Valter VELTRONI - Deputato Opposizione
X Legislatura - Assemblea n. 500 - seduta del 18-07-1990
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
1990 - Governo I Amato - Legislatura n. 11 - Seduta n. 95
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , potrà questo Parlamento, il nostro Parlamento, pronunciarsi sovranamente su una legge tra quelle più importanti che ad esso possa spettare di discutere e sulla quale esso è chiamato a decidere? potremo noi parlamentari esprimere la nostra opinione liberamente sul merito di una legge che attendiamo in quest' Aula da quindici anni? è divenuto questo il primo, preliminare problema che è di fronte a noi. si è in presenza di contrasti che si esprimono non in forma sotterranea ma palesemente e che traducono una differenza di opinioni, di valutazione, probabilmente persino di concezione generale esistente all' interno della maggioranza. in una materia come quella dell' informazione che attiene ai diritti fondamentali dei cittadini si cerca di far prevalere su queste differenze e sulla loro trasparente espressione una scelta di forza, una imposizione che sottrae il merito del tema in discussione. ci si comporterebbe — mi si consenta di dirlo (io ho l' abitudine di misurare le parole e di usarle sempre nella consapevolezza che esse sono pietre e che prima di scagliarle bisogna ben ponderarne il peso) — , se si decidesse di operare questa scelta e di imporre un voto di fiducia , che sottragga la valutazione di merito a questo Parlamento su una legge di tale portata, dopo quindici anni d' attesa, ci si comporterebbe, dicevo, non certo da uomini di Stato, rispettosi delle regole, ma come chi deve adempiere ad un compito assegnato, come chi deve eseguire un diktat. un mese fa, esattamente un mese fa — il 18 giugno — Berlusconi, uno dei soggetti in discussione in questa legge (in discussione non perché nessuno lo evochi ma perché obiettivamente costituisce, per la sua posizione di concentrazione che non ha paragoni al mondo, uno dei soggetti inevitabilmente principali del nostro « territorio » legislativo), annunciò nel corso di una assemblea dei venditori della pubblicità della Fininvest che vi sarebbe stato (posso mostrare il testo) voto di fiducia sulla « legge Mammì » . era, lo ripeto, il 18 giugno 1990: un mese fa, dunque! nessuno aveva discusso di questa ipotesi, un' ipotesi che non si era definita. eppure Berlusconi l' annunciava come chi sa di poter dettare leggi, come chi sa di poter imporre la sua volontà. penso che sarebbe paradossale che il nostro Parlamento si trovasse ad operare in una condizione di simile sovranità limitata . se ripensiamo a questi 15 anni, ci accorgiamo che fin quando si è voluto che la legge non si facesse, essa non è stata fatta. poi, questo Parlamento è stato chiamato a riunirsi d' urgenza, dopo che alcuni pretori avevano oscurato le televisioni, per approvare un decreto che non per caso porta il nome di chi ne ha beneficiato. successivamente, si è atteso ancora perché serviva che la legge non si facesse. oggi, quando ormai sembra che la sentenza della Corte costituzionale sia imminente e sembra predisporsi ad un giudizio di dubbia costituzionalità di quel decreto che la maggioranza approvò, in quest' Aula, oggi — dicevo — questa legge si fa, perché così si vuole! e tanto rapidamente la si vuole fare che si impone la fiducia ed anzi la si annuncia in una sede, che a me e alla mia cultura istituzionale appare impropria, come quella dell' assemblea dei venditori di pubblicità della Fininvest. così, dopo il « decreto-Berlusconi » ci troveremo di fronte anche alla « fiducia-Berlusconi » . quella fiducia sarebbe null' altro che l' esecuzione di un ordine dato. sottrarre alla dialettica parlamentare la possibilità di migliorare o di cambiare una legge di questa dimensione è una responsabilità grave. e devo dire che in questi giorni mi ha sorpreso il costante richiamo ad