Emma BONINO - Deputato Opposizione
VIII Legislatura - Assemblea n. 289 - seduta del 28-02-1981
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1981)
1981 - Governo Forlani - Legislatura n. 8 - Seduta n. 289
  • Attività legislativa

signor presidente , le preciso che illustrerò gli articoli aggiuntivi Crivellini dal 17. 03 al 17. 07. no, signor presidente . perché gli articoli aggiuntivi successivi al 17. 07 saranno svolti dalla collega Adele Faccio. non faccio un' illustrazione complessiva. signor presidente , capisco che questi articoli aggiuntivi sembrano a scalare e cioè vi è solo una differenza di cifre, però le assicuro — e lo dimostreremo nella nostra illustrazione — che essi riflettono impostazioni diverse che, trattandosi di legge finanziaria , si traducono in cifre diverse, evidentemente. allora non ho capito bene una cosa: sul complesso degli articoli aggiuntivi, evidentemente, i colleghi che vorranno intervenire potranno farlo. la ringrazio. signor presidente , signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, nel riprendere la discussione della legge finanziaria dall' articolo aggiuntivo Crivellini 17. 01 in poi, il gruppo radicale ha voluto sottolineare e porgere all' attenzione del Governo e dei colleghi due temi che ci stanno particolarmente a cuore e che comprendono, il primo, la lotta contro lo sterminio per fame e, il secondo, il problema dell' energia. mi fa piacere che nei banchi del Governo vi sia il sottosegretario Fracanzani, perché credo sia a conoscenza di queste nostre iniziative da tempo e, anzi, fu proprio il rappresentante del Governo che annunciò il raddoppio dello stanziamento per l' aiuto ufficiale allo sviluppo al congresso del Consiglio nazionale dell' alimentazione in Canada nel 1978. riprendendo questo argomento, che creerà evidentemente meno tensione in quest' Aula perché è un argomento che ci vede isolati nel proporlo (per il Governo non vi sarà paura, ovviamente, né di voti di fiducia né pericolo di alcun tipo, perché anche le opposizioni di vario genere e di vario segno hanno una impostazione completamente diversa dalla nostra per quanto riguarda questo problema di politica estera , e quindi si troveranno anch' esse a votare con la maggioranza), volevo segnalare come il problema dello sterminio per fame nel mondo — problema di politica estera abbia in sé contenuti che non sono solamente di tipo morale, anche se la sola questione morale intesa non nel senso della questione morale dei partiti — abbiamo sentito al riguardo discussioni in questi ultimi tempi — ma di un mondo e di rappresentanti politici di un mondo che tollera, senza colpo ferire e senza battere ciglio, che 17 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiano di fame nei paesi del terzo mondo ... di per sé è una questione di tutta evidenza e che, senza necessità di ulteriori sottolineature, è la sola questione morale , io credo, che debba porre a tutti una osservazione molto semplice. non è affatto vero che la fame e il sottosviluppo siano una maledizione biblica . quello che è certo è che questo mondo ha sufficienti risorse non solo per nutrire i quattro miliardi e mezzo di abitanti attuali o i sette miliardi probabili di esseri umani viventi nell' anno 2000, e che in teoria è noto che ce ne sarebbe abbastanza anche per i dieci miliardi di esseri umani che si possono prevedere; quindi, se la fame c' è, vuol dire che è un fatto di scelta politica (o di non scelta politica, che poi in fondo è la stessa cosa), è una questione, cioè, che dipende dall' umana volontà e sulla quale si può incidere, ammesso che si voglia incidere, in modo profondo e risolutivo. è un problema cioè di distribuzione delle risorse che vanno dalla scandalosa opulenza di gente che magari ha un reddito di sei mila dollari l' anno a gente che ha un reddito di duecento, o neanche quello, o di cento dollari l' anno; è, insomma, un problema di ingiustizia sociale, e l' ingiustizia sociale non è una maledizione biblica : è evidentemente una scelta politica precisa, e in questo caso è una scelta politica dei paesi sviluppati verso i paesi in via di sviluppo . ma, oltre alla questione morale , su cui non ritengo di dovermi soffermare molto, perché mi sembra quella di più evidente immediatezza, vorrei soffermarmi sul carattere economico di questa battaglia, perché credo sia nota ormai a tutti — e se non lo è intendo sottolinearla — l' interdipendenza sempre più stretta che si viene creando tra l' economia dei paesi sviluppati e quelle dei paesi in via di sviluppo , cioè la lapalissiana connessione tra i mezzi finanziari e tecnologici dei paesi sviluppati e le materie prime e le risorse energetiche che competono ai paesi in via di sviluppo . questa connessione, su cui intendo soffermarmi, è un dato per noi estremamente importante, soprattutto rispetto a chi vuol vedere in questa nostra