Gianfranco FINI - Ministro degli Affari Esteri - Vicepresidente del Consiglio dei Ministri Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 327 - seduta del 28-07-1989
Informativa urgente del Governo in ordine alla posizione assunta dall'Italia in relazione all'elezione del membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU in rappresentanza del gruppo latino-americano e caraibico.
1989 - Governo II Prodi - Legislatura n. 15 - Seduta n. 62
  • Comunicazioni del governo

onorevole presidente , onorevole presidente del Consiglio , la ringrazio innanzi tutto, onorevole Andreotti, dell' attenzione con cui sta seguendo diligentemente questo stanco rito che caratterizza ormai il dibattito sulla fiducia al nuovo Governo e mi auguro, quindi, che vorrà seguire con analoga attenzione l' intervento che mi accingo a svolgere. le dico subito che i deputati del Movimento Sociale Italiano non si iscrivono alla schiera, a dire il vero piuttosto folta, di coloro che hanno finto meraviglia o addirittura ostentato indignazione per il contenuto del suo discorso programmatico. anzi, ripensando ad una battuta efficace che le è stata attribuita dai giornali — secondo cui ad essere maliziosi non si fa mai peccato, bensì in molte occasioni si indovina — , ritengo che il Parlamento e la pubblica opinione dovrebbero esserle grati solo per il fatto di averlo pronunciato, un discorso programmatico. sono infatti convinto (ecco la malizia) che se fosse stato possibile, ella, signor presidente del Consiglio , ne avrebbe fatto volentieri a meno. non certo per pigrizia, perché questa forse è l' unica accusa che nessuno le può fare, bensì perché, nella sua concretezza e nel suo pragmatismo, ella sa perfettamente che la causa della crisi non era nel mancato rispetto del programma del suo predecessore, bensì solo ed esclusivamente nella sopraggiunta necessità, dopo il congresso democristiano e quello socialista, di un nuovo equilibrio all' interno del pentapartito. per cui il suo compito non è mai stato quello di scrivere un programma, ma solo quello di definire la nuova mappa del potere. certo, per quanto concreto ed inossidabile ella possa essere, non poteva presentarsi alle Camere, dopo nove settimane di crisi, annunciando che la missione era compiuta, che il Governo era fatto e quindi presentare, come biglietto da visita , la giubilazione dell' onorevole De Mita , la compiuta meticolosa e faticosa spartizione dei sottosegretari, il nuovo assetto del rapporto con il partito socialista e men che meno l' assai più redditizia ma meno appariscente divisione delle poltrone del parastato e delle aziende dell' Iri. non poteva farlo, se non correndo il rischio di suscitare (ammesso che ve ne sia ancora) nella pubblica opinione un sussulto di indignazione, almeno in coloro che il 18 giugno non erano stati teneri nei confronti della Dc e dei suoi eterni alleati. ecco, quindi, perché non ci siamo meravigliati e non ci iscriviamo al partito di coloro che hanno finto indignazione. ecco spiegato il facile perché di quella incredibilmente gelida e ragionieristica formulazione, come qualcuno l' ha definita, del suo programma. perché il programma era solo un atto dovuto, un timbro di cui noi qui oggi siamo chiamati a discutere; un timbro indispensabile per convalidare quanto precedeva, che come tutti i timbri notarili non può generare né grandi interessi né eccessivi entusiasmi; è solo indispensabile che ci sia e lei diligentemente ha apposto il timbro mettendo la parola fine alla quarantanovesima crisi di Governo del dopoguerra. il suo è, quindi, un Governo che nasce unicamente perché è stato capace di risolvere problemi che con il programma non hanno nulla a che fare. del resto persino l' onorevole Goria, che ha finto di essere ingenuo, le ha chiesto in una intervista di conoscere le ragioni per le quali ciò che a De Mita era risultato impossibile per lei è stato addirittura fin troppo facile. il suo, dicevo, è un Governo che non ha nulla a che vedere con il programma; un Governo che, se dovessi trovare ad ogni costo una definizione, definirei « governo di non programma » , coniando una formula certamente non originale ma che forse all' inventore di una formula che fu fortunata, quella della « non sfiducia » , potrebbe anche non dispiacere; un « governo di non-programma » , nel senso che il programma è talmente neutro, prudente, circospetto, calibrato, sfumato da essere non soltanto — o da apparire non