Achille OCCHETTO - Deputato Maggioranza
VIII Legislatura - Assemblea n. 416 - seduta del 01-12-1981
Sull'università di Roma
1981 - Governo III Moro - Legislatura n. 4 - Seduta n. 462
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , il Parlamento italiano è chiamato ancora una volta ad affrontare uno dei problemi più drammatici e sicuramente il più inquietante della nostra epoca, il problema cioè di milioni di uomini che non solo vivono nell' indigenza e nell' arretratezza, ma addirittura muoiono per fame. voglio subito dire che, malgrado le diversità di impostazione, che ancora sono presenti all' interno delle forze della sinistra, ritengo sia stato un merito di questo dibattito l' aver contribuito ad informare l' opinione pubblica su un tema così vicino alla sensibilità di una forza come la nostra, che ha saputo fare dei rapporti tra nord e sud in Italia e nel mondo e dei drammi determinati dal carattere diseguale e squilibrato dello sviluppo, la ragione di fondo della propria esistenza e del proprio impegno di lotta. noi siamo sorti infatti come forza politica proprio in seguito alla sofferta coscienza dei mali profondi causati da ogni sorta di politica di rapina e di sfruttamento delle risorse degli uomini operate in campo nazionale ed internazionale dai meccanismi di sviluppo del capitalismo stesso. è proprio da questa acuta sensibilità culturale, che ha avuto nell' opera e nel pensiero di Antonio Gramsci il suo momento più alto, che abbiamo assunto la consapevolezza, che si è poi trasformata in azione e in lotte gloriose, della necessità di stare sul terreno concreto, di lottare a fianco della povera gente , nei quartieri popolari di Napoli, Palermo e di altre città del nostro Mezzogiorno, in solidarietà con tutte le lotte dei popoli sottosviluppati e dominati dal colonialismo. ed è proprio da questa acuta sensibilità culturale e politica che abbiamo, da tempo, tratto la consapevolezza che non ci sono due Italie o due sfere del mondo separate tra loro, ma che siamo dinanzi a un meccanismo unico in cui il benessere degli uni è fonte di malessere per gli altri, in cui il nord opprime il sud d' Italia e del mondo. un unico destino, dunque, un unico pericolo che incombe sulla vita intera dell' unanimità: consapevolezza, visione delle cose, concezione del modo di essere del mondo, ci conducono, come tradizione culturale e politica, come comunisti, ad andare alla radice dei problemi di fondo che producono la fame e il sottosviluppo, per cogliere quelle che noi chiamiamo le origini strutturali, per vedere tale problema non come una questione tecnica, ma come una questione alla cui base c' è la politica concreta dell' imperialismo. ma ciò — e lo voglio dire subito — nulla toglie all' emergenza, alla necessità, cioè, di una risposta immediata, la più coerente possibile, per aumentare i fondi atti a fronteggiare i problemi più drammatici che ci stanno dinanzi. a questo proposito permettetemi, onorevoli colleghi , di cercare di fare luce su un equivoco che, certo, può anche essere stato in qualche momento giustificato da ritardi, ma che non è giustificato, tuttavia, dal nostro modo di vedere le cose, e soprattutto di agire: cioè non vorrei che vi fosse l' equivoco che la nostra sensibilità per i problemi di fondo e culturali possa offuscare una presenza, un impegno sui temi dell' emergenza, quasi che un mitico rimando alla trasformazione delle strutture ci paralizzasse in una posizione predicatoria e millenaristica di fronte all' immediato, all' urgenza umana quotidianamente vissuta e sofferta. ebbene, non c' è nulla di più falso; perché un simile equivoco è contraddetto da tutto il nostro modo di vedere e di agire in Italia, da quell' azione che ci ha reso forti e intimamente legati alle sorti e alla sofferenza del nostro popolo, dal carattere meridionalista delle nostre grandi battaglie nel corso delle quali uomini come Di Vittorio , Alicata, Sereni ed Amendola ci hanno insegnato a prendere le mosse dai problemi elementari della fame, del freddo o dalla presenza in