Giuliano AMATO - Ministro del tesoro Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 202 - seduta del 09-11-1988
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 1989 e bilancio pluriennale per il triennio 1989-1991
1988 - Governo De Mita - Legislatura n. 10 - Seduta n. 202
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , è un peccato che, a causa — presumo — di una vicenda che non riguarda la legge finanziaria o la sua storia rinnovata da documenti e da nuove leggi di contabilità, quella che si è svolta fino ad oggi sia stata un po' una discussione fra sordi, che sapevano di parlare tra sordi e che per ciò stesso non hanno reso fruttuoso tutto quello che è stato detto. oggi Reichlin ha, in qualche modo, riportato la discussione in carreggiata, anche se con opinioni più o meno condivisibili. non c' è dubbio, però, che dei provvedimenti collegati abbiamo parlato attraverso una schermaglia procedurale in cui sembrava a molti una lingua straniera quella che veniva usata da coloro che si soffermavano sulle tante technicalities della materia. parlandone ieri con qualche giornalista, e quindi compiendo il tipo di sforzo che si compie quando si parla con qualcuno che « intermedia » nei confronti dell' opinione pubblica , ho notato che c' era una difficoltà gigantesca di traduzione. mi sono domandato, allora, che senso avesse il dedicare tanto tempo a cose non traducibili in un italiano comprensibile. sulle questioni di merito, invece, ciascuno presentava il suo emendamento, al quale altri diceva il suo « sì » o il suo « no » . peccato, perché in fondo la questione dei provvedimenti collegati non è esauribile nelle technicalities in cui l' abbiamo un po' affogata ed è espressiva di un cambiamento di cui non si può non prendere atto, e di cui per la verità alcuni colleghi, anche dell' opposizione, hanno preso atto. Bassanini, ad esempio, più volte ha notato, informalmente nelle discussioni che abbiamo avuto, ma anche in sede di conferenza dei capigruppo (in una riunione alla quale io ero presente), che considera tali provvedimenti correttamente collegati — salvo poi, presumo, non essere d' accordo su questo o quel comma di alcuni di essi — ed espressivi di una qualità diversa delle normative che affiancano la legge finanziaria rispetto a quelle che la riempivano fino all' anno scorso , rendendola obesa e scarsamente comprensibile. quindi, qui non siamo in presenza della vecchia finanziaria omnibus spaccata in più parti: quella dei saldi, che è il suo contenuto nuovo, da finanziaria « asciutta » , e le altre parti che compaiono in provvedimenti diversi. no! i contenuti di questi ultimi sono qualitativamente differenti da quell' insieme di commi in cui ciascuno cercava di stanziare una somma per una cosa o per l' altra o cercava, bene o male, di ridurre spese, di modificare meccanismi di spesa, di creare condizioni di entrata. se ne può discutere ma in un ambito delimitato dai contenuti tipici che ho detto. sotto questo profilo non c' è dubbio che un passo avanti è stato fatto, creando nella legge finanziaria certe condizioni e nei provvedimenti collegati connessioni effettive, che si possono riconoscere come tali, con la manovra economico-finanziaria. passo ad un punto, quello dei tagli, che è stato spesso trattato nel dialogo tra sordi che si è svolto. abbiamo fatto un passo in avanti con l' impostazione data in merito al ridimensionamento della competenza. si costringono in tal modo le singole amministrazioni a mettere sul tavolo, e non sotto il tavolo, i residui di stanziamento che, una volta imboscati, diventano una riserva di non trasparente discrezionalità nella gestione dei fondi che il Parlamento ha allocato. e un' operazione — se vogliamo — di pulizia amministrativa, e risponde all' esigenza finanziaria di non sovraccaricare la competenza degli anni futuri e quindi di preservare equilibri, o minori squilibri, di bilancio negli anni futuri con l' abbandono della tecnica usata che, trasferendo sul futuro promesse che non si potevano mantenere per il presente, ha però caricato il futuro di spese che prima o poi avrebbero dovuto essere fronteggiate. sappiamo, quindi, di avere effettuato questi tagli, ma è un gioco troppo facile quello di avanzare la richiesta di 50, 60, 70 