Giulio ANDREOTTI - Ministro degli Affari Esteri Maggioranza
X Legislatura - Assemblea n. 128 - seduta del 17-05-1988
Sulla situazione del Medio Oriente
1988 - Governo De Mita - Legislatura n. 10 - Seduta n. 128
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

onorevole presidente , onorevoli colleghi , questo dibattito offre al Governo l' occasione, quanto mai opportuna, di fornire valutazioni aggiornate sulla situazione mediorientale; una situazione di crisi perenne che suscita ormai, come poche altre, inquietudini e preoccupazioni nella comunità internazionale . queste stesse preoccupazioni e queste stesse inquietudini le ritrovo nelle mozioni oggi all' esame di quest' Assemblea. la rivolta nei territori occupati , espressione di una coscienza nazionale palestinese che non può essere più a lungo soffocata, dura ormai da oltre cinque mesi, con il suo quasi quotidiano stillicidio di sangue. sono 234, delle quali 232 palestinesi e 2 israeliane, le vittime degli scontri a Gaza e in Cisgiordania. l' attentato di Tunisi del 16 aprile, che è costato la vita ad uno dei maggiori esponenti dell' Olp, Abu Jihad , oltre a segnare l' apice della tensione nei territori occupati , ha accentuato ancora di più i timori di quanti, come noi, vorrebbero evitare che il solco della violenza si approfondisse fino a rinviare di anni, e magari di generazioni, ogni prospettiva di conclusione negoziale. l' esercito israeliano è oggi impegnato in un' attività di repressione comportante limitazioni della libertà personale su vasta scala, espulsioni di giornalisti e anche demolizione, a titolo di rappresaglia, di abitazioni. si tratta di azioni che la comunità degli Stati giudica severamente e ritiene incompatibili con la IV Convenzione di Ginevra sulla protezione dei civili in tempo di pace. si tratta, ancora, di azioni che male si conciliano con l' idea che noi abbiamo dello Stato di Israele e del suo retaggio storico e culturale; e che suscitano interrogativi morali e politici all' interno stesso di quel paese. proprio in questi giorni, commentando i quarant' anni di Israele e la sua dichiarazione costitutiva, Aba Eban ha scritto: « una nazione non può voltare le spalle al proprio certificato di nascita senza arrecare grave danno al proprio senso di identità ed ai propri obiettivi » . il disagio coinvolge settori importanti delle stesse comunità ebraiche nel mondo, che pure talvolta erano state rimproverate di illimitata indulgenza verso lo Stato di Israele . Henry Siegman, direttore esecutivo del Congresso ebraico americano, ha affermato che « se l' occupazione continua indefinitamente, si rischia di corrodere la sostanza democratica ed umana dello Stato di Israele » . ancora, proprio negli USA, la repressione nei territori occupati ha favorito l' emergere di una più aperta presa di coscienza del problema palestinese e della necessità di una sua urgente soluzione politica. si deve probabilmente a tale nuovo clima della pubblica opinione se il segretario di Stato Schultz può svolgere la sua missione di pace anche in questo anno di elezioni presidenziali e se, per la prima volta, egli ha incontrato due rappresentanti, di nazionalità americana, del Consiglio nazionale palestinese. vorrei aggiungere che la cronaca più dura per l' assassinio di Abu Jihad si è letta nel Washington Post . questo stato di crisi, che dai territori occupati ha finito per investire l' intera comunità internazionale , sollecitandone le responsabilità, ha trovato espressione, innanzitutto, nelle Nazioni Unite , che ormai discutono dei territori occupati quasi in seduta permanente dall' inizio della rivolta. il Consiglio di sicurezza ha adottato negli ultimi cinque mesi ben quattro risoluzioni; l' ultima, quella approvata il 25 aprile con la sola astensione degli USA, condanna l' attentato contro Abu Jihad . la riprovazione per l' atto di violenza compiuto sul territorio tunisino è stata da noi espressa in termini netti ed inequivoci. questo modo di parlare franco rappresenta, a mio parere, quasi un dovere per chi, come noi, attribuisce un elevato valore etico, oltre che politico, all' esistenza dello Stato di Israele ed alla garanzia che noi tutti dobbiamo offrire alla sua sicurezza. ciò che mi sembra fondamentale è che in questo giudizio ci siamo trovati d' accordo con gli altri tredici paesi membri del Consiglio di sicurezza che hanno approvato la risoluzione del 25 aprile. altrettanto fondamentale è stata la posizione del governo americano , che si è astenuto dal frapporre il suo veto. avevo io stesso ricordato al segretario di Stato in Consiglio atlantico a Bruxelles, il 25 aprile (cioè poche ore prima del voto), che un eventuale veto degli USA avrebbe non soltanto creato una