battaglia solo il carattere della filantropia o dell' umanitarismo, che non rinneghiamo affatto e che invece ascriviamo come un dato positivo nella gestione e nella iniziativa politica: intendiamo semplicemente dire che non è solo quello, ma è anche una visione preveggente di quale grado di sviluppo sia ancora possibile conseguire nei paesi sviluppati se non si crea un' apertura di mercati nei paesi in via di sviluppo e un innalzamento del reddito in questi stessi paesi. e giustamente volevo citare qui analisi economiche non radicali, volevo citare qui quanto ha detto recentemente il presidente della Banca mondiale McNamara che, in una parte del rapporto che è ormai noto sotto il nome di « rapporto Carter contro la fame nel mondo » , sostiene apertamente che oggi l' aiuto ai paesi in via di sviluppo non è filantropia, ma una difesa lungimirante dei nostri interessi. ed è noto a tutti che McNamara non fa parte delle dame di San Vincenzo , e quando parla di nostri interessi parla degli interessi dei paesi sviluppati : credo che su questo dato dobbiamo riflettere. non possiamo andare avanti facendo finta che i nostri problemi economici e di sviluppo si risolvono semplicemente al nostro interno, perché credo che senza uno sguardo reale all' interdipendenza ormai evidente tra i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo non sia possibile, a mio avviso, creare un dato di economia che sia possibile per la sopravvivenza di tutti quanti. noi viviamo, per esempio, in un paese in cui la carenza di materie prime e di energia è un fatto assodato dallo stesso bilancio e dalle stesse relazioni finanziarie, e quindi vitale per noi più che per altri, più che per i paesi sviluppati che hanno ancora energia o materie prime ; dicevo, per noi è vitale un tipo di politica estera diversa, un tipo di politica estera che abbia di fronte e come obiettivo una politica di rapporti di uguaglianza con i paesi in via di sviluppo . questa connessione è anche più evidente se noi non generalizziamo il termine « paesi in via di sviluppo » , ma intendiamo il rapporto Europa-Africa o Italia-Africa. noi possiamo immaginare, per esempio, che cosa potrebbe significare per un paese come l' Italia la creazione di un' area di sviluppo mediterranea, in cui si potesse verificare un aumento dello sviluppo dei paesi del terzo mondo che si affacciano sul Mediterraneo, o che sono immediatamente a sud del Mediterraneo, che finalmente vedrebbe il Mezzogiorno d' Italia come il centro di una nuova area di sviluppo. credo che questo sia il problema economico su cui dobbiamo riflettere, e che del resto è stato sottolineato già l' anno scorso nel dibattito sulla legge finanziaria da un altro collega del gruppo radicale, essendo non un dato di assistenzialismo o di filantropia, ma un dato reale, di interessi anche economici, per quanto ci riguarda. è per questo che, come già dicevamo l' anno scorso , non siamo affatto toccati da chi ci viene a dire che, invece di occuparci della fame nel terzo mondo , potremmo occuparci della fame di Napoli, di Bari o del sud in generale. riteniamo, infatti, che sia tutto un unico problema e che, se non cambierà radicalmente il tipo di sviluppo economico del nord e dei paesi sviluppati (comprendendo tra questi il nord italiano), non si riuscirà a crearne un altro di sviluppo sia per il sud del mondo intero, sia per il sud del nostro paese. infatti, le politiche fin qui seguite non sono diverse (basti pensare alle oasi nel deserto del Mezzogiorno d' Italia e alle oasi industriali nel deserto che si sono volute creare nei paesi del terzo mondo ) e si sono dimostrate fallimentari entrambe, sia quella del sud di casa nostra, sia quella del sud del mondo, cioè dei paesi in via di sviluppo . è evidente, da questo punto di vista , che anche la nostra politica estera risulta fallimentare, perché è stata finora — e continua ad esserlo effettivamente — al seguito della politica estera delle due grandi potenze, cioè una politica estera che considera ancora oggi prioritario il dialogo est ovest , rispetto al quale però l' unica cosa che può fare è sottoscrivere accordi raggiunti dalle due superpotenze. l' Italia invece non vuole privilegiare questo nuovo rapporto che si è aperto, e che secondo me è in prospettiva il vero scenario della politica estera , cioè il dialogo nord sud . non è sicuramente una invenzione nostra il fatto che il dialogo nord sud si stia imponendo sempre di più come il dato centrale della politica estera di tutti i paesi. basta pensare che negli anni scorsi è sempre stato privilegiato il dialogo est ovest e che il maggiore artefice di questo dialogo (mi riferisco a Willy Brandt) ha oggi nella sua analisi sostenuto che ormai è prioritario, per la sopravvivenza economica e per lo sviluppo anche dei paesi sviluppati , il dialogo nord sud . non è un caso, quindi, che la