Ciriaco DE MITA - Deputato Opposizione
VIII Legislatura - Assemblea n. 596 - seduta del 14-12-1982
Sulla pena di morte anche con riferimento al caso dell'esecuzione di Derek Rocco Barnabei
1982 - Governo II Amato - Legislatura n. 13 - Seduta n. 770
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , la coscienza nazionale è profondamente scossa dalle notizie sulle vicende spionistiche che vengono dall' est e riguardano, in particolare, trame organizzate in Bulgaria. ogni italiano amerebbe che luce fosse fatta senza timori reverenziali, senza verità di comodo. dobbiamo però dare atto dell' opera e dell' impegno della magistratura e degli apparati dello Stato; un' opera ed un impegno nella lotta al terrorismo che data ormai da lungo tempo, ha ottenuto risultati che sembravano impensabili ed oggi ottiene anche ampio riconoscimento all' estero. l' Italia è da tempo sotto i riflettori di interessi internazionali non limpidi, di manovre di destabilizzazione che il senso di responsabilità delle forze democratiche in saldo collegamento con la stragrande maggioranza dei cittadini è fin qui riuscita a neutralizzare. scoprire che siamo zona di frontiera, crocevia di culture e di interessi molteplici e diversi, occasione di scontro e campo di sperimentazione e di compromesso non può costituire motivo di sorpresa ma semmai premessa per un ragionamento serio, per una ricerca responsabile, per decisioni meditate. le relazioni bilaterali tra Italia e Bulgaria sono indubbiamente messe a dura prova e nulla deve restare intentato perché tutte le responsabilità vengano accertate e ricevano adeguate sanzioni. ma il mondo non finisce a Sofia e del resto molte tracce portano verso altre direzioni che meritano esplorazioni meno superficiali ed emotive di quelle che taluni sembrerebbero suggerire. gli elementi che fino ad ora emergono confermano il sospetto del complotto e la logica che lo ha prefigurato e messo in atto: eliminare con un attentato a Roma il Capo della cristianità del mondo e il riferimento della libertà in Polonia. essere consapevoli della pluralità degli obiettivi dei mandanti del complotto può servire ad indagare con il rigore necessario per prevenire altri imprevedibili iniziative del medesimo segno e per stroncare le attività criminose che si organizzano ai danni di un paese che è al centro di interessi forse da noi per primi non sufficientemente valutati. Aldo Moro, egli stesso vittima di una manovra destabilizzante, non si stancava di sollecitare nelle Aule parlamentari, nelle occasioni diplomatiche e in sedi giornalistiche un' analisi più approfondita della speciale condizione dell' Italia; di un paese cardine della stabilità europea, ma anche più di altri interessato a stabilire nell' area del Mediterraneo e nei confronti di un est sempre meno chiuso e sempre più obbligato a misurarsi con i processi di trasformazione postindustriale dell' Occidente un confronto non protocollare, franco, costruttivo. noi pensiamo che quelle intuizioni, quel guardare ai mutamenti culturali, politici e sociali in continua progressione in zone precedentemente riservate al solo gioco incrociato delle grandi potenze meritino approfondimento e possibilmente iniziative politiche concrete. la stessa idea di Moro, di una conferenza panmediterranea acquista, dopo gli eventi mediorientali e gli stessi gravi interrogativi sulle fonti di approvvigionamento del terrorismo nostrano, una rilevanza speciale che non va sprecata. ciò che preoccupa in questo momento delicatissimo è che si smarrisca il senso delle conquiste pacifiche e dello stesso progresso sociale che relazioni politicamente guidate hanno consentito in Europa e nel Mediterraneo. questo è accaduto e quanto è stato scoperto, che potrebbe celare imprevedibili retroscena, non può e non deve autorizzare altre prove o addirittura strumentalizzazioni frettolose. si rischia di innescare reazioni a catena difficilmente controllabili se non si medita sufficientemente sulle misure pure necessarie da adottare. le forze democratiche non hanno interesse a lasciarsi invischiare in un gioco di ritorsioni che trae origine da un intrigo; il momento internazionale non è tra i più tranquilli, anche se non mancano segni di una più matura consapevolezza, ad ovest ma anche ad est, dell' estrema pericolosità di eventuali nuove fratture. si va infatti prendendo più esatta coscienza che l' alternativa allo scontro è la politica; ed è appunto alla politica ed ai suoi metodi che va ricondotto il confronto internazionale proprio nei momenti più gravi e delicati, come quello che stiamo vivendo, e che dobbiamo perciò affrontare con la freddezza di chi sa di essere dalla parte della ragione. ma le rivelazioni sui torbidi retroscena internazionali e la delicatezza dei problemi di politica estera che dobbiamo affrontare non possono farci dimenticare i gravi problemi interni, che riguardano soprattutto la nostra economia. la consapevolezza della gravità della situazione economica , e non certo una tesi pregiudiziale e schematica, ci porta a indicare in una politica di rigore la terapia necessaria per uscire dalla crisi e creare le condizioni per un nuovo sviluppo della società italiana . solo interpretazioni interessate e devianti possono leggere nelle tesi da noi sostenute una politica di tutela di interessi particolari e privilegiati e non attenta agli spazi sociali deboli. è vero esattamente il contrario: una proposta che, pur di ottenere risultati utili per la collettività nazionale, sfida l' impopolarità temporanea, non può in nessun modo essere arbitrariamente etichettata come una politica conservatrice, contrapposta astrattamente ad una politica che si pretende progressista, e di cui peraltro non si precisano i contorni. queste vecchie mistificazioni non hanno più senso. io non credo che il