Achille OCCHETTO - Deputato Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 514 - seduta del 23-08-1990
Università
1990 - Governo III Moro - Legislatura n. 4 - Seduta n. 791
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , ci troviamo di fronte ad una delle crisi più gravi dopo la seconda guerra mondiale , ad una crisi estremamente delicata perché si è sviluppata in un contesto del tutto nuovo delle relazioni internazionali. è infatti la prima crisi internazionale che si sviluppa in una delicata fase di transizione, quella che si è delineata in seguito al crollo del blocco politico-militare dell' est europeo. ogni passo che compiamo assume pertanto una formidabile rilevanza ai fini della ridefinizione degli assetti del mondo, del modo stesso di organizzarsi della convivenza internazionale. proprio per questo siamo profondamente convinti che siamo partiti con il piede sbagliato, attraverso iniziative unilaterali che avrebbero dovuto essere evitate e che abbiamo apertamente criticato. per questo noi cerchiamo — e crediamo sia doveroso per tutti farlo — di collocare l' attuale crisi in un orizzonte più ampio, capace di prefigurare un modo nuovo di risolvere le controversie internazionali, di affermare e di far rispettare il principio di legalità nei rapporti internazionali, senza correre i rischi di una incontrollata spirale di violenza, determinata da atti di guerra che potrebbero compromettere la pace mondiale e condizionare negativamente, per lungo tempo, i rapporti tra nord e sud del mondo. questa esigenza di guardare in avanti è animata dalla sofferta e vigile consapevolezza che i passi che compiamo oggi possono prefigurare, nel bene e nel male, il nuovo assetto del mondo. l' esposizione del ministro degli Esteri ci è parsa attraversata da una preoccupazione, la preoccupazione per i grandi pericoli insiti nella situazione, che giungono fino all' eventualità di un conflitto devastante per i costi umani e materiali e per le imprevedibili conseguenze politiche. è la preoccupazione, altresì, che nasce dalla consapevolezza che mancano oggi precisi riferimenti e chiare strategie per controllare lo svolgimento della vicenda, per evitare di trovarsi di fronte ad esiti non solo non previsti ma addirittura non voluti. ma questa preoccupazione dà proprio ragione alla nostra impostazione di fondo. questa stessa preoccupazione noi abbiamo avvertito nelle prese di posizione e negli atti di paesi e governi che si sono mossi con grande prudenza e con grande senso di responsabilità . penso soprattutto alla Francia e all' Egitto, ma non molto diverse sono le valutazioni che hanno orientato, su un altro piano, la presa di posizione ufficiosa che il Vaticano ha affidato ad una nota dell' l'Osservatore Romano ispirata dalla segretaria di Stato. noi condividiamo pienamente questa preoccupazione e l' obbligo di cautela e di responsabilità che ne scaturisce. è questa — ho detto — la prima crisi internazionale dopo la fine della guerra fredda , o meglio dopo che si è ufficialmente chiuso il periodo dell' assetto bipolare che ha affidato il governo del mondo ai due blocchi est ovest , alle due super potenze ed alle relazioni tra loro intercorrenti. questo assetto, questo modello di vero e proprio governo mondiale è definitivamente tramontato, è finito. è finito per vari motivi: per l' emergere di nuovi problemi e di nuove tensioni, per la diffusione di potere e di potenza, per la crisi e la dissoluzione dell' est ed anche per la determinazione, la coerenza con cui Gorbaciov, ed il gruppo dirigente a lui collegato, ha promosso un radicale rinnovamento di mentalità e di strategia volto a riconoscere ed a valorizzare nelle relazioni internazionali il vincolo dell' interdipendenza, a sostituire la politica della forza con la forza della politica. siamo stati da tempo convinti assertori della necessità di cercare, di definire, di costruire un nuovo assetto delle relazioni internazionali e del governo del mondo, considerando