contrapposizione insanabile con tutti gli altri membri del Consiglio di sicurezza , ma anche reso più difficile sia la sua iniziativa in Medio Oriente sia il compito di coloro che , in Israele, sono impegnati nella ricerca di una coesistenza pacifica tra arabi e israeliani. sulla crisi nei territori occupati la Comunità Europea si è espressa l' 8 febbraio scorso in maniera molto netta. i dodici hanno deplorato la politica degli insediamenti di Israele nei territori occupati ed hanno ribadito l' impegno della Comunità a perseguire il proprio programma di sviluppo in favore di quei territori (inclusi, tra l' altro, un aiuto umanitario supplementare e la promozione delle esportazioni agricole ed industriali verso l' area dei dodici). infine, sempre la Comunità Europea ha esortato Israele a conformarsi alle raccomandazioni delle Nazioni Unite circa il rispetto della Convenzione di Ginevra, relativa alla protezione delle persone civili in tempo di pace. una prima e concreta reazione della comunità internazionale ha riguardato l' immediato miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni nei territori occupati . il governo italiano , dal canto suo, ha disposto l' erogazione di aiuti di emergenza, oltre che di un contributo di 10 miliardi di lire ad un programma edilizio dell' UNRWA diretto a migliorare le condizioni abitative dei rifugiati palestinesi. stiamo esaminando altresì con la massima attenzione i progetti di cooperazione e di assistenza che ci vengono sottoposti e siamo pronti a prendere in considerazione quelle ulteriori proposte che ci verranno avanzate, anche al di fuori dell' emergenza, con particolare riguardo a piccole iniziative industriali suscettibili di incidere sull' occupazione, quali ad esempio un impianto per la produzione di succhi di frutta e l' installazione di un porto galleggiante a Gaza. su tali interventi ho avuto modo di intrattenere lo stesso ministro degli Esteri israeliano, Peres, che mi ha manifestato il suo pieno assenso. nel ribadire la riprovazione sui drammatici avvenimenti a Gaza e nella Cisgiordania, sentiamo la necessità di non perdere di vista il quadro complessivo, le radici profonde del conflitto. ha detto il ministro israeliano Ezer Weizman, a proposito della rivolta palestinese, che « chiunque pensi che si tratti di una cosa passeggera compie un errore molto grave. essa è il risultato dell' incapacità di trovare una soluzione politica » . l' attuale tragedia è figlia della paura, che paralizza la ragione anche se scaturisce dal confronto di due tesi che si presentano, nei termini attuali, tra loro in posizione di conflitto: da un lato, il desiderio di sicurezza di Israele spinto fino all' intransigenza dalla drammatica storia di quel popolo e, dall' altro, il diritto dei palestinesi all' autodeterminazione. inoltre, l' approssimarsi delle elezioni ed il clima di intolleranza che si è purtroppo determinato in vasti strati dell' elettorato israeliano rischiano di radicalizzare le posizioni delle forze politiche , rendendo più difficile il linguaggio della flessibilità e del pragmatismo. una risposta politica alla protesta palestinese, diversa dalla repressione pura e semplice, potrebbe proprio scaturire da questo confronto all' interno di Israele: un confronto, cioè, che faciliti la ricerca di un chiarimento e l' adozione di una linea di condotta aperta al dialogo ed incline, quindi, al compromesso. deve trattarsi, naturalmente, di un processo rapido, convinti come siamo che il trascorrere del tempo nell' inerzia, lungi dal lavorare per una pacificazione degli animi, alimenta ancor più la fiamma della violenza. e le incursioni israeliane nel Libano meridionale, che hanno come obiettivo dichiarato quello di prevenire l' infiltrazione di guerriglieri, confermano i rischi connessi ad un ulteriore rapido deterioramento della situazione mediorientale. anche su di esse i dodici paesi della comunità europea hanno espresso, il 5 maggio, un chiaro giudizio di condanna. certo, gli sviluppi drammatici degli avvenimenti nei territori occupati sono da noi seguiti con intensa partecipazione emotiva; ma sono vissuti anche con la consapevolezza del realismo necessario a creare le condizioni politiche per un processo di pace. mi sembra particolarmente adatto alle circostanze quanto scriveva ad un amico palestinese il premio Nobel per la pace Elle Wiesel. egli affermava che « la sofferenza non conferisce automaticamente dei privilegi, poiché tutto dipende da ciò che si fa della sofferenza » . ed aggiungeva che anche alla sofferenza dei palestinesi occorreva dare un senso attraverso la ricerca, appunto, di uno sbocco politico. l' esperienza antica, come quella più recente, nella sua drammaticità ha da tempo