rigore sia di destra o di sinistra. non era certo di destra Ugo La Malfa , quando si batteva per una politica dei redditi intesa a frenare la spirale inflazionistica; non era di destra la linea comunista, quando l' onorevole Berlinguer sollecitava l' austerità, come dovere civico e come prova di maturità e di responsabilità del movimento operaio . le polemiche al riguardo sono invero singolari: se lo si attenua, si procurano delusioni e dissociazioni critiche; se lo si afferma, si viene classificati di destra; se lo si elimina, si viene tacciati di clientelismo e parassitismo; se vi si insiste, senza lasciarsi fuorviare da interpretazioni strumentali, ci si sente replicare che una politica di rigore non è di per sé sbagliata, ma non è proponibile, perché non ne esisterebbero le condizioni. il rigore, in realtà, non è catalogabile secondo codici tradizionali o neoclassisti; punta a tutelare gli interessi della comunità nel suo complesso, e non a privilegiarne aspetti parziali, secondo gruppi sociali particolari. del resto, una domanda di ordine e di efficienza cresce oggi in ogni settore dell' attività sociale; l' importante è che ordine ed efficienza maturino e si consolidino all' interno delle istituzioni, che non sono sede di dominio di una parte, ma riferimenti e strumenti di partecipazione e di controllo politico, e quindi di garanzia di equilibrio democratico. riserve, perplessità, desideri, intorno ad una linea di rigore possono crescere solo da una visione errata e fortemente inadeguata all' attuale stato di crisi della società italiana , o possono rappresentare ingenue aspirazioni velleitarie in tempi più facili. chi vi insiste, o lo fa strumentalmente, o lo fa perché prigioniero di schemi culturali e politici che l' evidenza della realtà ha reso evanescenti. oggi non siamo chiamati a discutere su come operare per distribuire le risorse: il problema vero, che è affidato alla comune sensibilità e responsabilità di tutte le forze politiche , e non solo di quelle di Governo, è di come rimettere in ordine e rendere efficiente un meccanismo che consenta la creazione di risorse. il rigore non è una scelta tra interessi contrapposti, ma una linea organica per ottenere il riordino dell' economia e delle stesse istituzioni, un metodo di riorganizzazione severa degli apparati statali, un recupero della moralità pubblica e di una nuova coscienza collettiva del valore irrinunciabile dell' interesse comune rispetto ai privilegi ed alle protezioni corporative. la nostra politica dimostra in verità la sola possibile. l' unico dubbio legittimo è se ci siano o no le condizioni necessarie per praticarla; se cioè esista uno schieramento politico disposto a sostenerla fino in fondo. la Dc è pronta a fare la sua parte. a questa nostra proposta non vengono contrapposte e suggerite indicazioni altrettanto precise e nette. si è sempre in attesa di conoscere progetti alternativi ed egualmente concreti; ma intanto bisogna decidere, bisogna governare, non si può attendere che la ripresa maturi spontaneamente e automaticamente, quasi che possa aversi una inversione di tendenza senza una direttiva, senza una guida. d' altra parte, lo stesso dibattito che anima in questa fase la sinistra italiana non sfugge alla logica della realtà. e soltanto posizioni preconcette o troppo sensibili ad interessi elettoralistici impediscono di riconoscere l' inevitabilità della scelta e della politica da noi indicata. non è un caso che nella polemica con Claudio Napoleoni il senatore Chiaromonte, a sostegno delle misure di austerità, sappia esibire un solo argomento di qualche significato politico, ma di nessuna rilevanza sul piano della risoluzione delle questioni in discussione: la non partecipazione del Pci al Governo. un' obiezione, dunque, quella di Chiaromonte, che fa riferimento agli schieramenti e non ai dati reali. il che si spiegherebbe per un partito portatore di una alternativa radicale al sistema, e quindi non interessato alla sua conservazione e alla difesa del meccanismo produttivo. non ha senso però ed è contraddittorio per un partito, che pur si candida all' alternativa democratica, sostenere che quei problemi lo interessano se è al Governo e non lo riguardano se è all' opposizione. la verità è che troppo spesso assistiamo ad un tipo di interpretazione che assegna schematicamente il ruolo di destra anche a chi cerca soltanto di rendere efficiente il sistema economico , non arretrando ma colpendo gli sprechi, i favoritismi, le parzialità. e questo è un altro segnale della povertà culturale che a tratti caratterizza alcuni che pur pretendono di essere costantemente all' avanguardia. la manovra economica, che intendiamo concorrere a realizzare, ha due obiettivi principali: il primo è il contenimento della spesa, o meglio del deficit del bilancio pubblico (oggetto della manovra infatti non è tanto la quantità della spesa, quanto il deficit); il secondo è il controllo dell' incremento del costo del lavoro . questi due obiettivi sono a loro volta condizione indispensabile per il rientro del tasso di inflazione , e quindi premesse per qualsiasi progetto di ripresa. la questione, sulla quale maggiormente si accentrano le polemiche, è quella del controllo dell' incremento dei salari. la discussione non si esaurisce solo sui meccanismi di recupero del salario o della scala mobile , ma certo la questione vera è quella dell' eliminazione del ruolo perverso di moltiplicatore dell' inflazione. bisogna allora chiedersi se in determinate circostanze questo meccanismo, che è funzionale alla conservazione del salario reale, non produca effetti distorti. in secondo luogo, occorre chiedersi quanto questo meccanismo, per come universalmente accettato, si riduca a strumento di appiattimento e non di garanzia delle professionalità. ma la