soltanto — incredibilmente piatto ma addirittura evanescente. abbiamo, quindi, un programma evanescente del Governo ufficiale cui si contrappone un governo ombra del maggior partito di opposizione: il che mi fa dire sorridendo che l' Italia ufficiale — non c' è che dire — tra governi evanescenti e governi-ombra si sta popolando ogni giorno di più di fantasmi! di concreta, ma vedremo fino a che punto realistica, nel suo Governo vi è certamente soltanto la volontà di durare fino alla fine della legislatura, una volontà che forse per motivi scaramantici non è mai stata espressa ma esiste: durare in ogni modo e forse durare ad ogni costo, anche eludendo i problemi, evitando le scelte nette, accantonando le questioni spinose, rinviando le soluzioni, facendo il minimo indispensabile per tenere in vita la coalizione; in una parola sola, durare fino al 1992, tirando a campare e confidando (il che in lei è naturale) un po' nella divina Provvidenza e un po' nella sua indiscussa capacità di mediare, di avvolgere il problema fino a nasconderlo, di rimanere a galla . orbene, noi non crediamo, signor presidente del Consiglio , che ciò sarà sufficiente per risolvere anche una sola delle tante emergenze che in vari settori angustiano la società civile . lei crede davvero che basterà all' Italia, per entrare in Europa, ma soprattutto per ritrovare fiducia nelle istituzioni, la sua preannunciata volontà di smussare ogni angolo, riunendo tutte le settimane i segretari dei partiti della coalizione, magari all' alba in modo tale che ella possa approfittare della scarsa dimestichezza di alcuni di loro con le prime ore del giorno? noi sinceramente non crediamo che questi piccoli espedienti saranno sufficienti e anche se a presiederlo è lei, onorevole Andreotti, che certo non è uno sprovveduto né un incauto, non esitiamo a dirle che anche questo è un Governo destinato ad avere vita grama. forse, se sarà fortunato, potrà anche cogliere l' obiettivo e quindi giungere al 1992 o magari potrà cadere prematuramente ed ingloriosamente subito dopo le elezioni amministrative del 1990, se queste dovessero distribuire i consensi in modo tale da suscitare appetiti che oggi sembrano sopiti. ma nell' uno come nell' altro caso il suo sesto Governo difficilmente, e penso che almeno in questo sarà d' accordo con noi, segnerà una svolta. certo non verrà ricordato dai posteri. il suo a noi pare soprattutto un Governo pur che sia: « zeppo » — come ha scritto il neodirettore di un quotidiano romano a lei tradizionalmente vicino — « di troppe stelle spente, troppi esordienti in ruoli sproporzionati, troppi confermati di dubbia reputazione » . un Governo come tanti, come quelli che lo hanno preceduto, una sorta di Governo-fotocopia ed un Governo che forse ha un' unica vera aspirazione, anch' essa non dichiarata: essere a sua volta predecessore di tanti altri dicasteri simili al suo. vi è soprattutto un aspetto del suo Governo, o meglio del suo programma, che noi vogliamo denunciare, ed è la negazione di qualsiasi volontà di cambiamento delle istituzioni. il suo ci appare come il sigillo della conservazione dell' esistente con tutti i privilegi ed in molti casi con tutte le porcherie che lo contraddistinguono. è la dimostrazione palmare dell' insensibilità della partitocrazia (una parola che nona caso lei evita accuratamente) nei confronti di tutte — dico tutte — le istanze di pulizia, di serietà, di moralità che vengono dal basso, dalla gente. il suo è un Governo che sa di restaurazione, di ancien régime , un Governo che ci appare impegnato a gestire nel peggiore dei modi il potere (quello clientelistico, affaristico) di troppi suoi amici, non soltanto romani. il suo è un Governo che nasce per tranquillizzare, più che la pubblica opinione , certi potentati, certe lobbies, i privilegiati di sempre. è un Governo che dice di non voler chiedere sconti alle opposizioni ma che poi, a ben vedere, non lo fa non perché ha un orgoglio di bandiera o si sente forte e compatto, ma perché non vuole nemmeno prendere in considerazione l' ipotesi di discutere serenamente con il Parlamento e nel Parlamento le possibilità di riformare il sistema, di avviare meccanismi che incidano per davvero nella quarantennale struttura del potere partitocratico. al suo Governo mi pare che si adatti un motto, onorevole Andreotti: « non parlate all' autista » o meglio « non disturbate il manovratore » . in questa ottica il suo Governo è comunque