Giovanni SPADOLINI - Deputato Opposizione
VIII Legislatura - Assemblea n. 583 - seduta del 12-11-1982
Sulla situazione nel Libano
1982 - Governo I Craxi - Legislatura n. 9 - Seduta n. 38
  • Comunicazioni del governo

onorevole presidente , onorevoli Deputati , è la terza volta, nell' arco di pochi mesi, che mi presento in Parlamento per riferire sulla condizione politica del Governo. ai primi di luglio affrontai al Senato il nodo della disdetta della scala mobile da parte degli imprenditori pubblici; poche settimane più tardi mi sottoposi, in entrambi i rami del Parlamento, al dibattito sulla fiducia del secondo gabinetto da me presieduto. la quasi-crisi di luglio, la crisi di agosto sono altrettante manifestazioni di quel malessere profondo, che continua a gettare lunghe ombre sulla vita politica nazionale, e che è all' origine del critico momento su cui siamo chiamati oggi a pronunciarci, dopo le dimissioni rassegnate con decisione unanime dal mio secondo Governo, per esplicito invito del presidente della Repubblica , cui aderisco in spirito di assoluta deferenza, nella coscienza del raccordo irrinunciabile tra Parlamento e Governo e nella pari coscienza del pericolo di ogni crisi extraparlamentare . malessere profondo ho detto, un disagio che nulla risparmia in questi anni di così grande ed intenso travaglio che si riflette nelle tensioni spesso laceranti tra le forze politiche , interpreti di inquietudini e di sentimenti che è nostro dovere amalgamare e ricomporre entro un quadro unitario e coerente. finché possibile. è un compito questo cui non ci siamo sottratti in questi oltre sedici mesi ed è in tutto e per tutto ai doveri ed alle responsabilità del difficile governo cui siamo stati chiamati. abbiamo indirizzato la nostra azione alla ricerca paziente e tenace, che oggi qualcuno con leggerezza ci rimprovera, di un punto di equilibrio corrispondente agli interessi del paese all' interno di un quadro di maggioranza che, a giudizio dei più, non conosceva e non conosce alternativa. tale punto di equilibrio è stato identificato, per la politica economica , nel disegno di risanamento e di rigore rappresentato dalla legge finanziaria per il 1983 e dai decreti ad essa connessi. altrettanti strumenti volti a fronteggiare una situazione di estrema gravità corrispondente alla severa diagnosi delle difficoltà economiche della « casa-Italia » , confermata nella relazione previsionale e programmatica presentata dal titolare del dicastero del bilancio ed approvata in sede di Consiglio dei ministri . la difesa intransigente della manovra di rigore e delle compatibilità finanziarie in essa racchiuse, ha coinciso, da fine luglio ad oggi, con la salvaguardia di un essenziale rapporto di solidarietà politica, da consolidare e non da disperdere attraverso scelte volte sempre a tener conto della complessità di una coalizione fondata sulla compresenza di forze cattoliche, di forze socialiste e di forze di democrazia laica. lo ripeto: finché tale salvaguardia sia possibile. in questa chiave, ed in nessun' altra, va correttamente interpretata la soluzione della crisi che nell' agosto scorso aveva lacerato la maggioranza a cinque, soluzione che aveva — lo riconosciamo — aspetti paradossali. la compagine del Governo precedente fu mantenuta tale e quale, ma al complesso dei provvedimenti economici fu accompagnata un complesso di prospettati rimedi istituzionali. non si trattò di una concessione opportunistica o contingente, ma di una riflessione profonda che avrebbe dovuto accomunare le forze politiche della maggioranza nel solco della elaborazione che aveva caratterizzato il Governo precedente. il carattere istituzionale del Governo, i suoi doveri ed i suoi limiti erano stati al centro della prima esperienza ministeriale da me presieduta. non occorre che ricordi le parole pronunciate nel luglio 1981 presentando il Governo: il tema della collegialità ministeriale e quello dei rapporti tra l' Esecutivo e le forze politiche dominarono le scelte sulle quali fu redatta la prima mozione motivata di fiducia. quanto alla seconda il tema istituzionale fu addirittura caratterizzante della svolta politica che si realizzò nel secondo Governo da me presieduto e che ha visto esaurita il 31 ottobre scorso una feconda fase preparatoria in Parlamento, grazie all' impegno dei presidenti delle due assemblee (che vivamente ringrazio) e grazie all' azione opportunamente congiunta dei gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione. il primo dei dieci punti che costituivano il decalogo istituzionale su cui si è ricostituita in agosto la maggioranza a cinque convergente sui punti di raccordo interno ed internazionale, riguardava