Emma BONINO - Deputato Opposizione
VIII Legislatura - Assemblea n. 416 - seduta del 01-12-1981
Sulla fame nel mondo
1981 - Governo I Spadolini - Legislatura n. 8 - Seduta n. 416
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , colleghe e colleghi, signor ministro, partecipo a questo dibattito forse con molte illusioni, ma certamente con molta speranza, perché riconosco a questa data dell' 1 e del 2 dicembre una tremenda possibilità, quella di diventare, in un senso o nell' altro, una data storica. se la votazione avrà esito, essa sarà un passo avanti nella lotta alla fame e per lo sviluppo, oppure se questa mozione non sarà approvata essa scoprirà un arresto quasi definitivo rispetto agli sforzi, che tutti diciamo di voler perseguire, ma che poi non si riesce a concretizzare in termini finanziari e reali. da questo punto di vista l' intervento del ministro mi ha tolto tutte le illusioni che potevo avere; me le ha tolte, perché sui tre punti fondamentali della mozione numero 1-00166 — che non è più e non è solo una mozione radicale, ma che è la mozione firmata da 170 deputati, che si sono uniti e che spero aumenteranno ancora al momento del voto — lei, signor ministro, ha detto di no. ha detto no allo 0,7 per cento subito, ha detto no al piano d' urgenza, su cui tornerò, perché bisogna smetterla, in modo volontario o involontario, di creare equivoci, poiché non abbiamo mai parlato di piano alimentare, di emergenza o non, ma abbiamo parlato di un piano integrato, che facendo fronte all' urgenza delle situazioni fosse in grado di porre le basi di uno sviluppo reale. noi non abbiamo mai chiesto di salvare 3 o 5 milioni di vite umane per farle sopravvivere nell' inerzia o nella dipendenza totale, sottoponendole a code interminabili per ricevere chissà quale cibo, giorno dopo giorno. noi non abbiamo chiesto, coscienti come siamo, peraltro, che chi muore di fame si trova nei campi profughi solo in casi eccezionali. certo l' operazione più semplice è quella di censire e di aiutare coloro che si trovano nei campi profughi , ma sappiamo benissimo che la stragrande maggioranza di coloro che muoiono di fame è costituito da persone che si trovano in condizioni di povertà rurale, e non sono concentrate affatto in un unico luogo, ma sono distribuite su un territorio vastissimo. quindi noi non abbiamo mai parlato di un piano alimentare di urgenza, seppure siamo convinti che gli alimenti ne fanno parte — ma anche in relazione a ciò più tardi arriveremo a discutere quali e con che tipo di sistemi bisogna operare — ma abbiamo parlato di un piano di urgenza di sviluppo rurale integrato. ma su questo torneremo dopo. lei, signor ministro, ha detto no allo 0,7 per cento subito, ha detto no, in pratica, al fondo europeo, contrabbandandoci come lotta alla fame il « piano Pisani » che prevede lo stanziamento di 40 miliardi di lire , che se non fosse drammatico e tragico potrebbe sembrare anche ridicolo, e ha detto no, nella sostanza, al piano d' urgenza, cioè alla mozione votata in luglio che stanziava 3 mila miliardi, perché ci ha detto che questi 3 mila miliardi possono anche essere trovati, ma debbono essere spesi secondo i canali tradizionali. lei deve capire il nostro scetticismo su questo punto, visto che quell' anno non siamo riusciti a spendere i mille miliardi dell' aiuto pubblico allo sviluppo, per cui, quando viene a raccontare che i 3 mila miliardi vuole spenderli attraverso i canali tradizionali — immagino tramite il dipartimento — si figuri se questo tipo di proposta può avere da parte nostra una credibilità qualsiasi. quello che noi vi chiedevamo e che vi continuiamo a chiedere è altro. per parte radicale, se fosse questa un' azione di bandiera, un' azione di partito, noi potremmo ritenerci assolutamente soddisfatti dei risultati ottenuti in questi anni ed in questi ultimi mesi, perché, a livello di attestati politici, ne abbiamo ricevuti a iosa , a partire dall' appello dei Nobel, andando avanti con la campagna di sostegno che abbiamo fatto per arrivare alla risoluzione del Senato belga o del Parlamento lussemburghese o alla stessa mozione approvata a luglio da questa Camera, fino alla risoluzione del Parlamento europeo e all' adesione di autorità spirituali e religiose. questa risoluzione chiede di salvare milioni di persone e stanzia anche la relativa cifra. tanto per ricordarlo, si tratta di 5 mila