quello bipolare non più adeguato né efficiente, oltre che perennemente esposto al rischio di scivolare nella mera logica di potenza. si è preso dunque finalmente atto che quell' assetto andava accantonato, superato per lasciare spazio a principi e comportamenti nuovi. e quanto ci sia di fecondo, di potenzialmente progressivo in questa presa d' atto lo abbiamo visto anche nella drammatica circostanza nella quale l' Onu è riuscito per la prima volta ad assumere una funzione cruciale in quanto sede di un possibile potere di regolazione democratica delle relazioni e dei conflitti internazionali. tuttavia questa stessa crisi insieme alle indicazioni delle potenzialità positive da cogliere e da salvaguardare con la massima attenzione per poterle ulteriormente sviluppare nel futuro, ci fa toccare con mano quanto grandi e numerosi siano gli ostacoli e le incognite per definire, finito il bipolarismo, un nuovo solido, credibile ed efficace assetto del governo mondiale. il rischio è chiaro, che sulle ceneri del bipolarismo, che aveva comunque sue coordinate e suoi riferimenti si affermi, anche solo per un periodo, una sorta di anarchia in cui non sia l' interdipendenza il criterio regolatore, ma valgano invece soltanto le logiche di potenza e di ricatto. c' è anche il timore, per la verità alimentato da teorizzazioni e da comportamenti che trovano spazio oltre Atlantico, che la fine del bipolarismo si traduca in null' altro che in un' egemonia unipolare degli USA. non mi nascondo che pericoli in tal senso siano presenti. tuttavia il pericolo maggiore che colgo non sta tanto nel fatto che possa effettivamente definirsi intorno a questo ancoraggio egemonico ed unilaterale un nuovo assetto del governo mondiale, quanto, a mio avviso, nel carattere illusorio di simile prospettiva, nell' infondatezza, nell' impraticabilità di tale ipotesi. il mondo ed i suoi problemi, la sua struttura e la sua articolazione sono già oggi, e diverranno nel futuro prossimo, troppo complessi e vari, troppo ricchi e molteplici per poter essere condotti efficacemente e con un minimo di effettiva governabilità entro uno schema del genere. cosicché qualora questo schema venisse, non dico assunto strategicamente, ma anche solo vagheggiato per qualche anno, si otterrebbe un contributo non alla governabilità, ma all' anarchia, si perderebbe tempo prezioso per la costruzione di un nuovo Governo mondiale regolato dalla interdipendenza e si lascerebbe spazio a grandi e piccoli protagonisti della politica di potenza e di ricatto. il mio fermo invito, per quanto ci riguarda, è un impegno a non tradire la preoccupazione, che se non sbaglio è in molti di noi, e a non dimenticare le cause che sono all' origine, ma a lavorare, a pensare, a discutere per fare i conti con quelle cause per trovare le soluzioni migliori. cominciamo allora con il dire una verità: non c' è, non esiste sul campo una strategia politica degna di questo nome per affrontare e dare risposta ai molteplici ed intricatissimi problemi del vicino Medio Oriente . il bipolarismo consentiva di distrarsi rispetto a questo dato di fatto , ma non riusciva certo a nasconderlo. sono in pratica venticinque anni, dalla guerra dei Sei giorni almeno, che questa verità è evidente. e sono stati ricorrenti i fatti e le crisi che l' hanno ricordata: dalla primigenia questione palestinese al conflitto Iran-Iraq, dalla devastazione del Libano alla stessa invasione dell' Afghanistan. né il bipolarismo è riuscito in qualche modo a controllare le tensioni e i conflitti della regione. lungi dal dimostrare una qualche capacità di costruire ed applicare soluzioni positive e stabili, il bipolarismo, tutte le volte che ha tentato di operare come tale nella regione, ha aggravato le situazioni e le ha portate ai limiti estremi della tensione, in alcuni casi vicino alla minaccia per la pace globale. l' Europa è sempre stata con il fiato sospeso, nelle occasioni migliori ha svolto una lodevole ed utile funzione di