Ciriaco DE MITA - Deputato Opposizione
VIII Legislatura - Assemblea n. 553 - seduta del 31-08-1982
1982 - Governo II D'Alema - Legislatura n. 13 - Seduta n. 648
  • Comunicazioni del governo

onorevole presidente , onorevoli colleghi , onorevole presidente del Consiglio , la valutazione della crisi sarebbe meno problematica e forse più agevole, se ciascuno riassumesse nel giudizio qualche elemento in più del singolo episodio. così quelli che hanno giudicato opportuno conservare in vita la legislatura non possono ignorare che questa è forse la sola maggioranza possibile. parimenti, chi ha forzato per passare attraverso una consultazione elettorale anticipata, anziché abbandonarsi all' infantile ipotesi del complotto, dovrebbe valutare più attentamente la necessità di individuare i colpevoli, perché sfidare la grande maggioranza in regime democratico non è possibile. ora, probabilmente, è anche vero che non basta conservare la legislatura; così come non è sufficiente, per modificare il quadro politico , la semplice scorciatoia elettorale. bisogna allora avere la consapevolezza e il coraggio di approfondire analisi e giudizi, e di ricercare insieme, anche se con ruoli ed obiettivi diversi, una via di uscita alle profonde difficoltà del nostro tempo. la crisi c' era e rimane, perché non investe soltanto un Governo o la sua formula di maggioranza, ma riguarda la politica, cioè la sua proposta, la sua capacità di rappresentazione e di mediazione degli interessi di una società profondamente cambiata. di tale cambiamento siamo stati tutti protagonisti, forze di Governo e forze di stimolo o di opposizione, perché i mutamenti non sono germogli spontanei o gramigna trasmessaci dal vento, ma eventi delle nostre politiche, delle nostre visioni, delle nostre intuizioni ed anche dei nostri errori: sono cioè il risultato complessivo di una storia che abbiamo convissuto, chi con maggiore chi con minore consapevolezza, ma alla cui evoluzione e ai cui esiti non sempre siamo stati sufficientemente attenti, perché assorbiti dalle preoccupazioni del particolare e distratti da pregiudiziali sempre più anacronistiche. questa nostra società, non inventata sul nulla e trasformata dalla vecchia nelle strutture economiche, come nei suoi riferimenti culturali e sociali, nei suoi costumi civili, nei suoi modi originali di porsi all' interno di una comunità internazionale , anch' essa non solidificata, ma in continua evoluzione, è in realtà una società senza rappresentanza politica . i nuovi interessi, maturati e consolidatisi in essa per effetto di nostri atti od omissioni o per nostra scarsa attenzione, non hanno oggi una rappresentanza politica reale, come invece avveniva nella vecchia società dove le forze politiche sapevano catalizzarli in maniera distinta e differenziata, rendendosene interpreti. gli interessi mutano e crescono, si organizzano, si disgregano e si riaccorpano secondo logiche che sfuggono al raccordo con la politica, o almeno con una politica democraticamente ordinata; e i partiti, anche con la migliore volontà, tardano a capire le ragioni ed i percorsi di tali interessi, e soprattutto a stipulare con essi rapporti di rappresentanza logici, coerenti, non occasionali, finalizzati non ad un esito elettorale, ma ad una crescita complessiva della democrazia in Italia. il ritardo della politica rispetto ai cambiamenti della società non tocca, onorevole Natta, solo alcune forze salvandone altre. non ci sono partiti buoni e partiti reprobi, forze che hanno capito tutto e forze che non hanno compreso molto della trasformazione in atto. dobbiamo piuttosto chiederci con serenità, più che per amore di polemiche retrospettive, in uno spirito di ricerca comune di soluzioni adeguate alla crisi che ci avvolge, se esiste davvero una cultura politica o un partito che possano in tutta coscienza presumere di avere sempre visto giusto, di non avere mai commesso errori di interpretazione e di previsione circa la evoluzione sociale e civile del