Giulio ANDREOTTI - Presidente del Consiglio dei Ministri Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 514 - seduta del 23-08-1990
Sulla crisi del Golfo Persico e sulle conseguenti decisioni del Consiglio dei ministri
1990 - Governo VI Andreotti - Legislatura n. 10 - Seduta n. 514
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , nella conclusione, da parte del Governo, del dibattito di ieri al Senato ho preso la parola dopo le ampie relazioni dei ministri De Michelis e Rognoni per mettere in rilievo come — senza nulla togliere all' importanza di tanti problemi connessi (dell' area e non) e di fattori sia cronistorici, che economici — siamo di fronte ad una netta questione di principio, su cui verte il futuro della pace. da un lato vi è la risposta al quesito se l' indipendenza degli Stati sia affidata alla garanzia del sistema giuridico internazionale, ovvero se riposi soltanto sulla dissuasione o nella reazione sul piano della forza militare. d' altro canto, ci si chiede trepidanti se finalmente — superata la guerra fredda , le interminabili stagioni dei veti incrociati e l' antinomia delle grandi potenze — l' Onu possa costruire il presidio di un ordine giuridico non impunemente violabile. non si tratta dell' utopia generica di un fumoso governo del mondo, oggi non concepibile. pensiamo realisticamente a molto meno, ma insieme a molto di più: cioè alla concreta attuazione di uno dei traguardi essenziali che con la Carta delle Nazioni Unite si vollero fissare, condannando definitivamente ogni grande o piccola violenza. non è forse inutile ricordare che, prima di riconoscere il Kuwait (1963), il governo di Bagdad aveva divisato di impadronirsene, ma fu dissuaso dai parà inglesi. contro il presidente iracheno di allora, Kassem, si trovava un gruppo di giovani iracheni, tra cui il giovane Saddam Hussein , che conobbe per questo le vie dell' esilio in Siria ed in Egitto. le ragioni addotte nelle scorse settimane per il blitz sul Kuwait vertono — secondo anche quanto il vice Primo Ministro Hammadi ha esposto ai sovietici nell' ultimo incontro, incontrandone peraltro disapprovazione — su una punizione per la politica petrolifera del vicino Stato, ritenuta dannosa per i propri interessi. guai se questo fosse lecito, oltretutto giocando con la libertà dei cittadini stranieri come mezzo provocatorio di pressione! di qui la necessità, sempre in sede Onu, di tutte le misure per indurre l' occupante a ritirarsi. la società internazionale non ha il diritto, ma il dovere, di agire dispiegando gradualmente tutte le risorse statutariamente previste, anche quelle — se malauguratamente necessarie — dell' articolo 42, sinora mai applicato. la credibilità dell' Onu non è un problema di prestigio, ma vorrei dire che è condizione di corretta vita fra le nazioni, di effettiva priorità delle opzioni politiche per dirimere i conflitti. il fallimento dell' Onu, in questa fase in particolare, significherebbe la forzata rassegnazione dei deboli e la libertà di iniziative singole dei forti. è questa la tremenda posta in gioco della quale dobbiamo essere consapevoli e di cui la Comunità Europea , la NATO e l' Ueo hanno solennemente affermato la priorità. il riferimento all' Onu non ha solo un significato politico, prezioso perché è anche un denominatore comune tra tutti noi, ma significa una potenzialità giuridico-costituzionale altrimenti dubbia o inesistente. è chiaro che noi ci muoviamo in questa direzione. il Governo ha operato e intende operare nel più rigoroso rispetto delle norme di diritto internazionale generale e del diritto interno, in primo luogo dell' articolo 11 della Costituzione, che qualcuno di noi ebbe l' onore di votare con commozione in quest' Aula. abbiamo svolto ogni opportuna iniziativa per mantenere l' intervento nel quadro delle decisioni delle Nazioni Unite . le recenti deliberazioni dell' Ueo, dopo la risoluzione numero 661 del Consiglio di sicurezza dell' Onu, non comportano misure belliche. l' embargo di merci non è azione di guerra, né implica impiego diretto della forza armata con finalità belliche. il Governo ha sollecitato il voto del Parlamento per ricevere un consenso