Emma BONINO - Deputato Opposizione
VIII Legislatura - Assemblea n. 23 - seduta del 19-09-1979
Sul problema della fame nel mondo
1979 - Governo I Cossiga - Legislatura n. 8 - Seduta n. 23
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , colleghi e colleghe, signor ministro, credo che le iniziative prese in questi giorni e la convocazione straordinaria dell' altro ramo del Parlamento stiano mettendo a fuoco un problema le cui dimensioni, enormi e tragiche, sono ed erano note a tutti, ma che credo i nostri paesi, e probabilmente anche noi, come corpo politico, abbiamo accettato con sostanziale indifferenza, forse proprio perché la tragedia è così immensa e, per così dire, anonima. in realtà, quando si sente parlare di 50 milioni di persone che muoiono, non ci ricordiamo forse — e lo mascheriamo sotto un aspetto di anonimità generale — che ognuna di queste persone ha un nome, vive in una famiglia, ha rapporti sociali, cioè è una persona. credo infatti che, se cominciassimo a pensare in questi termini, queste azioni straordinarie ed urgenti dirette a salvare vite umane , così come accennato nell' intervento del ministro e così come stabilito dall' ordine del giorno approvato unanimemente dal Senato, diventerebbero l' impegno di oggi e di domani per chiunque, e ognuno di noi non se la sentirebbe di frapporre nemmeno cinque minuti di tempo per intervenire concretamente. credo inoltre che, se facessimo lo sforzo di passare da queste cifre asettiche a guardare anche in fotografia queste persone e riuscissimo a pensare che ognuno di loro ha un nome, nessuno di noi potrebbe accettare di non intervenire immediatamente con tutti gli strumenti straordinari più impensati, dall' esercito disarmato e dall' uso della Croce rossa a tutti gli altri strumenti che abbiamo a disposizione, o che potremmo insieme inventare per strappare queste vite alla morte. ebbene, proprio per questo credo che nessuno possa più oggi pensare che questi interventi straordinari ed urgenti abbiano un aspetto puramente caritativo o puramente assistenziale; questi interventi sono al contrario — io credo — una necessità politica imprescindibile ed immediata, non solo come parziale risarcimento della politica fin qui seguita dai paesi industrializzati , che è stata una politica molto spesso di rapina; per cui se è vero, signor ministro, che molti investimenti sono stati fatti nei paesi del terzo mondo , devo dire che dai, dati che emergono questi fondi sono in realtà investimenti privati e, in particolare nel settore alimentare, sono investimenti delle industrie agroalimentari multinazionali, investimenti certamente molto proficui per i paesi investitori e che si traducono in una sostanziale rapina delle materie prime a basso costo prodotte dai paesi in via di sviluppo . credo certo di non scoprire l' acqua calda, perché ciò è evidente a tutti. anche qui però molto spesso diamo per scontata, per acquisita, per nota una responsabilità politica , in termini economici e finanziari, che i paesi sviluppati in anni di politica internazionale hanno riversato sui paesi in via di sviluppo . ecco perché la prima parte della mozione unitaria votata al Senato dice: « il Senato ritiene che sia necessaria una mobilitazione straordinaria per sottrarre vite umane alla morte per fame, mobilitazione senza la quale anche gli impegni economici a breve, medio e lungo termine rischierebbero di non produrre effetti risolutivi; invita il Governo, dopo aver preso atto delle richieste dei paesi più tragicamente e direttamente interessati e dopo essersi rivolto alle diverse istanze internazionali, a riferire con la massima adeguata urgenza sugli interventi immediati e straordinari adottati e da adottare per la salvezza di quanti diversamente sono destinati a sicura morte nel corso delle prossime settimane e dei prossimi mesi » . credo che a questo punto anche nel dibattito che si è svolto sia emersa la necessità, secondo le nostre richieste, di interventi immediati e straordinari (certamente l' Italia da sola non potrà strappare alla morte 50 milioni di persone, ma d' altra parte siamo assolutamente contrari alla politica dei simboli, cioè a salvarne uno o qualcuno), ma di interventi che non si riducano a misure di carattere assistenziale o caritativo; chiediamo interventi urgenti che, a partire dalla loro quantità e qualità, siano il primo segno concreto di una inversione di tendenza rispetto alla politica che fin qui abbiamo seguito in questi anni. d' altra parte lei, signor ministro, prima ha rilevato come sia noto che, per salvare questi 450 milioni di persone denutrite, è necessario il 3 o il 5 per cento della produzione mondiale di alimenti, e come un tale incremento non sia stato registrato in questa produzione e come quindi non sia possibile intervenire. ma forse vi è un altro dato cui possiamo riferirci, e che è altrettanto interessante. questo 3 o 5 per cento della produzione mondiale equivale, ad esempio, al 10-15 per cento di cereali che vengono « sprecati » per nutrire il bestiame. si tratta di una scelta precisa relativamente all' uso finale delle materie prime , nello