Giuliano AMATO - Deputato Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 434 - seduta del 20-03-1990
Sulla politica estera
1990 - Governo VI Andreotti - Legislatura n. 10 - Seduta n. 434
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , signor ministro, il 1990, che era già destinato ad essere un anno cruciale per l' Europa dei dodici, si avvia ad essere un anno di importanza ancora maggiore, come lei ha detto stamani, signor ministro, un anno nel quale bisogna discutere come rifondare o fondare una nuova pace in un mondo diverso dopo che è finita una lunga guerra; un anno per più versi costituente nelle relazioni internazionali ed in particolare per l' Europa. il nuovo processo di unificazione della Germania entra in quello dell' unificazione europea ; un processo di integrazione europea si apre a prospettive di grande Europa; per ciò stesso nuove relazioni, sia pure su fondamenta ormai radicate e consolidate da anni di amicizia e di alleanza, sono destinate ad aprirsi tra questa nuova Europa e gli USA. ho apprezzato, signor ministro, il tono con il quale, davanti a prospettive che sono per più versi di straordinario ottimismo e sviluppo per la pace e per le relazioni di collaborazione tra gli uomini e tra i paesi, lei ha tuttavia sottolineato le difficoltà e i rischi che queste stesse prospettive aprono. ogni fase di cambiamento è una fase di grandissime opportunità che però si deve saper cogliere, facendo i passi appropriati al momento giusto; e se non vengono colte con i passi appropriati al momento giusto, i fatti positivi possono in realtà trasformarsi in negativi. siamo davanti, come lei ha detto, signor ministro, ad una grande possibilità di integrazione che presenta tuttavia, dall' altra parte, il rischio di una disintegrazione. e la nostra responsabilità, insieme ai partners europei — come giustamente è stato detto — è quella di rendere concreta la prospettiva dell' integrazione. per questo è giusto che evitiamo di farci soltanto esaltare dalle prospettive che si aprono e continuiamo a tener presenti come problemi essenziali da risolvere (e da risolvere per primi) quelli che già avevamo davanti prima ancora che questa grande stagione si aprisse: i problemi di una integrazione europea nuovamente avviata, soprattutto dopo gli ultimi anni e mesi di presidenza Delors a Bruxelles, e di più stretta collaborazione tra i nostri Stati, quelli dei passaggi che mancano perché questa integrazione avviata si arrivi a compiere. e opinione del gruppo che rappresento, nella disputa apertasi tra coloro che sostengono la necessità di approfondire prima l' integrazione per allargare poi l' Europa e coloro che pensano che l' allargamento possibile dell' Europa possa andare a scapito dell' approfondimento della integrazione tra i dodici, che l' approfondimento della integrazione sia una premessa essenziale perché l' allargamento abbia successo. ciò proprio in base alla chiave che lei utilizzava stamane, signor ministro, cioè che tra integrazione e disintegrazione la prima ha bisogno di una massa critica per poter espandere la propria logica ed evitare che i germi di disintegrazione finiscano per prevalere, in assenza di un solido tessuto integrativo che, in questo momento della storia d' Europa, può venire soltanto dal compimento del processo in atto tra i dodici. questo dovrebbe valere, a mio avviso, soprattutto come motivo di riflessione per la Repubblica Federale Tedesca , la quale negli ultimi due anni, soprattutto sul terreno della integrazione monetaria, è venuta via via assumendo posizioni sempre più moderate, in presenza di una difficoltà quale quella rappresentata dalla Gran Bretagna a procedere speditamente sulla base del rapporto Delors e di ciò che esso prospetta. la Germania ora offre all' Europa una grande opportunità ed un grande problema, quello della sua unificazione: è responsabilità della Germania fare in modo che il tessuto necessario della integrazione europea proceda senza i tentennamenti ed i parziali ripensamenti che su alcuni terreni la stessa Germania ha manifestato nell' ultimo anno. ci attendiamo perciò che dal prossimo Consiglio europeo di Dublino di fine aprile, da quello successivo, che chiuderà il semestre, e poi dalla Presidenza italiana del secondo semestre vengano passi importanti e decisivi per la realizzazione di quei pezzi di unità che ancora attendiamo. in primo luogo, come già dicevo, l' unità monetaria. forse gli storici avranno motivo di chiedersi tra qualche decennio