prudenza, ma mai, neanch' essa, si è cimentata con le questioni di fondo. adesso non si può più sfuggire all' obbligo. l' Europa può guardare ad un futuro in cui non la dividono più muri e blocchi e deve cominciare a ragionare e ad agire sapendo che senza una sua assunzione di responsabilità il nuovo Governo mondiale dell' interdipendenza o non prenderà corpo o avrà tempi di gestazione assai lunghi e laboriosi. questo è lo sfondo, la scena entro cui si colloca l' emergenza apertasi con l' aggressione irachena. mai, ma meno che mai oggi, l' emergenza deve trascinare sulla via di una catastrofe ancora più grande di quella che si vuole evitare; e affinché ciò non avvenga, dentro questa scena e considerando tutti i suoi elementi, si devono assumere, e assumiamo noi con chiarezza, le responsabilità dinanzi all' emergenza. la nostra condanna nei confronti dell' invasione del Kuwait da parte dell' Iraq è netta: è un atto di una gravità eccezionale perpetuato con cinica arroganza in un area travagliata da decenni di guerre e di tensioni. non abbiamo scoperto adesso che Saddam Hussein è un dittatore; negli stessi Atti parlamentari in seno al Parlamento europeo figura più di una condanna nostra e più di una nostra richiesta a favore dei diritti del popolo curdo contro il quale è in atto, non solo da parte irachena, una crudele oppressione pluridecennale. il rapporto della commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite del 10 agosto 1988 considera l' Iraq colpevole di crimini di guerra per avere usato gas sia contro i nemici esterni sia contro i curdi e i dissidenti. tutto questo si poteva leggere, accadeva in piena guerra del golfo . e non possiamo dimenticare, onorevoli colleghi , che più quei rapporti si facevano aspri e documentati più purtroppo tanti paesi sostenevano e armavano Saddam Hussein . alcuni paesi occidentali stabilivano con lui normali relazioni diplomatiche, tra i quali l' Urss che rimaneva legata da un trattato di amicizia; per non parlare delle forniture d' armi che provenivano da vari paesi europei e dalla stessa Italia. allora non era diffuso lo sdegno di questi giorni; i valori ai quali ci si appella oggi erano allora caduti nell' oblio o si celavano nelle pieghe degli affari. pochi ricordano oggi gli enormi e oscuri interessi finanziari e commerciali che hanno fatto scandalo in questo paese a proposito del commercio d' armi con l' Iraq. naturalmente non intendo ricordare tutto ciò con spirito di rivalsa, né per attenuare la condanna, ma innanzi tutto per smentire la pretesa di Saddam Hussein di ergersi a paladino di interessi che non siano quelli del suo regime e delle sue mire bellicose e aggressive, e per ricordare che la politica irachena è un pericolo per quella parte del mondo. ci troviamo dinanzi ad un regime sanguinario ed autoritario, ma avvertiamo tutti, credo, che non tanto la crisi aperta dall' aggressione irachena quanto i problemi dell' area in cui essa si svolge evocano questioni di nuova, inedita portata. il mondo può conoscere sconvolgimenti del tutto diversi da quelli del passato, che trascendono la vecchia conflittualità tra i blocchi e trovano le loro origini nel divario tra nord e sud del mondo. è necessario un approccio del tutto nuovo, cambiare registro, proprio nel considerare i problemi dei rapporti finora esclusi dalla ventata di rinnovamento delle relazioni internazionali. il rapporto con il sud del mondo non può essere inteso né come terreno di conquista civilizzatrice né come mercato sconfinato di micidiali produzioni belliche o di affari che rispondono esclusivamente alla logica dei più forti, con l' interessata connivenza, al più, delle oligarchie dominanti. il problema è nostro e deve essere risolto lungo vie nuove. la sicurezza da perseguire attraverso il disarmo, uno sviluppo sostenibile e socialmente giusto e la libertà dei popoli devono diventare davvero valori universali indivisibili ed interdipendenti e valere in tutto il mondo. questo