istruttivo, perché permette di capire che il manovratore, oltre che essere abile, ha, almeno nella prima parte della corsa, un secondo pilota inaspettato, che fa però vedere con più chiarezza che cosa fossero in realtà alcune sortite propagandistiche di cui tanto si è parlato nelle scorse settimane da parte del segretario socialista. voglio dire, onorevoli colleghi , che, se dall' onorevole Andreotti era sostanzialmente ovvio attendersi più la volontà di consolidare il quarantennale potere di cui gode la Democrazia Cristiana che la volontà di cambiare, dall' onorevole Craxi e dall' onorevole Martelli era lecito attendersi maggiore dignità nel sostenere l' esigenza di riformare le istituzioni. dove è finita non soltanto la rappresentanza socialista, ma anche la foga con cui il partito socialista sosteneva la necessità di una riforma in senso presidenziale delle istituzioni, come conditio sine qua non — in alcuni momenti — per riprendere la collaborazione con la Democrazia Cristiana ? non certo in quelle quattro righe e mezzo del discorso con cui l' onorevole Andreotti, in modo sbiadito e neutro, ha accennato agli unici due piccoli, ipotetici obiettivi che egli si pone nel campo delle riforme: la correzione del bicameralismo rigido ed il referendum propositivo . nemmeno Alice nel Paese delle meraviglie potrebbe credere che il partito socialista italiano possa sinceramente dirsi soddisfatto di una simile impostazione. ed allora? allora è lecito dire che la fin qui sbandierata volontà socialista di cambiare le istituzioni era soltanto uno specchietto per le allodole e che la lunga marcia del partito socialista — mi dispiace che non sia presente l' onorevole Martelli — sarà sì anche a zig-zag, come egli ha recentemente detto, ma soprattutto una marcia di avvicinamento: oggi si è avvicinato ed ha raggiunto la Farnesina, la poltrona di vicepresidente del Consiglio , domani la marcia a zig-zag proseguirà verso altri obiettivi. quello che abbiamo dinanzi è quindi un Governo che in tutte le sue componenti — non soltanto in quella democristiana — nega ogni necessità di riformare il sistema politico e si affida al buon senso dell' onorevole Andreotti per tentare di razionalizzarlo, di correggerne le storture più macroscopiche e odiose, senza comunque intaccare minimamente l' impalcatura, senza scalfire il nocciolo. dimostrarlo non è difficile, anche rimanendo al testo delle dichiarazioni programmatiche . voglio portare soltanto alcuni esempi, quello del bicameralismo innanzitutto. il problema della ripetitività è certamente reale, ma la soluzione adombrata a noi pare debole, perché attiene al funzionamento del Parlamento, al modo in cui si svolge il lavoro parlamentare e non va al cuore del problema. la sua, onorevole Andreotti, è una non soluzione ed è la riedizione di un inganno con cui De Mita e Craxi volevano far credere che abolire il voto segreto significasse riformare il sistema. il problema vero riguarda, a nostro modo di vedere , la qualità del legislatore, la sua composizione, la sua natura e quindi la sua rappresentatività. il problema del bicameralismo è il problema della rappresentatività del legislatore. onorevole Andreotti, lei conosce certamente meglio di me l' insegnamento della dottrina sociale della Chiesa e conosce quindi il linguaggio delle categorie produttive, dei corpi sociali intermedi, delle forze vive e non parassitarie del paese reale . è un linguaggio che la partitocrazia da molto tempo non conosce più e che quindi non ascolta. ecco perché ribadiamo che occorre fare di una delle due Camere il luogo di raccolta e di espressione politica degli interessi veri e legittimi della nazione, in tutte le sue varie e composite articolazioni sociali, produttive, economiche, culturali. il problema del terzo millennio — ella ha detto — sarà soprattutto quello della partecipazione, ma della partecipazione del cittadino alle scelte della politica. ostinarsi a ritenere che la partitocrazia (per giunta una partitocrazia vorace ed incompetente come la nostra) sia l' unico veicolo per favorirla, significa condannare l' Italia a posizioni di retroguardia; significa però anche certamente garantire e difendere ad oltranza gli assetti e gli attuali equilibri istituzionali, che sono fonte di privilegi per molti appartenenti alla casta della partitocrazia. che questa sia la volontà del Governo Andreotti-Martelli (lo voglio chiamare così anche per dare ad ognuno il suo) lo dimostra anche