Giuliano AMATO - Ministro del tesoro Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 162 - seduta del 20-07-1988
Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 1988-1992 e della relazione della V Commissione permanente
1988 - Governo De Mita - Legislatura n. 10 - Seduta n. 162
  • Comunicazioni del governo

la mia replica sarà breve, così come lo è stata quella del relatore per la maggioranza. colgo anzi l' occasione per ringraziare l' onorevole Cristofori sia per la relazione fatta in Commissione sia per quella fatta oggi in Assemblea, che ho molto apprezzato. vorrei anche ringraziare l' onorevole Castagnola e gli altri relatori di minoranza, le cui posizioni, comunque, testimoniano che quest' anno abbiamo fatto un passo avanti rispetto all' anno scorso . in presenza , infatti, del documento di programmazione economico-finanziaria è stato possibile prospettare e discutere opinioni, indirizzi e valutazioni relativi all' anno in corso e agli anni successivi, attraverso un dibattito che invece l' anno scorso non potemmo tenere. e ciò diede luogo a giuste lamentele. io continuo a ritenere che l' anno scorso lo svolgimento di un simile dibattito sarebbe stato impossibile, visto il punto cui eravamo arrivati. e se non lo si poté fare fu perché, come osservò il presidente Andreatta in seno alla Commissione bilancio del Senato, molte cose possono fare il Governo ed il Parlamento, ma non trasformare settembre in giugno! ed eravamo ormai giunti a settembre per ragioni che andavano al di là della vicenda che vivevamo in quel momento. l' anno scorso , dunque, la discussione del disegno di legge finanziaria non poté essere preceduta dalla discussione di un documento di impostazione. quest' anno, invece, abbiamo potuto svolgere questo dibattito e non c' è dubbio che, se non altro, di sicuro aveva ragione chi allora, nel denunciare l' assenza e l' utilità del documento di programmazione, lamentò che questa discussione non si poté fare. naturalmente, i punti di vista sono diversi quando si discute di questi problemi; ma dall' andamento concreto della discussione mi è parso che non siano poi così diversi come si potrebbe pensare, al di là di prese di posizione che (se mi consentite di parlare con franchezza) sono in qualche modo dovute ai ruoli diversi svolti da chi ha responsabilità di Governo e di maggioranza e da chi invece ha responsabilità di opposizione. ci sono differenze, in qualche modo inevitabili, che discendono da questi ruoli; tuttavia al di là delle stesse mi pare che a chi ha partecipato alla discussione in quest' Aula possano risultare presenti molti elementi. ciò mi sembra incoraggiante in vista dell' obiettivo del 1992, che difficilmente potremmo realizzare se non vi fosse una convinta consapevolezza da parte di tutti della necessità di realizzarlo. è tornata in Aula la questione, già emersa in Commissione, del rapporto tra la politica finanziaria ed il quadro macroeconomico e dei limiti entro i quali la politica finanziaria dello Stato può influenzare il quadro macroeconomico, questione che mi pare che sia emersa in Aula in modo meno conflittuale di come mi era sembrato che fosse avvenuto in Commissione. che la politica finanziaria del Governo e del Parlamento possa incidere molto sui livelli di sviluppo dei prossimi anni non mi sembra che a questo punto lo sostenga qualcuno; ritengo pertanto che non valga neppure la pena di dimostrare perché non sia così. i livelli di sviluppo dei prossimi anni sono legati ad una serie di interazioni esistenti tra la nostra e le altre economie e, se sono influenzabili, lo sono a livelli che sicuramente stanno al di sopra di quello del Governo nazionale. e di tutta evidenza che la malattia americana potrà essere curata (e di sicuro lo sarà) nei prossimi anni, ma nei limiti in cui verrà curata con efficacia potrà provocare conseguenze negative sullo sviluppo dei paesi europei , a meno che all' interno dell' Europa