nostra proposta principale non è, come si è detto, di modificare di autorità il meccanismo di indicizzazione, né di sostituire il potere politico all' autonomia delle parti nella definizione di meccanismi migliori. noi siamo solo preoccupati di battere l' inflazione per consentire la ripresa e l' espansione. perciò chiediamo innanzitutto alle parti, non al Parlamento, di accordarsi perché un contenimento sia garantito. le misure sono state indicate: il 13 per cento entro il 1983, al di sotto del 10 per cento nel 1984. garantito questo, è affidata alla libera iniziativa delle parti la definizione delle questioni tecniche in materia di contratto e in materia di ristrutturazione dei salari. questa riteniamo sia la proposta più seria e più utile, perché l' obiettivo garantisce che si arresti l' inflazione e con ciò stesso si creino le condizioni di una possibile ripresa, e perché non limita l' autonomia delle parti, e consente che la discussione sia liberata da una duplice ed opposta tentazione, che pure esiste, o di un assurdo recupero di posizioni di potere da parte degli imprenditori o di un velleitario massimalismo sindacale, che considera il salario una variabile indipendente, e non riesce ad ammettere che un processo di ristrutturazione dell' apparato produttivo del paese non può basarsi sulla immodificabilità del salario. il salario, o meglio, i livelli del salario possono anche essere, oltre che conservati, migliorati, ma all' interno di un processo di ristrutturazione che, consentendo margini di produttività maggiori, permetta nuove distribuzioni di risorse. in questa società, che si è profondamente trasformata e dove le motivazioni tradizionali, anche quelle utili, hanno consumato la loro validità, diventando tutte parziali, occorrono idee nuove, comportamenti nuovi. ci troviamo a volte invece tutti come i protagonisti di quella famosa commedia di Stefano Pirandello, più noto come Stefano Landi, che, liberati dalla propria divisa, non riuscivano a parlare. per parlare avevano bisogno di una divisa. quindi non erano persone, ma divise. allora, chi si vestiva da militare parlava da militare, chi si vestiva da prete parlava da prete. però il dialogo tra loro non era possibile, perché ognuno continuava a parlare della propria divisa. come abbiamo detto, il significato della proposta è volto a conseguire la riduzione della inflazione come condizione per la ripresa e non a sostituire l' autonomia delle parti nella ristrutturazione del salario, anche se siamo convinti che affrontare questo problema diventa sempre più inevitabile. per realizzare questo disegno il Governo chiede alle parti di determinarne le condizioni attraverso un accordo. questo è il senso proprio della proposta del Governo. nasce qui la domanda, che sentiamo emergere dalle diverse osservazioni critiche: che cosa avverrà se le parti non si accordano? questo stesso interrogativo ha alimentato in larga misura le stesse polemiche di stampa quando è stato raggiunto l' accordo di Governo. noi continuiamo ad immaginare che la via più giusta, più utile, più rispettosa dell' autonomia delle parti è quella dell' accordo, perciò abbiamo accompagnato e accompagniamo la proposta con altre indicazioni, quali la fiscalizzazione degli oneri sociali , la manovra sul fiscal drag , una qualificata politica in ordine agli investimenti, per concorrere a creare le condizioni di affidabilità della proposta. vogliamo augurarci, anzi sinceramente ci auguriamo, che le parti decidano di accordarsi. la forza della proposta non sta nell' autorità di chi la fa, ma nel valore dell' obiettivo, il perseguimento di un interesse generale e comune. forse saremo ingenui, ma noi continuiamo a sperare che egoismi, preconcetti, pigrizie, faziosità possano cedere rispetto al fine superiore generale che interessa tutti. diciamo però, non alle parti, ma a noi stessi con altrettanta fermezza che, se questo evento non avesse a verificarsi, il Governo e le forze politiche che lo sostengono hanno il dovere di provvedere. una passività fornirebbe un ulteriore contributo allo sfilacciamento della situazione e, in definitiva, a consolidare la linea perversa dell' inflazione. nel corso della crisi di Governo non sono mancate osservazioni e sollecitazioni di economisti di grande prestigio, di studiosi ed esperti che hanno usato il linguaggio della franchezza per rammentare ai politici che il tempo delle cicale è alle nostra spalle e che misure drastiche sulla spesa pubblica risultano ormai indilazionabili. Luigi Spaventa ha polemizzato con proposte che potessero risultare inique, ha detto senza perifrasi che va affrontato il problema dell' accumularsi ed avvitarsi su se stesso del debito pubblico , un fardello che deve essere drasticamente alleggerito, mentre si metteranno in opera meccanismi di freno per evitare che cresca di nuovo. il professor Sylos Labini ci ha ricordato che le spese rappresentano più di due volte il reddito prodotto, inoltre tendono ad aumentare, ed ha sostenuto addirittura che bisogna avere il coraggio di riformare le riforme, di rifare le leggi approvate al tempo delle vacche grasse perché oggi non possiamo più permettercele, potando — egli sostiene — la giungla delle pensioni e delle liquidazioni, spezzando il nesso di indicizzazioni, legate ai prezzi e non al reddito reale, affidando a comuni e a regioni l' onere di far pagare tasse corrispondenti alle spese che decidono. non sono questi, riteniamo, esponenti di quella nuova destra di cui ha inteso parlare di recente anche Giorgio Ruffolo, come non lo è Guido Carli quando, in linea con quanto affermava in tempi non sospettabili Giorgio Amendola, ci ricorda, cifre alla mano, che la stessa difesa dei redditi nominali attraverso la scala mobile ha prodotto un effetto moltiplicatore della inflazione e quindi la