proprio i poteri del presidente del Consiglio ed i temi della collegialità di Governo attraverso la riaffermazione di un « comune impegno da parte dei partiti della coalizione nello spirito dell' articolo 49 della Costituzione circa il pieno rispetto nel processo di formazione del Governo di tutte le regole costituzionali che lo disciplinano » . il terzo punto indicava, nel progetto di legge sulla Presidenza del Consiglio già sottoposto all' esame del Parlamento, lo strumento essenziale dell' unità e della omogeneità del gabinetto in attuazione dell' articolo 95 della Costituzione, tale da garantire la effettiva direzione della politica generale del Governo non meno che la piena esplicazione di una corretta collegialità. in un governo di coalizione , di coalizione così vasta e multanime, in un Governo che si era qualificato di emergenza per la difesa della Repubblica e tale è sempre rimasto nella sua ispirazione originaria mai smentita, salvaguardare il potere del presidente del Consiglio di dirigere la politica nazionale significava in partenza assicurare le condizioni elementari della governabilità. la conferma dei ministri economici obbedì ad un atto di coerenza con la linea scelta nella seconda metà di luglio, dopo la crisi evitata per miracolo sulla disdetta della scala mobile per le aziende pubbliche, allorché fu deciso il varo di una legge finanziaria con un complesso di deleghe volte a ridurre le voragini paurose della spesa pubblica soprattutto nei campi della sanità e della previdenza. si ritenne di evitare semplici sostituzioni di uomini e si pensò di poter contare sulla fine della conflittualità che aveva reso così difficile la navigazione del primo Governo proprio attraverso una azione di corresponsabilità ministeriale affidata alla continuità. onorevole presidente , onorevoli Deputati , dobbiamo riconoscerlo, e non senza amarezza: in questi mesi, e soprattutto nell' ultimo, la conflittualità non si è affatto attenuata pur in presenza di una situazione economica e finanziaria sempre più grave, ma ha assunto forme endemiche, fino all' ultimo scontro pubblico e clamoroso, per i toni usati e per la materia di discussione — niente meno che la credibilità dello Stato debitore — tra il ministro delle Finanze ed il ministro del Tesoro . su questa polemica, che ha innestato il meccanismo di crisi politica in atto, culminata nelle dimissioni unanimemente condivise dal Consiglio, che ho rassegnato nelle mani del presidente della Repubblica , voglio dire una parola chiara. nell' ultimo Consiglio dei ministri del 29 ottobre il presidente del Consiglio si era rivolto a tutti i colleghi di gabinetto e in particolare ai ministri economici, per raccomandare la massima prudenza durante il suo soggiorno negli USA. data la delicatezza e la complessità della materia, che investe anche temi economici, cioè anche il complesso delle relazioni commerciali fra est ed ovest, chiesi un impegno formale a non fare dichiarazioni che potessero indebolire la linea del Governo. non ci furono obiezioni da parte di nessuno; l' invito del presidente fu accolto. dico subito che è per me penoso dover puntualizzare fatti che hanno anche un risvolto personale e quindi devo innanzitutto dire ai ministri Andreatta e Formica che la stima e il rispetto personale che ho per loro e per le loro posizioni politiche e culturali non sono minimamente in gioco. ma, al di là delle valutazioni personali, ci sono valutazioni che coinvolgono interessi, che i giuristi chiamano indisponibili, che non sono né mie, né loro e neppure di tutti noi, ma appartengono all' assetto pubblico del Governo e dello Stato. queste valutazioni sono tutte racchiuse nell' elementare principio per cui un collegio di Governo non può sopravvivere, non dico a furibonde liti personali, ma neanche ad una dialettica che preminentemente si svolga o si alimenti al suo esterno. i collegi, i consigli, nascono e vivono proprio per incanalare entro di essi, per istituzionalizzare e razionalizzare nel loro seno atti, giudizi, opinioni che altrimenti non avrebbero terreno di incontro né sintesi dialettica. portare fuori dai collegi istituzionali, per i ministri portare fuori sistematicamente dal Consiglio dei ministri i loro scontri, esacerbati dal clamore di stampa e di pubblica opinione , significa semplicemente negare l' istituzione collegiale, ancora prima che umiliare i poteri costituzionali di chi è chiamato a presiederla. si è detto: tante altre polemiche sono avvenute, con questo e con precedenti governi, tanti altri scontri sono passati senza che avvenisse nulla e anche questo si poteva comporre... no, questa volta c' era una ragione insuperabile per la