non venga meno l' asimmetria che da anni caratterizza i rapporti tra i paesi europei e le rispettive economie. e un dato di fatto che la riduzione progressiva del disavanzo commerciale americano riduca la domanda mondiale. certo, si potrebbe dire che non è nel riequilibrio tra USA ed Europa e tra Europa e USA che si risolve il problema della domanda mondiale. io ne sono convinto, mentre non sono mai stato convinto che sia realmente vero che alla discesa del disavanzo commerciale americano debba corrispondere una pari discesa dell' avanzo giapponese e tedesco. certo, è importante che questi due paesi riducano il loro avanzo, ma non si tratta di un gioco tra le due parti del mondo, in cui si fa finta che non ne esista un' altra nella quale è davvero decisivo che la domanda venga sviluppata (e che lo sviluppo venga sviluppato) per generare sia offerta sia domanda. vi è quindi una qualche chiusura protezionistica da mondo industrializzato tutte le volte che il problema americano viene connesso esclusivamente a quello giapponese e a quello tedesco. tuttavia è abbastanza evidente che l' organizzazione dello sviluppo dei paesi in via di sviluppo non costituisce di per sé una risposta di tale rapidità da far pensare che per suo tramite saremmo in grado di evitare gli effetti recessivi sulla domanda mondiale conseguenti alla riduzione del disavanzo americano. pertanto, nei limiti in cui ci attendiamo — perché è giusto farlo — che si riduca il disavanzo americano, che è comunque in grave fattore di squilibrio nel mondo, possiamo aspettarci che le relative conseguenze sull' Europa non siano di per sé positive, pur con tutta la spinta che è giusto dare alla Repubblica federale di Germania affinché il suo avanzo venga messo a disposizione dello sviluppo europeo. la politica nazionale può incidere proquota su questi dati, ma non può far molto, e le previsioni di Pil dei prossimi anni, che si aggirano sul 2,5 ed il 3 per cento , si legano a tali variazioni sulle quali, appunto, noi non possiamo incidere molto. possiamo incidere (l' ho detto ieri in Commissione, e su questo punto riconosco che l' onorevole Castagnola ha perfettamente ragione, ma d' altronde la stessa considerazione l' aveva formulata anche il relatore) sul Mezzogiorno; questo sì: criticato e dobbiamo incidere sul Mezzogiorno! e assolutamente vero che se noi andassimo, come dobbiamo andare, al di là delle qualificazioni formali della spesa in chiave di legislazione e di contabilità (per cui tutto ciò che sta in conto capitale viene chiamato investimento), dovremmo e dovremo essere molto selettivi nella politica degli investimenti, per far sì che in questi anni di crescita, per altro insufficiente nel suo insieme, per le regioni deboli d' Europa (ed una di queste l' abbiamo in casa), i nostri investimenti pubblici abbiano la quantità e la qualità necessarie a sostenere il Mezzogiorno, più di quanto non sia accaduto negli ultimi anni. è indiscutibile che finora ha tenuto assai più l' economia dei terremoti che non l' economia messa in moto da un intervento straordinario , rimasto preda di modellistiche organizzative che si sono, in questi anni, affannosamente sovrapposte l' una all' altra, con il risultato — come accade in queste circostanze — che abbiamo disfatto e fatto più leggi che interventi. aggiungo che ci troviamo al punto di partenza rispetto ad un intervento straordinario che ora, fortunatamente, è in condizioni di essere avviato, anche se deve ancora partire. si è detto: « catastrofismo ed euforia si alternano » . no, non è così! non si tratta di una questione né di pressione bassa o alta né di umidità né di umore del prossimo ma si tratta, in realtà, di due questioni diverse. non c' è dubbio che se noi non avessimo fermato il processo inflattivo saremmo andati incontro ad una catastrofe. il fatto che tale processo sia stato fermato ha consentito all' economia italiana di svilupparsi con maggiore