paese. dobbiamo chiederci se esiste davvero una qualche forza politica la quale non abbia responsabilità alcuna nelle pratiche di intervento sociale che hanno inciso negativamente nei processi di trasformazione economica e di cambiamento civile, molti dei cui aspetti concorrono a rendere ingovernabili l' economia e non poche istituzioni. la cultura e la politica della opposizione di sinistra si sono caratterizzate per decenni in un risoluto impegno di lotta al riformismo, nel negare valore al pluralismo, nel non riconoscere credito e valida capacità innovatrice alle autonomie, ovvero utilizzando queste come contropoteri nei confronti dello Stato unitario e del governo centrale. in breve, la cultura e la politica della opposizione di sinistra si sono estraniate dai processi trasformatori e rinnovatori, per inseguire una propria visione della realtà, immaginando che le sue intime contraddizioni e storture si sarebbero appianate un domani, rimasto sempre imprecisato, all' interno di un modello prestabilito di organizzazione societaria. procedendo secondo itinerari revisionistici di idee e comportamenti, i marxisti tradizionali riconoscono ora i limiti di antiche utopie e soprattutto di esperienze disastrose vissute da altri popoli; si dissociano da pratiche politiche inconciliabili con lo spirito ed i risultati delle lotte ormai secolari dei movimenti popolari italiani, ma non concludono il loro iter culturale e politico; non riuscendo a comprendere la nuova realtà, la nuova condizione sociale, le nuove emergenze, ricorrono a visioni manichee perpetuanti antiche certezze ideologiche. bollano come « sistema di potere democristiano » un intreccio di interessi e di tendenze sociali che costituiscono la realtà di questa fase di profonde trasformazioni. e così, pur di non ammettere quella che resta una loro sconfitta culturale, non analizzano i dati nuovi, li giudicano con sufficienza, quasi che possano davvero esorcizzarli e poi modificarli e sostituirli. l' opposizione politica vive in tal modo il suo difficile rapporto con la società in crescita, non la rappresenta per come essa è e continua a sottrarsi ad un ripensamento critico delle proprie ragioni culturali. non riuscendo a capirla, non riuscendo a trovare spiegazioni ai processi di trasformazione che non siano un richiamo rituale alle lotte, vi si dichiara estranea, quasi che una dichiarazione di volontà possa coprire una storia visibile, accettabile, opinabile nei risvolti ma reale. altrettanto difficile è la condizione di chi, pur avendo favorito lo sviluppo, lo ha secondato però al di fuori dei propri riferimenti culturali originali, lasciando che la propria mediazione — ed è il caso della Democrazia Cristiana — concorresse ad introdurre un sistema economico e sociale estraneo alla propria filosofia politica , con il risultato che l' autonomismo, il pluralismo, l' individuazione e regolamentazione di interessi non unificati da una mediazione ideologica, sono quasi lasciati cadere in desuetudine, a beneficio di nuovi interessi convogliati acriticamente in una ragnatela di vischiosità burocratiche, figlie legittime di quel tanto di socialismo marxisteggiante che ha dominato la cultura e condizionato i comportamenti politici e parlamentari italiani almeno nell' ultimo quindicennio. così i protagonisti della politica nazionale, forze di Governo e forze egemoni della opposizione, pur avendo continuato a svolgere un lavoro di mediazione politica per la ricerca del consenso, si trovano tutte in serie difficoltà di fronte al cambiamento. l' opposizione non vi si riconosce perché non è questo il modello di società socialista, la maggioranza neppure perché ha gestito l' evoluzione accettando dalla opposizione la suggestione di un ibrido frammisto di mediazione ideologica e burocratizzazione della gestione dei servizi, e perché vede vanificati i propri progetti di espansione della pluralità degli interessi della comunità nazionale. la rinunzia al dogmatismo, la ricerca di confronti