miliardi di lire . quindi lei capisce la sproporzione che si avverte quando, di fronte ad una richiesta comunitaria di 5 mila miliardi di lire , ci si sente rispondere che è stato fatto un magnifico « piano Pisani-Colombo » per 40 miliardi di lire . lei capisce che ci si trova per lo meno sconcertati di fronte a questa sproporzione. se si fosse trattato di una semplice battaglia di partito o di bandiera, noi potremmo ritenerci assolutamente soddisfatti. il tema della fame nel mondo è diventato un tema importante a livello politico. questo tema è entrato in tutte le dichiarazioni di politica estera , ma noi non siamo per niente soddisfatti, perché il nostro problema non era questo. certo, un primo passo è stato fatto: il problema nord sud è diventato una delle priorità della politica estera , almeno a livello di dichiarazioni; ma ci pare che qui, oggi, si debba fare un salto di qualità e andare avanti. non possiamo continuare a ripetere dichiarazioni di intenti o di auspici, tra l' altro ormai anche vecchie, né possiamo continuare ad andare avanti con incontri al vertice, siano essi quelli di Cancùn, di Londra o di Bruxelles, che finiscono sempre nello stesso modo. in questi incontri il tema viene evocato nei suoi vari aspetti (perché il tema e complessissimo, certo), ma, quando si tratta di arrivare a livello operativo o a livello decisionale, tutto crolla, se è vero come è vero che all' ultima conferenza stampa dei capi di Stato che hanno partecipato al vertice di Cancùn, Trudeau, è riuscita a dire che il successo di Cancùn è nel fatto che Cancùn ci sia stata. ora voi capite bene che l' idea che sia un successo il fatto che ventidue signori (che, peraltro, attraverso gli ambasciatori degli Stati di appartenenza si conoscono benissimo) si trovino seduti intorno ad un tavolo nel modo più informale, uno con la maglietta, un altro senza ordine del giorno , eccetera eccetera, l' idea che tutto questo venga definito un successo (con gli USA che arrivano ponendo le loro quattro condizioni per iniziare i loro cosiddetti negoziati globali che, se si accettassero non sarebbero più globali ma al massimo sarebbe possibile trattare solo in qualche settore) ci fa capire che non possiamo andare avanti di fallimento in fallimento e di disillusione in disillusione. dal suo intervento, signor ministro, mi sono resa conto che o noi non ci siamo spiegati e, quindi, lei non ha potuto capire, come altri del resto, oppure noi ci siamo spiegati, ma lei proprio non vuole capire. allora, a costo di ripetermi (perché mi sento un po' ripetitiva), vorrei chiarire fino in fondo che cosa noi chiediamo. vede, io ho avuto l' impressione che la filosofia del suo intervento fosse questa: esiste il problema fondamentale a medio e lungo termine, che è il problema dello sviluppo, esiste poi un incidente che si chiama fame nel mondo , che è un settore, una parte, una postilla, un incidente appunto, un qualcosa che è lì vicino ma che non è parte integrante del problema. e poiché voi continuate ad insistere, ormai con altre aggregazioni, eccetera eccetera, qualcosa bisognerà pure darvi. ed ecco infatti la filosofia di un piano di 40 miliardi di aiuti alimentari. non può esservi altra filosofia che questa. esiste un incidente — certo tragico — chiamato fame nel mondo , in ordine al quale, siccome voi insistete, qualcosa bisognerà pur darvi. e ci proponete il « piano Pisani » ... vede, signor ministro, la nostra filosofia non è affatto questa. noi riteniamo che lo sterminio per fame nel mondo sia l' effetto, il risultato del sottosviluppo. riteniamo anche che lo sviluppo, il nuovo ordine economico internazionale, quindi le riforme di struttura, che sono indispensabili e che conosciamo, non si creino sui cadaveri. se lasciamo che questo sterminio per fame dilaghi non ci sarà speranza di sviluppo per nessuno, né per i paesi in via di sviluppo , né, tanto meno, per noi. e qui non mi dilungherò sul problema dell' interdipendenza nord sud , che conosciamo in tutti i suoi aspetti, dal settore energetico agli altri, ma dirò che quello che non consideriamo affatto è che si possa dare il via ai meccanismi dello sviluppo partendo dalla constatazione dell' esistenza di cadaveri o di uno sterminio che, peraltro, non accennano a diminuire. semmai, se andiamo a leggere l' ultimo rapporto della Banca mondiale , le linee di tendenza , anche le più favorevoli, ci