come sia stato possibile che il « pezzo » più unito d' Europa, quello che l' Europa ha saputo produrre nei suoi primi passi , sia un « pezzo » che il trattato non prevedeva: quello monetario. fatto sta che in tale settore si sta procedendo e si è proceduto più che in altri. può diventare e si può manifestare sempre più come un pezzo pregiudiziale perché anche gli altri aspetti dell' integrazione riescano a giungere a compimento. con lo sviluppo e l' importanza che hanno oggi i servizi finanziari, la libertà dei capitali, il movimento delle risorse finanziarie, la compiuta unità monetaria e la compiuta libertà di movimento delle risorse finanziarie in Europa, potranno rappresentare uno stimolo essenziale per la successiva unità di mercato dei beni e dei servizi e rappresenteranno per le politiche fiscali dei governi europei uno stimolo senza pari affinché si realizzi quel coordinamento economico e fiscale che, non dimentichiamolo, i padri dello Sme ritenevano l' altra irrinunciabile gamba del coordinamento da realizzare sul terreno economico e finanziario. l' unità monetaria dovrà portare con sé più unità economica. da sola, lo sappiamo, ha effetti positivi ma anche squilibranti; ha effetti idonei ad accentuare squilibri strutturali che in Europa non mancano (in Europa non manca disoccupazione, non mancano aree deboli). l' unità monetaria non risolve questi problemi, li sottolinea ed esige più coordinamento economico e fiscale. parimenti, l' unità monetaria dovrà portare con sé più unità politico-istituzionale. abbiamo apprezzato l' ipotesi, l' aspettativa, che una conferenza intergovernativa sia appositamente rivolta ad andare avanti sul terreno politico-istituzionale parallelamente al lavoro che l' altra già pianificata conferenza intergovernativa porterà avanti per la realizzazione dell' unità monetaria. non c' è dubbio che la questione del gap democratico delle istituzioni comunitarie è stata sin qui utilizzata da alcuni come un alibi, in realtà, per non procedere sui terreni dell' integrazione possibile sino a quando non fosse arrivata un' integrazione politico-istituzionale. certo è che il problema esiste ed è reale e lo sarà sempre di più via via che le altre integrazioni andranno avanti. chiaramente è una Comunità dei dodici più unita e più forte quella che apre la strada alla grande Europa e quella che può assorbire i colpi ed i contraccolpi di un' unità tedesca, che è ormai nelle cose e che, come tutte le cose che accadono perché i popoli le ritengono giuste e necessarie, è destinata a verificarsi al di là della volontà di chi la vuole o non la vuole. certo, per quanto riguarda la grande Europa, che pone dei problemi ed apre delle opportunità sotto il profilo economico, sotto quello politico e istituzionale, sotto il profilo culturale, al quale dedicherò in seguito qualche parola, le difficoltà maggiori si presentano proprio sul terreno economico. il percorso che porta verso la grande Europa sul terreno economico è irto di difficoltà di cui dobbiamo essere consapevoli. le differenze tra i nostri sistemi e quelli dei paesi che ora si aprono all' integrazione con noi (differenze di regime, di assetto organizzativo di imprese e di economia, differenze nei sistemi dei prezzi, nel significato economico e istituzionale delle monete, differenze di produttività e di disponibilità di beni, nonché di reddito procapite) creano ostacoli significativi e comportano parecchi rischi. non è una questione di aiuto per l' Europa occidentale , è un modo di fare politica economica , politica di mercato, politica della sicurezza, stringere tutti i rapporti che possono essere stretti, di collaborazione, di joint-venture nel senso più lato con i paesi dell' Europa dell' est per integrarli progressivamente a noi. ciò significa mettere in moto tutta una gamma di strumenti che va dagli aiuti di più breve periodo (a tale proposito occorrerà essere attenti per evitare che essi concorrano a squilibrare debiti finanziari e disavanzi commerciali di quei paesi al di là di ciò che possa essere nel medio termine sostenibile) agli interventi più strutturali e da tutto ciò che, del resto, la Comunità ed il governo italiano stanno progettando. di sicuro, non si tratta di una questione di aiuti ma di qualcosa che — in quanto parliamo di paesi che vogliamo legare alla nostra Europa già esistente — va al di là dell' economia. se dal lavoro che si sta facendo nell' ambito della cosiddetta « Helsinki 2 » scaturirà uno spazio giuridico