efficacia e al sistema delle imprese di rimettere in sesto non solo i conti ma anche le proprie interne strutture produttive. del resto, i conti a volte vengono sistemati meglio dall' inflazione... io ho l' abitudine di non giurare mai; debbo quindi escludere di aver fatto quel giuramento. sto rispondendo su un preciso argomento, se poi l' onorevole Castagnola ne inserisce un altro, allora il gioco cambia! ebbene, nel puntualizzare sulla considerazione che è stata fatta circa il catastrofismo e l' euforia, debbo dire che il catastrofismo era ben indirizzato quando si ipotizzava una catastrofe da inflazione non frenata; che è stato positivo l' apprezzamento del fatto che l' inflazione sia stata fermata con benefici per l' economia italiana ; che è pacifico che l' inflazione sia stata fermata da un concorso di fattori interni ed internazionali (e, quindi, non soltanto dalla politica del Governo, che tuttavia ha contribuito a questo risultato); che, a questo punto, ci troviamo in presenza di un rischio incombente derivante dal disavanzo pubblico, che può essere fonte di una seconda ipotetica catastrofe ove non venisse fermato. è vero che la nostra economia è tuttora un' economia forte e quindi, se vogliamo, è motivo di valutazioni positive. la nostra, infatti, nonostante gli squilibri che conosciamo, è un' economia forte. nessuno di noi, con tutti i guai che abbiamo in casa, può tuttavia dimenticare che il nostro è uno dei primi sette paesi del mondo e non può trattare se stesso come, giustamente, il Bangladesh tratta se stesso . la nostra, lo ripeto, è un' economia forte. sulla scala relativa delle economie mondiali il fatto che l' Italia stia tra le prime sette la colloca sicuramente tra le economie forti e non tra le deboli. questa economia sarebbe molto meno forte se fosse stata corrosa, anni fa, dall' inflazione. questa economia forte è in condizioni ed ha le risorse, proprio perché è forte, per riassorbire il problema della finanza pubblica , ma se non se ne farà carico andrà incontro ad una catastrofe. infatti, anche un' economia forte può andare incontro ad una catastrofe che, pur non essendo dietro la porta o dietro l' angolo, può essere messa in conto da qui ad alcuni anni. questi anni vanno dunque impiegati utilmente — hanno ragione gli onorevoli Gunnella e Cristofori a sollecitare il Governo ad intervenire subito — perché non basta aver presentato un documento chiamato « piano di rientro » , in cui vi sono dei numeri riferiti al periodo che va da oggi al 1992; affinché tali numeri si realizzino nel quadro programmatico e non in quello tendenziale, i passi devono essere compiuti rapidamente ed uno dopo l' altro. se non venissero compiuti, la catastrofe potrebbe arrivare, nonostante che questa sia una economia forte. abbiamo tutti i mezzi per evitarla, anche se non è facile — anzi è difficile perché ci sono vecchi squilibri e nuovi squilibri, vecchie difficoltà e nuove difficoltà — fare i passi che qui si indicano come necessari. personalmente do ragione all' onorevole Castagnola quando afferma che storicamente quello della finanza pubblica è un problema di entrata e non di spesa. lo affermo non perché lo abbia scritto dieci anni fa e pensi che non ci si può smentire senza fare una brutta figura, ma perché ne sono tuttora convinto. basta considerare l' evoluzione della finanza pubblica comparata, italiana e di altri paesi, negli anni 60, per vedere nitidamente come, mentre sul versante delle spese quelli sono gli anni in cui lo stato sociale cresce di più in tutta l' Europa (noi abbiamo ritmi di crescita che, nell' insieme, sono identici a quelli degli altri paesi), la linea delle entrate nel nostro paese resta piatta, viceversa negli altri segue la linea delle spese. in altri termini, negli anni 60 abbiamo fatto una politica che ha illuso il paese che si potesse costruire, senza costi, uno stato sociale . il « noi » si riferisce a tanti, voglio