politici non insidiati dal pregiudizio e da preclusioni ideologiche, una sempre più diffusa comprensione delle ragioni altrui hanno concorso a rendere più aperta o, se si preferisce, più laica e moderna la società italiana . tutto ciò è positivo e non può preoccupare, tanto più che il contributo più originale alla emancipazione della lotta politica e del confronto civile lo hanno fornito, con tutta la originalità ma anche la difficoltà di tanta modernità, uomini come Alcide De Gasperi ed Aldo Moro che con pazienza, ma anche con tenacia e lungimiranza, hanno dato senso compiuto e pratico alla laicità della politica. ciò che, invece, preoccupa, è che, maturati nuovi interessi e nuovi bisogni, come altri li definisce, alcune componenti espressive di questa nuova società manifestino intolleranza verso gli interessi esistenti e chiusure più o meno rigide, preclusive nei confronti di altri interessi non meno pressanti nel variegato sistema sociale di cui siamo parte rilevante; che, in breve, esprimano nuovi tipi di pregiudizio, benché rovesciati rispetto al passato; ancor più preoccupa che qualcuno, facendo riferimento esclusivo ai dati emergenti, agli anzidetti nuovi bisogni, qualunque sia la loro dimensione ed il loro tasso di presenza nella società nazionale, ritenga di potere da ciò stesso trarre legittimazione per ambire a guidare la trasformazione, a costituirsi in nuova e diversa guida politica. l' esperienza storica, ma anche un minimo di riflessione critica sui rischi di operazioni private di una mediazione politica attenta alla valutazione degli interessi i più diversi e rappresentativi della società in evoluzione, suggeriscono prudenza nel riconoscere eccessivo aggio agli interessi bruti, a chi ha più forza e potere coercitivo, anzi che ragioni o proposte migliori. la decomposizione democratica e lo stesso arresto dell' evoluzione economica diventerebbero esiti possibili e probabili se si desse sfogo soltanto alla cultura dell' istituto, dello stimolo e dell' emergenza, e non si concorresse invece tutti a precisare nuove regole per un disegno politico di grande respiro, per una fase nuova della nostra storia patria. la consapevolezza degli errori nostri e altrui, che hanno segnato le pagine della nostra storia più recente, ci porta a riconoscere che nulla è perfetto e che tutto è perfettibile, che non vi sono modelli astratti cui riferire nuove utopie e nuovi revisionismi, che la cultura e la politica si vivono e si dipanano non nelle torri eburnee del sapere e del potere, che insomma la democrazia è un' esercitazione difficile, un confronto continuo di tesi e di proposte, un campo di regole che vanno riconosciute ed applicate non secondo le convenienze, ma perché, fattane saltare una, si dissolve l' intero sistema di libertà e di rapporti democratici che vi sono coordinati. la protesta di superficie, che solitamente degenera in qualunquismo, in radicalizzazioni e schematizzazioni, non corrispondenti con la realtà del corpo sociale e nazionale, con il pluralismo degli interessi e degli ideali che vi sono radicati, non può diventare il riferimento di una modernità, tanto meno di una diversa guida politica. almeno per quanto riguarda la conservazione di condizioni di democrazia e di libertà. alla società trasformata, e da fare ulteriormente evolvere, così ricca di fermenti nuovi, ma anche demotivata dei valori, delle culture, dei riferimenti intorno ai quali essa si ricomponeva e si qualificava, nessuno è in grado di fornire risposte in termini di nuove utopie. politicamente però ciascuno è in condizione di concorrere a garantire la sua evoluzione. la risposta da dare è in fondo una sola: possiamo uscire da questa crisi con il riordino delle regole di Governo. perché questa nostra società possa continuare ad evolversi senza rischiare decadimenti, arretramenti, degenerazioni e stravolgimenti, ed invece vedendo arricchiti già elevatissimi livelli di civiltà e di progresso tecnico e politico raggiunti, occorre ridefinire