Giulio ANDREOTTI - Ministro degli Affari Esteri Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 130 - seduta del 19-05-1988
Sulla situazione del Medio Oriente
1988 - Governo De Mita - Legislatura n. 10 - Seduta n. 130
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , il rilievo che qualcuno ha avanzato circa il fatto che quando, trattando di un problema, ci si rifà alla necessità di una linea comune europea, questo sarebbe un espediente per far sì che, nell' ipotesi (che spesso si realizza) in cui uno dei Dodici non sia concorde, gli altri avrebbero una giustificazione per non fare, non era certamente nello spirito delle dichiarazioni da me rese ieri l' altro sull' argomento in discussione; rispetto al quale credo che ognuno debba portare il senso di grande responsabilità che ci ha animato da anni nel trattarlo. e tuttavia ritengo che, dal dicembre scorso in poi, a questo si debba aggiungere un senso di enorme attenzione per evitare che ogni cosa che viene detta possa magari trovare un consenso di carattere interno o parziale nell' area mediorientale ma non giovi a trovare quella soluzione che fino ad ora, purtroppo, nessuno è stato capace di individuare. l' aspetto su cui molti dei colleghi si sono intrattenuti — che è quasi un refrain abituale nel discorso del conflitto tra gli arabi e Israele — è che Israele non possa mettersi ad un tavolo con l' Organizzazione per la liberazione della Palestina in quanto nello statuto dell' Olp non si parla di Stato d' Israele ma di entità sionista, individuando quindi come punto fermo il superamento della creazione di quello Stato. e viceversa, da parte dell' Olp si dice che la risoluzione numero 242 dell' Onu non può essere un punto di riferimento , pur riconoscendo che essa contiene tutta una serie di dispositivi nel senso giusto; a cominciare dalla restituzione della Cisgiordano a alla Giordania (e forse « restituzione » non è nemmeno la parola esatta, perché non si tratta di restituire la Cisgiordania alla Giordania, in quanto giuridicamente quest' ultima non l' ha mai posseduta; era una situazione temporanea in attesa di una soluzione definitiva. la risoluzione numero 242 parla del ritiro delle truppe di occupazione israeliane da questi territori; disposizione che è stata non solo disattesa, ma anche contraddetta da tutta una serie di insediamenti di comunità ebraiche in questi territori palestinesi, insediamenti che ne hanno alterato la fisionomia, creando fra l' altro delle posizioni di enclave protette militarmente; le quali, tra l' altro, sono tali da non favorire quell' esperimento di convivenza che in altre condizioni forse avrebbe potuto anche presentare risvolti positivi. la risoluzione numero 242 parla dei palestinesi — e ciò trova l' opposizione degli stessi — come di rifugiati, non parla del popolo palestinese e della necessità di riconoscere alla nazione palestinese la sua identità e quindi il necessario sbocco politico. a me sembra però che questo fermarsi in una sorta di pregiudiziale stabile, da una parte e dall' altra, si sia intanto dimostrato largamente sterile e sia poi anche abbastanza pretestuoso. qual è il vero nodo, la vera difficoltà? quando da parte dei governanti di Israele, ed in modo specifico da parte di Shamir, si fa riferimento al coraggio di Sadat perché ruppe un lungo periodo di non comunicativa, si recò a Gerusalemme e sottoscrisse l' accordo di pace, si omette però, da parte loro, di dire una cosa essenziale: che Sadat si era assicurato prevalentemente la restituzione del Sinai, che in tal modo tornava al proprio paese. in quelle condizioni il suo gesto, però, avrebbe potuto essere come fu, criticato da molti. a seguito di una precisa richiesta avanzata da Sadat e dal presidente Carter, il nostro Governo cercò di aiutare i paesi del rifiuto a superare una opposizione pregiudiziale: l' onorevole Forlani ed io ci recammo in quella occasione a Tripoli, ad Amman e a Bagdad per cercare di sostenere che gli accordi di Camp David erano forse una soluzione molto parziale, ma costituivano comunque l' inizio di un qualcosa di nuovo, erano il primo capitolo di un libro che si doveva scrivere. ahimè, quel libro però non si è scritto. adesso tra