accordi di maggioranza, come se fossero un giuramento, anche perché gli accordi di maggioranza sono stati tanti, in questi anni (come del resto tante sono state le leggi presentate dal ministro Mammì). tanti sono stati gli accordi contraddittori e tante le leggi contraddittorie. francamente, il richiamo ad accordi di maggioranza non mi sembra corrispondere alla natura del problema del quale stiamo parlando (un problema, cioè, di regole del gioco della democrazia). fu, in quest' Aula, Craxi, come presidente del Consiglio , a richiamare giustamente la natura istituzionale del problema dell' informazione. e allora appare ancora più paradossale che se quegli accordi contratti in una maggioranza, che certo non esaurisce la dialettica istituzionale di questo paese, non reggono ci si appelli al voto di fiducia . se poi quest' ultimo non dovesse essere sufficiente, si minaccia persino una crisi di Governo . penso che vi sia una contraddizione pesante, che è in qualche modo l' espressione della crisi del sistema politico italiano, tra il potere che si sottrae alle istituzioni e il potere che si conferisce a forti potentati esterni. c' è anche il rischio che la politica assuma sempre di più una funzione subalterna, di pura rappresentanza di interessi consolidati, che ci si schieri come amici o nemici di questo o di quello. è una china pericolosa che in realtà, in fondo, anche nella discussione di quest' Aula nessuno ha negato. ho letto gli interventi dei colleghi, anche di coloro che appartengono alla maggioranza. ho letto con sorpresa che si dica candidamente che questa legge non fa altro che fotografare l' esistente. c' è da non crederci! l' esistente, del quale stiamo parlando, è o no quello di cui la Corte costituzionale si è ripetutamente occupata? questa legge, come risulta dalle dichiarazioni degli stessi esponenti della maggioranza, non sana e non spezza la situazione di fatto che si è creata in questi 15 anni di assenza legislativa. la Corte costituzionale così ha dichiarato il suo giudizio sull' attuale situazione del sistema informativo italiano: « il pluralismo in sede nazionale non potrebbe in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso tra un polo pubblico ed un polo privato che sia rappresentato da un soggetto unico, o che comunque detenga una posizione dominante nel settore privato » . questa è la situazione che si è determinata nel sistema informativo italiano, in assenza di un sistema politico in grado di svolgere il suo compito fondamentale, quello cioè di dare regole ai gangli fondamentali e decisivi della vita del paese. molti colleghi della maggioranza — non tutti, certo — difendono con accanimento questa situazione, tanto da impedire alla libera dialettica parlamentare di giudicare il merito della questione, se non altro nei punti più spinosi. ministro Mammì, non so se il Governo porrà la fiducia richiesta ed in qualche modo sollecitata un mese fa; voglio però dire che si tratterebbe, verso un Parlamento che non mostra volontà dilatorie (l' opposizione sia in Aula sia in Commissione non ha mai mostrato alcuna volontà ostruzionistica), di un atto di prepotenza e, mi si consenta, di irresponsabilità rispetto al quale reazioni corrispondenti sarebbero più che giustificabili da parte dell' opposizione. anche la minaccia della crisi di Governo sugli spot mi appare abbastanza singolare. nella sesta potenza industriale del mondo, in un paese che è impegnato nella guida di un difficile semestre alla Cee, si arriva a minacciare una crisi di Governo perché il Senato della Repubblica ha approvato una norma che altro non è che la sanzione di una direttiva di quella comunità economica europea che oggi siamo chiamati a presiedere. da parte di qualcuno si minaccia una crisi di Governo sul problema degli spot nei film, problema al quale attribuisco grandissima importanza (sarebbe strano il contrario, visto che su questo argomento abbiamo