cioè intendere proprio noi tutti: noi italiani abbiamo illuso noi stessi che si potesse costruire uno stato sociale senza costi per alcuno; senza costi per il contribuente, senza costi per l' utente, neppure quello delle tariffe. abbiamo infatti bloccato per oltre 15 anni le tariffe pubbliche dei trasporti, delle poste e dell' energia elettrica . quando poi, a metà degli anni 70, abbiamo aperto gli occhi, ci siamo trovati in presenza di conti squilibrati in misura tale da non essere in realtà immediatamente riequilibrabili. questo è parte del problema che oggi ci troviamo davanti, perché successivamente noi abbiamo dovuto cominciare ad avviare una operazione di riequilibrio che troppo a lungo la « la bella addormentata » aveva evitato quando era iniziato il processo inflattivo (che, invece, negli anni 60 non c' era) e, quindi, quando l' effetto di adeguamento dei costi era moltiplicato dall' inflazione al di là di ciò che era utile e necessario. di questo ancora oggi paghiamo il prezzo. una volta affermato questo, che è inconfutabile nella nostra storia più lontana e più recente, non possiamo negare che il problema sia venuto manifestandosi anche sul versante della spesa, allo stesso modo in cui è avvenuto anche in altri paesi, quindi non solo da noi. non è infatti una caratteristica italiana che certi settori di spesa abbiano la tendenza a galoppare. e una caratteristica italiana lo squilibrio storico che rende il male più difficilmente curabile e che sta rendendo a noi più difficile arrivare ad un riequilibrio di quanto non sia avvenuto in altri paesi (penso all' Olanda e alla Danimarca), che hanno avuto meno progresso da sistemare quanto il fenomeno si è manifestato. il fenomeno, però (lo ripeto), esiste anche sul versante della spesa. questo è un dato indiscutibile. la collega Becchi si chiedeva: quale deficit-spending? non basta affermare che l' « economia dei terremoti » rappresenta un deficit-spending diverso da quello immaginato da Keynes. non è solo questo il problema. il fatto è che quel deficit-spending era tutto sul versante degli investimenti, sia perché era immaginato come promotore di sviluppo diretto, sia perché aveva quella presumibile elasticità — si può spingere e poi si può ritirare — che tipicamente ha la spesa per investimento. abbiamo attuato una politica di deficit-spending, operando trasferimenti a carico dello stato sociale . e questa è spesa corrente e non di investimento, è spesa irreversibile e rigida, non modificabile in base ad andamenti ciclici che, a questo punto, non ha più nulla a che fare con il deficit-spending delle teorie keynesiane. non è possibile, alla lunga, finanziare in deficit spese ricorrenti, quali che esse siano, perché alla fine il debito può soltanto crescere. bisogna che vi sia una correlazione fra entrate ed uscite, altrimenti crolla il sistema sanitario , crolla il sistema previdenziale , crolla il sistema dei servizi. su questi versanti abbiamo avuto una spesa realizzata in disavanzo che è venuta crescendo a ritmi non sostenibili, di gran lunga superiori annualmente alla evoluzione del Pil. oggi, probabilmente, la spesa italiana in materia sanitaria, sia privata sia pubblica, sta arrivando al livello del Pil. se sono veri i dati riferiti da uno studioso alla Commissione affari sociali della Camera, sarebbero 35 mila i miliardi spesi sul versante privato della sanità. se non ho interpretato male i dati forniti, se non erro, dal professor Piperno, questi mettono insieme la cosiddetta spesa « privata privata » (cioè assicurazioni, medicine privatamente acquistate, cliniche privatamente utilizzate) con la parte privata convenzionata con il sistema pubblico. questa seconda parte io non sarei propenso a considerarla spesa che si aggiunge a quella sostenuta dallo Stato, perché viene pagata, eccome! direi profumatamente! pertanto, al netto di questa seconda parte, sono circa 20 mila i miliardi della spesa « privata