le proposte, che ogni tanto riemergono, si affaccia quella di fissare un periodo transitorio di cinque anni, durante il quale le comunità palestinesi possano godere di una sorta di autonomia nei territori occupati , in attesa di un negoziato definitivo sulla situazione; ipotizzando nel frattempo — e questo è uno dei punti non chiari nemmeno nel progetto di Schultz — delle elezioni per creare una rappresentatività diretta del popolo palestinese . non si dice, tuttavia, se tali elezioni debbano svolgersi in pendenza dell' occupazione militare o una volta che questa sia stata superata; e una elezione che si svolge in pendenza di un' occupazione militare, difficilmente può essere considerata come espressione in modo reale della volontà di un popolo. occorre allora vedere come si arriva a risolvere il problema dei territori occupati in una cornice più ampia, perché la cornice palestinese non si esaurisce nei territori occupati , ma riguarda anche le popolazioni che sono dovute andare in altre parti. alcuni, forse molti, si sono inseriti nelle comunità in cui vivono (ve ne sono numerose in Kuwait e in Arabia Saudita ) e può darsi che vi vogliano rimanere; ma il discorso deve essere unitario per i palestinesi. per di più, tutti possono constatare che cosa ha significato, tra l' altro, la mancata soluzione di questo problema per la situazione del Libano, della quale si parla forse meno, ma che è divenuta sempre più complessa; e probabilmente tornerà alla ribalta di qui a non molto, quando si tratterà di designare il successore del presidente Gemayel, senza aver realizzato quella riforma costituzionale che è alla base della ricerca di un nuovo modello di coesistenza per quelle popolazioni, nell' ambito delle quali già di per sé le variegate comunità islamiche e la variegata comunità cristiana suscitano problemi (senza tener conto, poi, di quelli generati dalla comunità dei palestinesi e, da ultimo, da quella degli Hezbollah). a tale proposito voglio rilevare, per inciso, che è stato interessante quest' ultimo periodo nel quale Damasco e Teheran hanno discusso per cercare di attutire il conflitto tra Amai e gli Hezbollah; cosicché, le smentite circa l' esistenza di una connessione diretta tra gli Hezbollah e Teheran sono abbastanza messe in dubbio, una volta che si discute senza nemmeno la riservatezza. tornando al nostra problema, c' è da domandarsi: che cosa si può fare oggi? dobbiamo tener conto che l' iniziativa di Schultz è stata e rimane importante, perché è stata assunta in un anno elettorale, cioè in un periodo, nel corso del quale normalmente l' amministrazione americana non intraprende iniziative; essa è stata accompagnata da un messaggio del presidente Reagan ai capi di Stato di tutti o paesi dell' area, nel quale si dichiara che lo status quo non è più tollerabile. dobbiamo riconoscere che questo fatto rappresenta un punto fermo . per quanto concerne poi il merito del progetto Schultz, vi sono, come io stesso ho ricordato in modo abbastanza esplicito (è stato detto da qualcuno che lo avrei fatto in termini troppo diplomatici: io non parlo come « libero battitore » ma come ministro degli Esteri e, quindi, sono obbligato ad usare dei termini diplomatici), alcune carenze. la prima consiste nel non considerare che la conferenza di cui si parla non può essere soltanto un « cappello » o una cerimonia iniziale ma deve essere un momento che rappresenti un legame per l' insieme dei negoziati. è vero che ci devono essere dei negoziati bilaterali, nel corso dei quali la Siria deve discutere il problema del Golan, la Giordania e l' Egitto devono dibattere dei loro problemi e il Libano deve affrontare il suo problema; ma, senza voler dire che nella conferenza ci deve essere una autorità assoluta che decide prescindendo dalle volontà bilaterali, ad ogni modo la conferenza stessa deve però essere qualcosa di organico e di riassuntivo. vi è poi il delicato problema della presenza dell' Organizzazione per la liberazione della Palestina . e un elemento del quale dobbiamo tener conto. chiederò pertanto che prima di passare alla votazione delle mozioni, una breve sospensione della seduta per consentire l' unificazione di alcuni