condotto una grande battaglia), ma che tuttavia vede sproporzionato il ricatto della crisi di Governo in un paese che, lo abbiamo visto anche oggi, ha qualche problema sul piano dell' equità fiscale o sul piano dell' autentica capacità riformista o su quello della moralità della vita pubblica . mi sarebbe più piaciuto — lo dico ai compagni socialisti — che il partito socialista minacciasse di aprire una crisi di Governo di fronte all' ingiustizia fiscale di questo paese piuttosto che per tutelare e difendere gli interessi di un imprenditore privato. questa legge nasce con un vizio di costituzionalità; se fotografa il paesaggio esistente, allora quest' ultimo non è — lo ha sancito la Corte costituzionale — il pluralismo. questo paesaggio sembra però piacere ai colleghi del partito socialista . ho letto con qualche sorpresa ed anche con qualche imbarazzo l' intervento dell' onorevole Intini costruito sulla denuncia dell' esistenza di un conservatorismo cattolico e di uno comunista. non mi spavento delle parole: viviamo in un tempo di grandi mutamenti, le cose diventano via via più leggere, si spostano ed occorre seguirle con lo sguardo per ritrovarle, per esaminarle ed anche per capirle. ad esempio, la sinistra ha capito — e se non lo ha capito deve capirlo — di non poter non essere ambientalista. quando si scopre ambientalista, scopre che il vocabolario dell' ambientalismo altro non è che un vocabolario conservatore. le parole dell' ambientalismo sono: tutela, difesa, salvaguardia, mantenimento, vincolo, conservazione; eppure attraverso quelle parole conservatrici si può e si cerca di tutelare un equilibrio che si va disperdendo, con grave pregiudizio per la vita ed il destino del nostro futuro collettivo. la corsa del tempo deve spingere la cultura della sinistra ad interpretare i mutamenti ed a cercare di governarli, non a piegarsi di fronte ad essi. combatto quindi un atteggiamento subalterno, acritico nei confronti delle cose che vengono prodotte dallo sviluppo dei tempi, una rinuncia anche all' autonomia della cultura propria ed all' autonomia della politica. all' onorevole Intini piace la crescita pur che sia, all' onorevole Intini piace il rumore della società che corre e sembra non interessargli, dalle cose dette in quest' Aula, sapere dove va e con chi va. scorgo in tali atteggiamenti qualcosa che potrei definire una sorta di neofondamentalismo, una coltivazione della contemporaneità con sacrale rispetto, con agnostico rapimento. ho detto « contemporaneità » perché ritengo che non tutto ciò che è contemporaneo è moderno. la crescita produce nuove opportunità, ma con le nuove opportunità produce anche nuove contraddizioni, genera squilibri, ingiustizie, povertà morali e materiali ed il compito nostro, il compito della cultura di sinistra, è di combatterle, di rimuoverle ed è ciò che cerchiamo di fare. non credo che le preoccupazioni per il pluralismo dell' informazione o per la qualità dei prodotti che arrivano nelle case di ciascuno di noi siano preoccupazioni da anime belle o da conservatori. anzi, mi stupisco che queste stesse preoccupazioni non abbiano, in questa sorta di delirio « yuppistico » e rampantistico, altre forze della sinistra. è vero, c' è Berlusconi ed il suo impero raggiante, ma ci sono anche le persone, ci sono quei bambini, quegli anziani, quella gente che sta davanti alla televisione, e quando parliamo del pluralismo non parliamo di qualcosa di astratto, parliamo di loro, del loro modo di crescere, di informarsi, di conoscere la realtà. tutte le democrazie occidentali si sono occupate di questo e ciò che qualifica una moderna democrazia è proprio il tentativo di sottrarre al dominio di pochi la facoltà di parlare a tutti. così hanno fatto in tutti i paesi civili del mondo. gli onorevoli Bassanini, Sangiorgio, Soave e, questa mattina Guerzoni, hanno ricordato le leggi esistenti in altri paesi, le leggi dei paesi più