o 300 miliardi e dire: io ho a cuore questo settore perché propongo un emendamento da 100 miliardi, tu non l' hai a cuore perché lo respingi. è un gioco che possiamo fare e che — ahimè — abbiamo cominciato a fare, ma è un gioco che « non vale la candela » . questo gioco, tra l' altro, ignora la verità dei dati di fatto nei quali finiscono per incrociarsi perversamente, in una specie di circolo vizioso , due cattive abitudini: quella dell' amministrazione ad essere inefficiente e ritardatrice nella spesa, e quella di molti di noi in queste Aule a considerare gli stanziamenti come qualcosa di simbolico che prescinde da ciò che realmente può e deve essere speso. è un' abitudine che gioca tutto sulla cifra: più alta è la cifra, più esprimo la mia lealtà ad un tema, la mia fedeltà ad un gruppo di interessi, il mio radicamento ad un luogo al quale tale spesa interessa. capisco che l' unità monetaria lira sta diventando un po' bassa, ed è legittimo immaginare e proporre una lira nuova, ma occorre rilevare che l' unità monetaria che circola in queste Aule è diventata di 10 miliardi! sembra che non esista un' esigenza che possa essere soddisfatta con meno di 10 miliardi. ci si diffonde a volte nello spiegare l' inezia e la poca consistenza della cifra che si chiede, perché in fondo si chiedono solo 10 mila milioni... a me viene giustamente richiesta la relazione tecnica ogni volta che propongo di spendere anche meno; il fair play tra tutti noi vorrebbe che, quando si usa questa inflazionata unità monetaria di 10 miliardi per appostazione di fondo globale, si desse conto del perché i miliardi siano 10 anziché uno. sono due cattive abitudini e sono quelle che gonfiano i fondi globali che finiscono poi con il non trovare più nessun riscontro nell' andamento reale. i tagli nascono anche da qui. credo di essere affezionato ai beni culturali ed ambientali, ma esistono dei dati che devo ripetere in Aula. la legge numero 449 del 1987 configurava, al 10 gennaio 1988, residui complessivi per 620 miliardi... io leggerò tutti i dati, Franco, e ti darò conto anche dei residui... le chiedo scusa, signor presidente , se tutto ciò non è abbastanza formale. se l' onorevole Bassanini mi consentirà di leggere l' ammontare dei residui al 9 novembre sarà soddisfatto e non avrà bisogno di scaldarsi e di sottolineare le difficoltà di spesa di un' amministrazione che gli sta a cuore! i residui al 10 gennaio 1988 ammontavano a 620 miliardi, mentre al 9 novembre risultano di 286 miliardi. ne è quindi avanzato circa un terzo. era appena stata approvata la legge numero 449 che già si trovava di fronte a tutta una serie di difficoltà. subito dopo, in occasione dell' approvazione dei documenti contabili per il 1987, si vollero ricaricare alcuni capitoli finanziati dalla legge numero 449, mediante la legge finanziaria , la numero 67. altri capitoli si aggiunsero, per un totale di 645 miliardi, che ad oggi risultano interamente non spesi. non nego affatto che esistano mille difficoltà. ho riconosciuto che uno dei problemi è rappresentato dalla difficoltà per l' amministrazione di spendere. quello che domando a tutti noi è se abbia senso, in presenza di 645 miliardi stanziati che non sono stati ancora spesi, caricare altre somme di competenza su questo settore. stiamo appunto discutendo dialogicamente. sono stato il primo a dire che esiste una difficoltà di spesa per le amministrazioni. si tratta di un problema che resta, quand' anche i progetti all' esame dell' amministrazione stessa fossero centomila, poiché quest' ultima — colposamente, negligentemente, o non per sua colpa ma per vessazioni derivanti da procedure varie, sulle quali poi tornerò — non riesce comunque a smaltirli, quale che ne sia il motivo. rimane comunque la questione del senso che può avere, se non ci poniamo il problema della spendibilità dei 645 miliardi, attribuirne altrettanti a questo settore. ciò crea dei processi apparenti che non hanno un riscontro nella realtà. tali somme saranno spendibili molti anni dopo, in circostanze e per obiettivi che non saranno più quelli per il conseguimento dei quali il Parlamento le aveva stanziate molti anni prima. i termini del problema non cambiano, quali che siano le ragioni delle difficoltà. tuttavia, è un dato di