testi; ritengo, infatti, che i margini di azione siano così ristretti che non dovremmo rendere ancora più complessa la possibile azione del nostro Governo attraverso votazioni differenziate. sappiamo che a tale riguardo esistono punti di vista non omogenei; però sappiamo anche che ci sono dei punti fermi. sappiamo che c' è un punto fermo sul quale finora nessuno ha eccepito: la dichiarazione di Venezia, che l' onorevole Pajetta ha definito un « testo sacro » , al quale ci si riferisce sempre... è leggermente più recente la dichiarazione di Venezia! comunque, onorevole Pajetta, cito la dichiarazione di Venezia perché credo che dovrebbe aiutarci a non differenziarci su un punto. al punto settimo della dichiarazione di Venezia del 1980, si afferma: « l' attuazione di questi obiettivi (l' obiettivo della convivenza, della ricerca di soluzioni, eccetera) esige l' adesione ed il concorso di tutte le parti in causa alla soluzione di pace che i nove si sforzano di promuovere sulla base dei principi definiti nelle dichiarazioni sopra menzionate; tali principi si impongono a tutte le parti interessate, e quindi al popolo palestinese e all' Olp, che dovrà essere associata al negoziato » . almeno su questo punto, quindi, credo che non ci dovrebbero essere differenze, perché tutti i governi che si sono suggeriti, oltre a quello che era in carica nel 1980, hanno sempre fatto puntuale riferimento alla dichiarazione di Venezia. io devo ricercare dei denominatori comuni e mi pare che questo può essere un denominatore comune, perché rappresenta un punto su cui, da otto anni a questa parte, non vi sono state eccezioni, non solo, direi, da parte di chi ha approvato i programmi di Governo, ma anche di tutti gli altri che hanno parlato di questo problema. la rappresentanza dell' Organizzazione per la liberazione della Palestina è a Roma da molto tempo; partecipa alle riunioni del corpo diplomatico dei paesi arabi; quando vi sono riunioni, anche collettive, al ministero, il rappresentante dell' Organizzazione per la liberazione della Palestina assume sempre la posizione propria degli altri rappresentanti arabi presso il nostro paese. ho detto l' altro giorno che, nell' ambito delle recenti consultazioni fatte dal Governo, non era certo la prima volta che veniva ufficialmente al ministero il dottor Kaddoumi, che è il responsabile della politica estera dell' Olp. si può, si deve fare qualcosa di più, oggi. prescindo ora dal fatto che vi è stato un voto, cui Capanna si è riferito....... e io prescindo! lei certamente non ignora che noi, con grande senso di responsabilità , non abbiamo portato questo tema all' attenzione dell' altro ramo del Parlamento proprio per evitare che da una diversa affermazione di volontà derivasse qualcosa che, invece di rafforzare, indebolisse la nostra posizione. d' altra parte, dobbiamo tener conto — credo che ci debba guidare un grande senso di responsabilità — che nella situazione attuale nessuno può illudersi. i nostri colleghi che sono stati in visita nei territori occupati e nello Stato di Israele si sono sentiti ripetere ciò non solo dai rappresentanti del popolo palestinese, ma anche dal patriarca latino, come ci è stato detto nella relazione del presidente della Commissione . io stesso posso dire che più volte, parlando con il presidente dell' Unione mondiale degli ebrei arabi — cioè quelli provenienti dal Sudan e dal Senegal — , ho ascoltato da lui la precisa affermazione che, fino a quando non si discuterà con l' Olp, non si risolverà il problema. non si tratta, quindi, di una posizione di parte su tutto ciò. dobbiamo tuttavia anche tener conto di un fatto. oggi vi è in Israele, da un lato, una situazione di emergenza e una situazione, dall' altro, più stabile, per così dire, ai fini della ricerca di una soluzione. non dobbiamo dimenticare che Israele è alla vigilia delle elezioni; se noi oggi volessimo chiedere — di fatto questa è la nostra posizione — all' uno e all' altro dei due grandi partiti (non parlo di quelli minori, quelli religiosi) di mettersi intorno ad un tavolo con l' Olp, certamente verificheremmo una posizione di rifiuto. è stata creata, a mio avviso ingiustamente, una certa situazione nei confronti