stesso modo in cui, ad esempio, si usa l' energia nucleare per il riscaldamento dell' acqua, si sono utilizzati cereali di base importantissimi per nutrire le mandrie di bestiame. si è trattato di una scelta di politica economica iniziata dagli USA, che ha prodotto effetti disastrosi. è altrettanto importante aggiungere che negli anni 1968-1970 i quattro paesi grandi produttori ed esportatori di grano (USA, Canada, Australia ed Argentina) ridussero di un terzo le aree destinate alla produzione di cereali (pagando gli agricoltori perché non producessero) per evitare il crollo dei prezzi sul mercato interno . si tratta di dati della Banca mondiale , per cui non credo di essere parziale se vi faccio riferimento. tutte le fonti ufficiali non particolarmente eversive, come ad esempio la citata Banca mondiale , affermano che siamo assolutamente in grado, per disponibilità di terre, di tecnologia e risorse, non solo di aumentare la produzione, ma di nutrire effettivamente questi milioni di persone. quindi, il punto di partenza è che quello alimentare non è un problema di mancanza di cibo, ma di cattiva distribuzione delle derrate alimentari, è un problema di povertà. a questo proposito è sufficiente ricordare, oltre alla drastica riduzione della produzione realizzata negli anni 1968-1970 che ho prima sottolineato, la dichiarazione della stessa Fao nel 1974 (l anno drammatico), secondo cui per evitare lo sterminio ed il peggio nei quattro paesi allora maggiormente colpiti (India, Bangladesh, Tanzania e Pakistan) bastavano 8 o 10 milioni di tonnellate di cereali, cioè l' uno per cento della produzione mondiale. allora non fu trovato neanche questo uno per cento . nei paesi in via di sviluppo manca spesso qualunque capacità di acquisto, in termini finanziari, degli alimenti che pure ci sono e che magari sono esportati dalle grandi industrie agroalimentari. i prodotti ci sono, ma le popolazioni che vivono in condizioni disastrate non hanno il necessario potere di acquisto . io credo che questo problema sia non solo evidente tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, ma addirittura all' interno degli stessi paesi in via di sviluppo . pensiamo, ad esempio, all' India, dove vive una quantità enorme di persone denutrite che muoiono di fame, e che in questi ultimi tre anni ha accumulato 20 milioni di tonnellate di grano invenduto, o al Pakistan, anch' esso esportatore, o alle Filippine: gente che muore di fame, mentre quel paese è divenuto di recente un esportatore di riso. e questo vale per la Thailandia, per l' Egitto e per molti altri paesi tradizionalmente esportatori di riso, perché il sistema di distribuzione impone l' esportazione delle materie prime e l' incapacità finanziaria della gente di comprarsi gli alimenti. d' altra parte, questa non è una novità nemmeno nei paesi sviluppati : gli USA hanno dichiarato di avere 40 milioni di persone denutrite iscritte nel programma del Food Stamps , organismo caritativo che distribuisce alimenti. il problema di fondo è che, quindi, non mancano assolutamente gli alimenti nel mondo, vi è la capacità di produrre di più, specialmente nelle zone che ancora adesso gli USA non coltivano per chiara scelta politica. non vi è mancanza di terra, non mancano le capacità tecnologiche, non mancano le risorse. che cosa manca? manca la volontà politica, soprattutto da parte dei paesi industrializzati . parleremo poi delle politiche dei paesi in via di sviluppo , che molto spesso sono in sostanza affamatrici della loro gente, perché gestite dalle borghesie politiche locali o dai grandi proprietari terrieri. la realtà di fondo è che manca innanzitutto la coscienza che questo è un problema non più sostenibile, non più trascurabile. non possiamo più far finta che non esista, se non altro in termini assolutamente egoistici, perché credo che, se questo divario nord sud si andrà accentuando, arriveremo certo alle guerre alimentari, di cui abbiamo avuto un primo esempio in questo periodo nell' invasione Vietnam-Cambogia. ritengo che i paesi in via di sviluppo giustamente — cosa che per ora non hanno fatto — si organizzeranno per difendere a questo punto i loro interessi. devo dire che sento molto spesso trattare come ricattatori i paesi dell' Opec (le « sette sorelle » , il monopolio del petrolio), ma la lettura della produzione e della distribuzione del grano dovrebbe farci riflettere un po' di più: il cartello del grano è molto più rigido del cartello del petrolio, perché è fatto solo da quattro paesi. il Nord America (Canada e USA) hanno insieme raggiunto l' 84 per cento dell' esportazione mondiale di grano (seguono l' Australia e l' Argentina), e possiedono quindi « armi alimentari » tali che, se decidessero di restringere l' esportazione, le morti per fame nel mondo , nei paesi in via di sviluppo , sarebbero sicuramente superiori a qualunque guerra in corso . contemporaneamente i popoli in via di sviluppo che negli anni 1934-1938 esportarono 1 milione di tonnellate di cereali, negli anni 1960 ne importarono 18 milioni; attualmente ne importano 45 milioni e nel 1985, secondo la Fao, raggiungeranno 