avanzati, le rule regulations degli USA. perché noi dovremmo fare qualcosa di diverso? perché, compagni socialisti, dovete giudicare l' atteggiamento nostro come un atteggiamento — lo ha scritto ancora l' onorevole Intini — pre-brezneviano? se siamo pre-brezneviani, lo siamo in buona compagnia: è pre-brezneviano Jack Lang, lo è Mitterrand, lo è il governo socialista spagnolo, lo sono coloro che alla Cee hanno votato a favore di quella direttiva, lo sono la stragrande maggioranza dei governi democratici dell' Occidente! siamo tutti pre-brezneviani! solo chi difende gli interessi di un imprenditore privato non lo è! mi permetto di contestare questa equazione, di contestarla alla radice, e di contestarla auspicando che nel partito socialista prevalga un ripensamento rispetto alla rinuncia alla politica di questi anni. una rinuncia alla politica che ha prodotto un isolamento del quale mi rammarico, anche perché ritengo che nel passato — anche nel 1978 — dal partito socialista e dal suo gruppo dirigente emersero proposte ragionevoli, che sono state poi disperse da uno schiacciamento nella tutela di interessi consolidati. ma poi com' è questo esistente, del quale qui è stata fatta l' apologia acritica? vogliamo guardarlo il paesaggio dell' informazione italiana? è vero, onorevole Poli Bortone: io ho detto che Berlusconi ha avuto un merito nella storia del sistema informativo italiano, quello di introdurre un elemento di rottura nel monopolio pubblico, di introdurre un elemento di concorrenzialità, di far scoprire una dimensione commerciale che la televisione non aveva. questo merito lo riconosco, proprio perché non facciamo battaglie rivolte contro le persone o volte a punire o a premiare questo o quello. però questo merito non basta ad occultare la visione del paesaggio dell' informazione. esiste in Italia una concentrazione senza paragoni al mondo. in nessun paese un singolo privato può avere nelle sue mani, non dico tre reti ma neanche una rete. in Francia, in Spagna, i governi socialisti stabiliscono non più del 25 per cento per un imprenditore privato. in Italia esiste una concentrazione senza paragoni nella raccolta pubblicitaria, nel possesso di sale cinematografiche; c' è una concentrazione caratteristica, determinata dall' invasione della presenza di conglomerate industriali e finanziarie. e tutto questo penso sia un problema, che lo debba essere per la sinistra, e non solo per la sinistra. si è fatto un gran parlare della pubblicità. si racconta l' universo della pubblicità italiana come se fosse una sorta di paese di Bengodi. noi siamo il paese d' Europa con il più basso rapporto tra prodotto interno lordo e pubblicità (meno della metà di quello inglese e meno di un quarto di quello degli USA) nonostante il nostro paese trasmetta un milione di spot l' anno: una cifra superiore a quella di tutti i paesi europei messi insieme. perché abbiamo questa contraddizione? bombardiamo gli spettatori con un milione di spot, ma il nostro introito sul piano pubblicitario è il più basso in Europa in rapporto al prodotto interno lordo . c' è qualcosa che non va, c' è qualcosa di anomalo dal punto di vista del mercato, nel rapporto tra pubblicità ed introiti. come si spiega questa contraddizione? ha detto il presidente della Fieg, Giovanni Giovannini: « che un mercato pubblicitario con queste caratteristiche non sia il migliore dei mondi possibili non sembra essere oggetto di dubbio » . sono d' accordo con lui; e se si guarda ai giornali, nel rapporto percentuale tra pubblicità raccolta in televisione e pubblicità raccolta nella stampa, l' Italia compete con Portorico e con il Bahrein. nel corso di questi dieci anni, se le televisioni sono cresciute del 789 per cento nella raccolta pubblicitaria, i quotidiani sono scesi del 19 per cento , e sono scesi anche i periodici. registriamo uno squilibrio determinato da una politica di sconti e di offerte speciali, che