prima persona nell' aiuto di fronte alle calamità naturali che, purtroppo, si susseguono nel nostro Mezzogiorno, senza quindi essere mai stati ad attendere la trasformazione delle strutture. ma quell' equivoco, qualora potesse ancora sussistere, mi sembra sia stato ampiamente dissolto dalla posizione assunta dalla carta per la pace e lo sviluppo, in cui, dopo aver ampiamente documentato come la politica degli aiuti non abbia minimamente intaccato la realtà del sottosviluppo e come essa sia ingannevole, qualora venga concepita come pura assistenza, si afferma tuttavia che in dimensioni e in finalità diverse resta necessaria questa azione immediata, a partire dall' adempimento delle indicazioni dell' Onu ad aumentare la consistenza degli aiuti e dall' avvio di un vero e proprio programma di emergenza nei tre settori dei beni alimentari, dell' energia e degli aiuti finanziari. dunque la vera questione che poniamo — e vorrei che fosse presa in considerazione con lo stesso spirito di apertura e di comprensione con cui noi ci siamo avvicinati a ciò che c' è di vero in impostazioni che per altro verso consideriamo parziali ed anche distorte — non è l' alternativa fra l' emergenza ed il superamento delle radici strutturali della disuguaglianza in campo internazionale , ma è quella dell' efficacia e della serietà delle misure di emergenza, del rapporto di coerenza tra l' emergenza stessa e la lotta per il superamento delle cause di fondo da cui essa ha origine. ma allora, se esiste un intreccio, se esiste un rapporto, se siamo per davvero convinti che le sorti del sud e del nord del mondo siano intimamente collegate, se vogliamo sul serio elevare la nostra solidarietà al livello dei compiti storici che ci sono dinanzi, non possiamo non pensare e non vedere che siamo chiamati ad operare contemporaneamente in molteplici direzioni, impedendo che la stessa assistenza, anche se necessaria, si trasformi in carità, e la carità, come sempre è avvenuto, in un alibi non solo per alleggerire le coscienze pasciute del nord del mondo, ma per riprodurre, attraverso un liberismo cieco e crudele, la giungla della concorrenza mortale e fratricida e le vecchie e nuove gerarchie che dominano nel nord come nel sud del mondo. la gravità del problema è stata posta da noi in tutte le sue dimensioni. la abbiamo posta nel corso del recente viaggio del segretario del nostro partito nell' America Latina e con la carta della pace e dello sviluppo, ponendo la questione della fame e del sottosviluppo al centro di una crisi nella quale crescono i pericoli di una guerra nucleare , che minaccia la sopravvivenza stessa della umanità, proprio perché è di lì che originano l' instabilità e l' insicurezza nei rapporti internazionali e perché (lo ricordava con efficacia Willy Brandt nel suo discorso al convegno di Firenze sulla Europa nella crisi nord sud ) il corso degli eventi può minacciare su scala senza precedenti, tra non molti anni, la sopravvivenza stessa di intere economie e, quindi, anche di intere nazioni, dal momento che i paesi meno sviluppati si trovano oggi su una china che porta diritto alla catastrofe. e non è forse il farsi avanti di questa consapevolezza che caratterizza la novità dei movimenti della pace, dei movimenti che sono portatori (altro che schieramenti ideologici da anni 50!) di una coscienza complessiva dei problemi dello sviluppo, delle sorti e dei destini dell' umanità intera, che per la loro natura e per la pluralità degli obiettivi che essi si pongono vanno oltre la logica del bilancino, con la quale si misura la supremazia dell' uno o dell' altro schieramento in tema di armamenti, per porre invece il problema della spaventosa follia, della micidiale polveriera sulla quale siamo seduti, di movimenti, cioè, che si interrogano, che si pongono il problema del destino dell' uomo e che, non a caso, muovono contro le politiche di tipo neoliberista che privilegiano le spese militari rispetto a quelle sociali e per lo sviluppo? in questo senso, io credo che sia un bene che il Parlamento italiano