85 milioni di tonnellate di importazioni cerealicole. si impone in tal modo, con queste nuove armi, la dipendenza politica ed economica dei paesi in via di sviluppo da parte dei paesi sviluppati ; ma torneremo inseguito sul problema del commercio del grano. che cosa si può fare? credo che in assoluto vi siano due cose che non si possono fare. la prima è quella di accettare le cose come stanno; è però la soluzione più semplice. indubbio che il nostro livello di sviluppo è sostanzialmente basato su questo tasso di mortalità , cioè su questo sterminio più o meno voluto. non si può accettare dunque questa cosa come ineluttabile, come inevitabile, come se fosse dovuta ad un destino perverso. la seconda cosa che non si può fare è, sapendo che la soluzione finale è una diversa struttura politica ed economica, non solo dei paesi in via di sviluppo , ma anche dei paesi sviluppati , usare questo concetto di fondo, che per altro è giusto, come alibi per non intervenire immediatamente; cioè poiché la soluzione finale è una diversa ristrutturazione sociale e politica del mondo intero nel nuovo ordine internazionale, l' autosufficienza alimentare dei popoli in via di sviluppo, eccetera, siccome quella è la panacea di questo male, nel frattempo non si fa assolutamente nulla. credo che questo sia l' altro alibi, apparentemente più serio, basato su ragioni di struttura, di serie analisi politiche e sociali, ma che molto spesso, a mio avviso, è stato usato semplicemente come alibi per non muoverci, per non introdurre alcun elemento di novità. d' altra parte, se noi guardiamo quali sono stati in realtà anche gli impegni italiani, rileviamo che questo problema è un problema. noto da molto tempo. la risoluzione numero 2626 della Assemblea generale delle Nazioni Unite è in questi giorni citata da tutti. ma la citiamo ogni giorno soprattutto perché non l' abbiamo adempiuta mai, perché probabilmente, se l' avessimo adempiuta, saremmo ora in grado di porci un altro obiettivo. e d' altra parte sarà semplicemente, onorevole ministro, una situazione magari solo formale, ma a volte la forma ha una sua sostanza. questa risoluzione numero 2626, quella che impegna lo 0,7 del prodotto nazionale lordo di tutti i paesi per l' aiuto pubblico allo sviluppo, se pure sostanzialmente è stata sempre accettata dall' Italia — mai adempiuta, ma sostanzialmente accettata: è stata votata in tutte le riunioni possibili e immaginabili, in tutte le sedi internazionali — formalmente non è mai stata accettata; cioè formalmente il governo italiano non ha mai accettato questa risoluzione, né ha mai fissato una data per l' adempimento. nella sostanza la si replica ogni volta e, debbo dire che magari potremmo cominciare a confermarla meno, perché dal 1970, quando l' abbiamo accettata, ogni anno in cui l' abbiamo confermata siamo andati contemporaneamente diminuendo l' aiuto allo sviluppo , cioè siamo passati, per esempio, dallo 0,10 di due o tre anni fa allo 0,06 di oggi. forse potremmo confermarla un po' meno, perché ho l' impressione che, ogni volta che la confermiamo, poi la usiamo in realtà per diminuire persino i nostri magri aiuti allo sviluppo . e noi prendiamo atto sicuramente con favore di questo raddoppio preannunciato dall' Italia. è un piccolo passo, ma comunque è un passo. d' accordo, ma questo non ci esime assolutamente dal dire che, pur con lo 0,13-0,14, siamo ancora l' ultimo paese nella lista, dopo la Finlandia e la Nigeria. ora siamo d' accordo che questo passo serve, anche perché, se fossimo stati fermi, probabilmente sarebbe stato peggio; e ritengo che sia stato un passo che, fra l' altro, ha avuto degli effetti diplomatici e politici notevoli in campo internazionale . ritengo però che si debba fare uno sforzo in più. signor ministro, penso che, proprio perché da 10 anni non solo non adempiamo ma siamo andati sempre diminuendo il nostro contributo, sia un po' poco raggiungere lo 0,33 per cento del prodotto nazionale lordo nei prossimi tre anni. se noi diciamo e confermiamo che il problema è urgente e straordinario, ritengo che non ci si possa evidentemente fermare a delle affermazioni di principio senza poi tradurle in qualcosa di concreto. dicevo che vi è la possibilità, per esempio, di un altro passo diplomatico importante, che è quello della accettazione formale del tasso dello 0,7 del prodotto nazionale lordo ; e vi è la possibilità di farlo, per esempio, in questa Assemblea generale delle Nazioni Unite , usando poi la decisione presa a livello politico ufficiale come strumento di pressione rispetto a quei paesi che ancora non hanno accettato, come per esempio l' Austria, la Svizzera e gli stessi USA. credo che vi sia una possibilità immediata di farlo, quella cioè dell' Assemblea generale delle Nazioni Unite . d' altra parte, credo che l' Italia dopo il passo compiuto ad Ottawa non possa tirarsi indietro, poiché ha dimostrato la volontà di passare da una situazione — mi si lasci dire — di indifferenza per il problema in tutti gli ambiti internazionali ad un atteggiamento di maggiore comprensione. voglio ricordare al signor ministro che