loro erosione. e suggerisce un adeguamento dei meccanismi della spesa pubblica ai livelli del reddito prodotto, nonché di spengere gli effetti moltiplicatori dell' inflazione provocati da troppi rapidi scatti della scala mobile attraverso un solo scatto annuale. se vogliamo essere realisti e non astratti difensori di dottrine economiche inattuali, dobbiamo domandarci allora come sia possibile ridurre oggi in questo sistema, in presenza dei meccanismi attuali, il deficit della spesa pubblica e come controllare l' incremento del costo del lavoro , avendo per obiettivo il rientro del tasso di inflazione , non solo in termini di unità assoluta, ma in termini differenziali tra tasso di inflazione nel nostro paese e quello negli altri paesi industriali, a cominciare dai paesi della comunità europea. oggi non si può non attuare immediatamente una manovra rapida e generalizzata, che può anche apparire indiscriminata, ma che non ha alternative reali ugualmente efficaci nel breve periodo. la manovra proposta dal Governo che costituisce un insieme di tagli di spesa e di aumenti di entrate per ridurre di almeno 15 mila miliardi il disavanzo è l' unica possibile. essa indubbiamente comporta sacrifici non lievi, e noi siamo i primi a chiedere che essi siano distribuiti nel modo più equo possibile. anche sotto questo profilo i due obiettivi proposti sono intimamente collegati, perché a fronte del contenimento per un dato periodo del costo del lavoro , sta l' aumento dell' imposizione fiscale per lo stesso periodo sugli altri redditi. esiste anche un problema di lotta all' evasione, che non va certo sottovalutato per il grande valore morale che contiene, ma esso non può essere sopravvalutato nei suoi effetti economici di breve periodo. in ogni caso, a sgomberare il terreno da false ed ingiuste polemiche sta il fatto che la Democrazia Cristiana ha contribuito alla approvazione di provvedimenti come quello, ad esempio, dei registratori di cassa in questo ramo del Parlamento, e si impegna a favorirne la rapida approvazione anche presso l' altro ramo del Parlamento. nella situazione che viviamo non c' è spazio — ne siamo convinti — per la tutela di interessi particolari: questo deve valere per tutti e nei confronti di tutti. certo, la manovra di politica economica sarebbe immediatamente più efficace se si potesse articolare ancora di più sul versante della riduzione delle spese e non su quello dell' aumento delle entrate, ma dobbiamo. avere una comunque consapevolezza di come sia ormai diventato troppo rigido, anelastico e difficilmente modificabile nel breve periodo il nostro sistema di spesa. questa considerazione offre anzi l' occasione per una riflessione seria su cui dovremo impegnarci. sono personalmente dell' opinione che tutti, qui e nel paese, dovremmo convenire che un processo di ripristino delle condizioni per creare ed accumulare risorse deve essere accompagnato da efficienza e deve essere legato a meccanismi istituzionali che ne consentano l' amministrazione ed una gestione sottratta alla discrezionalità, alla tutela di interessi corporativi, e finalizzata invece all' obiettivo generale della crescita complessiva del paese. la manovra di politica economica va perciò accompagnata con una ristrutturazione dei meccanismi di amministrazione della spesa pubblica . la riflessione deve quindi indirizzarsi sia al rapporto tra spesa pubblica e prodotto interno lordo sia a quello fra spesa pubblica ed efficienza dei servizi. sulla prima questione francamente ritengo alquanto pretestuosa ed inutile la discussione sul rapporto giusto tra quantità di risorse investite nella spesa pubblica e prodotto interno lordo . in tal modo si rischia continuamente di oscillare fra varie elucubrazioni che teorizzano sempre il passato e mai propongono un sistema utile per il presente e l' avvenire. non è del tutto vero, e può essere inoltre pericoloso, limitarsi a sostenere che molte risorse potevano essere destinate alla spesa pubblica quando eravamo in fase di espansione, perché è facile dedurre che, non essendo ora in fase espansiva e non potendo destinare molte risorse alla spesa pubblica , si debba allora sopprimere tutto il sistema dei servizi sociali creati nel nostro paese. il problema vero è un altro. occorre trovare una nuova regola. si dovrebbe, a mio avviso, in primo luogo stabilire che la Pubblica Amministrazione , i pubblici poteri, il Parlamento nella sua sovranità siano in condizione di destinare di volta in volta le risorse facendo riferimento ai bisogni da soddisfare; non quindi un meccanismo automatico di risposta ai bisogni così come nascono, ma un meccanismo che rischia addirittura esso stesso di creare artificialmente nuovi bisogni. la regola nuova dovrebbe dunque consentire di scegliere di volta in volta quei bisogni esistenti, tenendo conto delle risorse disponibili, e fissando criteri di distribuzione di tali risorse secondo scale di priorità non prefissate, ma emergenti dalle singole e diversificate situazioni, dalle organizzazioni di interessi, dalle associazioni spontanee, dalle spinte comunque organizzate che la società esprime. si tratta allora — e questo è il significato della nuova regola — di rompere gli automatismi, e consentire la scelta dei bisogni costruendo un rapporto adeguato tra bisogni ed amministrazione efficiente nelle prestazioni per soddisfarli. il problema non può risolversi in un semplice trasferimento di risorse tra governo centrale ed amministrazioni periferiche, ma esige che la facoltà di spesa sia collegata alla responsabilità di reperire le entrate, o comunque di rapportare le spese alle risorse disponibili. in tal modo si attua non un dover essere astratto, un dovere morale o ideologico, ma una sano principio di responsabilità riferito alla gestione. nell' esercizio di tale