dicono che, se non si interviene con urgenza e radicalmente, il numero dei morti per fame non tenderà a diminuire bensì ad aumentare, pur in uno scenario di crescita e di produzione più favorevoli. quello che abbiamo chiesto, in termini metodologici e di lavoro, è esattamente l' inverso: noi abbiamo chiesto dei vivi per lo sviluppo. la nostra analisi ci porta a dire che l' unico meccanismo per mettere in moto il treno dello sviluppo, del nuovo ordine economico internazionale, dei nuovi accordi sulle materie prime , sul commercio, eccetera, è un' operazione d' urgenza che sia tesa a mantenere vive delle persone, affinché esse stesse siano partecipi dello sviluppo. quindi quello che abbiamo chiesto è esattamente capovolto nell' impostazione che mi pare — spero di no — di aver colto nelle sue parole. e per questo che abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere un piano di intervento rurale integrato che abbia in sé alcuni presupposti basilari. se prescindiamo da questa realtà, dal peso drammatico che questi milioni di morti hanno sullo sviluppo, non usciremo mai dall' attuale situazione. siamo d' accordo, in linea di massima e, ovviamente, nelle sue parti generali, con il « rapporto Brandt » , ma anche con una serie di altre proposizioni fatte dal « gruppo dei 77 » ; l' unico problema reale è che questo treno dello sviluppo è fermo da molto tempo, e non parte. non voglio qui rifare la storia del negoziato sui cereali (tanto per ricordarne una), che pure è sintomatica del fatto che gli altri negoziati vanno più o meno allo stesso ritmo, cioè a ritmo zero. siamo ben lontani dall' ottenere un accordo sui cereali, anzi questo non si vede nemmeno all' orizzonte. diciamo perciò che, solo agganciando a questo treno fermo dello sviluppo la locomotiva della vita e del salvataggio di esseri umani perché diventino essi stessi partecipi del loro sviluppo, è possibile far partire questo treno. è per questo che le nostre richieste sono sempre state parallele: 0,7 per lo sviluppo, fondi straordinari per il piano d' urgenza. non abbiamo mai voluto togliere una lira dai canali dello sviluppo e dell' aiuto allo sviluppo per raccogliere fondi per l' azione d' urgenza. abbiamo posto parallelamente l' esigenza dei due canali: piano d' urgenza immediato con fondi straordinari (ed è ciò che afferma la risoluzione del Parlamento europeo , che chiede infatti una mobilitazione di risorse straordinarie per 5 mila miliardi di lire ai 10 governi), e lo 0,7 per cento subito. in relazione a quanto lei, onorevole ministro, ha detto in ordine al raggiungimento dello 0,7 ed al limite dei 10 anni, desidero ricordare che nel convegno di Strasburgo del 14 ottobre scorso vi è stato un intervento molto interessante di un personaggio che è ritenuto un esperto serio dei problemi dello sviluppo, Jan Pronk che credo tutti voi conosciate e che è il vicepresidente dell' UNCTAD, il quale ci ha ammoniti che non solo non abbiamo mai raggiunto le 0,7 ma che tale percentuale, decisa nel 1970, oggi non ha più senso e che la realtà attuale ci porta alla richiesta di una spesa effettiva del 2 per cento del prodotto nazionale lordo , se intendiamo muoverci verso lo sviluppo. siccome questa parte dell' intervento che ho ricordato non è lunga, ritengo di doverla leggere: « l' UNCTAD ha per la prima volta pubblicato uno studio prospettico a lungo termine , il "rapporto sullo sviluppo ed il commercio mondiale nel 1981", nel quale si constata che una crescita economica del 7 per cento in media nei paesi in via di sviluppo e del 4,5 per cento nel settore agricolo di questi stessi paesi implicherà, per i paesi del nord, una disponibilità di fondi che rappresentino il 2 per cento del prodotto nazionale lordo . questo 2 per cento dovrà essere fornito non solo quale aiuto, ma anche con riferimento ad una più grande facilità d' accesso sui mercati dei capitali privati, così come sotto forma di una maggiorazione dei prezzi dei prodotti che i paesi in via di sviluppo esportano verso i paesi occidentali. nel 1990, questi tre elementi combinati — maggiorazione dei prezzi, accesso al mercato dei capitali e crescita dell' aiuto allo sviluppo — dovranno rappresentare, se vogliamo agire seriamente, il 2 per cento del prodotto nazionale dei paesi del nord. questa percentuale pare enorme ma implica che esisterà, negli anni 90, una più grande uguaglianza ed