l' Italia nell' ambito delle Nazioni Unite viene allineata fra i paesi « reazionari » ; il che probabilmente è anche vero, ma ora vi è la possibilità di differenziarci, almeno per questa tematica, da paesi come l' Inghilterra e la Repubblica federale di Germania per creare un gruppo di paesi, insieme alla Danimarca, ai Paesi Bassi e agli altri paesi nordici, più attivo e « progressista » , tendente a ricercare rapporti più stretti con i paesi in via di sviluppo . credo, per altro, che il nostro stesso paese potrebbe trarne dei benefici da una simile politica. ma su questo punto, come su quello del commercio, del protezionismo e di tutti gli altri problemi di fondo esistenti, che non sono stati a mio avviso neanche accennati dal ministro Malfatti né oggi dal ministro Sarti, mi soffermerò in seguito. accanto a questa richiesta, affinché il Governo assuma un preciso atteggiamento dinanzi all' Assemblea generale delle Nazioni Unite , ne facciamo un' altra a livello europeo in relazione alla rinegoziazione della convenzione degli aiuti alimentari che è scaduta e che assommava, in sostanza, a quattro milioni di tonnellate di cereali. da cinque anni i 133 paesi che hanno aderito a questa convenzione ne chiedono la rinegoziazione, portando gli aiuti a10 milioni di tonnellate di cereali. quando si è giunti a discutere la rinegoziazione alcuni paesi si sono detti d' accordo, a condizione, però, che si trovasse una intesa sul grano. ma nella riunione di Ginevra non è stato possibile raggiungere un accordo sul grano, in termini di prezzo, di quantità delle riserve, dello stoccaggio e di chi si dovesse assumere il costo dello stoccaggio. subito dopo il fallimento della riunione di Ginevra che doveva stabilire il prezzo del grano in 125 e 160 dollari la tonnellata vi è stata, guarda caso , una riunione in Canada dei quattro grandi esportatori di grano che hanno immediatamente trovato un accordo per cui, subito dopo la conclusione dell' incontro canadese, il prezzo del grano è passato da 140 a 190 dollari la tonnellata per due dei quattro paesi esportatori. questo aumento ha comportato per i paesi in via di sviluppo un aggravio di due bilioni di dollari nella loro bilancia dei pagamenti . di fronte a questa situazione, non possiamo continuare a mantenere anche noi la posizione di chi non vuole procedere alla rinegoziazione della convenzione sugli aiuti, alimentari fino a quando non sarà trovato un accordo per il grano. va tenuto presente, inoltre, che già gli USA, il Canada e i paesi nordici si sono dichiarati disponibili alla rinegoziazione della convenzione sugli aiuti alimentari, per cui spetta ora alla Comunità Europea , al Giappone, all' Australia e all' Argentina di esprimere la propria volontà di giungere alla rinegoziazione. all' interno della Comunità Europea si oppongono alla rinegoziazione non la Danimarca o i Paesi Bassi , ma l' Inghilterra, l' Italia e la Repubblica federale di Germania . ritengo, perciò, che l' atteggiamento del governo italiano su tale questione debba velocemente cambiare e non solo con dichiarazioni di principio, ma anche esercitando pressioni politiche e diplomatiche, per quanto riesce a fare. se diamo ascolto all' intervista rilasciata dal ministro Marcora sul bilancio della Comunità Europea è evidente che col nostro peso politico riusciamo a fare ben poco. ma, per quanto siamo in grado di fare, io credo che dobbiamo esercitare quel poco o quel molto di peso politico che abbiamo per portare la Comunità Europea ad aderire a questa rinegoziazione degli aiuti alimentari. l' altro problema al quale volevo accennare è quello del commercio, del protezionismo e delle barriere tariffarie. quello che è successo in questi anni, la politica seguita da tutti i paesi ed anche dall' Italia — l' Italia non ha molte iniziative, ma segue a ruota chi ne ha — è stata in sostanza questa: i paesi in via di sviluppo sono stati usati come sorgente di materie prime a basso costo, mercati proficui per gli investimenti (in particolare investimenti privati) e come mercato di esportazione dei nostri manufatti. ma quando i paesi in via di sviluppo riescono ad avere dei manufatti (mi riferisco, per esempio, al campo tessile), normalmente i paesi sviluppati difendono le loro industrie e di loro manufatti con tariffe doganali e tariffe rigidissime; quindi, in realtà, non solo queste misure protezioniste pesano sul consumatore italiano e sul consumatore del paese sviluppato, che è evidentemente costretto a pagare i manufatti prodotti nella Comunità, o in Italia o nei paesi sviluppati , che costano molto di più, ma nemmeno ci rendiamo conto che questo non solo è un modo di pagare di più per i consumatori, per i cittadini, ma è anche un modo per continuare ad affamare sempre di più i paesi del terzo mondo , dai quali estraiamo materie prime — proprio come chi estrae il petrolio, noi estraiamo materie prime — e per bloccare qualunque possibilità da parte loro di esportare i manufatti che riescono a produrre. questo è vero soprattutto nel campo tessile, nel campo chimico ed anche ormai nel campo siderurgico. una cosa che è abbastanza