gravità dello scontro e della materia del contendere, per il momento in cui esso è avvenuto — il presidente del Consiglio ed il ministro degli Esteri fuori d' Italia — per i riflessi sull' opinione pubblica e per le preoccupazioni espresse in tutti i luoghi istituzionali responsabili. il fatto diviene emblematico di una prassi che tende ad essere distruttiva del principio di collegialità di Governo e dei poteri di coordinamento del presidente del Consiglio . e tuttavia dico che questa volta anche se si poteva, non si doveva comporre. perché comporre, facendo finta di niente o, come altre volte è avvenuto, dando un' interpretazione minimizzatrice di fatti che la gente, che non è sciocca né cieca, aveva perfettamente inteso, avrebbe significato un azzeramento di credibilità non tanto per questo Governo, quanto per quelli futuri, non tanto per il presidente del Consiglio in carica , ma per quelli che lo seguiranno. ancora valori indisponibili, dunque. tanto più che, voi lo sapete, il principio della collegialità di Governo, nella sua specifica componente dell' autocontrollo delle dichiarazioni dei ministri fuori del Consiglio, ha rappresentato una costante preoccupazione di questo Governo e di quello che lo ha preceduto. era già una grave preoccupazione nel luglio 1981, se dovetti inserire nelle dichiarazioni programmatiche una frase come questa: « un altro richiamo debbo fare, e con estrema fermezza, all' articolo 95 della Costituzione: quello che presidia la salvaguardia dell' unità di indirizzo politico ed amministrativo del Governo. questa unità che, secondo Costituzione, viene promossa, tutelata e, quando occorre, ristabilita dal presidente del Consiglio , è la premessa inderogabile dell' opera che noi stiamo per intraprendere. la nostra formula di Governo si affida ad un equilibrio tra unità e collegialità, tanto più delicato quanto più ampio è il concorso di forze che abbiamo realizzato » . e ribadii nella mia replica al Senato il 9 luglio 1981: « spetta d' altronde al presidente del Consiglio , da parte sua, garantire l' unità di indirizzo politico-amministrativo del Governo, collegato all' articolo 95 della Costituzione come premessa inderogabile della stessa azione governativa; ed è dovere indeclinabile del presidente del Consiglio tutelare e, quando è il caso, ristabilire tale unità contro ogni dispersione e contro ogni contrapposizione fra ministri. a tale dovere intendo attenermi in ogni circostanza » . « anche questa formula di Governo — aggiungevo nel luglio 1981 — si sorregge su un equilibrio di unità e collegialità, in vista di indirizzare tutte le energie e gli sforzi verso la realizzazione del programma comune » . continuava ad essere una preoccupazione quando il 30 aprile 1982 approvammo il disegno di legge sulla Presidenza del Consiglio , nel quale, pur nella versione più prudente, dopo la discussione che ne avemmo in Consiglio, comparve una prescrizione come questa: « il presidente del Consiglio concorda preventivamente con i ministri interessati le pubbliche dichiarazioni che essi intendono rendere ogniqualvolta, eccedendo la normale responsabilità ministeriale, possano impegnare la politica generale del Governo » . poco tempo dopo, al Senato della Repubblica , di fronte all' esasperarsi del fenomeno, l' 8 luglio scorso, auspicando la creazione di una prassi costituzionale in tema di corresponsabilità ministeriale (è noto che il principio di revoca dei ministri non è previsto dalla nostra Costituzione, e la discussione nella dottrina è, come voi sapete, ampia, complessa e di difficile decifrazione), aggiungevo che « la situazione è troppo seria e l' esperienza è stata troppo amara per il presidente del Consiglio per consentire che abbiano impunemente a riprodursi anche per i futuri governi e per i loro presidenti i casi che ad intervalli si sono purtroppo verificati » . preoccuparsi del fatto istituzionale (che noi giudichiamo essenziale e comunque imprescindibile) non vuol dire eludere gli altri problemi, ma significa precisamente affermare che, se non c' è ordine istituzionale, rispetto, collaborazione, in seno al Governo, anche gli altri problemi sono pregiudizialmente di impossibile soluzione. ecco perché, onorevole presidente , onorevoli Deputati , ho detto ieri al Consiglio dei ministri , e ripeto qui alla Camera, che anche a me, giudicato mediatore, e comunque convinto che in un governo di coalizione l' arte della mediazione sia irrinunciabile, sono venuti meno i margini della mediazione, essendosi trasferito il fatto, per i suoi contorni e per la sua natura, dal terreno politico a quello istituzionale. dunque, ho dovuto porre la questione nei termini irreversibili