richiede comportamenti fermi e coerenti verso chi viola la legalità internazionale, proprio perché iniziative come quelle dell' Iraq non solo non vendicano i torti subiti dai più deboli, ma al contrario rendono più debole la posizione dei palestinesi, dei libanesi, di quanti vedono conculcati i loro diritti anche a causa dello spregio di quella legalità internazionale che Saddam Hussein ignora e calpesta. va ricordato tutto ciò — certo — a Saddam Hussein , che cerca di giustificare la sua illegalità, la sua aggressione di oggi con le illegalità e le aggressioni commesse da altri in passato, ma non può essere ricordato soltanto a lui: va ricordato anche a chi ha grandi responsabilità verso illegalità antiche e perduranti, a chi ha chiuso e continua a chiudere gli occhi sulla tragedia palestinese. la fermezza contro la guerra scatenata da Saddam deve far recedere le truppe irachene e dimostrare che l' aggressione e l' arbitrio non pagano. e questo risultato dovrà accrescere la determinazione e la fermezza su tutte le altre questioni aperte. la sconfitta dell' aggressione irachena è dunque necessaria per riaffermare il principio di legalità nei rapporti internazionali, anche se evidentemente non risolverà da sola i problemi che fanno del Medio Oriente una delle zone più esplosive del mondo: dal problema costituito dal perpetuarsi dell' occupazione israeliana in territori palestinesi al problema economico dell' enorme concentrazione di risorse energetiche, preziose per l' umanità intera, nelle mani di pochi; problemi per i quali iniziative specifiche dovranno riprendere forza e slancio ed essere messe a punto exnovo. essenziale è che si collochi l' azione per riaffermare la legalità internazionale nel momento storico che viviamo. l' attuale fase, se non viene governata con lungimiranza e con strumenti nuovi può determinare squilibri drammatici, effetti perversi. non è sufficiente il superamento del bipolarismo, per il quale ci siamo battuti da tempo: occorre creare le condizioni di una democrazia mondiale, nella quale grandi e piccoli paesi possano determinare le loro sorti e in cui soprattutto si trovi la strada per invertire la forbice che si allarga sempre di più tra ricchi e poveri, tra nord e sud del mondo. valutiamo con interesse e favore tutte le iniziative politiche e diplomatiche che anche in occasione di questa grave crisi del Golfo si muovono in questa prospettiva. è questo il senso profondo della posizione che abbiamo assunto: respingere ogni atto che prefiguri l' idea che solo una parte, che solo i popoli ricchi del mondo hanno il compito ed il diritto di decidere ed intervenire. qualcosa si muove già in questa direzione: l' Onu ha deciso quasi all' unanimità, con la risoluzione numero 661 del Consiglio di sicurezza , un' insieme di misure di isolamento economico, militare e diplomatico per ottenere la fine dell' invasione del Kuwait ed il ritiro immediato ed incondizionato delle truppe irachene: la Comunità Europea anch' essa ha assunto misure analoghe, mentre la maggioranza dei paesi arabi si è ispirata, con varie accentuazioni, allo stesso orientamento. è evidente che ciò è reso possibile dal mutamento radicale dei rapporti tra gli USA e l' Urss, dalla fine dei blocchi contrapposti e dall' inizio di una cooperazione politica internazionale fondata sulla consapevolezza dell' interdipendenza e dell' interesse comune. si affaccia dunque concretamente la possibilità e la speranza di poter lavorare per un governo mondiale delle enormi contraddizioni dell' epoca moderna. eppure — badate — questa speranza, proprio mentre si rende possibile, può essere distrutta dagli sviluppi della crisi attuale. ed è questo che occorre ad ogni costo evitare. i primi passi sono stati positivi, a cominciare dall' unanime condanna dell' invasione, ma si tratta anche di un' azione che può dare risultati se viene rigorosamente e concordemente applicata, tenendo fermo l' obiettivo, cui si ispira, di esercitare la massima