è data dal carattere anomalo del mercato pubblicitario italiano. in Italia nel 1988, se si fossero incassati tutti i soldi corrispondenti agli spot trasmessi nelle nostre case, il privato avrebbe dovuto incassare 4 mila 835 miliardi: ne ha incassati mille e 765! ha fatto sconti per il 63 per cento e li ha potuti fare perché è in una condizione di monopolio e perché può fare ciò che meglio gli aggrada con la pubblicità televisiva, colpendo così le televisioni locali e la stampa, che subisce un decremento dell' investimento in termini reali. ancora Giovannini ha detto: « la pubblicità in TV non è il diavolo, ma per favore non si continui a ripetere che a toccare quella pubblicità si distrugge il paese! » . c' è un decremento, dato anche dalla arretratezza tecnologica. vogliamo continuare a guardare questo panorama, questo paesaggio dell' informazione italiana che il disegno di legge fotografa? guardiamo alla stampa: in Italia si vendono 117 copie di quotidiani per mille abitanti. siamo il diciassettesimo paese del mondo: si vendono più quotidiani in Belgio che da noi, se ne vendono ogni mille abitanti 351 in Austria, 580 in Giappone. siamo il diciassettesimo paese del mondo nonostante la fattura dei nostri giornali. abbiamo mancato l' obiettivo dei sette milioni di copie e c' è una differenza profonda tra nord e sud (una copia ogni sei abitanti al nord ed una ogni quindici al sud). nel triennio 1986-1988 i settimanali hanno perso l' 1,3 per cento delle copie vendute ed i mensili il 4,2 per cento . vogliamo continuare, guardando al cinema? se nel rapporto pubblicità TV-pubblicità carta stampata competiamo col Bahrein, in quanto a ore di televisione straniera trasmesse veniamo al terzo posto, dopo Hong Kong e le Filippine. quel made in Italy , del quale ha parlato a proposito della moda l' onorevole Intini, spero interessi l' onorevole Intini anche per quanto riguarda l' industria culturale: esportiamo per 25 milioni di dollari , ma importiamo per 281 milioni di dollari . ho interrotto in Commissione l' onorevole Aniasi, che leggeva un parere (mi auguro non di sua compilazione), nel quale si diceva che il numero degli spettatori nelle sale è cresciuto. mi sono permesso, scherzando, di chiedergli se ciò fosse accaduto a Paperopoli o a Topolinia, perché in Italia non è accaduto, onorevole Aniasi! nel 1980 in Italia si vendevano 241 milioni di biglietti di ingresso al cinema, nel 1988 se ne sono venduti 92,8 milioni! vi è stata una diminuzione anche in altri paesi; ma se in Germania in questi otto anni la presenza nei cinema è diminuita del 24,2 per cento , in Italia è diminuita del 58,5 per cento (e si tratta della più alta diminuzione d' Europa). se poi vogliamo continuare ad esaminare queste cifre, guardando alla quantità dei film trasmessi nel complesso delle ore di programmazione, la media Cee è pari al 35,8 per cento , quella della Germania al 29,9 per cento , mentre quella italiana è del 48,3 per cento . la nostra industria della comunicazione ha assunto una posizione subalterna, di puro consumo e di pura importazione, che non ha la necessaria produttività e neanche il necessario ammodernamento tecnologico. nel nostro paese, ad esempio, dal punto di vista delle nuove tecnologie (cavo e pay-TV), siamo più arretrati di altri paesi europei . l' onorevole Intini ha ironizzato sugli autori cinematografici. secondo me ha sbagliato, perché quegli autori hanno fatto grande l' immagine della cultura italiana nel mondo e ad essi, da parte di ciascuno — credo — deve essere portato rispetto. conta, ritengo abbia contato, nella formazione della cultura di questo paese, il lavoro di queste persone, di questi italiani, e sarebbe sbagliato che in quest' Aula si facesse della facile ironia o si ricorresse ad un ingiusto ed inqualificabile disprezzo, solo perché le loro posizioni contrastano con gli interessi di qualcuno. e le loro preoccupazioni per la qualità