in cui in questi giorni li ho mantenuti e li mantengo, fino alle dimissioni collegiali del Governo, per confermare, con la mia estrema mia obbligata reazione, la validità delle regole di collegialità e di corresponsabilità dei ministri, la natura non feudale del Governo della Repubblica, i poteri costituzionali del presidente del Consiglio . onorevole presidente , onorevoli Deputati , non si dica che i problemi sono altri. il problema dei rimedi per la crisi economica è intimamente connesso, vorremmo dire anzi che è inseparabile dal tema dei rimedi istituzionali. del resto, su questo si era ricostituito il Governo. se non si mantiene l' unità di indirizzo politico dell' Esecutivo, se non si trova un minimo comune denominatore , viene frustrato lo sforzo di riavvicinare posizioni distanti, quale compete, e non può non competere, nonostante la retorica e l' ironia che si fanno in materia, al capo di un governo di coalizione , particolarmente in un regime dalla storia complessa, come quello italiano, caratterizzato dall' esistenza della proporzionale e da tutte le esigenze che la proporzionale pone di mediazione e di punti di equilibrio da realizzare. non si tratta di questioni procedurali, ma di questioni politiche. non a caso — non ho difficoltà a riconoscerlo — lo scontro tra i due ministri si è innestato su una divaricazione di posizioni rispetto anche agli emendamenti da introdurre ad una legge finanziaria che appare ogni giorno più insufficiente rispetto all' aggravamento dei problemi economici del paese negli ultimi quattro mesi. e se contrasti ci sono, sulle scelte economiche o su altro, essi vengano fuori nelle sedi istituzionali proprie, e non in estemporanee polemiche di stampa. questo Governo ha scelto una linea di rigore, di risanamento e di giustizia. ogni giorno che passa deve essere accentuato il rigore, perché risanamento e giustizia non sono difendibili al di fuori di una linea di estremo rigore, di conseguente severità, di tagli risoluti alla spesa pubblica , di resistenza a tutte le vocazioni particolaristiche e a tutte le pressioni corporative. noi riaffermiamo in questa sede, solennemente, che non c' è avvenire per il paese se non si decide di impostare una linea che si muova nel solco della legge finanziaria e ne sviluppi e approfondisca i contenuti, in un senso non demagogico e non velleitario. come Governo ci vantiamo di aver tenuto vivo per un anno e mezzo il dialogo con le parti sociali , senza rotture traumatiche, alla ricerca costante del consenso che in una società pluralista e democratica come la nostra non ha alternative. ma anche su questo terreno dobbiamo constatare che il malessere si è accentuato, che il travaglio del movimento sindacale ha raggiunto forme che esigono un ripensamento delle forze politiche . nessuna suggestione autoritaria o di interventi autoritari, che è estranea alla nostra tradizione, ma assunzione e chiarificazione precisa di responsabilità, soprattutto per la tutela della certezza del diritto nelle fabbriche, su cui opererà alla scadenza la preannunciata disdetta della scala mobile . nella coscienza della gravità di una crisi che è crisi occidentale dell' economia, e che nel nostro paese assume aspetti e riflessi particolari per i connotati dei nostri squilibri, delle nostre insufficienze, delle nostre contraddizioni nazionali. ci sono temi su cui nessuna mediazione è più possibile. ci sono scelte di fondo che devono essere percorse, senza tentennamenti e senza incertezze. nella situazione economica , che permane grave, nuovi motivi d' allarme e di preoccupazione si aggiungono agli antichi. la bilancia commerciale con l' estero ha registrato in settembre un disavanzo di oltre duemila miliardi di lire . le riserve valutarie sono state sottoposte a forti pressioni sia per fattori stagionali, sia per fenomeni speculativi; la lira ha subìto in maniera accentuata le pressioni esercitate dalla forza del dollaro nei confronti del sistema monetario europeo . l' inflazione ha mostrato nuove accelerazioni, tanto da segnare un aumento del due per cento in ottobre. tali tendenze erano in parte scontate per la necessità di riequilibrare la finanza pubblica , ma avrebbero dovuto essere « compensate » , sul piano delle aspettative, da un accordo fra le parti sociali sul tema del salario: un accordo di cui ancora oggi non vediamo i contorni. né questi squilibri trovano un compenso in un' evoluzione più soddisfacente dell' attività economica: la produzione si è ridotta, il tasso di disoccupazione ha toccato il 9,2 per cento , il ricorso alla cassa integrazione guadagni ha raggiunto i 449 milioni di ore nei primi nove mesi dell' anno e si va estendendo sempre