suggerito le condizioni di una soluzione negoziale ed il loro carattere ineluttabile. da un lato, da parte palestinese deve riconoscersi senza equivoci il diritto di Israele a vivere entro confini sicuri e garantiti, rinunciando, su questo punto, ad ogni possibile margine di ambiguità. dall' altro, da parte israeliana deve essere riconosciuto il diritto ai palestinesi di decidere del loro avvenire, accettando così di cedere territori in cambio della pace. noi dobbiamo, io ritengo, convincere i nostri amici israeliani che la ricerca di una sicurezza mai ritenuta sufficiente genera nuovi pericoli, perché finisce per cozzare contro le ragioni degli altri. ed un Israele più grande non vuol dire un Israele più sicuro. continuare a negare le ragioni di fondo, nazionali e politiche, dei palestinesi, rende meno agevole lo sforzo di quanti, in Israele e fuori, si battono per il dialogo, per il negoziato e per il ritiro dai territori occupati . questi obiettivi, del resto, sono già contenuti nella dichiarazione di Venezia del giugno 1980, nella quale i paesi della comunità europea riconoscevano la necessità che al popolo palestinese si offrisse la possibilità, mediante un processo negoziale appropriato e nel quadro di un regolamento globale, di esercitare pienamente il diritto all' autodeterminazione. contemporaneamente gli stessi paesi si dichiaravano disposti, in questo quadro globale, a partecipare ad un sistema di garanzie internazionali concrete e vincolanti, ivi comprese le garanzie sul terreno. e, questo delle garanzie, un elemento molto importante, se si vogliono tradurre in termini operativi i principi di un regolamento di pace. c' è oggi un consenso generalizzato sulla necessità che tale regolamento possa e debba essere perseguito attraverso una conferenza internazionale sotto l' egida delle Nazioni Unite . la conferenza è importante poiché non è soltanto l' individuazione di una sede negoziale ma l' ammissione di una via come l' unica per uscire dalla crisi, l' espressione di una disponibilità al compromesso e l' indicazione di una volontà di pace. la conferenza salvaguarda le prospettive del dialogo dal rischio di un ulteriore allargamento della spirale della violenza e delle sue tentazioni. quanto alla sua convocazione, non dovrebbe essere impossibile subordinarla a tutta una serie di concessioni reciproche da realizzare simultaneamente. così mi chiedo se da parte sovietica non converrebbe esprimere chiaramente una disponibilità a riprendere normali relazioni con Israele collegandola all' avvio della conferenza. a questo proposito, è stato lo stesso ministro Peres ad esprimerci il suo apprezzamento per l' importanza che il governo italiano ha dato al coinvolgimento costruttivo dell' Unione Sovietica nel piano di pace. circa l' assetto territoriale di una futura entità palestinese, il Governo si è già espresso, nelle sue dichiarazioni programmatiche , in favore di una confederazione giordano-palestinese, fermo restando il diritto dei palestinesi di decidere essi stessi del loro futuro. ma ci sono molte ragioni a favore di una confederazione, compresa la sicurezza degli spazi geografici ed economici. per parte nostra stiamo lavorando, in tutti i contatti, per rendere più agevoli le condizioni che portino alla convocazione della conferenza, approfondendo tutte le ipotesi. l' Italia può agire in questo senso grazie ai rapporti di amicizia che intrattiene e che le consentono di presentarsi come interlocutore autorevole ed obiettivo. abbiamo avuto così modo di esprimere le nostre posizioni ricevendo a Roma quest' anno il re di Giordania Hussein, dal 30 gennaio al 2 febbraio, il capo dell' ufficio politico dell' Olp, Kaddoumi, il 3 febbraio, il presidente egiziano Mubarak, il 4 e 5 febbraio, ed il Primo Ministro israeliano Shamir, il 13 febbraio nonché nelle mie visite a Damasco ed a Ryad, dal 24 al 28 febbraio. da ultimo ho esposto il punto di vista italiano al ministro degli Esteri Shimon Peres, nel nostro incontro a Milano, il 9 maggio. ho anche detto in quell' occasione al collega israeliano che, di fronte ad una vera prospettiva di soluzione ed ad un reale impegno di soluzione, sarebbe a mio avviso da escludersi che Arafat si prenda la responsabilità di rifiutare. in verità questo finora non è accaduto. in un quadro politico dai contorni così preoccupanti, inoltre, si rivela per noi più che mai necessario sostenere il tentativo di pace perseguito con tenacia e generosità dal segretario di Stato Schultz, perché questo non desista dal suo disegno, che offre oggi — anche se nei punti decisivi deve essere perfezionato — l' unica concreta prospettiva di ripresa di un dialogo tra le parti. e occorre quindi lavorare in questa direzione, talvolta