le regole del gioco , chiedendo ed ottenendo una mobilitazione speciale, criticamente costruttiva, di tutte le forze che si resero protagoniste della prima fase costituente, e di quelle leve più fresche che nella Costituzione repubblicana hanno sempre mostrato di avere un riferimento certo e solido. il riordino delle regole del gioco implica una riflessione sulle istituzioni pubbliche e private, sugli strumenti, in altri termini, nei quali si articola il pluralismo sociale e si esercita la rappresentanza politica . le istituzioni non vanno dunque riguardate soltanto in quanto potere, ma perché strumenti di riferimento permanente dell' evoluzione della società, nella quale specifico e determinante è il ruolo delle forze politiche . a questo riordino, che presuppone un richiamo costante della cultura alle idee della nostra storia e al patrimonio comune dei valori che i padri fondatori della Repubblica ci hanno consegnato, non perché lo dilapidassimo, ma perché lo arricchissimo in coerenza di spirito e di azione, ci sentiamo interessati e partecipi. questo nostro convincimento non è di recente acquisizione: corrisponde ad un indirizzo culturale che dà qualificazione alla nostra stessa battaglia politica e comporta un impegno concreto che va al di là delle singole esperienze ministeriali. noi siamo non da oggi convinti che l' eccessiva frequenza di crisi ministeriali, l' ormai metodico ricorso ad accorciamenti forzati delle legislature, l' uso della fiducia politica come contromisura verso un Parlamento poco compiacente o insofferente per le troppe decretazioni governative, la contraddizione tra poteri di nomina da parte del presidente della Repubblica e da parte del presidente del Consiglio , e l' influenza reale dei partiti e delle loro correnti interne nei processi di formazione dei governi, non siano le sole spie di un malessere che è grave ed ha investito le istituzioni repubblicane e per il quale i politologi ci accusano quasi che noi ne fossimo incoscienti. noi siamo però — e non da oggi — altrettanto convinti che le terapie risanatrici né si improvvisano nei laboratori di macro e micro-ingegneria istituzionale, né possono farsi derivare da esperienze straniere. una questione irrisolta è quella richiamata dal presidente Elia: l' occupazione delle istituzioni da parte dei partiti. non sono le modifiche elettorali né quelle strane teorie sui premi di minoranza, su cui si è insistito fuori di quest' Aula proprio nel corso della crisi di Governo , a sanare una malattia che verrebbe piuttosto aggravata se dovessero davvero prendere corpo certe tentazioni. il problema è solo quello di creare le condizioni per l' alternanza o non è anche quello di permettere di instaurare, dismettendo l' occupazione delle istituzioni, una nuova moralità nella gestione del potere politico ? il nesso tra nuova statualità e nuova moralità a noi pare evidentissimo, quasi direttamente causale; e sarebbe grave se non cogliessimo tutti assieme, ora che la questione è stata posta, nei termini in cui era giusto che venisse inquadrata, dal presidente Pertini, l' occasione di una riflessione generale. non per precostituirci posizioni di comodo per più o meno prossime nuove rotture e predisporci ai nastri elettorali, come se davvero i cittadini votassero sulle ultime dichiarazioni e non su tutto il passato dei partiti; ma per fissare le nuove regole con le quali organizzare una più libera articolazione statale democraticamente garantita da un consenso diffuso oltre i confini delle mutevoli maggioranze parlamentari . e stato nei giorni scorsi riproposto il commento di Piero Calamandrei al valore della Carta Costituzionale , che quell' illustre giurista e politico, un maestro anche per noi, individuò nel compromesso tra progressisti e conservatori sul terreno della democrazia, laddove però — e questo ha un sapore di attualità estrema — quelle due categorie non erano ripetitive di due schieramenti politici netti ma piuttosto attraversano orizzontalmente