più. una scelta di rigore è stata fatta in quasi tutti i paesi industrializzati . abbiamo assistito ovunque a politiche monetarie rigorose, a misure volte alla riduzione degli squilibri della finanza pubblica e ad un rallentamento della spesa pubblica . resta così confermata l' impossibilità di soluzioni alternative: lo squilibrio che il sistema economico internazionale ha registrato, a partire dagli anni 70, comporta, per le singole economie, un aggiustamento che è tanto più doloroso quanto minore diventa lo spazio di manovra interno. ed il nostro paese ne ha ben poco, perché meno sviluppato di altri e perché ha subito, anche recentemente, gravi ritardi. in tale situazione, le stesse misure adottate nel corso dell' estate, col consenso dei partiti che compongono questa coalizione, sono forse già insufficienti. è stato necessario imporre nuovamente l' obbligo di finanziamento in valuta per le esportazioni, mentre i mercati dei cambi sono tesi in questo momento in cui si sovrappongono rilevanti eventi internazionali. diviene quindi ancora più urgente oggi definire contestualmente i modi di rientro della finanza pubblica e quelli di controllo della dinamica dei salari entro gli obiettivi annunziati. occorre salvaguardare gli equilibri finanziari ed impedire che le tendenze spontanee della spesa pubblica producano effetti dirompenti sull' inflazione e sulla bilancia dei pagamenti . i nodi centrali della politica di bilancio per il 1983 ripetono lo scenario della politica economica di quest' anno. occorrerà proseguire l' azione di recupero del controllo istituzionale sui centri di spesa che premono direttamente o indirettamente sul fabbisogno di cassa dello Stato. nel 1982 tale fabbisogno ha segnato continui sconfinamenti rispetto alle previsioni, a causa dell' operare di fattori automatici collegati all' andamento recessivo dell' economia, a causa delle ripercussioni del quadro internazionale, ma anche per effetto di centri di spesa che hanno attinto fondi dalla tesoreria in misura non controllabile. la legge finanziaria per il 1983 ha come obiettivo la riduzione del fabbisogno pubblico, quale si sarebbe venuto a determinare sulla base della legislazione vigente, attraverso la limitazione della capacità di spesa dell' amministrazione pubblica , nei suoi vari centri, ed un ulteriore rafforzamento della pressione fiscale : una battaglia che abbiamo sostenuto con tutte le nostre forze e con tutta la nostra passione. onorevole presidente , onorevoli Deputati , momento istituzionale e momento economico sono, dunque, inseparabili. non si può affrontare la crisi dell' economia se non con certi strumenti di governo, con talune « certezze » di Governo. fra tutti i settori della società moderna, il governo dell' economia è il più difficile. le tensioni e le contraddizioni di questa fase drammatica della congiuntura internazionale si riflettono in tutti i paesi. è inevitabile che si riflettano in Italia con un' intensità particolare. viviamo uno di quei periodi in cui franano gli antichi valori, in cui si delineano nuovi orizzonti: ma attraverso un travaglio che talvolta è imperscrutabile a noi stessi, indecifrabile per noi che lo viviamo. un punto è certo. siamo e resteremo sempre devoti al regime dei partiti, contro tutte le scorciatoie, le suggestioni, le false soluzioni di ingegneria tecnocratica, comunque mascherate. è giusto che il dibattito sulle condizioni politiche del paese, voluto dal presidente della Repubblica , come alto garante della Costituzione, approfondisca tutti i punti, penetri con libertà e con spregiudicatezza in tutte le questioni che investono insieme l' avvenire civile, economico ed istituzionale della nostra democrazia. una democrazia complessa, difficile, percorsa da fermenti e profonde ansie, nella costante ricerca del nuovo. tocca a noi comprendere l' evoluzione in atto. ma, soprattutto, tocca a tutti noi preservare quelle condizioni di libertà, di dignità e di giustizia che costituiscono le premesse irrinunziabili della Repubblica. di fronte a noi c' è un solo giudice, cui non possiamo sfuggire: la coscienza del paese. ecco perché lavoriamo per allargare e non per restringere gli spazi e gli orizzonti democratici. mai come oggi ci appare attuale il monito di John Kennedy, che abbiamo riletto sulla tomba di Arlington, nel corso della recente visita negli USA: « dobbiamo interrogarci su quello che ognuno di noi può fare per il paese, prima di chiedere quello che il paese può fare per noi » . è un monito che tutti noi, reggitori dello Stato, sappiamo di dover fare nostro, come quotidiana testimonianza di rispetto verso i principi di fondo della Repubblica e della Costituzione.