rifletta, come ha fatto quello di Bonn, dopo le grandi manifestazioni per la pace, sul significato di queste imponenti manifestazioni che hanno attraversato l' Europa, che hanno scosso le certezze delle grandi potenze. se correttamente intesi, questi nuovi movimenti per la pace spingono non soltanto — cosa di per sé importantissima — al negoziato per ciò che riguarda le armi, ma pongono anche tutti i problemi che noi qui stiamo discutendo, nel senso di una più acuta consapevolezza del nesso sempre più stretta tra la pace, la ripresa economica e lo sviluppo equilibrato del mondo, tutto ciò ci convince che i negoziati sugli armamenti, che noi salutiamo (e salutiamo con favore il fatto che proprio in questi giorni ci sia stata la ripresa di essi) sono una condizione necessaria, primaria, ma insufficiente, se non si opera su tutti i fronti, a partire dal tema centrale dei rapporti tra nord e sud nel mondo. e la pace è in pericolo anche se non si dà una risposta di fondo alle aspirazioni sentite dalle nuove generazioni, che sono le vere protagoniste di questi movimenti, alla richiesta di una nuova qualità della vita , di una definizione diversa del rapporto tra risorse, che sono scarse, e tipo di sviluppo, ad aspirazioni che tendono a far saltare le logiche astratte dei vari Stati maggiori , che devono far comprendere in tempo che il fattore uomo, che molto spesso non viene messo in conto da certe raffinate strategie, oggi si rivolta e spinge oggettivamente verso un nuovo tipo di sviluppo al nord come al sud del mondo: chiede sviluppo e non missili, ad est e ad ovest. non solo, ma anche una certa insofferenza nei confronti della politica delle grandi potenze, fortemente presente in questo movimento, deve trovare risposte in una strategia mondiale per lo sviluppo, cioè in una capacità — ed è un tema che abbiamo posto con la carta della pace e dello sviluppo — di coordinamento e di programmazione internazionale come base del negoziato globale, nella consapevolezza che lo stesso carattere di vera e propria rivolta, direi di riscossa europea, presente in questi movimenti ci dice che l' accordo tra le due grandi potenze, come abbiamo affermato in quel documento, è certo indispensabile ma non sufficiente, al di fuori di un riconoscimento strategico delle nuove realtà mondiali, alla cui base deve essere la coscienza che la tendenza a trasformare l' Asia, l' Africa e l' America Latina in terreno di contesa tra le massime potenze può essere fatale per le sorti del mondo e di tutta l' umanità. e se, a questo proposito, noi ribadiamo — e lo ricordiamo a Bonalumi — che anche l' Unione Sovietica ha serie responsabilità nell' emergere di questa pericolosa tendenza, e che bisogna distinguere tra solidarietà con i popoli in lotta e tendenza a sostituire agli autonomi processi rivoluzionari un' espansione delle proprie aree di influenza attraverso una politica di potenza orientata da criteri strategici, non possiamo tuttavia, senza falsificare la realtà del mondo contemporaneo, non porre come causa centrale delle condizioni del sottosviluppo l' imperialismo, le sue varie politiche, il modificarsi stesso del suo modo di operare e di manifestarsi. non è certo mia ambizione proporvi una nuova analisi (di cui pure si sente il bisogno), dell' imperialismo, anche perché occorre porsi il problema dei caratteri e della natura dell' imperialismo odierno, dei mutamenti in esso avvenuti, con la coscienza — lo diceva in un recente saggio il professore e senatore Procacci — che l' imperialismo degli anni 80 se, da un lato, presenta elementi di continuità con le sue fasi precedenti, dall' altro presenta anche aspetti nuovi, non solo nei confronti dell' imperialismo classico analizzato da Lenin, ma anche nei confronti dell' imperialismo e del neocolonialismo degli anni 60. dunque, alla base di quanto stiamo discutendo opera una logica imperialista che non va confusa con la politica di potenza. una logica che vive nei processi in atto, anche se l' imperialismo non si è presentato, da una certa fase in