il modo farsesco con cui nel programma si parla del referendum propositivo . se ne parla infatti senza parlarne: non vi è scritto se il referendum sia ritenuto valido o meno. per altro, proprio ieri, il senatore Mancino, nel corso della dichiarazione resa al Senato. ha confermato quello che è stato il nostro primo giudizio, che si è, cioè, in presenza del solito chiacchiericcio, destinato a non produrre alcunché di serio. forse l' onorevole Craxi, per salvare la « faccia » residua, ha preteso che un minimo riferimento nel programma a quel referendum vi fosse ed ecco che il riferimento c' è stato. ma, ieri, Mancino con grande chiarezza ha detto che se la Democrazia Cristiana non ha remore ad avviare un confronto, resta però ferma la contrarietà ad introdurre innovazioni che direttamente od indirettamente si muovano in direzione di un cambiamento profondo del sistema parlamentare voluto dai costituenti. nulla di nuovo, ma certamente qualcosa che a noi appare significativo perché testiamo, per l' appunto, che la Carta del 1948 ignori del tutto qualsiasi forma di referendum capace di consentire al cittadino di suggerire, di chiedere, di proporre, di partecipare direttamente, che è, appunto, quel che noi chiediamo. infatti, mentre l' articolo 1 della Costituzione attribuisce la sovranità al popolo, il resto dell' impianto normativo lo nega di fatto e, attraverso l' uso di forme e di limiti, sposta il centro della sovranità dal cittadino al Parlamento e dal Parlamento ai partiti. ecco, allora, perché la proposta di un referendum propositivo a noi non pare possa essere liquidata nelle poche, sbrigative e del tutto neutre parole che ho riferito. non volendo dare al suo Governo una impostazione di tipo strategico, tesa quindi al rinnovamento delle istituzioni (mi pare, infatti, come ho tentato di dimostrare, un presidente del Consiglio più per conservare che per cambiare), l' onorevole Andreotti ha scelto come obiettivo di fondo l' Europa del 1992: ha chiesto implicitamente tre anni di Governo per portare l' Italia in Europa. ben inteso, tre anni di adattamenti procedurali, di adeguamenti legislativi, di piccoli passi cauti e lenti, di accorti maquillages, senza alcun affondo, senza alcun progetto strategico, ancora una volta senza alcuna volontà di cambiare per davvero le cose, specie in materia economico-finanziaria. come se la nostra inflazione non fosse di tre o quattro punti più alta di quella degli altri paesi forti, come se la nostra disoccupazione non fosse la più alta d' Europa (con punte del 24 per cento nel meridione), come se la nostra bilancia commerciale non minacciasse di chiudere con 21 mila miliardi di sbilancio. eppure ella, onorevole Andreotti — stando al suo programma — ha fatto finta di non accorgersene. la nuova triade Carli-Pomicino-Formica, che a me pare una buona linea di difesa in una mediocre squadra di calcio piuttosto che una avanzata punta di attacco, non ha ovviamente elaborato ancora nulla di strategico, ma certo ha già liquidato come improponibile la strada fino ad oggi seguita da Amato e da Colombo. l' onorevole Andreotti ha finto di ignorare, sebbene lo sappia perfettamente, che la libertà di mercato è oggi in Italia un sistema devastante, senza regole, in mano a grandi capitalisti, italiani o stranieri, dove è possibile qualsiasi cosa e dove assai spesso la politica è un tutt' uno con torbidi intrecci finanziari che finiscono non soltanto sulle pagine dei giornali, ma anche nelle aule giudiziarie. lei sa perfettamente che l' Europa, che lei ben conosce, chiede invece all' Italia regole certe, interventi precisi, una legge antitrust , una legge sull' offerta pubblica di acquisto, una legge di riforma della Borsa, nuovi prodotti finanziari per i piccoli e i medi risparmiatori, la riforma delle banche nel rigido rispetto della separatezza fra la banca e l' industria, la riforma delle assicurazioni e del sistema previdenziale . se intenda correggere queste anomalie italiane, che favoriscono i potentati economici, l' onorevole Andreotti non lo ha detto, poiché si è limitato a parlare, certamente con maggior « precisione » , di lotta all' evasione fiscale ; il che è lapalissiano... ci permetta allora di dirle che fino a quando non vedremo varata la riforma dell' amministrazione finanziaria , che giace da più di un decennio nei cassetti nel Parlamento e che sola può garantire una struttura amministrativa di livello europeo capace di far rispettare la