stessa persona che ha condotto gli accordi e la politica est ovest si trovi nella necessità di segnalare come un dato di previdenza politica ci debba portare a guardare ad un nuovo schieramento rispetto a questo problema e soprattutto ad un nuovo tipo di scenario. d' altra parte, quando sentiamo ripetere — e l' abbiamo sentito qui alcuni giorni fa, quando parlavamo delle spese militari — che le spese militari, da sole, possono garantire la sicurezza, la pace e la stabilità in questo nostro mondo, credo di dover essere necessariamente d' accordo con il « rapporto Carter » , in cui si sostiene che affidare puramente e semplicemente alla crescita degli arsenali militari la pace e la sicurezza nel mondo costituisce una pura illusione. noi oggi ci troviamo nella situazione in cui un terzo di paesi benestanti è circondato da due terzi di paesi sottosviluppati, e le proiezioni di tali dati ci portano a dire che nel 2000 essi saranno rispettivamente di un quarto e tre quarti : in altre parole, una piccola cittadella di paesi sviluppati , militarmente forti ma assediati da una moltitudine scatenata, che non potrà più a lungo tollerare un' ingiustizia sociale di questo genere. d' altra parte, abbiamo tante volte sentito dire che uno dei più gravi problemi dei paesi sviluppati è rappresentato dalla crisi energetica . ebbene, lo stesso Brandt, nelle conclusioni della sua indagine, sostiene che ancora più destabilizzante della crisi energetica è il divario tra nord e sud, tra paesi sviluppati e paesi cosiddetti poveri. se pensiamo, comunque, che per risolvere la crisi energetica siamo disposti a spendere migliaia di miliardi (il piano economico nazionale non è ancora stato discusso, ma sappiamo che prevede uno stanziamento di 70 miliardi per i prossimi dieci anni), anzi, che siamo disposti a spendere tutti questi soldi soltanto per mettere delle toppe al problema energetico, dobbiamo dedurre che le cifre da noi richieste per la lotta contro lo sterminio per la fame nel mondo e l' impostazione di una diversa politica di collaborazione economica tra il nostro paese e quelli del terzo mondo costituiscono una scelta fondamentale, che è economica, anche se ha in sé requisiti di carattere morale, e che deve indicare una linea di tendenza . devo aggiungere che negli ultimi anni, nonostante gli eccellenti rapporti della commissione Brandt e della commissione UNCTAD, nonostante tutti i dibattiti svoltisi nel nostro Parlamento (alla Camera e al Senato) e nello stesso Parlamento europeo , i risultati pratici consistono in una diminuzione degli aiuti ufficiali allo sviluppo, se è vero come è vero , che dieci anni fa eravamo arrivati ad una media dello 0,45 per cento del prodotto interno lordo dei paesi sviluppati e che oggi siamo invece scesi allo 0,30, 0,35 per cento . a livello internazionale, siamo di fronte non solo alla riduzione degli aiuti ufficiali decisa di recente dagli USA e dalla Gran Bretagna , ma anche all' atteggiamento assunto da sempre dal blocco dei paesi dell'est i quali, come è noto a tutti, non contribuiscono alle varie forme di aiuto ufficiale allo sviluppo, sostenendo che del sottosviluppo è responsabile il colonialismo e quindi sono responsabili i paesi capitalisti che in passato hanno adottato questa politica. così, i paesi del socialismo reale non si sentono toccati da questo problema e non intendono far nulla per contribuire a risolverlo. a mio avviso, questa è una posizione inaccettabile; ed è inaccettabile anche per i paesi del terzo mondo che pure sono ideologicamente schierati più vicino all' Unione Sovietica : i paesi del terzo mondo ideologicamente più vicini ai paesi del socialismo reale rifiutano questo atteggiamento. io posso anche concordare sul fatto che una delle maggiori cause del sottosviluppo dei paesi del terzo mondo sia da ricercare nel colonialismo; penso però che questo problema non possa essere trattato soltanto dal punto di vista delle responsabilità storiche e che il contributo allo sviluppo dei paesi del terzo mondo sia un interesse preciso di tutta la comunità mondiale. le cifre che noi chiediamo con questi articoli aggiuntivi possono sembrare estremamente alte, visto che vanno da una prima richiesta di 6 mila miliardi (che consentirebbe di utilizzare per questi scopi l' 1,1 per cento del nostro prodotto nazionale lordo ) ad una minima che vuol dare a questa Camera la possibilità di deliberare quanto meno uno stanziamento che ci porterebbe ad allinearci alla media dei paesi DAC (0,25 per cento ). ma, se rifiutiamo e lasciamo da parte l' impostazione e la logica di tipo assistenziale, filantropico, insomma, se vogliamo fare di questo una linea di tendenza reale della politica economica e dello sviluppo del nostro paese, possiamo renderci conto che non è questa cifra esorbitante di cui si dice, perché credo che potrebbe anche essere — ne sono sicura — una linea produttiva per lo sviluppo complessivo del nostro paese. siamo stati accusati anche negli anni scorsi di aver sollevato una campagna di tipo demagogico non supportata da proposte serie e che non si astraeva, di fatto, da una impostazione assistenziale: era il momento in cui chiedevamo l' aiuto immediato e straordinario. devo dire che saremmo ben contenti se altri facessero o avessero fatto proposte più serie e, magari, le avessero anche portate avanti. solo in questo caso saremmo disposti ad accettare l' accusa di demagogia che ci è stata rivolta; sarebbe necessario, cioè, che potessimo verificare nel concreto che le nostre proposte erano demagogiche perché altre ben più serie, concrete, efficaci sono state avanzate. dobbiamo, invece, constatare che, a distanza di due anni, non sono state avanzate altre proposte e che i 500 miliardi destinati allo scopo di cui trattiamo, che il Governo aveva stanziato lo scorso anno in luogo dei 6 mila miliardi da noi chiesti, non sono stati spesi e sono andati a formare residui passivi . dobbiamo, pertanto, constatare che le forze politiche più serie, capaci di non indulgere a tentazioni emotive e demagogiche, si sono comportate anche peggio di noi, perché nulla hanno fatto neanche rispetto agli stanziamenti più « seri » , così come li avevate voluti e votati. abbiamo sempre sostenuto che il problema era quello di una svolta radicale nell' impostazione della politica estera attraverso l' impiego di grandi investimenti; ma non è, a mio avviso, portando piccoli correttivi al sistema che abbiamo messo in atto che compiremo dei passi in avanti: non riusciremo, infatti, nemmeno a « tappare i buchi » di questo modo di procedere, come avete dimostrato l' anno scorso quando, facendo appello alla nostra ragionevolezza, avete proposto lo stanziamento di 500 miliardi che, ripeto, non sono stati spesi e sono andati a formare residui passivi . non voglio tornare, poi, sulla legge con la quale si sono destinati e divisi i famosi 200 miliardi destinati al raddoppio dell' aiuto ufficiale allo sviluppo, il cui stanziamento era stato presentato dal sottosegretario Fracanzani al congresso di Ottawa. in realtà, questi 200 miliardi non servono affatto e non sono serviti alla lotta contro la fame nel mondo , sono stati destinati a tutt' altro uso, dal finanziamento della « legge Ossola » ad abbonare i debiti per due volte di seguito ai paesi in via di sviluppo . ricordo che, durante la prima marcia di Pasqua indetta dal comitato per la vita contro la fame del mondo, in una delle nostre tappe fummo ricevuti dall' allora presidente del Consiglio , onorevole Andreotti, il quale ci disse, con nostra grande soddisfazione — immagino anche con la sua — (eravamo nel 1978), che l' Italia decideva di abbonare, praticamente, i 20 miliardi di crediti ai paesi del terzo mondo . prendemmo atto con estrema soddisfazione di questa iniziativa; peccato però che l' anno dopo, in occasione della discussione della legge con la quale si stanziavano i famosi 200 miliardi, ci siamo ritrovati i 20 miliardi di cui ho detto, nel senso, cioè, che la stessa iniziativa era stata presa due volte con gli stessi soldi, ma veniva fatta passare l' anno successivo come contributo per la fame nel mondo ! l' altro tipo di accusa che ci è stata fatta spesso è quella di puntare soprattutto sugli aiuti straordinari ed immediati. spesso, soprattutto dai colleghi comunisti, ci viene detto che il problema è di modifiche strutturali, da apportare nei paesi in via di sviluppo , per una crescita diversa eccetera, eccetera, eccetera. ebbene, abbiamo ritenuto e riteniamo che questa politica dei due tempi, di risolvere i problemi di struttura (non moriranno più perché si alimenteranno da soli), sia stata e sia sostanzialmente fallimentare. e con molta soddisfazione abbiamo ritrovato questa stessa analisi sia nel « rapporto Brandt » , sia nel « rapporto Carter » , i quali hanno sostenuto entrambi che, se da una parte è giusto creare le basi perché esistano modifiche strutturali nei sistemi economici e di sviluppo dei paesi del terzo mondo , ancora per molti anni — è detto nei rapporti — non potremo fare a meno di intervenire massicciamente con aiuti straordinari e d' emergenza. a questo punto possiamo porre il problema della qualità degli aiuti e dire che spesso abbiamo mascherato, sotto il nome di « aiuti » , semplicemente le eccedenze agricole della Comunità Europea . possiamo dire che l' uso degli aiuti straordinari e di emergenza è stato spesso un uso che faceva comodo più a noi che ai paesi in via di sviluppo ; e non starò qui ovviamente a soffermarmi su tutto il problema (immagino che tutti lo conoscano) del latte in polvere o Nestlè. dico semplicemente che, se è giusto fare una critica serrata di come siano stati qualitativamente e quantitativamente organizzati gli aiuti alimentari al