non devono essere considerate inutili. davvero nella nostra concezione la crescita, l' innovazione, l' apertura di nuovi mercati, devono essere in contraddizione con la qualità, davvero si devono separare? è questa, come dice l' onorevole Intini, una preoccupazione aristocratica? ho letto le dichiarazioni di Brian De Palma , uno dei maggiori registi americani, che certo non è scambiabile per uno che assume posizioni retoriche. De Palma ha detto: « il tipo di televisione, e dunque di cinema, che ci ammanniscono comporta un appannamento dei valori umani e morali la cui riscoperta mi sembra sempre, invece, più necessaria » . e quando gli autori chiedono il rispetto dell' integrità di un' opera d' autore, parlano non solo del loro lavoro, ma di ciò che la gente vede. l' onorevole Intini ha detto che attraverso la televisione commerciale milioni di persone possono vedere i film di Chaplin. vedo in ciò una riproposizione di una cultura non di massa, ma di classe: ci sono i privilegiati che possono vedere il film di Chaplin come Chaplin l' ha concepito e ci sono poi milioni di persone che possono vedere il film di Chaplin non come il regista l' ha concepito, ma come viene infarcito dalle televisioni commerciali. io insisto: un film è una storia, un film è un' emozione. e francamente la storia di Calvero o di Monsieur Verdoux interrotta dai pannolini Lines non è più la stessa storia che abbiamo potuto vedere al cinema. e così rischiano di vederla milioni di persone! e non sono solo gli autori a vivere quell' emozione, ma sono gli spettatori! perché mai un film dovrebbe valere meno di un quadro, meno di un libro o di un' opera? dunque, se questo è il paesaggio della situazione italiana, è vero che questa è cresciuta, ma non si è sviluppata nei suoi cardini fondamentali: produzione, tecnologie, pluralismo. non ho concezioni dirigistiche né nostalgie per il monopolio, anzi, sono preoccupato oggi, e ne voglio parlare qui, del fatto che stia andando avanti un accordo tra la Rai e l' unico gruppo privato: quel duopolio che la Corte costituzionale denuncia rischia di trasformarsi in qualcosa di addirittura più pericoloso, in un accordo di cartello che francamente comprometterebbe definitivamente il pluralismo. il pluralismo nell' informazione non può essere altro che tanti punti di vista . occorre garantire tanti punti di vista attraverso un' autentica libertà di mercato, di imprenditoria; quella libertà di mercato e di imprenditoria che nell' informazione non c' è, perché si impedisce l' accesso a nuovi soggetti attraverso la sanzione, con questa legge, di una condizione di monopolio. questa legge è vecchia, questa legge non fotografa la situazione, questa legge fa un dagherrotipo della situazione data. e non bisogna avere fastidio per le regole, non bisogna pensare che un sistema politico che metta delle regole in uno dei sistemi centrali del suo apparato democratico sia un sistema dirigistico. le regole non imbrigliano il puledro dell' imprenditoria privata. vorrei porre anche qui un quesito semplice. si dice: bisogna stare tra le « dieci sorelle » dell' informazione mondiale. mi si vuole spiegare come mai tra queste « dieci sorelle » ci sono già imprenditori tedeschi, francesi e inglesi, che non vivono in condizione di monopolio nel loro paese, che sono assoggettati a quelle leggi pre-brezneviane delle quali si è parlato e che proprio in ragione di ciò hanno esportato all' estero, hanno costruito una loro presenza su scala continentale e non continuano invece a comprimere la libertà di pluralismo su scala interna? questa contraddizione deve essere sciolta e le regole servono. la sinistra moderna dovrebbe saper guardare a questa prospettiva. su materie come queste valgono, più che i giudizi dei partiti, le idee delle persone. progressisti e conservatori si giudicano dai comportamenti, così come si giudica l' autonomia dei singoli soggetti. le leggi non si fanno