legge, a noi, che siamo maliziosi, rimarrà sempre il dubbio che in Italia l' ingiustizia fiscale sia sostanzialmente voluta o perlomeno tollerata, perché sono molte in Italia le categorie che, riuscendo abilmente e facilmente ad eludere la legge, sono, tutto sommato, grate al sistema di potere democristiano che le ha fin qui tutelate e che è da esse ricambiato in termini di voti. mi permetta allora di dirle, a conclusione di questa parte del mio intervento, onorevole Andreotti, che noi non le crediamo quando dice di voler portare l' Italia in Europa. lei ha fatto un Governo che vuole gestire il potere continuando, anche in materia economico-finanziaria, come sempre ha fatto fino ad oggi, a mediare tra i poteri economici pubblici e privati , tra i potentati dell' uno e dell' altro settore. se per questa mediazione continua l' Italia si dissesta, cresce in modo diseguale, a pelle di leopardo; o se l' Europa si allontana, importa poco, perché l' importante è che il sistema di potere si rafforzi. se questa è una mia gratuita cattiveria, sarò lieto di convincermene. ma fino a quando — per fare un solo esempio — si continuerà a concedere ad un potentato economico uno sgravio fiscale paria quanto preventivato come introito dalla ICIAP, ultimo esempio della confusione e della rozzezza con cui vengono varate certe leggi (una legge — lo voglio dire — contro la quale il Movimento Sociale Italiano invita — direi quasi ufficialmente — ad una sorta di disubbidienza civile ); fino a quando avremo le riprove in questione, fino a quando saremo in grado di verificare che quello sgravio fiscale è tre volte superiore alle entrate previste per i tanto famigerati e discussi ticket ospedalieri, fino ad allora quella che per qualcuno può essere una nostra gratuita cattiveria è per noi una ferma convinzione. la nostra convinzione è rafforzata dal fatto che nel suo Governo siede un uomo certamente capace e stimato, il professor Carli, che è il rappresentante più autorevole della politica monetaristica, della rigorosa gestione del credito in senso antinflazionistico. è l' uomo delle multinazionali e della grande industria ; l' uomo che ha appoggiato e favorito la « finanziarizzazione » dell' economia produttiva. recentemente, il dottor Carli ha annunciato che alla sua età ha un grande vantaggio: può infischiarsene dell' impopolarità. di questo gli siamo grati perché, forse inconsciamente, ha detto che molti suoi predecessori non hanno fatto quello che ritenevano giusto ma, tutt' al più , quello che ritenevano utile (magari al fine di accrescere la loro popolarità). al di là di tali osservazioni, invitiamo il dottor Carli, se proprio sa di doversi rendere impopolare, a diventarlo agli occhi di Agnelli, non agli occhi di chi lavora, di chi cerca lavoro e delle categorie più deboli che non sono protette da questo Governo. l' ultima parte del mio intervento, onorevole Andreotti, concerne quanto sta accadendo, in modo clamoroso, a Palermo e forse, senza che i riflettori della pubblica opinione si siano accesi, anche in altre zone d' Italia. mi riferisco, com' è evidente, alla lotta contro la mafia e la criminalità organizzata e, più in generale, alla credibilità delle istituzioni. anche in questa materia (so di fare un' affermazione grave perché, in questo caso, è in gioco la pelle della gente e non soltanto il benessere economico) abbiamo l' impressione che il suo Governo nasconda, dietro il presunto buon senso di fare solo ciò che è possibile, la volontà di fare poco o nulla, non tanto nel combattere la mafia o la criminalità organizzata quanto nel rendere finalmente trasparenti e chiari i meccanismi mediante i quali lo Stato intende vincere la battaglia. cercherò di spiegarmi meglio. nella sua dichiarazione programmatica , lei ha parlato di regole del gioco democratico. orbene, è in grado di dire, non a me ma alla nazione, quali sono le regole che lo Stato democratico sta seguendo a Palermo nella lotta alla mafia? quanto sta accadendo in quella città, nel cosiddetto « palazzo dei veleni » , dimostra che il grado di intossicazione è ormai insopportabile. infatti, nessuno sa più chi sia il buono o il cattivo, chi stia facendo il proprio dovere e chi sia in combutta con i mafiosi, chi sia al di sopra di ogni sospetto e chi no. tutto ciò non deriva dalla troppa pubblicità che ne danno i giornali, che fanno certamente il loro lavoro, ma dal fatto che lo Stato non è più credibile e che tutti gli argini