ed istituzionale comune, si sarà fatto ciò che e essenziale per riprodurre un' omogeneità di fondo che, del resto, era già in parte presente nella storia passata e che gli eventi degli ultimi decenni hanno cercato inutilmente di cancellare e di sradicare, almeno per una larga parte dei paesi interessati. ritengo poi giusto considerare l' importanza di ciò che può significare per l' Europa il recupero di un' unità culturale con l' est; è davvero facile, a tale proposito, vedere l' Unione Sovietica entro i confini di questa « grande Europa » . su un terreno diverso da quello del quale tendiamo ad occuparci in un dibattito come quello odierno, è stata più volte espressa la preoccupazione che la cultura europea possa trovarsi schiacciata, attraverso i mass-media, dall' invasione dei prodotti americani e giapponesi. qualche sciagurato, anche in casa nostra, ha pensato — come si è sempre fatto nelle province — che il modo migliore di evitare questo rischio fosse quello di stabilire contingenti e quote di prodotti extracomunitari. una comunità libera come la nostra si difende attraverso competizione e concorrenza, non con le quote; tuttavia la competizione e la concorrenza devono essere realizzate con prodotti che abbiano vitalità, respiro, spessore e radici. e lecito pensare che la « grande Europa » sarà, anche sotto il profilo culturale, molto più forte rispetto a quella dei dodici. si tratta di un qualcosa che siamo in grado in intravedere fin d' ora. ciò che rappresenta per l' Europa la cultura russa e quello che rappresenta per la Russia di una volta e per l' Unione Sovietica di oggi la cultura europea, dimostra che siamo in presenza di un mondo molto integrabile sul piano delle profonde radici culturali. si tratta di qualcosa che, in questa stagione di economia e di finanza, non va dimenticato ma, al contrario, occorre giustamente valorizzare come premessa delle aspettative ottimistiche sul futuro della « grande Europa » . una Comunità più unita e più forte — dicevo — può assorbire i colpi ed i contraccolpi di una unità tedesca che sembra voler procedere — per volontà dei diretti interessati — a passi rapidi. così avverrà; all' interno comunque di una Europa integrata ed essendo chiare alcune premesse che lei ha giustamente sottolineato e che credo trovino d' accordo l' intero Parlamento della Repubblica. mi riferisco all' intangibilità delle frontiere esterne, in primo luogo di quelle polacche, ed alla collaborazione con i partners europei nella definizione comune di tutti gli aspetti dell' unificazione che li riguardino direttamente. lei stamane ha ritenuto di giustificare e spiegare le reazioni che ebbe ad Ottawa, quando fu chiaro che si procedeva con il sistema del 2 più 4. sono tra coloro che apprezzarono la sua reazione di Ottawa, vedendola non come l' espressione del disappunto del solito italiano di una volta tenuto fuori dalla porta, ma come legittima manifestazione del disappunto di uno dei partners europei per un atteggiamento che sembrava affermarsi, tendente ad escludere tali partners da una riunificazione rivolta al futuro e non al passato e dalla comune considerazione di aspetti che nell' Europa integrata di oggi sono di comune interesse. e chiarissimo che siamo in presenza di una vicenda molto delicata, legata al fatto che l' Europa dei dodici ha finito la guerra da quarant' anni , mentre la Germania la sta concludendo oggi. pertanto, in realtà, viviamo contestualmente due tempi diversi: il tempo di un popolo che è chiamato al possibile esercizio del suo diritto all' autodeterminazione quarant' anni dopo la fine della guerra e il tempo di una Comunità Europea che ormai da quarant' anni o almeno da trenta ha iniziato ad integrarsi, vivendo con ciò un tempo successivo a quello del diritto all' autodeterminazione. mettere insieme questi due tempi non è quindi facile. il popolo tedesco va rispettato nel momento in cui, appunto, fa valere il suo primordiale diritto. e tuttavia nel frattempo è iniziato un processo di integrazione; nel frattempo — e mi sarà lecito ricordarlo, a causa di un mestiere che per breve tempo ho svolto — il marco è diventato la moneta leader di un accordo monetario tra i più integrati del mondo intero. pertanto tutto ciò che riguarda il marco rientra nella politica interna degli altri paesi europei . non vi è dubbio che il marco (uno più uno, uno più due o uno più mezzo) sia questione, tra le altre, che non può non riguardare l' Italia, la Francia, la Germania e il Belgio