incredibile è che non ci rendiamo conto di come noi stessi, cittadini e governo italiano , siamo vittime di questo sistema, che contribuiamo a tenere in piedi. leggevo l' altro giorno sul Il Corriere della Sera un' intervista del ministro Marcora, che parlava appunto della situazione dell' Italia rispetto al bilancio della Comunità Europea . siamo finalmente in pari (o anche in attivo, se vogliamo), ma il ministro Marcora giustamente faceva notare che siamo in attivo, anche perché abbiamo avuto dalla Comunità Europea dei finanziamenti — credo che parli di 250 milioni di unità di conto — semplicemente per ripagarci del mancato profitto che deriva all' Italia dalla politica protezionista e tariffaria della Comunità Europea ; ossia, in realtà, noi stessi nella Comunità Europea siamo usati come vittime di questo meccanismo che contribuiamo a tenere in piedi su scala mondiale rispetto ai paesi in via di sviluppo . da questo punto di vista , è abbastanza incredibile l' atteggiamento di questo nostro paese: 0,06 di aiuti pubblici, ma 1,25 di « aiuti privati » (dove gli aiuti privati, quando uno li chiama per nomee cognome, cominciano ad essere banche, multinazionali più o meno piccole o più o meno grandi), i quali però non sono sempre, anzi non sono quasi mai elementi di aiuto ai paesi in via di sviluppo , ma sono quasi sempre elementi di aiuto neanche ai paesi sviluppati , magari!, bensì alla singola industria, alla singola multinazionale che opera. sicuramente non è il caso di approfondire qui quale sia stato il profitto delle industrie agroalimentari, o comunque il perché del fallimento della « rivoluzione verde » , quali siano stati sul piano economico, sociale e politico gli effetti disastrosi della « rivoluzione verde » . esportando tecnologia, così come noi la usiamo nel mondo industrializzato, senza adattarla alle condizioni reali dei paesi in via di sviluppo , imponendola ad essi (più o meno in buona fede : non voglio approfondire questo aspetto), in realtà l' effetto ottenuto in molte zone è stato diametralmente opposto a quello desiderato. mentre è stato negativo per i paesi in via di sviluppo , questo effetto è stato particolarmente lucrativo per le industrie agroalimentari che si sono occupate di portare avanti la « rivoluzione verde » : intendo riferirmi alle industrie produttrici di anticrittogamici, di fertilizzanti e alle industrie che si occupano della distribuzione e della conservazione degli alimenti. non si è trattato di una politica economica tout court : è stata una scelta politica ben precisa. per prime si sono mosse le fondazioni Rockfeller e la fondazione Ford, ma il governo degli USA ha aiutato l' espansione di questa « rivoluzione verde » che ha significato la crescita della concentrazione terriera e, in molti paesi, come ad esempio in India, il blocco di qualunque riforma agraria . infatti, la monocoltura e la grande industria agricola o alimentare hanno bisogno di molta terra, con la conseguente eliminazione dei piccoli coltivatori. molti paesi in via di sviluppo , inoltre, con le loro monocolture tutte indirizzate alla esportazione, non hanno nessun potere per imporre i prezzi di mercato. basti pensare alla produzione della juta nel Bangladesh: questo paese è stato favorito, aiutato (si fa per dire) nella produzione della juta, ma ora questo prodotto non lo vuole più nessuno poiché si è passati alle fibre sintetiche. quindi, questo paese produce juta che non riesce ad esportare o che è costretto a vendere a prezzi ridicoli senza avere di ritorno moneta pregiata per l' acquisto di alimenti. altrettanto si può dire per la monocoltura delle arachidi nel Senegal e della soja in Brasile. questa è la situazione nei termini concreti. da questo punto di vista , quando si parla di nuovo ordine internazionale (forse se ne parla perché si spera che non ci si arrivi mai), bisogna essere assolutamente coscienti che ciò significa, per esempio, la messa in discussione in termini industriali di molti settori del nostro paese; ma forse questo è l' unico modo per uscire da una situazione di stallo che esiste ormai anche nei paesi sviluppati . anche nel nostro paese, come anche negli USA, si tengono in piedi industrie o settori produttivi non più competitivi rispetto ai manufatti dei paesi in via di sviluppo . è proprio per questo che non ci si apre al commercio con questi paesi. noi paesi sviluppati andiamo avanti nella spirale tra protezionismo ed economia di sussistenza in molti settori: essi, spesso, generano soltanto altro protezionismo ed altra economia di sussistenza. per il tipo di tecnologia che possiede, invece, l' Italia potrebbe essere oggi il paese maggiormente in grado di avere quella famosa tecnologia intermedia che è l' unica strada possibile nei paesi in via di sviluppo . quando si esporta tecnologia hard, con alto consumo energetico, necessità di ingenti investimenti, pochissima manodopera (che è una delle risorse principali dei paesi in via di sviluppo ), evidentemente si producono beni ad alto costo, e quindi inaccessibili alle popolazioni locali. nei paesi del terzo mondo l' unica strada