una più grande stabilità a livello internazionale, cosa che dovrebbe permettere da allora, su un periodo di vent' anni , a condizione bene inteso, che si porti subito l' aiuto internazionale dallo 0,7 al 2 per cento del prodotto nazionale lordo , che i costi per i paesi del nord siano in diminuzione » . non è, come lei vede, una proposta radicale ma una constatazione che nasce da uno studio di una serissima Organizzazione delle Nazioni Unite , che si occupa soprattutto di sviluppo e di commercio, che ci pone di fronte al problema che ho ricordato. ci dice che, mentre noi ci « arrabattiamo » a parlare dello 0,35 o dello 0,7 in 10 anni, se per il 1990 vogliamo aver fatto un passo avanti in termini di sviluppo, dobbiamo calcolare il 2 per cento del prodotto nazionale lordo , certo non tutto in fondi, con riferimento a quelle tre voci cui accenna Jan Pronk . ci interessa, a questo punto, signor ministro, affrontare il secondo aspetto, quello sul quale evidentemente non ci siamo capiti: intendo riferirmi al piano d' urgenza. non ci siamo capiti perché lei in sostanza ha detto che questo piano d' urgenza per la lotta contro la fame si identifica con il piano dei 40 miliardi, che ho avuto occasione di leggere e di leggere approfonditamente. tale piano, nei presupposti e con riferimento a quanto è scritto, non è male, poiché contiene sia l' azione d' urgenza che i presupposti di un intervento a medio e lungo termine. il problema reale consiste nel fatto che la copertura relativa a questo fondo è ridicola. anche perché, come lei sa, questi 40 miliardi di unità di conto non rappresentano uno stanziamento aggiuntivo, ma il risparmio fatto dalla Comunità Europea sui 280 miliardi di residui passivi . non c' è, stato quindi, neppure uno sforzo di adeguamento: tant' è vero che si tratta di un piano che giace nei cassetti della Commissione per lo meno dagli scorsi mesi di maggio o giugno e che oggi, dopo la risoluzione del Parlamento europeo , si tenta di contrabbandare come lo strumento di intervento contro la fame nel mondo : cosa che non è e non può essere. lei sa che si tratta di un piano che esisteva da molto tempo e che non si riusciva a far approvare. si è pensato, in buona o in cattiva fede, di utilizzare lo slancio politico dato dalla risoluzione del Parlamento europeo per proporci questo piano come il piano d' urgenza chiesto dal Parlamento europeo : operazione politica che non possiamo accettare in alcun modo e che costituisce in realtà l' alibi per non cambiare nulla, per non intervenire di fatto su questo problema. se, allora, siamo d' accordo che la lotta contro lo sterminio per fame non è un fatto incidentale nel quadro della lotta per lo sviluppo, ma un passo necessario, l' unico che, se fatto in termini corretti, sia in grado di trascinare con sé lo sviluppo, credo sia più interessante oggi (anche perché altri colleghi del mio gruppo interverranno su aspetti diversi: dovremo pur dire qualcosa, ad esempio, su come il Governo abbia speso, o meglio non speso, i mille miliardi stanziati) cercare, se non si parla tra sordi, di capire insieme cosa intendiamo e cosa si può fare su questo piano d' urgenza. come lei può immaginare, non abbiamo gli strumenti, né come gruppo, né come partito, per inventarci un piano d' urgenza, soprattutto se si tratta, come noi vogliamo, di un piano rurale integrato. abbiamo allora pensato di utilizzare l' esperienza di una delle più grosse organizzazioni delle Nazioni Unite , con i suoi pregi ed i suoi difetti, ma che ha avuto almeno il merito di indicarci come si potrebbe predisporre un piano d' urgenza di intervento integrato. sempre con riferimento al convegno che prima citavo, debbo dire che Bradford Morse, sottosegretario generale delle Nazioni Unite , che lei certo conosce e che credo abbia incontrato recentemente, il quale è amministratore del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, ha detto testualmente che, in primo luogo, un piano di urgenza integrato, teso a salvare vite umane e a porre le basi per lo sviluppo, è possibile, si può studiarlo, concepirlo ed attuarlo, e che quindi è possibile realizzare quello che chiedeva la risoluzione del Parlamento europeo e che chiede la mozione numero 1-00164, oggi in esame con 170 firmatari; e ha detto anche quali sono le possibili linee di intervento di un simile piano. le segnalerò, al riguardo, soltanto i passi