poi, attraverso le forme clamorose, dirette, della politica delle cannoniere. tuttavia, certo, esso opera più sottilmente, a prescindere dalle improbabili decisioni di un supercervello ordinatore, attraverso i meccanismi oggettivi che presiedono agli scambi ed in cui si muovono, come pesci nell' acqua, le multinazionali, le transnazionali, che dispongono di strumenti di controllo e di penetrazione economica assai più complessi e raffinati che nel passato; non più quelli che rispondono al vecchio tipo classico di imperialismo, ma quelli che tendono ad introdurre attività produttive in loco, che portano con sé uno sviluppo distorto, che danno vita a prodotti non destinati al mercato interno , a profitti che non vengono reinvestiti in queste aree (così come è avvenuto nel nostro sud con le « cattedrali del deserto » ), senza l' apparente impegno diretto degli Stati: il che potrebbe far pensare che non esista più una logica imperialista. ma dove si vedono — ecco il punto! — le responsabilità concrete, dove emergono i meccanismi, dove nascono le scelte, le politiche? si tratta, anzitutto, di tutti quei meccanismi sui quali si fonda l' attuale interdipendenza basata sulla subordinazione, di tutti quei meccanismi che da tempo sono stati denunciati — vorrei ricordarlo a tutti i colleghi — da quello schieramento dei non allineati che in primo luogo abbiamo il dovere di ascoltare quando vogliamo affrontare i problemi della fame e del sottosviluppo. essi sono i problemi dello scambio ineguale, del protezionismo, dell' inflazione, dello squilibrio nello sfruttamento delle risorse marine, dell' insufficienza delle risorse finanziarie, delle spese per gli armamenti, del sistema monetario internazionale, dell' indebitamento che opprime i paesi in via di sviluppo . ecco perché sono proprio questi meccanismi che non si vuole intaccare. quando il presidente degli USA, nella sua dichiarazione del 15 ottobre, reclama la libertà d' iniziativa, accorda la preferenza ai commerci ed agli investimenti privati, introduce un elemento estremamente pericoloso, teorizzando, addirittura, l' uso degli aiuti per la spartizione del mondo. e quando annuncia che ridurrà i contributi delle istituzioni internazionali di credito e che insisterà sulla soppressione dei prestiti a condizioni di favore, si appresta a perseguire una linea di intervento volta a distinguere tra soci buoni e soci cattivi. una concezione, cioè, volta a rafforzare la potenza americana, in nome della difesa del capitale privato e delle società transnazionali. ebbene, a questo punto, vorrei chiedere ad alcuni dei firmatari della mozione promossa dai radicali appartenenti ai gruppi parlamentari che sostengono il Governo se si rendono conto che per avviare una serie politica di aiuti e di cooperazione occorre scegliere — per usare le parole di Gaston Thorn, presidente della Commissione esecutiva della Cee — tra la logica del conflitto tra le due superpotenze e quella dell' interdipendenza, che deve essere la dinamica del dialogo nord sud . bisogna scegliere tra la logica neoliberista presente in quelle dichiarazioni di Reagan e la critica a quella logica fatta da Mitterrand, critica aperta alla crescita selvaggia, partendo dal presupposto — come ha detto Mitterrand che gli interessi del nord e del sud sono comuni e che bisogna perseguire uno sviluppo organizzato attraverso negoziati globali sulle grandi questioni dello sviluppo e della cooperazione. tutto ciò sta a dimostrare, onorevoli colleghi , che le questioni del sottosviluppo e della fame non possono essere ridotte ad una questione di mera tecnica. e in atto un gigantesco scontro di interessi. poderosi interessi sono quelli contro i quali si sono infranti tutti i tentativi dei non allineati e del rapporto Brandt, che sono lì a dimostrare quale lotta e quale impegno siano necessari per affrontare, alla sua radice, il male della fame e come sia difficile tracciare una linea di separazione tra i problemi della fame e quelli dello sviluppo; come non ci si possa incamminare sulla via giusta, se