privata » . comunque, se il sistema sanitario italiano pubblico arrivasse ad assorbire una spesa di 60 mila miliardi, così come c' è la minaccia che avvenga, sommando a tale cifra i 20 mila miliardi di spesa privata, saremmo già quasi a livello del Pil, sopra l' 8 per cento . si tratta di una spesa molto consistente all' interno della quale dobbiamo trovare dei meccanismi regolatori. è evidente che esiste un problema di miglioramento della qualità del servizio . ma chi non si pone questo problema? purtroppo non è sempre adeguatamente risolto, però non possiamo, ogni volta che si parla della necessità di spendere meglio, eludere la domanda se possiamo continuare a spendere a ritmi tanto elevati rispetto all' evoluzione del Pil, e se il problema dello spendere meglio non si affianchi a quello di spendere con maggiore, certa e preventivamente accertabile regolarità. non credo che abbia senso un sistema sanitario nel quale si preveda di spendere 9 mila 200 miliardi per la farmaceutica, e poi si arrivi a spenderne 11 mila 800 nell' « anno di grazia » 1988! qualcosa che non funziona ci deve essere, e quindi dei rimedi vanno trovati. le cause di tutto ciò risiedono forse nel fatto che stiamo difendendo l' industria farmaceutica al di là di quanto è utile fare? nel fatto che il costo delle medicine è nell' insieme troppo basso? non voglio ora rispondere a queste domande, ma non c' è dubbio che non ha molto senso — e qui si evidenzia un moltiplicatore di spesa al quale dobbiamo porre rimedio — che la spesa farmaceutica riesca in un anno ad avere, rispetto alle previsioni, un esubero di tali dimensioni. non giova a nessuno. non giova neppure alla salute dei cittadini, perché non penso che 11 mila 800 miliardi spesi in medicine concorrano effettivamente a tutelare la salute dei cittadini. è possibile che vi sia anche qualcosa del genere, ma non intendevo dire questo. quindi, il problema si pone anche sul lato della spesa. su questo punto direi che, tra il Governo e l' opposizione, che continuamente segnala l' esigenza di badare alla qualità, di non distruggere lo stato sociale , eccetera, un discorso più approfondito potrà farsi via via che affronteremo i singoli temi di riforma, uscendo, gli uni e gli altri, da queste affermazioni generiche. benissimo, non si riforma un servizio allo scopo di risparmiare, ma lo si riforma allo scopo di renderlo migliore. accetto questa proposizione, ma, detto questo, il problema del quanto si spende è lecito o meno porselo? il problema che in alcuni settori stiamo spendendo troppo lo consideriamo reale o no? ammettiamo anche che il ministero della Difesa spenda troppo, ma non dimentichiamo che la differenza sta tra i 22 e i 24 mila miliardi. si tratta, quindi, di 2 mila miliardi, a fronte dei 3 mila miliardi spesi inaspettatamente in più dal sistema sanitario per il solo acquisto di farmaci! pertanto, se facciamo il « pelo » e il « contropelo » al ministero della Difesa , accogliendo la proposta avanzata, potremo recuperare circa 1.500 miliardi. non dimentichiamo che i 1.500 miliardi stanno a fronte di un sistema previdenziale che ancora oggi ha un disavanzo annuo che supera i 35 mila miliardi. quindi, non è portando via quei mille miliardi al ministero della Difesa (anche se riteniamo corretto farlo) che risolviamo un problema di queste dimensioni. è essenziale fare chiarezza su questo punto, altrimenti il Governo e la maggioranza sono legittimati a dire che non ci sono proposte alternative, perché quelle di cui stiamo parlando non sono proposte alternative, se non altro per la loro limitatezza. sul versante delle politiche di bilancio, ringrazio il relatore per la maggioranza, onorevole Cristofori, che nella sua esposizione ha preannunciato l' adesione della maggioranza alle regole enunciate nel documento e, in via di massima, alle modalità per realizzarle; mi riferisco ad una manovra realizzata sul fronte delle entrate e delle