terzo mondo , non è affatto vero che d' ora in poi non dovremmo farne più: dovremmo farne di altro tipo, e cioè aiuti che siano di stimolo per esempio all' economia locale dei paesi del terzo mondo : aiuti che possono manifestarsi in molti modi (ne citerò alcuni), senza limitarsi agli aiuti che in realtà fanno comodo a noi e soprattutto alla Comunità Europea . avevamo anche proposto che si usassero per interventi straordinari corpi smilitarizzati mutuati dall' esercito, dalle forze armate . volevo ripetere un esempio formulato da noi molti armi or sono, proprio perché non si parli di nuovi colonizzatori che si presentano con l' esercito in Tanzania: non è affatto questo! vorrei segnalare qui, per esempio, il costo del trasporto degli aiuti alimentari per i paesi del terzo mondo . forse i colleghi sanno benissimo che gli aiuti alimentari possono anche essere regalati, ma il costo del trasporto relativo normalmente è a carico dei paesi del terzo mondo , evidentemente con problemi finanziari. noi proponevamo di usare (creandone, se non ne esistono) navi militari da trasporto che svolgessero gratuitamente il trasporto suddetto; pensiamo agli aerei militari. quindi, nessuna accusa di colonizzare, di arrivare con gli eserciti in un paese del terzo mondo , a prenderne possesso! d' altra parte, mi farebbe paura la forza di colonizzazione di altri paesi, ma non certo quella, dell' Italia: non credo che siamo tanto megalomani da pensare di avere oggi questo tipo di possibilità, di capacità... vi sono comunque possibilità di realizzare il ricorso alle strutture militari convertite in strutture civili: mi auguro che questa nuova protezione civile , questo nucleo deciso con l' emendamento del Governo sulle spese militari (il nucleo di nuova formazione dovrebbe occuparsi di interventi di protezione civile nelle calamità in Italia ed all' estero), possa essere attrezzato in questo senso per costituire un primo impulso ad una nuova politica di questo genere. certo, cinquanta miliardi non sono molti, e devo dire che come sempre, quando un' idea viene proposta — così come noi l' abbiamo proposta ad esempio per la protezione civile , ma con ben altri fondi, con ben altri stanziamenti e possibilità — essa è raccolta dal Governo; ma abbiamo seri dubbi che lo stanziamento deciso possa servire a qualcosa al di fuori dall' ascriverlo nella legge finanziaria . d' altra parte, il problema dei rapporti tra spese militari e spese per lo sviluppo, su cui sono già intervenuta allorquando si è discusso delle spese militari, è estremamente grave. negli anni 80 è finito il decennio del disarmo, ma tutti sappiamo come invece le spese per gli armamenti siano aumentate fino a raggiungere circa 500 miliardi di dollari , e come parallelamente gli stanziamenti per l' aiuto ufficiale allo sviluppo siano progressivamente diminuiti fino a raggiungere una media pari allo 0,34 per cento . nessun rapporto, quindi, tra spese militari e spese civili. vi è però una parte, che probabilmente i colleghi conoscono, contenuta nel « rapporto Brandt » , dove sono riportati alcuni esempi specifici che credo possano far comprendere a tutti come questi due stanziamenti siano strettamente connessi e come sia utopistico ed irrealistico aspettare come viene detto da molti — la diminuzione progressiva delle spese militari e l' aumento di quelle per lo sviluppo. storicamente non è mai accaduto questo: sono sempre aumentate le spese militari e non abbiamo mai avuto un periodo di ritorno, o di passi indietro. nel rapporto della « commissione Brandt » vengono fatti alcuni esempi significativi: un carro armato costa un milione di dollari, e con la stessa somma si potrebbe organizzare lo stoccaggio di 100 mila tonnellate di riso. tutti sappiamo come il problema dello stoccaggio sia enorme nei paesi del terzo mondo , in quanto investe il problema più ampio della conservazione dei raccolti e delle perdite degli stessi, che raggiungono livelli assai alti. sempre nel « rapporto Brandt » si legge che il costo di un aereo da combattimento è di 20 milioni di dollari e con la stessa cifra si potrebbero costruire 40 mila farmacie di villaggio. tale rapporto continua con una serie di esempi che probabilmente i colleghi conoscono. accanto a tutto ciò vi è uno spreco reale, che non è immediatamente economico, ma che è lo spreco dei talenti, dei ricercatori, degli scienziati che oggi, nella stragrande maggioranza, sono impiegati nelle ricerche di tipo militare o del progetto nucleare cosiddetto pacifico, ma che non vengono utilizzati per ricerche di vita e di sviluppo nel mondo intero. siamo persuasi che questa battaglia, che tendete a sottovalutare da molti anni, sia centrale e che, se non la si vorrà affrontare ora, saremmo obbligati ad affrontarla tra non molto in termini ancora più disagiati di quanto siano oggi. le cifre richieste per aver un