si rimane prigionieri della colpevole illusione secondo cui lo sviluppo delle aree arretrate può sorgere come conseguenza spontanea ed automatica del processo di crescita delle aree industrializzate e delle aree sviluppate, che è poi la falsa coscienza su cui si fonda, non a caso, l' ipotesi reaganiana sulla bontà del libero gioco del mercato mondiale, fra l' altro del tutto inesistente. ebbene, il nostro rinnovato impegno sull' emergenza — vorrei ricordarlo agli onorevoli di parte radicale e di tutti gli altri gruppi — non può prescindere dalla constatazione che il sistema capitalistico è alla base dello squilibrio che condanna una così grande parte dell' umanità all' arretratezza. un' origine che va cercata nei meccanismi del mercato mondiale, dominato da ragioni di scambi ineguali che perpetuano lo sfruttamento ed il controllo delle risorse delle aree sottosviluppate, conservano i vincoli di dipendenza ed una precisa gerarchia di privilegi e di classe. ed allora, signori della maggioranza, onorevole Piccoli, vi diciamo chiaramente che non si può scherzare con questo drammatico problema, che non si può fare i prestigiatori con le cifre, con le percentuali, con i numeri e con le mozioni che qui vengono presentate. se è vero, allora, che i problemi del sud del mondo si muovono lungo una china che può portare alla catastrofe ed alla guerra, si rende necessario un impegno coerente in diversi settori, nelle nostre scelte nazionali, nel modo di concepire il nostro stesso sviluppo. e necessaria coerenza, onorevole Piccoli, sulla questione delle spese militari. bisogna sapere che i soldi da stanziare per gli aiuti debbono essere trovati anche in questo capitolo. bisogna che il compagno Lagorio ascolti la voce del compagno Brandt, quando quest' ultimo, riferendo i dati forniti dalla Banca mondiale , secondo cui per soddisfare le necessità fondamentali dei paesi in via di sviluppo fino all' anno 2000 sarebbero necessari investimenti annui di 19 mila miliardi di dollari , più 30-40 miliardi di dollari per costi di esercizio, aggiunge: « non dico nulla di nuovo affermando che anche piccole riduzioni nei bilanci della difesa degli Stati industriali basterebbero per raccogliere questa somma di denaro » . mi auguro che questo suggerimento suoni ovvio alle orecchie di Lagorio, del Governo e dell' onorevole Andreotti, cofirmatario della mozione promossa dai deputati radicali. ma, onorevoli colleghi , occorre essere coerenti nel complesso delle nostre scelte nazionali, occorre essere animati dalla consapevolezza che l' obiettivo di un nuovo ordine economico mondiale non rappresenta una frase ben tornita, ma priva di senso. e si capisce allora che non bastano gli aiuti (tornerò su questo punto), ma è necessario un diverso tipo di sviluppo nei paesi industriali, in funzione dello sviluppo globale del mondo. certo, può essere facile la demagogia della carità, più difficile volere che ci siano uomini che non abbiano più bisogno della carità. per volere ciò, infatti, bisogna che ciascuno cambi, bisogna che, in un mondo che è diventato sempre più piccolo, dinanzi all' emergere, sulla scena della storia, di nuovi popoli, nuovi soggetti e nuovi bisogni, se non vogliamo che scorra il sangue, se vogliamo stare in questo mondo tutti insieme, se vogliamo davvero risolvere i problemi del sud del mondo, cambi il modo di produrre e di consumare del nord del mondo. se volete davvero dare — e lo dico a tutti — , perché tanta irrisione nei confronti di quella politica dell' austerità, quasi che noi volessimo indicare una sorta di ideale francescano? non si è voluto comprendere in tempo che noi ponevamo — e continuiamo a porre — due obiettivi fondamentali: il trasferimento di ingenti risorse dal nord al sud del mondo, l' orientamento dell' intero processo produttivo in una direzione capace di fronteggiare quei bisogni di sviluppo che sono alla base delle esigenze mondiali che abbiamo di fronte. ed ancora, se si ha a cuore la sorte di milioni di uomini, e con essa la nostra sorte e quella della pace, quali