possibile, invece, è quella della tecnologia « dolce » o anche rudimentale e diffusa, o per lo meno della tecnologia intermedia, a bassi investimenti, grande manodopera, prezzi accessibili al reddito procapite dei paesi in via di sviluppo . forse l' Italia è ancora uno dei paesi che può avere uno sbocco in questo settore o comunque può fare uno sforzo da questo punto di vista : credo sia doveroso ed immediato, anche perché mi pare l' unico modo possibile — a medio e lungo termine — per cooperare realmente coi paesi in via di sviluppo . con 50 paesi abbiamo firmato la Convenzione di Lomè, di cui siamo molto orgogliosi; molto spesso è citata. ma forse su di essa dovremmo riflettere perché, a mio modesto parere, presenta aspetti puri e semplici di neocolonialismo. tre punti sono rimasti fondamentali nelle intenzioni dei paesi sviluppati : usare i paesi in via di sviluppo in quanto zone di estrazione di materie prime a basso costo, in quanto mercati favorevoli per investimenti, particolarmente privati, e per l' esportazione di manufatti. sono rimaste in piena evidenza queste linee fondamentali nella convenzione: da questo punto di vista , operando un bilancio di come ha operato tale convenzione, potremo renderci conto che essa, magari, per noi ha funzionato, mentre per i paesi in via di sviluppo ha funzionato probabilmente molto poco. se l' intenzione iniziale era quella di usare in termini neocolonialistici i paesi in via di sviluppo , indubbiamente la faccenda funzionerà benissimo. ma se l' intenzione non era tale (e non credo sia il caso — non lo è mai — di attendere il fallimento dei progetti formulati), una revisione, una riflessione più immediata, magari a breve termine , è doverosa e si impone per questa convenzione. tralascio tutti i paralleli tra sterminio, fame, sfruttamento e corsa agli armamenti: credo che in questo settore interverranno altri colleghi del mio gruppo; desidero soffermarmi, a livello italiano, sulla legge numero 38, per intenderci. non metto in dubbio la filosofia ispiratrice che sarà lodevolissima, ma in un tema di questa portata qualunque dato di principio, che si concretizza con lo stanziamento di 300 miliardi in 5 anni, di cui 35 miliardi nel primo anno e 42 nel secondo, sarà pur apprezzabile, ma in realtà vi è l' impossibilità pratica di realizzare alcunché, se lo stanziamento rimane com' è. d' altra parte, tutti i problemi del dipartimento creato dalla legge vanno rivisti per non rischiare di aver creato semplicemente un altro « carrozzone » più o meno burocratico, riproducente l' organizzazione del ministero degli Esteri , non in grado di intervenire tempestivamente rispetto ai problemi che si pongono. pur avendo accennato ad essi per brevi linee, raccomando al governo italiano i temi di fondo, per gli interventi che saranno assunti a medio e lungo termine: mi riferisco in particolare alla rinegoziazione dell' aiuto alimentare, con un maggiore spirito di iniziativa rispetto anche alla politica della Comunità Europea ; al problema dell' Assemblea generale delle Nazioni Unite ; alla accettazione formale, come dato almeno di volontà politica, del tasso dello 0,7 del prodotto nazionale lordo . se questi sono i punti per i maggiori finanziamenti, ribadisco che il Governo dovrebbe predisporre strumenti per aumentare l' aiuto pubblico allo sviluppo che, in questi termini, è abbastanza ridicolo (positivo, ma certo insufficiente). credo che nessuno si proponga di fare elemosine, perché in tal caso andrebbe bene tutto, anche i 5 milioni di dollari al programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite . se ci muoviamo in termini di carità, sicuramente quanto previsto sarà sufficiente. mi pare però che la volontà politica espressa non solo dal Governo, ma anche dal Senato mi auguro che sarà ribadita in quest' Aula — sia ben diversa; allora non sarà il caso di ripetere probabilmente l' errore fatto con la legge numero 38: l' aver realizzato una grossa testa di elefante su zampe minuscole, per cui, dopo aver parlato di una grande filosofia, di nuovi principi ispiratori, dopo aver cambiato le linee direttrici della politica italiana in tema di politica internazionale , si stanziano soltanto 35 miliardi. è evidente che in questo modo, oltre a truffare noi stessi, ci poniamo nella condizione di non poter effettivamente operare. molto spesso si sente dire che quello al nostro esame è un problema di medio e lungo termine e che non può essere risolto se non si rimuovono le cause strutturali. è evidente che l' aiuto pubblico allo sviluppo e l' assistenza pubblica a questi paesi sarà tanto più efficace nella lotta contro la fame e contro la denutrizione nella misura in cui i governi locali saranno in grado di attuare una equa politica di distribuzione. al contrario, se i governi adotteranno politiche fortemente accentratrici e sostanzialmente favorevoli alla sola borghesia locale e non ostacoleranno tutte le altre iniziative, magari di carattere privato, che hanno come risultato quello di far aumentare la disoccupazione, di cacciare i contadini dalle terre e di drenare altre risorse, il nostro