fatto che queste ultime esistono. un fenomeno analogo interessa il ministero dell'Ambiente , il quale si è trovato in mille difficoltà che conosco interamente, compresa quella di esistere e di disporre di una infrastruttura insufficiente a gestire ciò che è necessario. fatto sta che, disponendo di 870 miliardi, previsti dall' articolo 18 della legge numero 67 del 1988, si ritrova ora con 905 miliardi di residui di stanziamento. essi non sono lievitati restando dov' erano o essendo stati messi a frutto, ma sono aumentati per il sommarsi di ulteriori stanziamenti di entità minore. questi sono dati di fatto che ci debbono indurre — poiché il nostro compito, anche come parlamentari, è quello di contribuire a far funzionare le cose — a concentrarci, da Parlamento regolatore, direbbe qualcuno, anziché da Parlamento perennemente erogatore, nell' esame delle difficoltà della spesa e nella loro rimozione, piuttosto di ritenere che la nostra coscienza di legislatori che operano per i beni culturali sia acquietata mediante la messa a disposizione di altri 300 miliardi che sappiamo in realtà non saranno spesi. qualcuno che fosse particolarmente fustigatore nei confronti delle coscienze direbbe che è un modo troppo facile di mettere a posto la propria. ritengo che sia stato giusto fare emergere tale problematica per tutte le ragioni che essa sottende, oltre che utile per i necessari riequilibri finanziari. non possiamo infatti criticare noi stessi e gli altri per il sovraccarico di nuova competenza che sempre esiste, per l' avventatezza di chi la crea e poi si lamenta negli anni successivi per la Cassa che si trova addosso, se poi di questa nuova competenza siamo i principali artefici, anche quando sappiamo che essa non può essere spesa! detto questo e constatato che, a mio avviso, anche sotto tale profilo abbiamo fatto un passo avanti, rimangono i problemi di fondo . Reichlin stamane si poneva giustamente la domanda se si tratti di un passo avanti anche rispetto alle distorsioni essenziali, fondamentali che ravvisiamo nel nostro sistema economico e finanziario — egli non ha trattato gli aspetti, chiamiamoli minori, sui quali ci siamo più « dilettati » noi; forse non negherebbe che si è trattato di un passo avanti rispetto agli elementi che ora consideravo — , se si tratti di un passo avanti rispetto alla « finanziarizzazione » della ricchezza. non facciamo — egli diceva — una politica che accentui questa « finanziarizzazione » funzionale ai grandi gruppi, ai signori della finanza. poniamoci pertanto questo problema — ha rilevato Reichlin — , e lasciamo perdere la storia del disavanzo primario, che, fra l' altro, è ormai in pacifico riassorbimento quasi per conto suo. ho una visione un po' diversa da quella che ho ascoltato stamane e che aveva un qualcosa di giusto, ma anche un qualcosa di semplificante e quindi di demonizzante ovvero un qualcosa di demonizzante e quindi di semplificante: non so esattamente quali dei due aggettivi debba essere posto prima dell' altro. intendiamoci, anch' io sono convinto — lo dissi presentando il documento di programmazione economica e finanziaria e non ho alcun motivo per smentirlo ora — che non basti la politica di bilancio per risolvere i problemi del bilancio; questo è sacrosanto. vi è, al di là della politica di bilancio, una politica che è poi quella dell' uso delle risorse pubbliche, che non sono soltanto quelle finanziarie — sono uno dei fautori dello Stato regolatore rispetto allo Stato erogatore, anche perché come ministro del Tesoro mi conviene! — , per concorrere più efficacemente a uno sviluppo e a un' allocazione più equilibrata di tutte le risorse, che riduca taluni vincoli e permetta di meglio fronteggiare, assorbendolo meglio, il gran bubbone della spesa per interessi. fondamentalmente è quello che veniva detto stamattina. ma domandiamoci perché le risorse pubbliche, finanziarie e non, non siano sufficientemente funzionali a uno sviluppo, così come — diciamolo con il dovuto rispetto — quale ha saputo portare avanti, negli ultimi anni, in Inghilterra, un governo conservatore. in questo paese, attraverso deregulations, molte delle quali personalmente non condivido, si è creata una situazione che fra l' altro ha concorso a far ridurre i tassi d'interesse