impegni, onorevole Colombo, quale politica estera prospettate per contrastare la tesi di Reagan intesa a privilegiare, sul negoziato globale, i rapporti bilaterali, in cui contano i rapporti di forza? certo, l' enunciazione generale si è avuta, anche da parte sua, questa mattina, ma non è stato indicato il tema fondamentale delle sedi, che è stato posto dai paesi non allineati : l' Onu o le sedi riservate al mondo privilegiato? quale politica concreta, a livello multilaterale? badate che la balcanizzazione del terzo mondo è essa stessa un riflesso ed il prodotto della politica occidentale, superabile solo attraverso il tentativo ambizioso, da noi indicato, ancora una volta, nella carta per la pace e per lo sviluppo, del negoziato globale, della chiarezza di una strategia complessiva, sia pure attraverso delle tappe intermedie differenziate, in cui tutta la comunità mondiale cerchi di assicurare le condizioni di una crescita e di uno sviluppo adeguati, attraverso le priorità da noi indicate, del settore dell' agricoltura, di un sistema industriale endogeno ed autocentrato nei problemi monetari, nel contesto di un massiccio trasferimento di capitali e di tecnologie appropriate. quindi non tornando indietro, non coltivando i nostri e gli altrui nazionalismi e protezionismi, ma spingendo in avanti il processo oggettivo del mondo a partire dal diritto del mare, dall' utilizzazione economica degli oceani per arrivare alla definizione dei nuovi principi e delle nuove regole della vita internazionale anche attraverso la democratizzazione — ecco un altro grande tema — e la riforma delle attuali istituzioni internazionali. in questo ambito, signor presidente , onorevoli colleghi , si colloca la nostra posizione concreta sugli aiuti e il nostro atteggiamento nei confronti della mozione promossa dai colleghi radicali. per ciò che riguarda gli aiuti sono fermamente convinto, e vorrei dirlo soprattutto a coloro che sono sospettosi verso una nostra ideologizzazione del problema, che su un tema così delicato, che riguarda la vita e la morte di milioni di nostri simili, a decidere non può essere né l' astrazione ideologica, né la pura rincorsa demagogica; l' unico criterio cui attenersi è quello della responsabilità e della verità. tutti i dati e tutte le statistiche, oltre alla prova allucinante di chi quei dati e quelle statistiche sente mordere nella propria pelle, ci dicono con estrema chiarezza — lo ricordava ancora Brandt al convegno di Firenze — che gli aiuti miranti ad assicurare la sopravvivenza restano al di sotto della soglia oltre la quale essi possono essere usati per fare da sé (la via del progresso passa attraverso il fare da sé) dimostrando l' inefficacia dell' ottica assistenziale. non basta avere deciso determinati aiuti e poi lavarsene le mani perché è necessario seguire passo a passo il loro cammino e allora ci accorgeremo che molti di questi aiuti vanno ai ceti dirigenti così come è accaduto nel 1973 quando gli aiuti all' Etiopia sono stati capitalizzati dal Negus nelle banche svizzere, oppure nel 1974 quando gli aiuti per il terremoto che aveva colpito il Nicaragua sono stati capitalizzati nelle banche svizzere da Somoza, senza dimenticare quanto è avvenuto sulle coste della Somalia in occasione dell' arrivo di navi cariche di frumento con popolazioni che abbandonano la boscaglia, formano delle megalopoli in riva al mare per poi consumare questi prodotti e ritornare nel retroterra disastrato con una agricoltura abbandonata, oppure quando gli aiuti alimentari risultano inutilizzabili perché composti di farina avariata. non si tratta di critiche ideologiche in attesa della rivoluzione mondiale, in attesa della trasformazione delle strutture, ma di critiche concrete legate alla quotidianità di uomini fatti di carne ed ossa. ne consegue che se vogliamo discutere sul serio bisogna sapere che quando si apprestano dei progetti di aiuti non basta definire le quantità ma occorre definire le caratteristiche, gli strumenti e le modalità. bisogna sapere che immettere, per