silenziosamente, con l' umiltà di non pretendere sempre risultati immediati. l' azione di Schultz consente soprattutto di arginare il temuto deterioramento, anche psicologico, della situazione, dalle conseguenze ancor più drammatiche: la forza dell' ipotesi del segretario di Stato risiede nella sua globalità, in quanto nessun aspetto singolo può essere estrapolato o ignorato senza porre in pericolo l' equilibrio complessivo. ma proprio per questo non può essere dato un valore esclusivo agli accordi bilaterali vanificando la conferenza. da parte nostra non lesineremo sforzi per concorrere a rendere più propizio il quadro politico , tenendo presenti, in questa azione, appunto, taluni risvolti deboli che a nostro giudizio caratterizzano aspetti specifici delle proposte di Schultz, e sui quali ho avuto modo di esprimermi con il segretario di Stato nella nostra ormai consolidata consuetudine di amicizia ed apertura. essi attengono in particolare al ruolo della conferenza internazionale ed al coinvolgimento dell' Olp in una funzione rappresentativa delle popolazioni palestinesi che ci sembra non realistico escludere e della quale è tempo invece di prendere atto secondo un ripensamento cui, del resto, non è oggi estranea la stessa opinione pubblica degli USA. con riferimento al ruolo dell' Europa si è discusso molto, in questi giorni, sulla necessità che da una fase di enunciazione di principi e di posizioni si passi ad iniziative concrete, volte a realizzare una presenza incisiva del nostro continente nell' area mediorientale. queste proposte ci trovano consenzienti, nella consapevolezza che esse possono contribuire a dar forza e spessore ad un piano globale di pace, accettato da tutte le parti interessate. è necessario, dunque, che le idee, per divenire proposte politiche, si confrontino con la realtà, che è complessa e sfaccettata e ad essa si adeguino, tenendo presente che nei prossimi mesi dovremo operare, da soli e con altri paesi, in primo luogo quelli della Comunità Europea , per dare contenuto alla nostra volontà di contribuire alla pace. signor presidente , onorevoli colleghi , si approssima un evento internazionale di particolare importanza: il vertice americano-sovietico di Mosca, alla cui preparazione abbiamo in Consiglio atlantico attivamente partecipato. su di esso si appuntano le speranze di ognuno anche per quanto concerne il problema mediorientale. esiste, mi pare, una disponibilità sovietica a un atteggiamento cooperativo, che potrebbe tradursi in un sostanziale sostegno all' impegno americano ulteriormente elaborato. in tal caso gli sforzi che il segretario di Stato si appresta a rinnovare in Medio Oriente , e ai quali auguriamo successo nell' interesse della pace, ne riceverebbero ulteriore impulso e incoraggiamento. un altro auspicio concerne il prossimo vertice arabo, che si terrà ad Algeri il 7 giugno. la nostra speranza è che esso possa concludersi con l' adozione di posizioni che spianino la via alla considerazione dei diritti di ognuno. un atteggiamento del mondo arabo aperto e costruttivo potrebbe costituire un altro prezioso sostegno agli sforzi di pace. l' Italia e l' Europa comunque, non si rassegnano al perdurare del conflitto, della confrontazione e anche dell' odio e dell' incomprensione e credono nell' inevitabilità della pace, una pace accompagnata dalla giustizia verso tutti i paesi e i popoli della regione mediorientale e la cui prospettiva ci induce a lavorare per irrobustire il filo del dialogo. il senso di giustizia ci obbliga a capire le ragioni della rivolta palestinese: l' umiliazione per una occupazione senza fine; il sequestro delle terre; le pressioni dell' autorità di occupazione; la mancanza di una speranza. lo stesso senso di giustizia ci obbliga a comprendere le esigenze di sicurezza dello Stato di Israele . uno storico americano contemporaneo ha paragonato la nascita dello Stato di Israele alla ricostruzione del tempio, la cui distruzione precedette la diaspora; un' opera quindi dalle dimensioni etiche e politiche. quarant' anni fa, David Ben Gurion , proclamando lo Stato di Israele , affermava che esso sarebbe stato basato « sui principi della giustizia, della libertà e della pace che hanno insegnato i profeti ebraici » . i veri amici dello Stato di Israele sanno quanto è importante, per esso che inizia il suo quinto decennio di esistenza, mantenere fermi questi principi, la cui osservanza non potrà che rendere più agevole il cammino di Israele sul sentiero non sempre facile dell' avvenire. in questo spirito continueremo anche noi ad adoperarci, con lungimiranza ma con realismo, per contribuire, sorretti dal consenso del Parlamento, ad una soluzione pacifica della controversia mediorientale.