principali. è evidente che la necessità a monte è di individuare la zona in cui si vuole intervenire: se deve trattarsi di una zona urbana o, come noi suggeriamo, se si deve intervenire sulla povertà delle campagne. noi riteniamo, infatti, che uno dei più grandi flagelli dell' anno duemila sarà quello delle megalopoli, e che per evitarlo l' unica strada è di ridare potenzialità di produzioni alimentari, prima ancora che di produzioni agricole. dobbiamo, infatti, distinguere tra produzioni alimentari e produzioni agricole. è noto che in Africa è diminuita la produzione alimentare ed è aumentata la produzione agricola da esportazione, con il bel risultato che l' autosufficienza alimentare di quei paesi si allontana sempre più, e non perché non producano, in termini agricoli, ma perché, per una serie di cause che non sto qui ad esaminare, producono materie prime d' esportazione e non materie alimentari. se scegliamo di intervenire non in aree fortemente urbanizzate, ma in aree con popolazione meno densa (dove l' unica risorsa possibile è costituita dall' intervento agricolo), certamente abbiamo bisogno di alimenti che — come ha definito Jazairy ambasciatore d' Algeria a Bruxelles « siano il risultato di una politica deliberata verso il terzo mondo e non un sottoprodotto » — come mi pare di capire anche dal suo intervento — « di una politica di sostegno dei prezzi interni » . accanto al problema degli alimenti, sul quale ritornerò, si ricordava il problema relativo all' acqua potabile, che deve avere un piano a se stante, il problema strutturale relativo ai trasporti, quello igienicosanitario, anche a basso livello dal punto di vista tecnologico, molto decentrato, quello dell' educazione e quello dello stoccaggio delle riserve alimentari. si tratta di poche e semplici linee di intervento e di tendenza , cui se ne possono aggiungere altre, ma rispetto alle quali il problema fondamentale è rappresentato dalla scelta della tecnologia e della tecnica da adottare, che indubbiamente devono essere alla portata delle popolazioni il cui benessere e la cui vita sono minacciati e che siano nello stesso tempo disponibili immediatamente e redditizi. « le tecniche agricole tradizionali e altre tecniche locali non devono essere ignorate, ma piuttosto ristabilite e migliorate in tutti i casi in cui questo è possibile, eccetera » . come si vede, si tratta di un piano complesso e a questo punto, se mi si consente, mi permetterò di sottoporre al ministro un metodo di lavoro. si è fatto riferimento alla conferenza che si intende organizzare a Roma, immagino nella prossima primavera, ma a questo riguardo credo, se vogliamo che questa conferenza sia operativa e non la brutta copia di un qualche vertice più o meno insoddisfacente, che alcuni passi politici debbano essere fatti prima per creare i presupposti ed arrivare quindi ad una decisione operativa, ammesso — questo è il punto fondamentale che dobbiamo discutere oggi e domani — che il Governo intenda accettare le dimensioni e la qualità del piano di urgenza che abbiamo chiesto. se tutto ciò non dovesse avvenire, il Governo potrebbe fare a meno benissimo di organizzare qualunque conferenza a Roma perché di vertici di capi di Stato e di Governo ce ne sono comunque sempre troppi, perché riteniamo che il problema non sia più di continuare a parlare in termini generali di rapporto nord sud , ma di compiere il primo passo in senso operativo. quindi, se vogliamo evitare che la conferenza di Roma diventi un palcoscenico e una brutta copia del vertice di Cancùn o di quello di Londra, il Governo deve accettare la dimensione, l' impostazione e la qualità del piano di urgenza e in questo senso, senza presunzione, mi permetto di sottolineare alcuni passi che credo andrebbero compiuti prima della convocazione della conferenza stessa. innanzitutto, è necessario scegliere la zona regionale o interregionale o di varie nazioni insieme del terzo o del quinto mondo su cui il Governo intende intervenire unilateralmente o intende proporre ai dieci capi di Stato della Comunità Europea . come si sceglie questa zona? credo che, se ci si basa sull' ultimo rapporto della Banca mondiale , come andiamo ripetendo da sempre, vi sia solamente l' imbarazzo della scelta. per indicare uno dei criteri fondamentali, possiamo prendere, ovviamente, i paesi con reddito procapite più basso, cioè al di sotto dei 