minimo di equilibrio sono oggi più esorbitanti di ieri. non credo affatto che i paesi del terzo mondo , pur gestiti politicamente da una grande potenza o da un' altra, siano disposti a tollerare ancora per molto questo stato di cose . non credo affatto che essi non assumeranno iniziative per organizzarsi tra di loro. un primo embrione di organizzazione — non mi riferisco all' unione dei paesi 77 — lo possiamo trovare nei paesi dell' Opec. pensate cosa significherebbe per il mondo sviluppato se i paesi del terzo mondo , invece di essere divisi tra di loro, decidessero di riunirsi per bloccare l' esportazione delle materie prime . cosa significherebbe questo per tutti noi quando, già oggi, se l' Opec decide un aumento del greggio, ne vediamo immediatamente le ripercussioni sul nostro livello di vita? è vero che sulle altre materie prime possiamo ancora giocare in una politica di espropriazione e di sfruttamento quasi selvaggio, ma è anche vero che, se dovesse cambiare la politica dei paesi del terzo mondo , ci troveremmo in una situazione non solo di grande imbarazzo, ma anche assai difficile. se vogliamo stabilire a che punto siamo oggi rispetto ai tanti problemi sul tappeto, che investono questo aspetto della nostra politica estera , per prima cosa dobbiamo dire che nel 1974 (l anno della famosa crisi) la Fao stimava che il numero degli affamati nei paesi in via di sviluppo ammontava a 455 milioni; nel 1980 la Banca mondiale li stima in 780 milioni e ne prevede per il 2000 un miliardo e 300 milioni. nel 1981, invece, si prevede che questa stessa cifra potrà essere raggiunta già nel 1990, costituendo così — come sostenevo prima — la piccola cittadella dei paesi sviluppati accerchiati da una massa in sottosviluppo ed affamata che non ci metterà molto a capire di avere alcuni settori su cui è obiettivamente più forte, in particolare in quello energetico e in quello delle materie prime . contemporaneamente la struttura della produzione mondiale e del commercio dei cereali si è progressivamente sbilanciata. tutti sanno che prima della seconda guerra mondiale i paesi in via di sviluppo erano non solo autosufficienti, ma addirittura esportatori: oggi si è raggiunta una situazione in cui i paesi in via di sviluppo hanno importato, nel 1980, cereali per 20 miliardi di dollari . è una cifra più o meno equivalente al deficit che gli stessi paesi in via di sviluppo hanno nei confronti dell' Opec; per il 1980-1981 i paesi in via di sviluppo hanno importato circa 95 milioni di tonnellate di cereali, contro 84 milioni nel biennio 1978-1979. si tratta di un aumento quasi esponenziale, che denota una linea di tendenza che non tende affatto a cambiare rotta e che porterà di più i paesi in via di sviluppo a dipendere per la loro sopravvivenza dai paesi sviluppati , in una situazione in cui il loro deficit aumenterà. infatti, se è vero che i paesi del terzo mondo hanno un deficit di circa 20 miliardi di dollari nei confronti dell' Opec, non dimentichiamo che, per quanto riguarda i manufatti, hanno un debito di circa 70 miliardi di dollari nei confronti dei paesi sviluppati . vi è un altro dato preoccupante che riguarda le riserve mondiali di cereali. quest' anno le riserve mondiali di quel prodotto sono scese al di sotto del limite di sicurezza, che la Fao indica nel 17 per cento del consumo mondiale; pertanto si prevede che alla fine del biennio 1980-1981 avremo una riserva pari al solo 14 per cento del consumo mondiale. questo 14 per cento , a sua volta, rappresenta l' 1 per cento in più rispetto alle scorte dell' anno della grande crisi del 1972-1973. mentre in quegli anni le riserve ammontavano al 13 per cento del consumo globale, oggi ci troviamo ad un passo da una nuova crisi alimentare mondiale, per evitare la quale dobbiamo fare affidamento ai nuovi raccolti di quest' anno. tali raccolti, per non entrare in crisi, devono avere almeno un aumento del 4 per cento , solo per coprire il fabbisogno mondiale, che aumenta ogni anno, con la crescita della popolazione, del 2 o 3 per cento . e, per ricostruire le riserve mondiali di cereali, dovremmo arrivare quest' anno (cosa che è esclusa da tutti gli esperti, da tutti coloro che si occupano di questo problema) ad un raccolto superiore del 7 per cento a quello dell' anno scorso , e cioè ad una produzione di 107 milioni di tonnellate in più (cosa che è esclusa da tutti), al solo fine di poter provvedere all' aumento dei consumi ed alla ricostituzione delle riserve mondiali di cereali. questo non avverrà; quindi, ci manterremo su situazioni di pre-crisi, variabili dal 14 al 15 per cento , bene che vada. d' altra parte, in tutti questi anni, in cui pure in tutti i congressi e convegni mondiali è stato sottolineato come si sia sempre ad un passo da una crisi mondiale, non è stato possibile politicamente precostituire un piano né un accordo tra