i partiti della Costituente, dove i partiti popolari (e in primo luogo la Democrazia Cristiana ) erano portatori di ben altri interessi che non fosse la pura conservazione dell' esistente. ricette miracolistiche come quelle circolate nelle settimane passate in qualche settore politico più ansioso furono già prese in esame e scartate ai tempi della Costituente. ce lo ricordava recentemente il compianto Guido Gonella, al quale tutti molto dobbiamo se vogliamo essere equi nel giudizio storico e rispettosi del contributo autentico che ciascuna parte politica ha veramente portato all' elaborazione della Carta che regola la nostra democrazia. il decalogo proposto dal presidente Spadolini costituisce un' utile piattaforma di riflessione, un punto di partenza per un lavoro di rielaborazione che avrà senso e possibilità concrete se prescinderà dalle maggioranze di misura, inconcepibili per un riordino delle istituzioni. prendiamolo dunque a riferimento, cercando di non fare della residua parte della legislatura una tribuna elettorale permanente. abbiamo consapevolezza che la proposta concernente le istituzioni è anche un insieme di cose da fare, ma, prima di tutto e innanzitutto, essa è una politica. se non è rapportata ad un processo politico, anche se funzionale, la riforma istituzionale può stravolgere la democrazia. e ne abbiamo indicato alcune ragioni. si è polemizzato anche sull' importanza e la priorità dei temi economici, rispetto a quelli delle riforme istituzionali e viceversa, come se fosse possibile trattare di istituzioni senza trattare di economia, sempre che al discorso istituzionale si voglia dare — come è indispensabile dare — il respiro di una riflessione sui cambiamenti che sono avvenuti e stanno avvenendo nella società e sulla congruità degli strumenti del potere a rappresentarli e interpretarli. no, ciò non è possibile, in primo luogo perché quello dell' economia è il campo in cui nei decenni successivi all' approvazione della Carta Costituzionale i mutamenti sono stati più profondi. la crescita del reddito globale e di quello per abitante sta a dimostrare questo progresso, ad indicarne la grande portata sociale, a sottolineare i problemi del potere che lo sviluppo causa e a sua volta richiede. non è possibile, in secondo luogo, tener fuori l' economia dal discorso sulle riforme istituzionali perché alla soluzione dei nodi che essa propone è legata la stessa sopravvivenza della democrazia, e perché infine, se si è consolidato un rapporto improprio tra partiti ed istituzioni pubbliche, questo è avvenuto anche e soprattutto nelle istituzioni economiche; qui, tali constatazioni pongono un nodo da sciogliere, qualcosa su cui bisogna intendersi, altrimenti restano sterili e propagandistiche le polemiche, come quelle fatte intorno alla manovra di politica economica che il Governo aveva messo a punto, prima di cadere preda della crisi improvvisa che lo ha brevemente travagliato. bisogna intendersi. siamo tutti, per l' economia di mercato , onorevole Napolitano? lo siamo tutti davvero? direi di sì, stando ai documenti ed alle dichiarazioni; ma dobbiamo allora preoccuparci di rimanerlo e non voglio citare Amendola che ammoniva a non uscire dall' Europa, per non fornire altro lavoro straordinario ad uno zelantissimo corsivista dell' L'Unità pronto a redarguire chiunque, fra cui il sottoscritto, non sia disposto a dimenticare la lezione di quel grande dirigente comunista. ma proprio di questo si tratta: di non uscire dall' Europa, dall' economia di mercato ; il meccanismo si è rotto e l' onorevole Natta farebbe meglio a riflettere in maniera più attenta e meno ideologizzata, meno semplificata sull' analisi di questo processo di trasformazione. ridurre le difficoltà della storia del nostro paese, soltanto all' esclusione del partito comunista dal Governo, non rendendosi conto che questa è conseguenza e non causa delle difficoltà politiche del nostro paese? bisogna ricomporlo, questo meccanismo, prima che sia troppo