400 dollari procapite. altro criterio per la scelta può essere quello del dato che riguarda la speranza di vita alla nascita; o si possono prendere le zone nelle quali il tasso di mortalità supera il venti per mille , tenendo conto, evidentemente, anche della mortalità infantile o di quella perinatale. già in questo modo possiamo individuare alcune zone, in Africa, in America Latina o in Asia; ma già così si riescono ad individuare intere regioni che sono toccate da questi criteri. possiamo aggiungere un altro criterio, quello cioè dei paesi i cui bisogni alimentari siano coperti solo al settanta o al novanta per cento , rispetto al numero delle calorie necessarie; paesi cioè che si trovino in una situazione di produzione alimentare endemicamente insufficiente. se poi vogliamo riferirci ad un problema di stabilità politica o di apertura politica dei paesi in via di sviluppo ai problemi di produzione alimentare, di autosufficienza alimentare, potremmo scegliere, ad esempio, quei paesi in via di sviluppo che si sono dimostrati aperti e sensibili alla proposta, avanzata dal Consiglio mondiale dell' alimentazione, di instaurare in questi paesi le strategie di produzione alimentare, per arrivare all' autosufficienza alimentare. si tratta di piani integrati, che non si occupano solo di alimenti, ma anche della produzione di alimenti, e del loro stoccaggio, tenuto conto non solo delle sementi, ma dell' irrigazione, dell' acqua potabile, eccetera. possiamo aggiungere a questi che ho enunciato un altro criterio: paesi che abbiano registrato una grande penuria di raccolti nei primi mesi del 1981, e che quindi, proprio in questi mesi, abbiano lanciato gridi d' allarme per la loro situazione interna. la nostra scelta non dovrebbe consistere nell' occuparci, in termini generali, di aiuto allo sviluppo , urbi et orbi , nel mondo intero, perché questo lo si fa normalmente, secondo i canali tradizionali. ma dovremmo occuparci, per il piano d' urgenza, di un certo tipo di zona. i criteri da tenere presenti, se tutti fossimo d' accordo, potrebbero essere i seguenti: paesi in situazione tragica, a reddito procapite inferiore ai 400 dollari, in una situazione alimentare endemicamente negativa, colpiti da penuria alimentare nel 1981, con un tasso di mortalità superiore al venti per mille , e che abbiano accettato le strategie alimentari. se accogliamo questi criteri, possiamo già individuare una zona abbastanza precisa, in Africa (ho fatto questo studio sull' Africa), che comprende la Somalia, il Mali, la Mauritania, il Senegal e il Sudan. a questi si possono aggiungere altri paesi, sempre in Africa, che però non hanno ancora accettato il principio dell' autosufficienza alimentare, o comunque non ne hanno ancora fatto richiesta, e che sono l' Etiopia, la Guinea e l' Alto Volta . il primo passo , che credo sia fondamentale, è quello della scelta della zona, proprio per vedere di concentrare, non dico in un paese, ma, dico bene, in una zona — e quindi anche a livello internazionale — , la strategia di intervento. in secondo luogo, occorre prescegliere quindi, d' intesa con le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite (quelle che credete, ma vorrei consigliarvi di non dimenticare, anche per la conferenza di Roma, proprio per l' importanza e l' esperienza del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, la Fao, l' Organizzazione mondiale per la sanità, il programma alimentare mondiale, il Consiglio mondiale alimentare), le zone di intervento. a questo punto si potrebbe fare il censimento degli interventi già corso, e già previsti, da parte delle varie istituzioni del sistema delle Nazioni Unite , o degli interventi già previsti dalla Commissione o anche dalle principali associazioni non governative; si potrebbe fare il censimento delle richieste di aiuto e di finanziamento dei piani nazionali o regionali, promosse dagli stessi paesi in via di sviluppo , con o senza il concorso del Consiglio mondiale dell' alimentazione, e quindi individuare in questo modo quali siano le forme integrate di intervento straordinario per ridurre radicalmente i tassi di mortalità per un periodo di un anno; tenuto conto del settore alimentare con i limiti e le precisazioni che abbiamo fatto, del settore sanitario, del settore delle sementi e degli utensili, e contestualmente dei problemi infrastrutturali (da quello dei silos