nel 1986 e nel 1987, cosa che è servita non poco a riassorbire il debito inglese. perché no? basterebbe aggiungere nuova spesa per investimenti che siano realmente tali. appunto, politiche dei redditi. dobbiamo considerare tali risorse e la spesa pubblica per rispondere a questa domanda. innanzitutto noto un problema quantitativo: è vero che in questi anni vi è un décalage progressivo del disavanzo primario, però non siamo ancora ai 20 mila miliardi: siamo intorno ai 35 mila (nel 1987 eravamo a qualcosina di più) ed abbiamo dei flussi di spesa corrente , diversa da quella per interessi, che hanno tuttora ritmi di crescita molto elevati (stamane l' onorevole Macciotta ricordava, per esempio, quello delle pensioni del settore pubblico ). tutto questo continua a tenere acceso qualcosa che è bene invece spegnere, quando flussi di spesa corrente (anche al netto degli interessi) hanno dei ritmi di accrescimento così consistenti, come quelli che ancora abbiamo dinanzi. se verifichiamo la differenza tra il 1987 e il 1988 notiamo che vi sono migliaia di miliardi in più di spese correnti , al netto degli interessi, che sono andate crescendo, risultando tuttavia superiori alle entrate, a loro volta aumentate. se consideriamo la proiezione pluriennale che il Governo ha presentato (il bilancio pluriennale) constatiamo che, proseguendo le tendenze presenti nel 1988, a politiche invariate nel 1991 rischieremo di avere, rispetto al piano di rientro, 20 mila miliardi in più di spese correnti , e non si tratta di spese per interessi, se non in una quota limitata. vi è quindi qualcosa che, anche quantitativamente, ci sta distraendo dagli obiettivi che ci siamo prefissi: parlo delle spese per il personale, per i trasferimenti, delle spese assistenziali e sanitarie, da affrontare in misura superiore a quella indicata come obiettivo. esiste poi un aspetto qualitativo. dobbiamo considerare uno per uno i fattori in gioco, e quello del personale è il primo problema. stamane ho ascoltato con interesse l' onorevole Macciotta, ma non ho compreso bene quale sarebbe stata la sua conclusione se avesse dovuto trarne una, perché il Governo ha stanziato per i contratti del pubblico impiego una somma esattamente corrispondente all' attuazione del criterio previsto dal piano di rientro (inflazione più 1 per cento ). si tratta dunque di qualcosa di diverso da ciò che pure era stato firmato dalle grandi confederazioni con l' ultimo accordo intercompartimentale (secondo il quale i salari pubblici dovevano crescere in base all' inflazione e basta). ebbene, l' onorevole Macciotta ha sostenuto che probabilmente queste nuove risorse saranno ben poco perché verrà chiesto di più; ma se ciò accadesse, sarei curioso di conoscere la risposta del mio amico e collega Macciotta! bisogna invece rimanere fermi ad una politica dei redditi che assegna un punto in più del valore dell' inflazione. mi chiedo se, in presenza di una manifestazione sindacale più che legittima di pubblici impiegati che chiedessero di più, la posizione di Macciotta e del partito che egli rappresenta lo indurrebbe a dire: no, avete torto, perché occorre una politica dei redditi che non permetta di superare il valore dell' inflazione più l' 1 per cento . veramente hanno chiesto di più! questo personale deve lavorare di più o mi sbaglio? mediamente esistono forti sperequazioni nell' impegno lavorativo del personale pubblico, ma è un dato di fatto che buona parte del personale ministeriale gode di un regime del tipo « sei per sei, trentasei » ! occorre una politica dei redditi in cambio di maggior lavoro e di maggiore produttività. occorre che vi sia un forte sostegno ad un indirizzo politico che riesca a realizzare questo obiettivo, che riguardi complessivamente tutta l' area pubblica e non soltanto quella statale. considero uno smacco per il settore pubblico il fatto che, non appena una grande fabbrica automobilistica cambiò di mano, non mutò molto: tuttavia il numero delle automobili prodotte diventò enormemente superiore. non mi pare siano successe cose assolutamente inaccettabili, eppure il numero delle automobili è diventato enormemente superiore. ciò significa che vi è qualcosa nel datore di lavoro pubblico o semipubblico che è contrario alla produttività