esempio, sul mercato del grano 5 mila miliardi può significare far alzare il prezzo del grano alle stelle creando, ancora una volta, disordine nel mercato mondiale che non aiuta nemmeno i paesi che questo aiuto devono ricevere. nel sottolineare questi rischi, ripeto, non intendo certo sottovalutare tutto il valore e tutta la portata dell' emergenza; al contrario, ribadisco con forza che, prima che i paesi sottosviluppati possano fare da sé, occorrerà offrire l' aiuto alimentare necessario per lo meno fino alla fine del secolo. denunciamo da questa tribuna che l' impegno solenne di fornire 10 milioni di tonnellate , assunto nella prima conferenza alimentare mondiale nel lontano 1974, non è stato rispettato: ci si aggira oggi intorno ai 5-7 milioni. in questo contesto si colloca quindi il nostro atteggiamento, concreto e non ideologico, nei confronti della mozione numero 1-00164. il fatto stesso che non abbiamo contrapposto una nostra mozione a quella di cui parlavo mi sembra stia a riconfermare quel che dicevo all' inizio di questo mio intervento e cioè il nostro apprezzamento per ogni iniziativa che contribuisce a sensibilizzare la coscienza delle grandi masse popolari su un problema determinante della nostra epoca e a sollecitare misure adeguate, anche se si tratti di una iniziativa interna a concezioni per molti aspetti diverse dalle nostre. in questo senso il gruppo comunista, coerentemente con quanto già affermato nella precedente discussione che si è svolta in questa Camera, dirà il proprio « sì » all' aumento allo 0,7 per cento del prodotto nazionale per gli stanziamenti riguardanti la fame e la cooperazione. deve essere anche chiaro che se tale posizione passerà, attraverso il vaglio del voto — e noi ci auguriamo che questo avvenga — all' indomani stesso avrà un riflesso immediato sulla nostra presa di posizione, attraverso gli strumenti adeguati, per ciò che riguarda le conseguenze per la legge finanziaria che viene discussa al Senato. il nostro, dunque, è un « sì » che non deve e non vuole lasciare spazio a giochi poco decorosi, come fa Bonalumi, che prima firma, e poi si accorge che ciò richiederebbe un raccordo tra obbiettivi della mozione firmata ed azione del governo ; senza poi dire in che direzione si debba operare in questo raccordo, come se ci fossero delle cifre in libertà, o come se anche le cifre fossero dei nuovi esterni della Democrazia Cristiana . né si può fare come ha fatto qui il ministro Colombo, il quale ci ha presentato una concezione della politica estera come fatta di scatole cinesi , una sarabanda, una riunione dietro l' altra, o anzi dentro l' altra, per dire le stesse cose, senza mai arrivare alle strumentazioni; e ci ha detto che l' obbiettivo dello 0,7 dovrebbe realizzarsi entro dieci anni, svelando così, finalmente, l' arcano di quella frase contro la quale l' altra volta, ve lo ricorderete, ci siamo battuti, quella del « più breve tempo possibile » . il ministro Colombo non ci ha però svelato l' arcano più grave, e cioè il motivo per cui non è stata detta neanche una parola sul fatto che gli stanziamenti precedenti passano a residui passivi . nulla è stato detto sul fatto che i crediti privilegiati allo sviluppo sono stati impiegati solo al 10 per cento — 30 miliardi sui 280 miliardi decisivi. perché, allora, non dovremmo noi comunisti insospettirci per certe firme, quando non esiste un rapporto tra impegni concreti e la politica permanente, strutturale, quotidiana, sulle questioni di fondo della cooperazione e dei nostri rapporti complessivi con tutta la politica della Comunità e del Parlamento europeo ? perché, allora, ministro Colombo, invece di prometterci altre riunioni, non sollevate, proprio in occasione di questa discussione, il problema dell' insufficienza delle strutture amministrative del nostro paese; non ponete il problema di come predisporre strumenti adeguati, dinanzi alle inadempienze gravi che ci stanno di fronte? perché, onorevole Colombo, quando si parla della fame e dell' aiuto da dare in questa direzione, vi