aiuto pubblico allo sviluppo avrà risultati meno efficaci. comunque, un atteggiamento di questo genere non può costituire un alibi per non intervenire; e credo che, rispetto al grande problema del dialogo nord sud , l' unica linea possibile sia quella di un intervento immediato e straordinario che segni l' inizio di una politica diversa. questo non vuole assolutamente dire che non valutiamo positivamente o non sappiamo che il problema di fondo va ricercato in una diversa politica di distribuzione; comunque, siamo convinti che l' unica strada per far iniziare un nuovo tipo di atteggiamento agli altri paesi industrializzati è quella dell' intervento immediato e straordinario. il ministro nella sua esposizione ricordava che i popoli denutriti sono i popoli che hanno meno capacità, anche intellettiva e di lotta; a questo punto a me viene di pensare se non ci convenga che siano intellettualmente meno capaci. d' altra parte sono proprio i paesi del terzo mondo , anche i più progressisti, che, pur sapendo che la soluzione finale del loro problema è l' autosufficienza alimentare e una maggiore produzione, si trovano nella necessità di dover chiedere degli aiuti immediati. quindi, pur sapendo anche loro che in termini di soluzione finale non è questa la strada, si trovano nella condizione disperata, per non dover assistere a degli stermini che sicuramente si traducono in un depauperamento di risorse fisiche e intellettuali del loro popolo, di dover chiedere degli aiuti di emergenza. credo che quando i paesi del terzo mondo chiedono aiuti di questo genere per non veder sparire intere regioni e intere popolazioni, non possiamo semplicemente rispondere in maniera negativa, in quanto azioni caritative, perché ci dobbiamo rendere conto che ogni depauperamento in termine di vite umane è un depauperamento politico per quel paese. e una delle risorse che vanno perse è la risorsa « uomo » , parlando in termini cinici. spesso leggo sui giornali o mi sento dire che è necessario che le popolazioni dei paesi del terzo mondo facciano meno figli: questa, a mio avviso, è una mistificazione incredibile, che dobbiamo assolutamente controbattere. il problema non è quello di imporre ai paesi del terzo mondo politiche demografiche repressive, semmai sono i paesi sviluppati che dovrebbero cominciare a controllare le nascite perché, in termini di costo, ad esempio energetico, il bambino americano comporta spese ben maggiori del bambino della Tanzania. se perciò il problema più generale è quello di ridurre la popolazione, io credo che debbano essere proprio i paesi industrializzati a cominciare, senza cercare di esportare od imporre questa politica a gente che muore di fame semplicemente per le rapine che in essi abbiamo voluto perpetuare in tutti questi anni. né il problema è quello della mancanza di terra: in Olanda, ad esempio, ogni cittadino ha a disposizione 0,06 ettari di terra, ha cioè pochissima terra, tuttavia nessuno muore e non c' è povertà assoluta; in molti paesi del terzo mondo , pur avendo ogni cittadino in media 0,4 o 0,5 ettari di terra, si muore di fame. non possiamo quindi parlare di problemi di mancanza di terra o di sovrappopolazione, se non in alcune aree. la stessa India ha attuato una politica demografica ferrea, prevedendo incentivi a favore di chi, ad esempio, si faceva sterilizzare (politica questa che me ne ha ricordate altre, sia pure opposte) e pubblicizzando e diffondendo tutti gli strumenti possibili, compresi doni e denaro. purtuttavia — lo afferma il governo indiano — non si è ottenuto alcun risultato, alcun effetto consistente in termini statistici; questo perché, a mio avviso, soltanto un aumento del reddito procapite e, quindi, un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, con la conseguente creazione di un certo sistema sociale, consente che la popolazione si ponga il problema dei figli. i paesi in via di sviluppo non sono poveri perché vi nascono troppi bambini, ma hanno troppi figli perché sono poveri. e una situazione siffatta è evidente anche in Italia, se si esamina il divario tra nord e sud: in tutte le zone — non solo italiane — in cui si ha un reddito procapite inferiore a quello di altre, parallelamente si registra una natalità superiore, con conseguente mortalità infantile molto alta. quindi il fenomeno della natalità maggiore in presenza di reddito procapite inferiore lo si può registrare anche in paesi sviluppati comparando le statistiche delle varie regioni. il ministero della Sanità ha pubblicato una statistica che riguarda l' Italia, molto significativa da questo punto di vista . comparando i dati di anni successivi dimostra infatti che ogni aumento del reddito procapite ha comportato — forse per una certa riflessione sul problema dei figli — una riduzione della natalità. dicevo che siamo al problema dell' emergenza. ho qui un bollettino del World Food Programme che nelle ultime pagine, nei termini più asettici possibili, riporta determinate richieste. ad esempio il Bangladesh fa presente che, se non gli vengono inviati subito 3 milioni di dollari , nei mesi da agosto a novembre (è un