del lavoro. troppo facile! la parola è un po' troppo grossa: di sicuro non c' è sfruttamento nel settore pubblico . la questione si pone in altri termini... le linee di interesse nazionale servono allo sviluppo? serve che l' armamento di una nave pubblica, che attraversa il Tirreno, sia il doppio o il triplo di una nave privata? serve allo sviluppo — ed insisto sul settore dei trasporti — che decine di linee automobilistiche in concessione viaggino al solo scopo di fruire del contributo a chilometro dello Stato? gli esempi si possono moltiplicare. serve allo sviluppo che ogni ente lirico abbia mediamente oltre 500 persone alle sue dipendenze? e passiamo alla spesa in conto capitale : serve allo sviluppo la spesa che destiniamo a zone più o meno terremotate? serve allo sviluppo un ente ferroviario che provvede largamente, con la sua spesa, non tanto a modernizzare se stesso e le proprie linee, quanto a distribuire decine di appalti di opere che lentamente, faticosamente e a costi crescenti mantengono una politica che, con un po' di buona volontà , si potrebbe ritenere keynesiana di un certo tipo, ma che a tutt' oggi rappresenta più un costo che non un ammodernamento delle linee? possiamo affrontare, a tale riguardo, la questione di come spendere i soldi che le Ferrovie dello Stato hanno a disposizione, allo scopo di ammodernare le linee e non di distribuire lavori che non sempre concorrono all' ammodernamento delle linee. queste sono domande concrete che portano ad una risposta generale, che l' onorevole Reichlin conosce e che nasce in un dibattito comunista di quindici anni fa, che io ho ripreso quest' anno (ma ogni volta che l' ho ripresa mi è stato quasi impossibile portarla avanti, perché variamente censurato). e un dibattito che si può ricondurre alla fonte, cioè ad un' interessante rivista che allora usciva (e che ancora esce): si chiama Rinascita ed il fenomeno è quello del « parassitismo di massa » . la vera risposta generale a quello che sta accadendo risiede appunto in ciò che Rinascita definiva, in un interessante dibattito del 1973, « parassitismo di massa » . si trattava di una realtà nuova, derivante proprio dalla dimensione e dall' articolazione della spesa dello Stato che, attraverso i propri mille canali, creava un insieme di situazioni differenziate, di privilegi maggiori o minori contro svantaggi maggiori o minori; creava rincorse, creava difese corporative, creava difese di spazio assistenziale. fu il libro di Sylos Labini sulle classi sociali che stimolò quel dibattito, e fu altresì la consapevolezza dell' esistenza di questo grande problema che rendeva impossibile, Reichlin, continuava in una visione dicotomica, secondo la quale tutto va a beneficio dei grandi. no, purtroppo tra le ingiustizie che i progressisti, se volevano essere tali, avevano il compito di eliminare, molte rientravano nell' area sociale da essi rappresentata. non bastava più, insomma, il disegno di Grosz (che tu hai ripreso stamane, raffigurando Berlusconi e Gardini) per dipingere una problematica che, come disse Rinascita, era quella del parassitismo di massa. se vi era un grande pregio, a mio avviso, nella linea che poi ne ricavò Enrico Berlinguer (che aveva capito a fondo il problema, tanto da giungere a conclusioni politiche da molti ritenute sbagliate), questo consistette nel sentire il bisogno di reagire con un' etica diffusa, ravvisando il ruolo di un grande partito radicato nelle masse popolari in quello di chi recupera un' etica diffusa, ricreando le condizioni per le quali non tutti vengono poi coinvolti e travolti dalla corsa alla difesa del privilegio, grande o piccolo, che si nasconde nelle mille nicchie prodotte dallo Stato assistenziale . a fronte di tutto questo, sul versante della società, vi è l' altro fenomeno (che rappresenta il contrario di ciò di cui poc' anzi ho parlato) della perdita di direzione dei movimenti collettivi, che si è largamente verificata nei partiti politici (quella che molti di noi una volta chiamavano egemonia). si assiste ad una perdita di egemonia: oggi buona parte dell' azione politica e partitica consiste nell' amplificare domande che vengono accolte senza osare cambiare una virgola, purché provengano da soggetti sufficientemente numerosi da