i diversi paesi su che cosa si possa o si debba fare nel caso di una crisi mondiale. come è noto a tutti, durante l' ultima crisi i paesi sviluppati reagirono in modo destabilizzante, scomposto e contraddittorio, tanto è vero che gli stocks di grano nella Comunità Europea , in Giappone e, per esempio, in Russia, alla fine della crisi erano più alti che non all' inizio. ciò vuol dire che la crisi fu usata, in sostanza, dai paesi della comunità europea, dal Giappone e dall' Unione Sovietica per ricostituire le proprie scorte, che finirono infatti, alla fine della crisi, per essere più elevate di quanto fossero all' inizio della crisi stessa. l' aiuto alimentare di cui parlavo prima non ha mai raggiunto i 10 milioni di tonnellate , così come era stato richiesto nel 1974, secondo i bisogni previsti nel 1974. si prevede per l' anno 1980-1981 un fondo di 9 milioni di tonnellate , che sono per altro una quantità inferiore rispetto al 1979. e, conseguentemente, di pari passo, la riserva internazionale di emergenza non ha mai raggiunto le 500 tonnellate annuali, che furono concordate dall' Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1975, e riaffermate dal Consiglio mondiale dell' alimentazione tutti gli anni. è noto a tutti che non si è raggiunto un accordo sul grano per stabilizzare i mercati, per assicurare la sicurezza alimentare mondiale, nonostante i famosi negoziati sul grano procedano (si fa per dire, nel senso che stanno fallendo e falliscono ogni volta) dal 1975. la produzione alimentare nei paesi in via di sviluppo è cresciuta in misura inferiore al consumo e, quindi, dopo 10 anni e più di « rivoluzione verde » o di non rivoluzione verde, in Africa, oggi, c' è il 10 per cento in meno di cibo procapite rispetto a10 anni fa. sono dati Fao, ed io credo che su questi dati potremmo cominciare a riflettere tutti. questi paesi erano esportatori di cereali prima della seconda guerra mondiale ; oggi sono importatori di quantità sempre crescenti ed incredibili. d' altra parte, la loro produzione alimentare interna non è cresciuta in modo sufficiente al loro consumo. ed oggi, in un paese in via di sviluppo , in Africa, si è in una situazione in cui c' è il 10 per cento in meno di cibo procapite rispetto a10 anni fa. i paesi sviluppati , d' altra parte, non hanno mai raggiunto lo 0,7 previsto dalla famosa risoluzione numero 2626 dell' Assemblea generale delle Nazioni Unite . come dicevo prima, l' aiuto ufficiale allo sviluppo è andato sempre diminuendo. ad esempio, recentemente, il governo britannico ha annunciato la riduzione dell' aiuto ufficiale della Gran Bretagna ai paesi in via di sviluppo dallo 0,49 di media degli anni 1977 e 1979 allo 0,38 per l' anno 1985. è molto interessante (si fa per dire, ma bisognerebbe dire che è molto preoccupante) l' atteggiamento assunto di recente dal governo degli USA. il governo degli USA ha recentemente annunciato di stare esaminando la possibilità di apportare tagli per quasi tre milioni di dollari al suo bilancio di aiuti (ce così verrebbe diminuito di circa un terzo) nonché l' intenzione di concretarli, per quello che rimane, in aiuti bilaterali ad un numero ridotto di paesi tra quelli che gli USA definiscono « di importanza chiave per gli interessi americani » . del resto, sappiamo che la scelta di aiutare i paesi del terzo mondo segue criteri politici; e storicamente si è sempre verificato che gli USA e gli altri paesi industrializzati hanno aiutato, di volta in volta, i paesi del terzo mondo non in base alle loro necessità e richieste, ma in base agli interessi politici e militari degli USA. del resto, esaminando quelli che saranno i tagli che la nuova amministrazione vuole apportare al bilancio americano, ci rendiamo conto di quale sia la linea di tendenza . è stata dimezzata, portandola a 1,6 milioni di dollari , la cifra destinata alla Associazione internazionale per lo sviluppo , quel ramo della Banca mondiale che si occupa di concedere prestiti a basso interesse; è stato fatto un taglio del 25 per cento agli stanziamenti per la Peace Force , alla quale verranno destinati solo 26 miliardi, pur essendo l' unico corpo che si occupa in termini smilitarizzati di interventi di emergenza; si è deciso un taglio ai programmi Onu di assistenza tecnica ; si è deciso di avviare a chiusura i programmi di aiuto alimentare, fino ad oggi previsti nella misura di 400 milioni di dollari ; è stato cancellato l' impegno triennale alla Banca africana dello sviluppo; infine è stato deciso di fermare i contributi alla Banca mondiale ed all' IFAD. la natura dei tagli al bilancio americano che ho esposto credo sia indicativa di quale sia la strada che oggi gli USA intendono perseguire, se non in modo diverso dal passato, certo secondo una tendenza al rafforzamento della politica fin qui seguita. sappiamo quale senso avesse politicamente la legge