi siano forze che liberamente esprimono la loro verità e le loro proposte alternative di giustizia e di libertà. noi siamo mossi dalle stesse esigenze qui in Italia, in Occidente, e dalle stesse speranze di giustizia e di libertà; per questo indichiamo una strada diversa e votiamo contro una scelta che muova nella direzione di una guerra.