pressione per il ripristino della legalità e non di trasformare l' aggressione irachena in detonatore di un conflitto micidiale. lo abbiamo detto e lo ripetiamo: quest' ultimo rischio si corre o per ulteriori e dissennate azioni militari dell' Iraq, o per iniziative unilaterali degli USA — che sono state e sarebbero dannose — o di altri, in contraddizione con l' affermata volontà di mantenere sotto l' egida dell' Onu ogni iniziativa presunta e futura. le risoluzioni dell' Onu devono essere applicate senza deviazioni e furberie da parte di alcuno. la sede Onu è quella nella quale devono essere assunte nuove, ulteriori determinazioni che appaiano necessarie. questo è l' unico modo per ottenere risultati senza provocare un conflitto disastroso sul piano umano, economico e politico. non sfugge ad alcuno che un' eventuale rottura della solidarietà internazionale, le dissociazioni e le divaricazioni che ne seguirebbero avrebbero conseguenze drammatiche nell' area del Golfo, ma assai gravi anche nei processi di pace tra USA ed Urss. l' attuale concordia internazionale non deve nascondere che la crisi in corso contiene in sé due aspetti distinti: da un lato c' è l' aggressione, l' invasione militare di un paese sovrano; dall' altro lato sono in gioco il petrolio e gli enormi interessi intrecciati con la finanza e l' economia mondiale. una funzione che fuoriesca dalle decisioni e dalle responsabilità dell' Onu può apparire a gran parte dei paesi poveri detentori di materie prime come una guerra dei paesi ricchi contro i paesi poveri, offrendo un' arma politica insperata e forse ardentemente desiderata in queste ore da Saddam Hussein . in verità, la crisi attuale richiede che si vada oltre la risoluzione dell' Onu ma non nel senso del passaggio dalla logica politica a quella militare. al blocco economico e politico dell' Iraq si deve accompagnare una più ampia iniziativa politica che comprenda l' offerta di un nuovo assetto delle relazioni internazionali politicamente ed economicamente più equilibrato con l' estensione a tutto il mondo, e prima di tutto al sud, dei benefici effetti di una nuova epoca di cooperazione. un nuovo assetto che implica una concezione multipolare del potere e una presenza di pari dignità nelle istanze internazionali, una revisione globale delle relazioni di scambio ineguale con i paesi produttori di materie prime , veri programmi di cooperazione tecnica e scientifica, di spostamenti di risorse; insomma, l' assunzione da parte di paesi ricchi di una concezione unitaria e più giusta delle risorse economiche, umane ed ambientali del mondo e del loro uso. è una questione enorme che impegnerà i prossimi decenni, ma è decisivo avviare i primi passi di questa svolta proprio adesso che questa crisi ne mette in luce le implicazioni ed i possibili effetti. infine, c' è un ulteriore argomento specificamente attinente al conflitto ed alla crisi in atto del quale si deve tenere particolarissimo conto. badate, il dispiegamento della forza per applicare nel modo più efficace l' embargo non solo non esime dalla ricerca e dall' attivazione di tutte le possibili iniziative politiche e diplomatiche negoziali, ma le rende ancor più urgenti e necessarie. in assenza di tali iniziative la forza stessa tenderebbe inevitabilmente a perdere i caratteri della discussione e spingerebbe a passare al confronto militare. per tutti questi motivi noi abbiamo sostenuto con ostinazione una linea di fondo, che è quella di ricondurre tutto all' iniziativa dell' Onu; e l' Europa deve in primo luogo operare perché questo avvenga. è possibile un mutamento storico di grande portata, è possibile rendere concretamente operante un nuovo Governo mondiale. ebbene, onorevoli colleghi si tratta di qualcosa di molto importante che può per la prima volta restituire all' Onu la sua funzione istituzionale. per questo abbiamo insistito e continuiamo ad insistere attraverso l' importante iniziativa da noi assunta con la presentazione della