sono ormai caduti. di conseguenza il fango sale e sta ricoprendo tutti, onorevole presidente del Consiglio , nessuno escluso, innocente o colpevole che sia. e finisce per generare l' impressione che la mafia sia vincente perché è dentro le istituzioni, capace di orientarle e di condizionarle. è anche questa un' impressione sbagliata, una ennesima cattiveria? è certo una impressione fondata su troppi misteri italici irrisolti, ultimo, in ordine di tempo, quello di Ustica, su troppi episodi in cui sedicenti servitori dello Stato sono finiti in galera sotto accuse mostruose, su troppi fatti mai chiariti a sufficienza e subito archiviati in nome della ragione di Stato o della convenienza di partito, come nel caso del sequestro Cirillo. lei sa, onorevole Andreotti, che una tesi seria e accreditata per spiegare il vergognoso scannatoio in corso a Palermo tra magistratura, polizia, servizi più o meno segreti, fa riferimento al fallimento di una operazione anticrimine, che avrebbe dovuto essere così clamorosa da autorizzare preventivamente metodi eccezionali e sostanzialmente illegali, se non addirittura metodi criminali. è il fine, in una parola sola, che giustifica i mezzi, come tanti anni fa per la cattura del bandito Giuliano o, per restare più vicini, come un episodio troppo in fretta dimenticato quale l' assassinio in Bolivia, da parte dello Stato italiano, di un ricercato che rispondeva al nome di Pagliai. si tratta cioè di operazioni che, quando riescono, consentono alle istituzioni di presentare soltanto il bilancio positivo, ma che quando falliscono scoppiano tra le mani degli apprendisti stregoni , specie se sono costate vittime innocenti, sacrificate sull' altare di quella ragion di Stato che in Italia è stata invocata negli ultimi venti anni troppe volte, con il risultato di far dilatare a dismisura il sospetto che lo Stato sia il paravento dietro al quale si coprono congiure, ricatti, trame assassine o loschi traffici di armi o di droga. per fugare questo sospetto agghiacciante il suo, onorevole Andreotti, è il Governo meno adatto. e lo dico non perché credo che lei abbia responsabilità personali o, come le ha scritto Scalfari (eternamente vedovo, prima di Berlinguer, poi di De Mita ), che nel suo armadio vi sia un autentico ossario. così come lo dico non perché il suo riconfermato — in questo caso per ragioni di partito e non di Stato — ministro dell'Interno sia ai miei occhi al di sopra di ogni sospetto; tutt' altro. lo dico soltanto perché a Palermo il discredito che circonda le istituzioni è tale da rendere necessario un atto di coraggio, un segnale, come si suol dire, un segnale modesto: azzerare ad esempio tutti i vertici delle varie strutture statuali preposti alla lotta alla mafia, ormai così infangati — a torto o a ragione, poco importa — da non essere più credibili, qualsiasi cosa facciano o dicano. e non affermi, per favore, che così facendo si agevola la mafia, perché essa è già agevolata da questa assoluta incertezza, da questa cultura del sospetto, da questo linciaggio quotidiano, da questa affannosa ricerca del giornale, ogni mattina, per vedere a chi tocchi, chi sia il mostro in prima pagina . si tratterebbe di un gesto semplice, quello di azzerare; un gesto perfettamente rispettoso dell' ordine costituzionale ma soprattutto, onorevole Andreotti, pulito, coraggioso, tale da presupporre una volontà politica e soprattutto la possibilità di attuarla, senza preoccuparsi delle conseguenze che le elenco: le protezioni che saltano, le accondiscendenze che vengono meno, i patti che non si possono più mantenere, i voti che si perdono in alcune zone, gli amici degli amici che si lamentano, i dossier che magari si riaprono. è allora un gesto semplice ma coraggioso, che presuppone un Governo che voglia cambiare le cose, fare pulizia, come quello che in Grecia sta facendo pulizia; non un Governo che voglia, ancora una volta, mettere insieme i cocci e che voglia tirare a campare, volando volutamente basso. ho terminato, signor presidente del Consiglio . nel corso del suo discorso programmatico ella ha detto di non aspettarsi benevolenze o « sconti » dalle opposizioni. da parte mia spero di averle dimostrato che il Movimento Sociale Italiano non solo non ha alcuna benevolenza nei confronti del suo Governo, ma tenterà di farle pagare per intero il costo che esso infliggerà alla nazione, perché è un costo, sotto tutti i profili, troppo alto per poter essere scontato.