responsabilità gli amministratori sarebbero impegnati a fissare una graduatoria della dignità dei bisogni, che variano da comunità a comunità, e quindi non verrebbero ricondotti ad un modulo organizzativo unico e generalizzato. si manifesta qui, a questo punto, l' esigenza di un approfondimento teorico, di un autentico e sereno confronto culturale e politico fra tutti, per analizzare le ragioni profonde di una crisi che investe in qualche modo ogni assetto statuale tradizionale, rilevando dimensioni che trascendono i confini di ogni singolo paese. nasce, cioè, l' esigenza di una riflessione e di un ripensamento sugli schemi che tutti abbiamo finora coltivato e che si rivelano ormai inadeguati a cogliere, ad organizzare la nuova realtà della società moderna. prende, insomma, così a delinearsi il tema della nuova statualità, che va costruita insieme, indipendentemente dai ruoli di ciascuno, superando utopie e culture sempre più anacronistiche ed incapaci di interpretare la nuova realtà. troppo spesso, invece, il necessario e pacato confronto cede il posto a polemiche pretestuose, strumentali, di chiaro stampo elettoralistico. troppo spesso a condizionare la formulazione di frettolosi giudizi sopravvivono vecchi preconcetti, uno dei quali, e forse il principale, è la convinzione — lo dico al senatore Chiaromonte — che la pubblicizzazione dell' attività economica rappresenti di per sé un fattore di progresso sociale , segnando un passaggio obbligato verso il socialismo. ma di quale socialismo si tratta? non rischiano così di sopravvivere tutte le vecchie utopie, le vecchie illusioni, tese a costringere il moto inesausto della storia in rigidi schemi ideologici? e non c' è — mi domando — una profonda contraddizione con una visione diversa, che pure affiora nel dibattito culturale, di un socialismo inteso come lotta per la liberazione dell' uomo? lotta che, come tale, è certo sempre lotta per la libertà dal bisogno, ma anche e necessariamente lotta contro il dominio anonimo degli apparati, l' oppressiva rigidità e lentezza delle burocratizzazioni, gli ostacoli e le limitazioni alle autonomie, alle libertà, allo spontaneo organizzarsi di associazioni e di interessi. certo, le versioni storiche di socialismo, da quelle del cosiddetto socialismo reale a quelle proprie del riformismo (le prime in maniera totalizzante e soffocante, le seconde in misura parziale e ridotta), hanno dato risposta alla domanda di protezione delle posizioni sociali più deboli, prevalentemente in termini di pubblicizzazione del servizio o dell' attività economica, immaginando che la sottrazione della gestione dei servizi al mercato fosse condizione per risolvere in maniera più giusta, se non addirittura in maniera più economica, la domanda di protezione dei deboli. ma questa concezione, e le impostazioni che vi sono collegate, sono ormai in crisi. è vero che oggi siamo come stretti in una tenaglia tra chi, denunciando l' insufficienza di quelle risposte e non proponendo alcunché di positivo, in pratica finisce per postulare un ritorno all' indietro e chi, non volendosi arrendere — giustamente — a questo riflusso, oppone un rifiuto netto quanto acritico. ma il rifiuto di accettare la realtà non è una buona politica, non offre spazi di iniziativa agli interessi meno protetti e più deboli, non è nemmeno una politica di attesa, perché nel frattempo la situazione volge e crea nuove e diverse condizioni nella società. il problema che è dinanzi alla riflessione di tutti non è tornare indietro, ma come andare avanti e come non arretrare rispetto a certi livelli conseguiti, ma innovando, migliorando, introducendo rigore ed efficienza senza parzialità di gestione. in un sistema libero, democratico, civilmente avanzato, il dato nuovo che emerge è il rifiuto della continua espansione di apparati onnipresenti ed inefficienti e della conseguente occupazione delle strutture pubbliche da parte dei partiti. le varie istituzioni sociali, le organizzazioni di interessi, i sindacati, le associazioni volontarie, in una parola il sistema delle autonomie in cui si articola la nuova società pluralistica sono naturalmente i portatori dei bisogni, delle domande della società civile . le forze politiche dovrebbero esserne gli interpreti, le istituzioni politiche la garanzia. nella nuova società essenziale non è la tutela amministrativa , la pubblicizzazione degli strumenti di soddisfazione dei bisogni, ma la garanzia del soddisfacimento dei bisogni. nella sanità come nella scuola e come in altri servizi, non immaginiamo perciò ritorni al passato che lascino indifeso il titolare del bisogno fruitore delle prestazioni. è necessario anzi che a tutti siano realmente garantite le possibilità di curarsi, di andare a scuola, di fruire liberamente dei servizi. ma è altrettanto importante assicurare che la prestazione sia fornita da chi la organizza in termini di maggiore efficienza. in tal senso il mercato e la concorrenzialità vanno recuperati dal punto di vista dell' offerta, per così dire, e non della domanda. si tornerebbe indietro se si smantellasse l' assetto pubblico per ripristinare un indiscriminato incontro ed un equilibrio spontaneo tra domanda ed offerta. l' ipotesi è invece che si organizzi la domanda e che come tale la si protegga, lasciando libera l' offerta. non possiamo continuare a credere, ad esempio, che gli ospedali debbano essere organizzati sul presupposto che la pubblicizzazione del servizio li renda efficienti. né possiamo tanto meno seriamente ritenere che funzionerebbero meglio solo se mutasse il colore politico dei loro gestori. occorre rendersi conto che è l' inefficienza che dissipa risorse, rischiando di portare lo Stato al collasso, ed ha come corrispettivo l' insorgere di un mercato privato sia dal punto di vista della domanda sia da