nostra risoluzione perché l' Italia assuma una funzione dinamica, volta a premere concretamente e in modo più preciso affinché il Consiglio di sicurezza definisca con una nuova risoluzione i modi e le forme volti a dare la più efficace attuazione alle decisioni dell' embargo e a ricondurre sotto il coordinamento e la responsabilità della stessa Onu tutte le presenze di forze militari nell' area del Golfo e tutte le azioni volte a far rispettare la risoluzione numero 661. noi siamo stati e siamo contrari a tutte le iniziative che prescindano da tale assunzione di responsabilità diretta da parte dell' Onu. siamo convinti che l' Italia debba operare in modo conseguente per aprire la strada ad una fase nuova delle relazioni mondiali non per astenerci dalle responsabilità del momento ma, al contrario, per porci alla testa della costruzione di un nuovo assetto mondiale. è appunto con questo spirito che ci siamo assunti la responsabilità di avanzare una proposta significativa che darebbe all' Italia ed all' Europa la possibilità di svolgere un ruolo centrale e propulsivo, la proposta cioè di impiegare le forze navali nel Golfo Persico solo a seguito e nel contesto di nuove direttive e risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza dell' Onu. infatti — come potete ben capire, onorevoli colleghi — solo l' assunzione di un simile atteggiamento, di una sorta di clausola dissolvente o, meglio, di una clausola vincolante nell' attesa ed in funzione delle deliberazioni del Consiglio di sicurezza dà forza per poter aprire davvero una fase nuova. la pressione affinché l' Onu assuma intera e piena la responsabilità di gestire ed orientare le risposte a Saddam Hussein rischia infatti di scemare fino a vanificarsi se, pur auspicando tutti che ciò avvenga, ciascuno si comporta in modo tale da procedere anche in assenza di tale funzione delle Nazioni Unite . solo nel caso in cui la clausola conseguente alla nostra proposta fosse stata accolta dal Governo avremmo potuto superare la nostra contrarietà nei confronti delle decisioni precedentemente assunte dal Consiglio dei ministri . naturalmente, anche se questo atto di saggezza non è stato compiuto nel dibattito di ieri al Senato, piena resta la nostra disponibilità qualora lo si voglia compiere davanti a questa Assemblea. è ugualmente del tutto evidente che, qualora non intervenisse una nuova decisione dell' Onu sulle forme e sui modi di sostegno dell' embargo, tutta la situazione dovrà essere, anche in Parlamento, riesaminata. è questo il senso preciso dell' ultimo punto della risoluzione presentata dal nostro gruppo parlamentare ; nello stesso tempo ritengo che debbano essere considerate in modo positivo le pur parziali modificazioni intervenute al Senato in seguito al dibattito parlamentare e grazie anche alla nostra iniziativa ed alle nostre prese di posizione. apprezziamo in modo particolare la sensibilità dimostrata nei confronti dei rischi, da noi denunciati, che possono venire da ogni iniziativa unilaterale e da ogni atteggiamento destinato a compromettere la situazione. tutto ciò ci conferma nella nostra convinzione di aver avuto ragione nel denunciare i pericoli insiti in quelle iniziative unilaterali; forti di questa convinzione, ci batteremo per una linea di politica estera innovativa, per una rivalutazione piena della funzione dell' Onu, per una rinnovata democrazia mondiale nella quale abbiano voce i grandi ed i piccoli paesi. nessuno dunque si astiene di fronte alla guerra, come è stato affermato in modo infamante da un giornale. la nostra è una convinta iniziativa pacifista e non violenta; perciò agiamo ed agiremo, onorevoli colleghi , perché da questa crisi si esca dando un colpo alla politica dei blocchi , della supremazia delle grandi potenze e del dominio del nord sul sud del mondo ed affinché l' attuale emergenza non sia motivo di nuove prepotenze e di rinnovati domini e perché prevalga un mondo pacificato dentro un nuovo ordine internazionale.