numero 480 per gli aiuti alla pace; sappiamo anche come sia stata usata e sappiamo come il fatto che negli USA, come in Italia, si decida un aumento delle spese militari e la riduzione degli aiuti ufficiali allo sviluppo, costituisca un chiaro sintomo del « giro di vite » di questa linea politica. poiché per noi rimane prioritario l' aggancio agli USA per quanto riguarda la nostra politica estera , ci accodiamo anche all' aumento delle spese militari senza colpo ferire ! nessuno, infatti, ha posto il problema di dove si possano recuperare i duemila miliardi di aumento delle spese militari. a mio avviso, il vostro errore è di ritenere, in modo miope, che la scelta di una politica estera di aiuto ai paesi del terzo mondo sia una politica filantropica, umanitaria ed assistenziale. non avete realizzato che invece è l' unica scelta economica che realmente si possa fare per il nostro stesso sviluppo. finché non sarà compresa questa necessità prioritaria, riuscirete a confinare sempre di più queste iniziative di politica estera nei ritagli delle spese di bilancio. tanto è vero che nella legge finanziaria troviamo un aumento di soli 145 miliardi, in relazione al quale occorrerebbe poi un provvedimento specifico per stabilirne le modalità di investimento. credo che altri colleghi interverranno per spiegare come viene attuata la legge numero 38 di cooperazione allo sviluppo, quali siano i problemi relativi al ministero degli Esteri , all' inattività ed all' assenza totale in questo campo del Governo, il quale pure è stato impegnato dalla Camera attraverso risoluzioni ed altri strumenti. c' è un ultimo punto che desidero sottolineare. mentre non abbiamo affatto capito che non si tratta semplicemente di dare una mano a chi sta peggio, ma di comprendere che o si riesce a stare meglio tutti quanti, o nessuno avrà uno sviluppo reale, se non limitato a tempi ristretti e sulla base di una politica del tutto miope, c' è da dire che un' altra testimonianza della miopia politica con cui stiamo procedendo riguarda il rafforzamento del protezionismo agricolo dei prodotti in via di sviluppo, che è giunto al 125 per cento , su alcuni prodotti, fino ad un massimo del 400 per cento su altri prodotti, come è denunciato dalla ricerca dell' UNCTAD. ecco, credo che queste due politiche vadano pari passo: l' accettazione di una politica di protezionismo agricolo per i nostri paesi e per i nostri prodotti, e la mancata comprensione del fatto che il mercato internazionale è l' unico mercato possibile per una politica seria. né sono molto incoraggianti i negoziati nord sud che hanno luogo a varie riprese in questi tempi, perché quelli di Parigi sono falliti, la sessione speciale dell' Assemblea generale delle Nazioni Unite si è conclusa a settembre senza accordo alcuno, neppure sull' ordine del giorno o sul luogo dove dovrebbero svolgersi i negoziati globali. la conferenza dell' UNIDO del gennaio scorso a New York è fallita completamente, la quinta sessione dell' UNCTAD a Manila ha avuto lo stesso esito. questo per quanto riguarda gli accordi internazionali . ebbene, io credo che proprio da questo punto di vista sia importante per noi iniziare a perseguire una linea politica diversa; e proprio per questo non riteniamo affatto che l' investimento dell' uno più uno per cento del prodotto nazionale lordo corrisponda ad una visione fantomatica o fantascientifica. quello che ci preoccupa è invece la mancanza di volontà politica di intervento, perché questo è l' unico dato reale. spesso, in questo paese, si riesce a spendere qualcosa come seimila miliardi: ad esempio quando si tratta di partecipazioni statali . non è vero, quindi, che una simile somma non possa essere spesa: non lo può solo se non si vuol creare, su questi fondi, una politica diversa, una politica aggressiva di pace, una politica estera che superi la subalternità ai due grandi blocchi per cominciare a percorrere una via autonoma che per il nostro paese, che è un paese mediterraneo, ha un significato del tutto particolare, considerando il rapporto che può instaurarsi, per quanto ci riguarda, tra la politica estera e la politica del terzo mondo . per questo abbiamo sottoposto alla vostra attenzione questo primo « pacchetto » di articoli aggiuntivi. conosciamo il tipo di reazione — se vi sarà — che ci sarà opposta, che non sarà diverso da quello che ci avete opposto negli scorsi anni, ma che ritengo oggi ancor meno giustificabile. se infatti lo scorso anno ci eravamo augurati che voi aveste ragione, che la vostra posizione, seria, ragionevole e responsabile, potesse dare dei frutti, oggi, a distanza di un anno, dobbiamo constatare che i frutti non si sono avuti. credo che, per questo problema specifico, presenteremo nuove iniziative, essendo convinti che questo sia l' unico modo per consentire il progresso di tutti, ed anche del nostro paese.