nella stessa misura e allo stesso modo. il terzo elemento che questo processo di integrazione e di unificazione tedesca deve mantener fermo è la collocazione della Germania nella politica di sicurezza. che possano esservi accorgimenti tattici quali quelli prospettati dal ministro degli Esteri della Germania federale Genscher per risolvere transitoriamente i problemi della parte est della Germania fa parte dell' ordine attuale degli svolgimenti politici; che si possa pensare ad una Germania fuori dalla NATO (e ciò vale per chiunque lo pensi o sia indotto a pensarlo) sarebbe, ad avviso del gruppo che rappresento, un errore, anche ai fini delle esigenze di sicurezza della parte orientale dell' Europa e del modo in cui la sicurezza è percepita in quella parte del mondo e dell' Europa. naturalmente affermiamo tutto ciò nello stesso momento in cui sottolineiamo, come lei giustamente ha fatto stamane, signor ministro, la ovvia necessità che l' alleanza che oggi lega l' Europa occidentale agli USA cambi di natura e di qualità, per le considerazioni che lei ha svolto stamane e che è inutile ripetere. non avrebbe alcun senso porsi oggi il problema della eliminazione o della disintegrazione della NATO allo stesso modo in cui è invece prevedibile probabilmente un destino caduco per il Patto di Varsavia (anche questo è stato detto da lei, onorevole ministro, e condivido le motivazioni addotte al riguardo). non avrebbe altresì senso pensare che la NATO nel nuovo mondo che si apre possa rimanere uguale a se stessa . il suo cambiamento e il lavoro che deve essere compiuto per il ripensamento del suo ruolo faciliterà la collocazione in essa della Germania unita. d' altra parte va detto con chiarezza che non è pensabile in futuro che i rapporti di collaborazione tra Europa e USA possano essere allentati solo perché la NATO è destinata a cambiare natura. non è immaginabile una politica di sicurezza al di fuori di un quadro di alleanze. vi sono politiche essenziali al mondo per le quali è altresì essenziale uno stretto raccordo tra l' Europa e gli USA. non dimentichiamo che insieme abbiamo responsabilità, già espletate e in corso di esercizio attraverso il 6-7 e altre istituzioni, per il miglioramento delle politiche internazionali in campo economico . abbiamo la responsabilità (che è e rimane il più grande impegno di politica internazionale dei paesi ricchi) di assicurare sviluppo laddove questo non riesca ad impiantarsi o laddove sia eroso e continuativamente distrutto dal pagamento del costo del servizio del debito. abbiamo la responsabilità di assicurare il mantenimento di contesti di democrazia nei paesi in cui condizioni economiche di autentica miseria la mettono a repentaglio. ne dipendono — cominciano a capirlo tutti gli italiani, fiorentini e non — anche la sicurezza e la stabilità, oltre che ragioni elementari di equità e di solidarietà nei rapporti internazionali, in un impegno per noi particolare nell' area mediterranea. vorrei concludere, signor ministro, ricordando a lei (che non è coinvolto direttamente, ma rappresenta pur sempre il Governo nella sua intierezza) che una politica per l' Europa comporta anche il perdurante adeguamento interno alle esigenze dell' integrazione europea . qualche mese fa siamo entrati nella banda stretta dello Sme: è stato un passo che tutti abbiamo giudicato positivamente perché espressivo di integrazione. ma dobbiamo constatare che per ora tale mutamento non ci ha aiutato ad allentare la morsa del debito pubblico e della quota di fabbisogno imputabile ad interessi. anzi, le attese di nuovi riallineamenti, più o meno fondate, che continuano ad essere nell' aria giocano in senso opposto. i cosiddetti risanamenti interni sono componenti essenziali del nostro lavoro per l' Europa, che non si esaurisce ad Helsinki, a Dublino o nella Roma presidente di turno della Comunità per il secondo semestre. tali risanamenti passano — è banale ma, ahimè, anche inesorabilmente vero riconoscerlo — per le questioni ancora aperte della finanza pubblica , per quelle legate ai nostri servizi ed alle nostre infrastrutture. siamo molto cresciuti; vi è qualcuno che sostiene che l' Italia (che è pur sempre e comunque una delle grandi potenze mondiali) ha sviluppato un grande corpo all' interno del quale è però rimasto uno scheletro piccolo, fragile, che presenta qualche osso un po' storto: è un' immagine molto sgradevole da sentir prospettare su di noi, ma bisogna ammettere che e innegabilmente piuttosto vera.