né contro né a favore. per questo combatteremo in Aula una battaglia attraverso gli emendamenti, per migliorare la legge nella sua griglia antitrust, introducendo i periodici o cercando di stabilire il limite alla raccolta massima di pubblicità che un singolo soggetto può avere nel comparto dell' informazione: è proprio attraverso la pubblicità che si può far vivere o non far vivere un giornale, vivere o non far vivere una televisione! altrimenti davvero si ha una concezione dirigistica! per questo una serie di nostri emendamenti tenderanno a salvaguardare le emittenti locali; per questo combatteremo per difendere la norma approvata al Senato o per approvare la pura e semplice ratifica, senza pasticci, della direttiva Cee sulla questione degli spot. per questo ci batteremo sul problema delle quote e cercheremo di stabilire un criterio che eviti che l' Italia vada verso una democrazia per censo. pertanto, in campagna elettorale tutti i partiti — i repubblicani, i socialdemocratici, i Verdi, i radicali e le altre forze di opposizione — devono avere le stesse opportunità dei partiti più forti e potenti di parlare con gli elettori. questo è — in altri paesi si chiama equal time — il sale della democrazia: pari opportunità per una decisione responsabile dei cittadini elettori. le regole che proponiamo muovono da un' ansia e da una preoccupazione. non mi spavento per il fatto che su questa materia si trovino larghe convergenze; la preoccupazione per lo stato di concentrazione dell' informazione in Italia l' hanno espressa il cardinal Poletti, i giornali dei missionari, le forze laiche e — in quest' Aula — l' onorevole Stanzani Ghedini, insieme a rappresentanti ambientalisti, a quelli di democrazia proletaria ed a forze della stessa maggioranza. anche noi la esprimiamo, preoccupati della possibilità di costruire quella che chiamiamo un' ecologia dell' informazione, vale a dire un adeguato rapporto tra la crescita di questo comparto e, al tempo stesso , della qualità della cultura e della produzione informativa. proponiamo una visione politica alta, mediante la quale combattiamo il fondamentalismo liberista. ho trovato molto belle le parole usate dall' attuale Primo Ministro francese, Michel Rocard, il quale — parlando dei valori principali sui quali si dovrebbe fondare una nuova idea di sinistra — ha affermato: « quando si parla di libertà civili nessuno si immagina che tra esse vi sia anche la libertà di uccidere o di rubare e di conseguenza si accetta l' idea che non c' è libertà senza legge, giustizia, polizia. quando però si passa al campo degli scambi economici tra gli uomini si chiama libertà il diritto di fare tutto, di ingannare, di vendere al di sotto dei prezzi di costo, di fare concentrazioni. ogni legge, ogni giustizia, ogni polizia che intervenga — fosse solo per controllare la qualità dei prodotti — viene avvertita come dirigismo, come un' anticamera del gulag. pertanto non c' è libertà senza mercato. che fare? » — si chiede Rocard — « dovremmo inventare un diritto internazionale che sia applicabile anche all' economia » . condivido queste parole; ci sentiamo dentro questo solco della ricerca, fra quelle forze che pensano alla società che cambia non come ad un film da guardare, ma come ad una realtà che propone nuove diseguaglianze, nuovi problemi e nuove sfide alla capacità di governo ed anche all' autonomia culturale e politica della sinistra. una visione alta della politica, dei suoi compiti e delle sue prerogative: questo è ciò che si muove. la legge in esame è per noi una importante occasione per ribadire questa visione, a partire da un giudizio negativo sul suo provvedimento, onorevole Mammì, che invece è vecchio e non rappresenta altro se non il tentativo di equilibrare gli interessi in campo, senza svolgere una funzione attiva ed un protagonismo che in questa materia le istituzioni democratiche dovrebbero invece porre in essere.