quello dell' offerta. per curarsi e non cadere preda del disservizio e dell' inefficienza, gli ammalati corrono nelle cliniche private, chi può va all' estero, si crea una situazione molto grave, il cittadino viene privato di tutela, si crea di fatto un doppio mercato: a quello pubblico, tutelato ma inefficiente, si affianca un mercato privato di per sé esoso, perché affidato a pratiche che sfuggono ad ogni controllo o intervento pubblico. se vogliamo correggere queste disfunzioni ed evitare questi rischi, dobbiamo coraggiosamente rivedere le vecchie impostazioni che fanno riferimento agli strumenti, rovesciarle e fare invece riferimento ai bisogni. si dirà che queste mie considerazioni sanno un po' troppo di liberal. l' accusa non mi spaventa se il termine viene assunto nel significato con cui Benedetto Croce lo richiama nella sua Storia d' Europa ponendolo in contrapposizione al concetto di servil. perché in fondo di questo si tratta, di una attenzione costante alla domanda di libertà che muove la storia e sola ne segna il progresso. libertà dal bisogno, certo, ma anche libertà dal peso degli apparati, dall' invadenza delle burocrazie, dall' eccesso delle discrezionalità, dalla pratica delle corruzioni, dalla inefficienza delle prestazioni. libertà perciò non solo di singoli ma di gruppi, di sindacati, di associazioni, di organizzazioni di interessi diversi. libertà quindi che esalta le autonomie, che corrisponde al pluralismo della società civile , recuperando in questo — mi sia consentito di dirlo — l' intuizione feconda e propria del patrimonio culturale e dell' impegno originario dei cattolici democratici. in questo senso, l' impegno liberal si identifica col patrimonio culturale del cattolicesimo democratico e si sposa col nostro popolarismo, con la nostra visione del popolo non come massa ma come ricca e variegata manifestazione di interessi, di idee, di bisogni cui deve essere garantito lo spazio di autonomia e libertà per affermarsi ed espandersi. il nostro popolarismo, praticato nella coscienza dei democratici cristiani e costante della loro politica, non ha mai avuto una caratterizzazione classista e non si è mai identificato col pauperismo, ma ha avuto ed ha un significato di riferimento agli interessi generali di un popolo che ha scelto la democrazia. nei nostri programmi, nella nostra azione politica, la povertà è tutelata più come domanda di libertà che come desiderio di ricchezza o di consumismo. ciò spiega come il discorso sulle nuove povertà di cui, come politici responsabili, avvertiamo tutto il peso, non ha tanto e solo pregnanza economica, ma ha essenzialmente una rilevanza politica; nelle nuove povertà individuiamo nuovi bisogni emergenti ed una crescente domanda di libertà, in settori che ne sono in parte privi e non sono protetti né garantiti: non solo le unità marginali della società, ma i non privilegiati, gli esclusi dalle protezioni sociali e dai processi produttivi garantiti, danno corpo a queste nuove povertà che, in quanto tali, sono private degli stessi titoli di cittadinanza politica e sociale di cui gli altri ceti, protetti e garantiti, godono. a queste realtà, a quegli interessi popolari e generali che non riescono ad affermarsi a causa di troppe separazioni corporative prodotte dal burocratismo e dall' inefficienza, intendiamo dare soddisfazione; al bisogno diffuso di ordine e di certezza che da essi promana, intendiamo dare una risposta in positivo: è questo il discorso sulla nuova statualità che ci interessa realizzare, nella libertà e nelle istituzioni, con una moralità ideale e comportamenti che non derogano dinanzi alla legge del più forte o del più protetto. altro che ritorno all' indietro: puntiamo ad un coraggioso salto in avanti, ad una nuova e più marcata stagione della democrazia! in questa visione si ripropone in modo proprio il ruolo stesso della politica e dei partiti, che debbono abbandonare le pretese totalizzanti e la conseguente tendenza ad occupare e lottizzare il potere; lungo questa linea, le forze politiche possono invece rinnovare e ripristinare il loro rapporto con la società e le istituzioni, riguadagnando il ruolo di interpreti dei bisogni e dismettendo le pratiche di invasione e spartizione degli apparati. a creare la crisi che viviamo ha concorso, inoltre, un altro sistema di preconcetti che riguarda il tipo di partecipazione che si è voluto introdurre nel sistema istituzionale. la denunzia della crisi di partecipazione, emersa particolarmente dal 1968 con la contestazione, ha ricevuto una risposta sbagliata perché, venute meno le culture di mediazione tradizionali, ci si è illusi che la terapia potesse trovarsi nell' allargamento della gestione del potere in una sorta di assemblearismo. le deviazioni sono state inevitabili: si tendeva a valutare tutti allo stesso modo, perché ciascuno riteneva di poter alla fine imporre il proprio giudizio; si allargava, cioè si lottizzava l' amministrazione del potere ma, invece di recuperare omogeneità ed efficienza alle strutture ed alle stesse istituzioni, se ne affrettava il degrado, creando con ciò stesso condizioni di inefficienza e di paralisi; si esponeva il sistema ad una crisi inevitabile, anche se non esattamente prevedibile nei suoi tempi di esplosione. ora siamo dentro questa esplosione e dobbiamo cercare di uscirne, non seguendo schemi di riferimento in culture ed ideologie e pratiche politiche che hanno fatto il loro tempo, ma tentando di trarre giudizi ed indicazioni dall' analisi, più che dal pregiudizio e dal luogo comune . certo, non si esce dalla crisi inventando altri schemi di comodo come, ad esempio, quelli che affiorano dietro le polemiche sulla cosiddetta nuova destra. Norberto Bobbio mette in guardia dal fascino delle novità interpretative come quelle che portano certa cultura