tardi e che si generi un caos capace di mettere in discussione la stessa democrazia. le preoccupazioni che ci siano o possono esserci congiure e complotti per moltiplicare la forza ed il potere dei sindacati, sono fuori luogo e nascono da una visione distorta ancora ideologizzata delle forze e degli interessi che si contrappongono e nascono anche da una sfiducia immeritata verso il sistema politico , che contiene tante e tanto forti rappresentanze degli interessi popolari, che non è possibile pensare ad una redistribuzione del reddito meno che equa. certo, vi può essere qualche equivoco e qualche divergenza nella identificazione dei ceti più deboli e più meritevoli di protezione; ma deve essere chiaro che non si tratta di redistribuire il reddito accumulato, bensì di ricomporre il meccanismo per creare reddito e ricchezza. ecco l' obiettivo della Democrazia Cristiana che ci siamo proposti nei mesi passati. non credo d' altra parte che l' intesa appena trovata su questo Governo possa andare sciupata per scarsa consapevolezza della posta in gioco o per nuovi pregiudizialismi; la laicità della politica è tolleranza rispetto delle opinioni di tutti, valutazione attenta dei reali rapporti di forza. le emozioni, le dietrologie, le ipotesi immaginifiche corredano un altro tipo di cultura che si coniuga difficilmente con la democrazia, con quella storia di progressi non conseguiti paternalisticamente, ma negli scontri anche duri ma franchi, in una sottile opera di persuasione che è molto più moderna di certe filosofie sull' efficientismo, che sentiamo circolare ora a sinistra, ora a destra nello schieramento politico; le quali però non aggiungono nutrimento a questa nostra democrazia, che potrà rafforzarsi non seguendo questa o quell' emozione riformatrice, ma radicandosi ancor più nella coscienza del popolo! anche una prova elettorale che verificasse gli itinerari per una nuova stagione riformatrice, gli apporti reali di cui ciascuno è capace, l' individuazione di grandi disegni per il consolidamento dello Stato democratico , avrebbe allora ben altro significato. e spiegherebbe la stessa utilità e fecondità del rinnovato patto di maggioranza. la costituzione di questo Governo dice che l' intesa ha ancora un futuro; se passassimo ad una fase più costruttiva, densa di confronti franchi ed anche di accordi ed iniziative riparatrici, di tante degenerazioni e burocratizzazioni, credo che questa maggioranza parlamentare non sarebbe appesa al filo delle polemiche di facciata e darebbe lustro a quel delicato passaggio verso una democrazia compiuta, di cui abbiamo consapevolezza, che si costruisce giorno per giorno. viviamo un momento delicatissimo ed originale, nel quale non si elaborano soltanto strategie di parte, ma si creano le condizioni per sviluppare una democrazia più matura e più certa. le alleanze di oggi non devono sopravvivere per necessità, ma devono dimostrare di possedere idee e forza per misurarsi con il domani che gli elettori vorranno e che i partiti avranno offerto alla loro libera valutazione. qualche giorno fa, in occasione della morte di Guido Gonella, ho letto su L'Unità una dichiarazione di Bufalini che mi ha profondamente colpito. oltre alla dignità del giudizio, al rispetto per l' avversario, nel giudizio di Bufalini c' era una specie di rimpianto per quell' epoca, per l' epoca che lui definiva di De Gasperi , di Togliatti, di Nenni, di Saragat. ho riflettuto molto su quel tipo di rimpianto, chiedendomi se noi fossimo ragione di tanta decadenza, se la decadenza fosse dovuta solo alle persone, ai nostri comportamenti individuali. una riflessione più giusta, onorevoli colleghi , mi porta a questa conclusione: quella era una stagione di idee che si contrapponevano e di passione che alimentava le idee. per ricreare quel clima non basta rimpiangerlo: bisogna riproporre lo scontro ed il confronto tra opinioni, anche se diverse, perché le opinioni diverse non dividono, ma arricchiscono e rendono viva la democrazia.