po' tardi) moriranno per siccità 2 milioni di persone. saranno colpite da una incredibile carestia 12 milioni di persone, su una popolazione di 50 milioni, pari quasi a quella italiana. siamo ormai alla metà del periodo indicato e ben poco è stato fatto. potrei proseguire elencando le richieste che avanza il Ciad in questo momento o quelle di altri paesi che si trovano a fronteggiare disastri particolari in questo campo. ma poiché i dati ai quali mi riferisco, corredati da richieste e previsioni di morte s, e a tali richieste non si dà luogo e seguito, sono contenuti in documenti normalmente distribuiti, ritengo molto semplicemente che ciò che non è in alcun modo possibile fare è non agire. l' Italia potrebbe trovarsi da sola, unilateralmente, a fare questo gesto, a compiere questo atto. credo che questo gesto, che questo atto, che l' Italia può e deve fare — e noi lotteremo perché lo faccia — , possa trascinare dietro altri paesi, magari quelli che in termini di aiuto pubblico allo sviluppo hanno già superato il previsto 0,7 per cento . penso — perché no? — alla Svezia, alla Norvegia. quel che proponiamo in realtà è che il Governo si faccia interprete di questa esigenza politica di agire immediatamente, convinta come sono che tali atti, che sembrano unilaterali, poco produttivi o scarsamente redditizi, siano poi quelli che in realtà producono maggiori effetti, forse non in termini economici, ma in termini ideali o di risveglio di coscienze, di un nuovo internazionalismo, di un crearsi di discussione e dibattito, per non parlare di una iniezione di fiducia agli stessi paesi in via di sviluppo . i quali ultimi — lo racconta il ministro — hanno una sorta di diffidenza, perché temono di dover continuare a svolgere il ruolo subordinato e gregario che hanno avuto finora. lo credo che si siano stufati di ricoprire questo ruolo gregario e comunque subordinato che abbiamo imposto loro in tutti questi anni! è assolutamente evidente. ma, poiché mi auguro che nessuno dissenta da tale impostazione, che lo stesso governo italiano , cioè, concordi con la necessità di non continuare a tenere i paesi in via di sviluppo nella condizione di pura sudditanza, ritengo che un intervento immediato e straordinario, ad esempio nei confronti di uno o più dei paesi in questione, possa costituire il primo segno della nostra intenzione di trattarli ormai da partners reali, e non semplicemente come mercati da sfruttare. dicevo che un gesto del genere potrebbe essere una iniezione di fiducia rispetto agli stessi paesi in via di sviluppo , un segnale su cui contare per riprendere una propria politica, una politica attiva. li abbiamo trattati — ho appena detto — in un certo modo; non li vogliamo davvero, vista la politica che portiamo avanti a livello di commercio internazionale, come concorrenti... in realtà l' aiuto pubblico che noi diamo loro, che i paesi sviluppati « restituiscono » ai paesi in via di sviluppo , è il ripagamento e molto, molto parziale! — di quanto siamo andati rapinando o sottraendo loro. parlo dello sfruttamento dei paesi sviluppati nel loro complesso, non soltanto di quelli dell' area filoamericana. parlo di tutti, di tutti quanti, anche se si è intervenuti nei loro confronti con strumenti e con metodi diversi. ebbene, da tale punto di vista non c' è che l' imbarazzo della scelta in ordine ai paesi sui quali vogliamo agire. vi sono elenchi dettagliati di paesi che si trovano nella situazione più disastrata. ripeto, non abbiamo che l' imbarazzo della scelta. perché non tentare, ad esempio, di avere, tramite gli organismi multilaterali, rapporti con i governi interessati, magari con accordi bilaterali , per un intervento straordinario ed urgente? sono normalmente poco favorevole agli accordi bilaterali ; in questo caso, la ritengo comunque una via da seguire. si possono trovare eventualmente altre garanzie. credo che sia l' unica strada percorribile. solo se la seguiremo, daremo impulso ai progetti a medio e lungo termine, e forse riusciremo a convincere, via via, altri paesi ad unirsi in questa iniziativa. altrimenti, credo che continueremo ad andare avanti con trattative chiuse tra chierici, un po' diplomatiche, in cui se si « rompe la corda » ciò non significa nulla di più e che sostanzialmente non si incide sull' atteggiamento che abbiamo finora mantenuto. mi auguro pertanto che, sulla base anche delle indicazioni che verranno da questo dibattito alla Camera e delle prossime scadenze conseguenti all' impegno assunto dal Governo nell' altro ramo del Parlamento di riferire sugli interventi straordinari e immediati, si riesca, in brevissimo tempo, a coinvolgere l' opinione pubblica , anche internazionale, nello sforzo che intendiamo compiere per rendere possibili non già soluzioni caritatevoli, bensì iniziative che, dal punto di vista quantitativo ma soprattutto da quello qualitativo, segnino una svolta nella nostra politica internazionale tale da assicurarci quel prestigio e quel peso politico che ancora non abbiamo in sede internazionale e che è necessario acquisire per convincere altri paesi a muoversi su questa stessa strada.