che gli dia forza in un' azione politica, a creare le condizioni che aprano prospettive di negoziato e di pace, a rendere effettivo il ripudio della guerra « come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali » , principio che non è in alcun modo da potersi mettere in discussione. in una delle risoluzioni al nostro esame (quella presentata dall' onorevole Calderisi) si chiede un maggiore sforzo europeo anche nell' assemblea rappresentativa, della quale per il momento si riunisce la commissione politica. ci attiveremo in questa direzione, come abbiamo fatto anche per la Croce rossa internazionale e per l' Unione interparlamentare , quel singolare consesso al quale anche durante gli anni della lunga guerra le delegazioni iraniana e irachena continuarono a partecipare, mantenendo sempre un filo di dialogo. Saddam Hussein è ancora in tempo per riconoscere il proprio errore, inchinandosi alle ragioni dell' Onu. così facendo, tra l' altro, toglierebbe il suo paese da una pesante situazione di illegalità, darebbe grande impulso alle aspettative delle popolazioni arabe ed islamiche e conferirebbe finalmente alle Nazioni Unite un' efficacia che darebbe modo di affrontare con vigore nuovo gli irrisolti squilibri nord sud (dei quali ha già parlato l' onorevole Tremaglia), nonché i problemi del tormentato Libano e della occupata Palestina, il cui popolo, come ha giustamente ricordato l' onorevole Occhetto, attende da dieci anni che si inizi quel processo negoziale per il conseguimento di un diritto alla patria, evocato dalla dichiarazione della Comunità Europea di Venezia, che è rimasta finora inascoltata, con il risultato di indebolire progressivamente quanti nel movimento palestinese credono nel metodo politico e non aderiscono a quello della violenza. anche sotto questo profilo il governo di Bagdad deve riflettere. il nostro Governo può dire questo con particolare coerenza perché, nel 1981, fu tra i non molti che dichiararono inammissibile l' incursione aerea contro la centrale di Tammuz. e, come membri del Consiglio di sicurezza , successivamente la nostra attività fu incessante affinché la guerra fratricida tra due popolazioni prevalentemente islamiche potesse cessare. ci sembra impossibile che una nazione che ha visto morire in una guerra, non ancora giuridicamente conclusa, più di 600 mila persone possa assuefarsi a nuove dolorose esperienze militari, ad immaginare questo. a rendere ancora più angoscioso il quadro della crisi suscitata dall' occupazione irachena vi è anche il timore dell' uso di armi chimiche . chi di noi ha avuto l' agghiacciante opportunità di vedere nei nostri ospedali giovani creature straziate e rese informi da questo tipo di armi durante gli otto anni di conflitto nel Golfo avverte più di altri l' assurdità di un ritardo nella messa al bando totale delle armi chimiche , dopo un interminabile negoziato ed una solenne conferenza indetta congiuntamente da Mitterrand e da Reagan a Parigi. invano per due volte Genscher ed io stesso andammo a Ginevra a sollecitarne la conclusione che è il solo modo per imporre legittimamente a tutti, e non solo ad alcuni, di non produrre più e di distruggere gli stocks. dico questo perché talvolta la pigrizia della lentocrazia internazionale è sconcertante e riesce a vanificare quelli che sono sentimenti quasi unanimi dell' opinione pubblica mondiale. onorevoli colleghi , mi auguro che la grande convergenza realizzata ieri, esemplarmente, al Senato venga riconfermata stasera dalla Camera. non è il problema di un Governo, ma dell' intera nazione ed oltre: nessuno confonda la virtù della prudenza con uno spirito di transazione sui principi. la storia è ricca di esempi degli effetti terrificanti che hanno prodotto sia atteggiamenti di non tempestiva reazione alle illegalità, sia l' uso irresponsabile di toni bellicisti e clamorosi. è essenziale essere tutti, con serietà ed impegno, all' altezza di una congiuntura internazionale che forse può essere positivamente decisiva per l' Europa, per le Nazioni Unite e per una definitiva fusione della cooperazione tra l' Europa e l' America, al servizio della pace e dello sviluppo di tutti i popoli.