accorgete — come ella ha fatto questa mattina — che il nostro paese è all' ultimo posto, mentre nelle campagne elettorali si vantano i progressi? e poi noi comunisti, quando denunciamo la crisi, saremmo catastrofici! detto questo, affermo che il gruppo comunista è pronto anche a votare per l' attuazione degli orientamenti del Parlamento europeo per ogni concreto e attendibile programma d' emergenza, come è già stato annunciato pubblicamente. anche qui stiamo attenti però alla danza fantastica delle cifre sulle pelle degli uomini che vivono il dramma, e di questo dramma muoiono, del sottosviluppo. noi vogliamo denunciare il fatto che, mentre il Parlamento europeo firmava a maggioranza il fondo dei 5 mila miliardi, lo stesso Parlamento europeo ha respinto le conseguenze concrete (il dramma di Bonalumi, come si vede, si presenta anche a livello europeo), cioè la proposta del gruppo comunista di iscrivere nel bilancio 250 miliardi dei 5 mila, su cui si era da un punto di vista teorico, ideale e morale deliberato; ed ha respinto il successivo emendamento radicalcomunista, volto ad osservare in bilancio gli obblighi assunti attraverso quella presa di posizione. per ciò che riguarda invece la proposta dei 3 mila miliardi per finanziare un proprio piano di emergenza, contenuto nella mozione che è stata qui presentata, noi abbiamo affermato che siamo per impegni seri, non per adesioni puramente formali — visti i precedenti, che credo ci rendano giustamente sospettosi — , cui non corrispondano da parte del Governo volontà ed un' adeguata organizzazione degli strumenti. noi affermiamo che il problema di fondo non è quello se aumentare o no le cifre; anzi, diciamo che più aumentano le cifre, più bisogna andare a vedere dove vanno a finire e quali sono i piani precisi per cui queste cifre devono essere impiegate. devo però aggiungere che l' intervento in Aula dell' onorevole Bonino mi sembra abbia portato interessanti elementi e precisazioni, cioè l' indicazione di una metodologia di lavoro, attraverso la definizione di un piano integrato la necessità di una divisione delle zone nelle quali questo piano deve operare; e perciò chiediamo che a questo chiarimento corrisponda una migliore definizione del problema, e che si vada adesso o in seguito ad una diversa formulazione, in cui siano chiari strumenti, modalità, modo di reperirei fondi, impegni del Governo e delle sedi della Comunità Europea . ma noi chiediamo che su tutto questo si pronunci in primo luogo la maggioranza, perché vogliamo sapere se coloro che hanno firmato, e coloro che fanno parte della maggioranza e non hanno firmato, si rendono conto che non bisogna porsi al centro di un balletto di cifre e di impegni, cercando di salvarsi così la coscienza, ma che bisogna sapere che nessuna vita umana , nessun bambino del mondo, si nutre delle cifre fasulle iscritte nei vostri programmi. sappiate che quello che noi qui stiamo affrontando è un tema su cui non è lecito per nessuno scherzare; sappiate che questa parte del mondo non si salverà, se non si prende coscienza che avanzano nuove forze sociali , nuove generazioni, un movimento universale di lotta per la liberazione dall' oppressione; e che la storia umana, acquista, quindi, una dimensione che non ha mai avuto, perché ci troviamo con la dichiarazione del terzo mondo di fronte ad un fatto nuovo ed inarrestabile, ad uno dei processi più profondi della storia dell' umanità, che cambia i rapporti tra i popoli e gli Stati, che impone una revisione profonda degli assetti internazionali ed interni, e che apre un cimento da cui dipendono le prospettive di progresso e di pace dell' intera umanità. dinanzi a tutto ciò non è lecito a nessuno scherzare col fuoco; dinanzi a tutto ciò, onorevoli colleghi , è il momento dell' impegno, della lotta per un mondo diverso, per un diverso ordine internazionale, e della chiarezza e della serietà delle scelte. questo è quanto ci chiedono i popoli sottosviluppati del sud; questo è ciò di cui ha bisogno per salvarsi il nord del mondo e il nostro paese.