spese e ad un insieme di politiche settoriali che giustifichino quanto si pensa di ottenere sul versante delle entrate e delle spese. vorrei tranquillizzare l' onorevole Ciampaglia (che però non vedo in Aula) dicendo che la manovra fiscale non si esaurisce nell' aumento delle imposte indirette (tra l' altro, su questo punto il documento è molto chiaro). come alcuni colleghi hanno osservato, il passaggio dall' imposizione diretta a quella indiretta, nei limiti in cui esso è consentito anche da esigenze di gradualità tra la stabilità dei prezzi ed il sistema, risponde ad una logica legata al reddito e alla sua destinazione finale. la manovra non si può esaurire solo in questo; del resto il piano è molto esplicito al riguardo, anche se tratta d' altro, insistendo molto sull' evasione, nella convinzione che questa rappresenti una fonte non ancora utilizzata adeguatamente; ma insiste anche (forse non a sufficienza) sulla riscossione dell' accertato. questo, però, è il versante relativo alla riforma dell' amministrazione finanziaria : non dobbiamo infatti dimenticare che esiste il problema della sua organizzazione e del suo funzionamento. ho appreso domenica scorsa, con un certo raccapriccio, che le buste inviate cinque anni fa dai contribuenti ai centri di servizio e contenenti le domande di condono avanzate dai contribuenti medesimi e l' indicazione delle somme che gli stessi contribuenti erano disposti a versare al fisco nel 1982, soltanto ora stanno per essere aperte. sono rimaste chiuse nei cassetti per ben cinque anni! forse molti di voi lo sapevano già, io l' ho saputo soltanto domenica; e devo dire che si può essere rotti a tutto, ma questa è una cosa che mi ha colpito e che dimostra quanto l' attenzione alla legislazione tributaria, al suo adeguamento ed alle sue modifiche, non possa essere ritenuta sostitutiva di una attenzione al funzionamento dell' amministrazione, la quale avrebbe potenzialmente in mano più miliardi di quanti a volte ci troviamo a chiedere ai cittadini con nuove leggi, non attirandoci di sicuro la loro simpatia. quindi, oltre ad un problema di evasione, c' è anche un problema di riscossione di quel (non so se poco o tanto) che i cittadini si sono già dichiarati disposti a pagare. ho già detto in Commissione che ritengo corretto il rapporto che il piano prospetta tra l' incremento della pressione tributaria e la riduzione delle spese (1,8 per cento sul versante dell' aumento della pressione tributaria; 1,5 per cento , sul versante della riduzione delle spese). ciò perché, sommando i necessari allargamenti di base imponibile con un più efficace recupero dell' evasione l' aumento della pressione tributaria è in grado di assicurare condizioni e risultati di equità di sicuro superiori a quelli che si otterrebbero se si spingesse più di tanto il pedale della riduzione delle spese. i cosiddetti tagli alle spese non sono infatti sempre tagli della gramigna. è giusto che tutti lo tengano presente, non è monopolio solo dell' opposizione averlo presente; perché abbiamo e che fare, nella maggiore parte dei casi, con eccedenze di spese che sono largamente irrinunciabili (quale quella per la sanità, quella per l' assistenza e quella per altri servizi, a partire dall' istruzione). ci sono delle esorbitanze che vanno eliminate, ma non si tratta di mettere in discussione il filone di spesa in cui queste esorbitanze si formano. proprio per questo è più giusto percentualmente fare appello alla pressione tributaria che non alla riduzione della spesa, al di là di una certa misura. la politica dei redditi è l' ingrediente di una sana e giusta politica finanziaria . e mi riesce difficile capire perché la collega Becchi parli di politica dei redditi « drastica e centralizzata » : forse perché, quando si dipinge qualcosa cui si è ostili, si è naturalmente portati ad usare aggettivi repellenti. ma qui di drastico e di centralizzato io non vedo assolutamente