rappresentare un serbatoio appetibile di voti...... oppure a volte consiste addirittura nel creare domande che non sono state neppure formulate, pur di ottenere consensi. vi è, allora, a questo punto, una perdita di direzione politica: chiunque faccia richiesta dovrà ottenere; qualunque manifestazione sufficientemente numerosa è una protesta legittima da soddisfare per il semplice motivo che vi è una partecipazione abbastanza consistente. i due fenomeni (quello che Rinascita chiamava parassitismo di massa e questa perdita di direzione politica) si integrano perfettamente, in realtà, nel fatto di rendere la spesa pubblica un ostacolo allo sviluppo, anziché uno strumento di esso. sulla spesa pubblica , infatti, si addosseranno linee di interesse nazionale che contrastano con l' interesse nazionale stesso, in quanto si rischia che nessuno osi toccare quei piccoli interessi che si vogliono difendere. si rischia inoltre di scambiare per difesa della cultura la tutela di interessi che con la cultura non hanno niente a che vedere, e che sopravvivono grazie ai soldi dello Stato o del contribuente (io preferisco definirli del contribuente). si rischia, ancora, di vivere vicende come quella allucinante sul contratto della scuola, nella quale tutti si sono lamentati che i soldi erano troppi e le riforme poche, ma nessuno voleva quantità di denaro inferiori a quelle grazie alle quali la vicenda si è poi conclusa. qui ci vuole buona memoria. al riguardo ricordo i titoli di tutti i giornali e le voci autorevoli che si levavano da tutte le parti. ma parliamoci chiaro: venivano perché eravamo alla vigilia di un' elezione amministrativa . e siccome gli insegnanti sono circa un milione, vi era appunto la caccia a quel serbatoio da un milione di voti. quello era il motivo principale che muoveva le voci! il punto chiave è che in quel momento interessava non perdere quei voti! appena passato il 31 maggio e fatte le elezioni, ci si accorse che i soldi erano troppi e le riforme erano poche; ed è capitato a molti, forse a troppi, di accorgersi di questo. c' è Gardini, c' è Berlusconi, ma c' è anche tutto questo! e di tutto questo non ci possiamo dimenticare; di tutto questo dobbiamo anche parlare. e se vogliamo affrontare il tema vero, essenziale, cruciale di una utilizzazione della spesa pubblica per lo sviluppo, dobbiamo passare attraverso queste strade faticosissime e dolorosissime per tutti. ci accorgeremo allora che anche quei piccoli provvedimenti collegati forniscono un primo test, in alcuni punti, del modo inevitabile in cui dobbiamo affrontare il problema della spesa pubblica per riconnetterla allo sviluppo. e ci accorgeremo che la corsa a stanziare 200 miliardi in più là, 50 miliardi in più qua o, anche limitandosi all' uso dell' unità monetaria parlamentare (10 miliardi piccoli piccoli in un altro punto), in realtà è un gioco che non concorre allo sviluppo. probabilmente esso rientra piuttosto in quel meccanismo di cui parlavo prima: permette a ciascuno di dare davvero una soddisfazione puramente simbolica agli interessi che intende rappresentare. il cammino per un risanamento è quindi lungo: passa di qua, e anche i tassi d'interesse passano di qua. io non ho nulla da aggiungere e sono d' accordo con Reichlin. al riguardo mi fa piacere di poter ormai evitare tirate demagogiche, che ho fatto in passato contro chi pretende che i tassi d'interesse diminuiscano per decreto: nessuno infatti pretende che diminuiscano per decreto ed io sono lieto di smettere di fare il demagogo contro chi lo chiede. i tassi d'interesse passano attraverso un uso produttivo della spesa pubblica . allora sì che, a cominciare da questa legge finanziaria e dai suoi provvedimenti collegati, passeremo ad un uso produttivo della spesa pubblica che non significa, appunto, allocare in più, ma allocare meglio, diversamente, pagando i prezzi che devono essere pagati, e che significa — torno a dirlo — : più Stato regolatore, meno Stato erogatore. allora il percorso in discesa dei tassi lo avremo trovato e, come ben sa Reichlin, questa crescita, se tutto funziona, si dovrebbe fermare non prima (ma nemmeno dopo) del 1992. e raggiunta la stabilizzazione del debito, un paese forte e robusto come l' Italia sarà in grado anche di farlo diminuire.