tradizionale italiana di destra a scoprire di colpo Gramsci, o certi intellettuali d' avanguardia a rifiutare la divisione stessa fra destra e sinistra. ha ragione a richiamare tutti alla regola della democrazia, rammentando che chiunque, da qualunque parte provenga, ove metta in discussione il principio che la democrazia è rispetto del diritto della maggioranza, automaticamente si colloca dentro ideologie autoritarie, siano esse definite di destra o di sinistra. la verità ed il rischio, come evidenzia la migliore cultura storiografica, stanno nel fatto che tutte le volte che una società non ha più riferimenti e smarrisce i valori che presiedono alla convivenza, tutte le volte che il desiderio di ordine si esprime come pura esigenza, l' ordine concreto diventa quello passato e la logica operativa diventa quella della restaurazione. la crisi che ci coinvolge suscita tentazioni di un processo liquidatorio della regola democratica in quanto giudicata regola inutile, ma la democrazia non viene rifiutata perché lenta. quando essa è lenta è utile, quando consegue gli obiettivi che tutti ci prefiggiamo; la democrazia rischia di essere liquidata quando, oltre che lenta, la si giudica inutile. ciò avviene quando la ricerca del consenso non è finalizzata, quando non sono chiari gli obiettivi sui quali si chiede l' approvazione popolare: l' efficienza accompagnata dal consenso è la formula che rende viva la democrazia, il contrario ne segna la decadenza. non sottovalutiamo certi fenomeni. che questo tipo di valutazione sia già presente nella società nazionale è un dato purtroppo vero. riferimenti da analizzare ve ne sono in abbondanza: da una parte è per esempio comune la valutazione della non funzionalità dei meccanismi istituzionali, dalla altra parte vi sono da molti anni comportamenti elettorali implicanti un fenomeno costante, crescente e preoccupante con una duplicità di manifestazioni che chiamiamo di disaffezione — espresse dal voto bianco e dalle astensioni — e di... chiedo scusa al presidente della mia scarsa conoscenza del regolamento; comunque, se il mio intervento dovesse continuare a braccio, inevitabilmente i tempi si allungherebbero. siamo dunque in presenza di un fenomeno complesso di dissociazione tra la logica, che evolve i comportamenti reali all' interno della società, ed il tentativo di interpretazione di questo fenomeno, che le forze politiche fanno con riferimento più alle ideologie o alle culture tradizionali, anziché, con uno sforzo reale e sereno, alla realtà. sta in questa difficoltà, a mio avviso, il rischio maggiore che corre la nostra democrazia. il problema che si pone alla nostra responsabile considerazione è quello di contribuire alle emergenze che di volta in volta si avvicendano e si accumulano. bisogna contribuire a ricreare affezione alla democrazia in tutte le fasce della società nazionale, a collegare agli istituti di libertà e di democrazia nuove aree di popolo, in particolare le leve giovanili, ed infine il problema è come farlo in presenza di una crisi che non richiede più confronti di ipotesi, ma scelte decise e rapide. per questo il nostro comune impegno deve essere rivolto alle strutture ed alle istituzioni, alla costruzione di nuove regole nelle quali cittadini, forze sociali e partiti si possano riconoscere, dividendosi poi sul terreno proprio dei giudizi politici o dei conflitti di interessi . visto in questa chiave di ampio respiro strategico, il processo di uscita dalla crisi, di risanamento e modifica delle strutture esige tempi lunghi; bisogna tuttavia cominciare subito avviando fin d' ora il lavoro di recupero e di ripresa a partire dalla situazione economica . si colloca qui la funzione ed il ruolo di questo Governo, che deve costituire perciò un momento importante nella costruzione di quella strategia complessiva; non avremmo mai impegnato in questo Governo alcune delle nostre più prestigiose esperienze ed alcune delle nostre nuove energie se non fossimo convinti della necessità di por mano e subito, con determinazione e chiarezza, all' opera di risanamento. non c' è spazio per sopravvivere comunque, dilazionando lo scioglimento dei nodi che ormai sono giunti al pettine. anche per questo abbiamo particolarmente apprezzato nel discorso programmatico del presidente Fanfani l' indicazione precisa e datata di scadenze, l' essenzialità e la concretezza delle proposte, la chiarezza degli impegni assunti che — vogliamo crederlo — coinvolgono lealmente e senza riserve tutti i membri dell' Esecutivo. il ruolo e l' importanza di questo Governo sono legati all' esigenza, riconosciuta da tutte le componenti della maggioranza, di governare l' uscita dalla crisi economica . su questo impegno immediato, e sulla prospettiva di rilancio di una strategia democratica, nasce un rapporto reale di collaborazione dialettica assai costruttiva con il partito socialista ; si sono rinsaldati i preziosi rapporti di collaborazione con il partito socialdemocratico e definitivamente recuperati quelli con il partito liberale . quanto ai repubblicani, che con l' impegno del loro segretario hanno retto la guida della cosa pubblica in un momento di difficoltà tra i partiti e la maggioranza, vogliamo pensare che essi abbiano scelto l' attuale parziale disimpegno come il modo più adeguato, nelle presenti contingenze, per definire e comporre il medesimo disegno. si è discusso se il programma di questo Governo sia limitato, parziale, o sia invece completo; ci si è chiesti se esso avrà la forza ed il tempo per realizzarlo. il Governo, come tutti i governi, non è legato a termini prestabiliti che sarebbero oltretutto costituzionalmente scorretti; i governi durano per il tempo che riescono a mantenere valida la propria capacità di governare avanzando proposte che trovano supporto