nulla. posso solo notare una cosa: che l' accordo intercompartimentale, che sta per scadere e che venne tranquillamente firmato da tutte le confederazioni sindacali quattro anni or sono, prevedeva per tutti i comparti dello Stato l' impegno a mantenere l' evoluzione salariale entro il tasso programmato di inflazione, portando via, attraverso la riduzione dei meccanismi automatici o delle indennità integrative previste per legge, le eventuali esorbitanze della parte stipendiale rispetto al tasso programmato di inflazione. questo accordo fu firmato dalle confederazioni sindacali quattro anni or sono. fecero bene? fecero male? non lo so. fu accettato pacificamente, ma non è stato poi attuato, perché si è andati al di là. oggi la « drastica e centralizzata politica dei redditi » di cui parla la collega Ada Becchi è una politica dei redditi che non si limita a garantire il salario reale, ma dice comunque « più 1 » in termini reali e chiede al settore pubblico (dando per scontato che in quello privato l' equilibrio tra sindacati ed imprese si mantenga, senza bisogno di interventi di alcun genere da parte del Governo: non saprei del resto quali potrebbero essere) di non accrescere la sfera più dell' evoluzione nominale del Pil. al di là degli argomenti che l' opposizione in quanto tale, lo capisco, doverosamente difende, riteniamo che si possa sostenere in termini aziendali (perché dal momento che si parla di retribuzioni si fa riferimento ad un' azienda: l' azienda Stato) che l' evoluzione annuale delle retribuzioni debba essere superiore allo sviluppo nominale del prodotto interno lordo ? superiore, cioè, all' inflazione sommata al tasso nominale di sviluppo e a qualcos' altro ancora? chi paga questa ulteriore maggiorazione? di solito si discute sul modo in cui deve essere suddivisa la produttività: una parte viene destinata al lavoratore, una parte all' efficienza, al nuovo investimento, e così via . si discute su come essa debba essere suddivisa tra le due parti. se si contesta la politica dei redditi del piano, non ci si tiene nei termini di questa discussione. si dice che la retribuzione del lavoratore deve includere tutta l' inflazione, tutta la parte corrispondente alla produttività ed una quota ulteriore. questo non può essere. non credo che qualcuno possa sostenere una richiesta del genere; la politica dei redditi , della quale si parla in questa sede, sostiene soltanto il contrario di questo: si limita a dire che il costo del personale nel settore pubblico deve essere inferiore allo sviluppo nominale del prodotto interno lordo . qualcuno potrebbe obiettare che questa politica non è abbastanza drastica, non già che si tratta di una drastica e centralizzata politica dei redditi ! non entro nel merito delle politiche di settore, perché una simile trattazione porterebbe via molto più tempo di quanto sia giusto utilizzare in questa sede, ai fini dell' esame di questo documento. non c' è dubbio che siamo in presenza di un documento che, ponendo una griglia di vincoli numerici e quantitativi all' evoluzione degli aggregati di spesa pubblica , non è realizzabile se non attraverso politiche di settore coerenti. non c' è dubbio che la coerenza di tali politiche di settore non possa essere verificata tutta in questo momento. se mi diffondessi per un' ora ed enunciassi analiticamente le intenzioni del Governo nei vari settori, compirei un' operazione perfettamente inutile, come ho sostenuto ieri in Commissione: manifesterei oggi, 20 luglio 1988, intenzioni che dovranno essere verificate nel corso del quinquennio. per queste ragioni ritengo opportuno aderire alle indicazioni formulate a tale riguardo dal relatore per la maggioranza, onorevole Cristofori, nella sua esposizione iniziale, assicurando al relatore stesso, alla maggioranza e alla Camera l' impegno del Governo diretto a dare inizio alla realizzazione, fin dai prossimi giorni, degli indirizzi qui enunciati.