dell' Olp. si è sostenuto che si tratta di una organizzazione terroristica e non ci si è resi conto dei suoi aspetti politici e di carattere generale e rappresentativo, specialmente non potendo contestare che si può ben dire che ci deve essere un tipo di rappresentanza diversa o migliore quando si è di fronte a due o più tipi di rappresentanza. ma quando ne abbiamo una e non ce n' è un' altra che si conosca, è molto difficile sostenere che essa non abbia la rappresentatività alla quale si fa riferimento. comunque, nella situazione attuale credo che non renderemmo un servizio a quella causa, già così fragile, di ricerca di soluzioni insistendo, in questo momento, nel dare una determinata accentuazione. d' altronde , data solo da parte nostra avrebbe certamente un significato di coerenza e di solidarietà, ma di fatto non aiuterebbe, credo, la causa; non aiuterebbe, se dovessimo esplicitamente oggi dire qualcosa di diverso da quel che abbiamo affermato fino a questo punto. se poi accadesse, in un certo senso (e non già perché ci vogliamo ingerire nelle cose interne dello Stato di Israele ) il contrario di quel che auspichiamo, cioè le forze più ragionevoli (quelle forze di cui io stesso ho citato alcune espressioni, che non sono soltanto dell' ex ministro degli Esteri Abba Eban , ma anche di altri), anziché venire rafforzate dalle elezioni, venissero indebolite, credo che veramente ci troveremmo di fronte ad una situazione molto più complessa. e, però, ritengo che debba esser fatto un richiamo preciso alle posizioni che abbiamo assunto a Venezia e che abbiamo ripetuto anche recentemente in seno alla Comunità, quando abbiamo approvato le risoluzioni della conferenza di Amman e auspicato la convocazione della conferenza internazionale. ho già detto della necessità che, per avere una soluzione, vi debba essere una posizione diversa anche da parte dell' Unione Sovietica , che ha rotto le relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele . è possibile una conferenza promossa dal Consiglio di sicurezza senza che si abbia una ripresa di queste relazioni? è possibile, cioè, che si mettano attorno a un tavolo potenze che non abbiano tra loro relazioni diplomatiche? devo dire che, in termini teorici, non è impossibile. fra l' altro tutti parliamo dell' Unione Sovietica , ma si deve parlare anche della Cina che è un altro dei cinque paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell' Onu che non ha relazioni diplomatiche, con Israele. però, proprio per questo diciamo una certa cosa. è esattamente un anno e mezzo che, anche da parte nostra, sono cominciati contatti con l' Unione Sovietica . del resto l' onorevole Napolitano ha ripetuto qui quel che una delegazione ufficiale del partito comunista ha potuto riscontrare recandosi in Urss. in altri termini se questa è la difficoltà, certamente essa sarà superata. se in effetti si crea la premessa — di una conferenza, è vero che non si può aver chiaro sin dall' inizio il quadro completo di quello che sarà lo svolgimento ed il contenuto della stessa (se così fosse non vi sarebbe bisogno di una conferenza), ma certo deve esservi la certezza che la stessa non sia impossibile. se rimane, cioè, la posizione pregiudiziale della non restituzione dei territori occupati , allora è chiaro che non si tratta più di essere favorevoli a un tipo o all' altro di conferenza, ma di negare che bisogna corrispondere ad una legalità! a me pare che sia difficile poter invocare una delle risoluzioni dell' Onu e poi non considerare l' altra, ed anche dell' una che si invoca, citare alcuni articoli, alcuni commi e non considerare validi gli altri commi. credo che questo discorso sarà — come c' è stato assicurato dal segretario di Stato Schultz, venerdì scorso, a Bruxelles, in occasione del Consiglio atlantico — uno dei temi che il 29 e il 30 maggio il presidente Reagan ed il segretario generale Gorbaciov tratteranno nel loro incontro di Mosca. per quanto riguarda l' Europa, era ed è stata discussa una possibile iniziativa che parta, l' ho ricordato, da uno dei punti della dichiarazione del 1980, nel quale si prevedeva l' impegno della Comunità di partecipare, eventualmente, anche con una presenza