parlamentare, esercitando una gestione che il Parlamento ed il paese approvano, assumendo responsabilità che nello stesso momento siano punti di Governo e riferimento per la pubblica opinione . quest' ultima deve essere chiamata a valutare la politica con questi riferimenti, non sulla base di emozioni o di assordanti propagandismi, poiché diversamente la crisi dei rapporti politici si aggraverebbe ulteriormente, senza creare riferimenti più certi e solidi per il futuro. da tempo siamo entrati in una condizione che rende inevitabile l' avvicendarsi di crisi ministeriali: anche questo Governo nasce da tali condizioni, ma esso nasce anche all' interno di un' altra logica, quella di una risposta politica ai problemi della società, dove il rapporto con l' opposizione non si pone in termini di consenso per l' allargamento della base di sostegno del ministero, ma in termini di competitività tra forze alternative per rispondere meglio ai problemi del paese. lo scontro non può essere accettato su giudizi apodittici, moralistici o avveniristici: il rapporto tra maggioranza ed opposizione, come fatto costruttivo, può e deve avvenire secondo una capacità di proposta di un disegno generale e di risposta alla crisi che dobbiamo governare. nel disegno da noi indicato di elevazione reale, e diffusa delle condizioni economiche dei cittadini, come risposta alla loro domanda di libertà e di paritetica cittadinanza con gli altri soggetti della comunità nazionale, si creano e si sviluppano le condizioni dell' alternativa. non si tratta di un furbesco espediente per recuperare comunque una primazia alla Democrazia Cristiana o al partito comunista , ma è un tentativo serio, benché rischioso, di guardare ai problemi della nostra società e della nostra epoca non con calcoli meschini, visioni provinciali o obiettivi di basso profilo. su questo, su un disegno di grande respiro democratico e di riequilibrio generale del paese, al di là di schematismi e di pregiudiziali classiste, è e si sente impegnata la Democrazia Cristiana . l' alternativa non è una concessione ad altri, né un tardivo riconoscimento degli apporti dell' intera sinistra italiana alla conservazione di equilibri democratici in Italia. l' alternativa è una sfida al Pci ed a tutte le forze politiche a liberarsi di ogni mitologia, di ogni schematismo, di ogni parzialità ed a scoprire, qui e subito, una proposta di Governo per dominare la crisi che viviamo. senza l' illusione di trovare risposta nella inutile opzione « capitalismo-socialismo » , ma nella conservazione del sistema democratico e delle sue istituzioni di libertà. e allora, questo Governo, nel suo disegno, non può essere ricondotto agli schemi del vecchio centrosinistra o ad altre più o meno improvvisate e riduttive interpretazioni. questo Governo è un momento, importante e significativo, che trascende gli stessi suoi riferimenti temporali. esso va visto per il ruolo che avrà nella costruzione di questo disegno di riordino delle condizioni generali del paese, verso l' alternativa, verso la democrazia compiuta. ognuno potrà e dovrà fare la propria parte, secondo l' originalità di ciascuna posizione ideale e politica, secondo la storia che si porta dietro e che ne caratterizza e qualifica l' identità nel campo dei partiti democratici. la scelta dell' alternativa democratica e non di sinistra del Pci sarebbe un miope e maldestro espediente all' interno di una pura logica di potere, se non si facesse carico di questi problemi con l' ambizioni di risolverli. la collocazione del Pci nella sinistra storica italiana porta ad escludere involuzioni e smarrimenti. ma resta la preoccupazione per una insufficienza, culturale prima ancora che politica, che i comunisti manifestano quando si attardano a valutare il dramma economico che viviamo con schemi interpretativi obsoleti o come semplice prodotto di cattive volontà politiche di questa o di precedenti maggioranze di Governo. occorre, invece, farsi tutti carico della parte che ciascuno ha avuto, in maggioranza o all' opposizione, nel dare peso prevalente agli interessi protetti e chiusi e nel sacrificare, nelle analisi e nelle scelte politiche, ciò che di diverso e di nuovo i cambiamenti da noi stessi prodotti andavano ad introdurre nella realtà da noi stessi prodotti andavano ad introdurre nella realtà sociale nazionale. in questo quadro, la nostra è tutt' altro che una scelta moderata, non popolare, appiattita su questo o quell' interesse particolare. chi ragione così mostra di non possedere una percezione esatta della realtà che muta, mostra di non comprendere lo sforzo che questa forza democratica e popolare, che è la Democrazia Cristiana , cerca di compiere per dare certezza ai bisogni nuovi che vivono ed animano la mutata realtà italiana. chi ragiona così non ha consapevolezza reale della crisi e dei soggetti che si dibattono al suo interno, sopravvive su antiche speranze e su appassite utopie ma non contribuisce a fare evolvere la società. noi ci sforziamo di capire i fenomeni di trasformazione che si infittiscono nella comunità nazionale. cerchiamo di individuare le tendenze, le direzioni di marcia e di correggere ciò che rischia di sfuggire ad un controllo democratico. siamo attenti al rapporto bisogni-libertà-istituzioni e intendiamo lasciarlo maturare ed evolvere con un ulteriore arricchimento del metodo democratico e del sistema degli equilibri di libertà, che corrisponde, in ultima analisi, alla domanda che viene rivolta, da anziani e giovani, ai partiti fondatori dello Stato postfascista: di ispirarsi alle radici ideali di ieri per costruire un futuro in cui ciascuno si senta garantito e partecipe. con questa visione delle cose e nel perseguimento di questo disegno strategico, votiamo, con convinzione e con impegno di piena solidarietà, la fiducia al Governo.