a quello dell' assistenza operativa, a quello dei trasporti), proprio per realizzare quelle forme di aiuto rurale integrato già previste e di cui si sta discutendo. solo a questo punto si potrebbe fare un' analisi dei costi di questa operazione. certo, se avessimo più strumenti, avremmo potuto presentare un piano forse più dettagliato. ma non è questo il problema. quello che mi premeva, in realtà, sottolineare era una metodologia di lavoro, che si può seguire ammesso che venga recepito il concetto del piano di urgenza per salvare milioni di persone, e che non sia il piano che lei già ha proposto. questo è il punto di partenza fondamentale. proprio per questo, o viene votata e passa in quest' Assemblea la mozione che ha 170 firmatari (in tutti i suoi aspetti: dallo 0,7 del prodotto interno lordo al piano di urgenza, alle altre iniziative che noi proponiamo), e allora avremo fatto un passo avanti nella direzione giusta; ma, se non passa questa mozione, se passeranno altre mozioni, che non pongono questi vincoli, mozioni se non generali certamente generiche (ancora una volta sul problema nord sud , con accentuazioni diverse un po' da una parte, un po' dall' altra, che non chiedono nulla in relazione allo 0,7 del prodotto interno lordo , né in relazione al piano di urgenza), credo che avremo segnato una battuta di arresto fondamentale in questa campagna. sarà una battuta di arresto quasi decisiva. credo che anche per lei, signor ministro, per il peso che possiamo e potremmo avere all' interno della Comunità e del Consiglio dei ministri europeo, o passa questa mozione, che dà anche a lei la forza di essere sostenuto dalla volontà di un intero Parlamento, e quindi di un popolo, rispetto alle azioni che lei può proporre; oppure la sordità che esiste oggi in termini operativi — non in termini politici, perché in termini di dichiarazioni politiche lei sa che la Francia appare più sensibile dell' Italia, ma al di là di questo non c' è molto — non consentirà a lei o al nostro Governo di proporre un' azione alla Comunità che abbia un minimo di respiro, e che possa dare all' Italia in qualunque modo una leadership in questo settore. sono molto preoccupata, signor ministro, della conferenza di Roma; ne ho paura perché questi vertici ogni tanto suscitano delle illusioni, e poi non succede nulla. infatti, il disastro è che la conferenza di Cancùn sia avvenuta e poi non sia successo nulla. perché all' inizio o prima della conferenza di Cancùn tutti si aspettavano e dicevano: « a Cancùn chissà che cosa succederà » , si parlava di « spirito di Cancùn » . ma credo che la conferenza di Cancùn sia stata — così l' abbiamo definita — la « Monaco degli anni 80 » , perché non abbiamo mai limiti, come lei sa, non siamo né realisti né ragionevoli. ma la realtà è questa: la voce degli affamati e di chi muore di fame a Cancùn non c' era, né qualcuno l' ha tirata fuori; ma ci si è accordati in realtà sullo status quo e quindi sulla condanna a morte degli affamati. credo che nel voto di domani, signor ministro — e mi auguro che il Governo vorrà riflettere — , e anche quando magari lei si alzerà per dire quali mozioni accetta e quali non accetta, per me questo sarà il momento più importante di verifica. ebbene, credo che in quel momento, quando lei si alzerà per dire magari laconicamente che il Governo non accetta la mozione numero 1-00164, lei compirà in quel momento un atto di importanza fondamentale. perché credo che domani vi sia una scelta sola da fare, ed è una scelta di campo precisa; si può continuare a stare con gli affamatori, si può decidere di stare con gli affamati. questa è la scelta di domani. non vi saranno mezzi termini o mezze strade. respingere quella mozione vorrà semplicemente dire che il Governo intende continuare come ha sempre fatto, cioè con il non intervento reale, che si sarà schierato in modo ufficiale, deciso dalla parte degli affamatori, senza possibilità di ritornare sull' argomento se non a lunghissimo termine. quello che noi chiediamo, le ripeto, è fattibile. credo che sia produttivo per quanto ci riguarda non solo in termini morali — cosa su cui non si discute — o in termini politici, ma a media e lunga scadenza anche in termini economici, e credo che sarebbe anche un atto di miopia politica, di miopia di politica economica respingere questa mozione e respingere così gli interventi in essa richiesti.