sul territorio, a quelle che fossero soluzioni di pace. è possibile prevedere questo, separatamente da un disegno globale di soluzione? direi che abbiamo dovuto constatare che ciò non è possibile allo stato. perché? nessuno, credo (certamente non l' onorevole Craxi), pensa ad una missione delle truppe della Comunità manu militari per scacciare le truppe di occupazione. né l' Onu si sogna di autorizzare l' esercizio di un mandato senza che questo abbia un consenso preliminare da parte dei paesi interessati. per quel che riguarda tale consenso preliminare, dobbiamo constatare che esso non esiste. ci si deve rassegnare allo status quo ? ho già detto di no. ritengo che quanto è accaduto a Gaza e nei territori occupati dagli inizi di dicembre ad oggi abbia innovato in una cosa: in quel senso di sicurezza nel proprio interno che, in fondo, credo non spingesse Israele a ricercare una soluzione, o a ricercarla soltanto con un negoziato bilaterale con la Giordania, separato da tutto il resto, cosa che oltre tutto, metterebbe il re di Giordania in una posizione impossibile. quindi, tutto questo non solo non aiuterebbe a trovare un risultato, ma renderebbe ancora più complessa la situazione nei paesi confinanti con Israele. ritengo tuttavia che la Comunità Europea — ed è questo un discorso che si cerca di far progredire — non possa contentarsi di emettere una serie di documenti e di ordini del giorno . abbiamo un « volumetto » di questi documenti: a parte l' essere o meno coevi di Marco Polo..., a parte la dichiarazione del 1980, abbiamo tutta una serie di dichiarazioni. ad esempio, una dichiarazione favorevole pronunciata quando, quell' 11 febbraio, il re di Giordania stipulò il suo accordo con Arafat; quindi, la recente approvazione della conferenza di Amman, poc' anzi ricordata, nonché una serie di documenti, quali quelli che recano un richiamo al rispetto del diritto internazionale , per fare in modo che non possano essere espulsi dal proprio territorio coloro che legittimamente vi risiedono. e tutto questo, del resto è stato riconosciuto anche dalle Nazioni Unite . credo che l' interpretazione corretta di una parte notevole degli interventi dei colleghi sia quella di una ricerca di impegno della Comunità Europea , perché assuma delle iniziative, ma non con semplicismo. onorevole Capanna, sarebbe facile presentare in Consiglio di sicurezza un ordine del giorno , una bozza di risoluzione che dica: « i territori occupati devono essere restituiti » . chi è d' accordo...? chi non è d' accordo? ma ciò che cosa comporterebbe? sappiamo che il meccanismo del Consiglio di sicurezza è tale che basta il voto di uno dei cinque paesi membri permanenti per rendere vano l' insieme di volontà che spesso si forma, con il contributo di 14 paesi, come è accaduto negli ultimi mesi. potremmo avere la soddisfazione di un testo che raccogliesse un certo numero di adesioni; ma non andiamo alla ricerca di soddisfazioni, bensì di modi per cercare di « schiodare » questa situazione che il passare del tempo dimostra essere drammatica. e lo dimostra non attraverso una esplosione di violenza militare, ma una esplosione di ribellione popolare, all' interno, che è quanto mai comprensibile. credo si possa dire che, quando un popolo è lasciato vegetare in campi di rifugiati, per decine e decine di anni, senza alcuna prospettiva, ci si deve meravigliare di più se non vi sono reazioni, che se ve ne sono. d' altra parte, non si può contare sul fatto che si considera impossibile tenere i negozi chiusi all' infinito o rinunciare al lavoro per tempi lunghi, può essere questo un ragionamento valido. tuttavia nella situazione attuale non sono mancate novità, a cominciare da quelle provenienti dall' opinione pubblica americana. e stata infatti, la televisione americana che ha reso noto al mondo un insieme di fatti veramente sconvolgenti. ed è stato — ed io l' ho ricordato — il Washington Post che, parlando dell' assassinio di Abu Jihad , ha chiamato in causa direttamente (con una serie di particolari che mi auguro non veri, anche se nessuno li ha smentiti) il governo di Israele. ci troviamo di fronte oggi ad una condizione di effettiva emergenza, che è stata portata alla ribalta, all' attenzione del Parlamento, in una fase nella quale — mi sembra che questo possa essere detto — tutti si sono convinti che occuparsi dei palestinesi e dei loro problemi non è un modo particolaristico di far politica o, addirittura, un qualche cosa di pretestuoso. no! e la coscienza di un problema che esisteva, che esiste e che nessuno può risolvere se non attraverso soluzioni negoziali, se non vuole creare, magari a distanza di anni, le premesse di un vero e proprio genocidio o, comunque, di una soluzione che ci rifiutiamo anche di configurare. vorrei aggiungere, in chiusura, che la polemica di cui alcuni colleghi si sono fatti portavoce in questo dibattito, la polemica sull' antisemitismo, è assolutamente mal posta. credo che sia necessario riconoscere una cosa. se è vero come è vero , che gli ebrei sono in Italia e negli altri paesi cittadini come tutti, e nulla togliendo al fatto che un ebreo possa avvertire un legame sentimentale con lo stato d' Israele, se non possiamo — e certo non possiamo — imputare agli ebrei italiani quel che fa il governo d' Israele, allora neppure gli ebrei italiani possono rimproverare agli altri di non condividere quel che fa lo Stato d' Israele in talune manifestazioni che gli ebrei italiani, credo, dovrebbero, come molti ebrei nel mondo, anzi più degli altri, condannare. perché, se questa confusione si lascia allignare, allora il fenomeno che mi auguro sia assolutamente marginale, quale quello dell' antisemitismo, del resto del tutto estraneo alla nostra tradizione, alla nostra cultura, rischia veramente di assumere radici pretestuose. credo che questo problema sia particolarmente sentito anche dalla gran parte degli ebrei italiani, con i quali si hanno contatti, per cui non si possano assolutamente fare confusioni in questi due campi. mi auguro, onorevoli colleghi , che vi sia da parte di tutti una certa buona volontà , e che si ritenga che nei confronti del popolo dei territori occupati , nei confronti della convivenza di queste due comunità, che è essenziale e che deve essere trovata ad ogni costo, non solo nei territori occupati ma anche nello Stato di Israele , si debba procedere in un certo modo, con una linea che nel programma di Governo è stata determinata con quel modello che oggi è l' unico sul tappeto: una confederazione giordano-palestinese. se domani saranno proposte altre soluzioni, esse saranno studiate, specialmente se verranno, come devono venire, dai diretti interessati, in quanto è ad essi che deve essere riconosciuto il diritto a scegliersi il proprio avvenire. mi auguro che si possa arrivare ad una convergenza ampia da parte della Camera, proprio perché penso che nessuno di noi voglia avere la soddisfazione di affermare che ha vinto la sua tesi oppure quella opposta, mentre tutti dobbiamo avere la coscienza della profondità di questo angoscioso problema anzitutto morale, che da alcuni mesi stiamo vivendo in modo accentuato, nonché della necessità di cercare, direttamente e come membri della Comunità Europea , di passare dalla fase dei documenti ad una fase di azione silenziosa, riservata, graduale. quest' anno due problemi internazionali « caldi » (l' Afghanistan e la Namibia) si avviano più o meno a soluzione. credo che il problema mediorientale non possa essere risolto nel 1988; peraltro, se si passerà da una fase di « incomunicatività » ad una di movimento, e se noi avremmo dato un piccolo contributo in questa direzione attraverso il nostro dibattito, ritengo che avremo fatto quello che è strettamente il nostro dovere. sì, signor presidente . credo sarebbe opportuno, in considerazione dei molti documenti che sono stati presentati, disporre di un breve periodo di tempo per trarre dagli stessi il massimo possibile di convergenza. onorevole presidente , il parere del Governo è favorevole sulla risoluzione di cui è stata data testé lettura, perché mi sembra riassuma nella sostanza quello che è un convergere notevole della Camera sui punti essenziali di questo spinosissimo problema. vorrei pregare di dare, se possibile, la massima adesione alla risoluzione. di conseguenza il Governo, accettando la risoluzione, non accetta gli altri documenti presentati.