Bettino CRAXI - Deputato Maggioranza
VIII Legislatura - Assemblea n. 219 - seduta del 24-10-1980
1980 - Governo Forlani - Legislatura n. 8 - Seduta n. 219
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , mentre si accinge a chiedere la fiducia al Parlamento, nella continuità dell' esperienza del Governo che lo ha preceduto e raccogliendo le riflessioni e le proposte che hanno consentito l' apporto del partito socialdemocratico , penso che il nuovo Governo sia certamente consapevole del fatto che la tragedia italiana, scandita dalle sanguinose imprese del terrorismo, sembra entrata in una nuova fase. il fronte appare ormai rovesciato e su tutti i piani l' offensiva dello Stato democratico stringe più dappresso ciò che rimane delle organizzazioni militari del terrorismo. è di questi giorni, ancora, la scoperta di nuovi covi, l' abbandono di depositi di armi, la cattura di vere e proprie bande armate; si allunga la lista dei presunti colpevoli e dei rei confessi; si alza il velo su delitti che erano rimasti impuniti. ciò che colpisce è l' impressionante ramificazione del fenomeno; una stratificazione successiva di gruppi politici e di formazioni armate, coordinate o in concorrenza tra loro, di cui è ormai possibile tentare di individuare, in tutto o in gran parte, le radici e di ricostruire il percorso storico lungo gli anni in cui hanno potuto formarsi ed espandersi le organizzazioni clandestine della violenza e del terrore. colpisce la giovanissima età della gran parte dei nuovi arrestati e degli imputati: segno, questo, della facilità del ricostituirsi e del riprodursi del fenomeno, della fertilità del terreno di coltura, che era stato preparato attraverso la predicazione della violenza, della diffusione delle ideologie della rivoluzione armata; segno dell' esistenza di vaste risaie nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università, dove gli argini democratici erano stati indeboliti e travolti, e dove il terrorismo non sarà interamente vinto, se non si andrà al fondo del male che lo ha generato e alimentato, lottando impietosamente contro la cultura della violenza, lo spirito di fanatismo e di intolleranza, contrapponendo alle mistificazioni ideologiche un quadro di valori umani, civili e sociali positivo, sforzandosi anche di comprendere la tragedia che sta nella tragedia, la tragedia del sangue che è stato versato e la tragedia dei giovani carnefici che si sono creduti giustizieri. lo Stato ed i servitori dello Stato hanno pagato con grandi sacrifici il ritardo con il quale è stata ingaggiata una lotta a fondo, finalmente impegnativa, contro il terrorismo; e hanno pagato il peso di infedeltà, di trame e di congiure che si erano annidate nella loro stessa compagine, e su cui a distanza di tanti anni si cerca ancora con grande fatica e con scarsi risultati di fare piena luce e piena giustizia. la magistratura e le forze dell'ordine hanno sviluppato una efficace offensiva, condotta ancora con mezzi largamente inadeguati, portandoci tuttavia al punto in cui siamo, che è un punto decisivo. si sono aperti varchi attraverso i quali si può passare e tentare una soluzione definitiva di questo angoscioso problema della vita nazionale. esso ha mostrato tutta la sua complessità con l' apertura del nuovo capitolo del terrorismo nero , per tutto un periodo sottovalutato, se non addirittura ignorato, come dimostrano gli angosciosi appelli del giudice Amato, prima di cadere vittima lui stesso, e le indagini sulla strage di Bologna, che ci auguriamo possano giungere presto a risultati probanti. una strage senza precedenti, di cui sappiamo solo quel poco filtrato fino ad ora dalle dichiarazioni degli inquirenti, ma della quale abbiamo compreso il significato essenziale, diretto contro la stabilità politica del paese, la governabilità delle istituzioni, nell' odio cieco contro le forze democratiche; iscritta anch' essa probabilmente in una rete sommersa ed in una costellazione di attentati, che hanno già fatto parlare di una sorta di « internazionale nera » . gran parte delle indagini e dei risultati sin qui raggiunti è ruotata intorno a confessioni e a pentimenti, e al valore che possono assumere in base ai riscontri obiettivi che ne derivano. sono servite almeno alcune delle necessarie norme eccezionali, che non pare abbiano determinato gli inconvenienti e gli abusi temuti, e di cui valuteremo l' utilità transitoria sulla base di un bilancio annuale. sono servite le concessioni e le promesse di clemenza, che il Governo ha proposto e il Parlamento autorizzato. di fronte ad uomini sconfitti e delusi, di fronte a giovani che chiedono di parlare, protesi come verso la liberazione da un incubo, la giustizia non viene meno al suo dovere se usa la clemenza, se incoraggia il pentimento destinato ad evitare nuove stragi, a salvare nuove vite umane , con l' intento di avanzare sulla strada ormai aperta di una liquidazione totale, definitiva e rassicurante di ogni forma, di ogni radice di terrorismo. c' è un problema di protezione della incolumità di chi, collaborando con la giustizia e riconoscendo l' autorità dello Stato, sfida un' altra oscura autorità, mettendo a repentaglio la propria vita. non è una ipotesi astratta, è una realtà che già conta le prime vittime. sono problemi aperti che non sono sfuggiti alla sensibilità del segretario della Democrazia Cristiana , onorevole Piccoli, e a quella di altri partiti ed esponenti politici, e che mi auguro non sfuggiranno a quella del Governo, che spero non concederà nulla ai giacobinismi di facciata, ma punterà diritto allo scopo, che è quello di una lotta intransigente, ma vittoriosa, di una salvaguardia della vita umana , che resta il dovere primario dello Stato, della normalità riconquistata della vita democratica , in una opera di giustizia e di civiltà che sancisca la fine di un periodo così travagliato e doloroso per il nostro paese. vengo nuovamente alle parole di Aldo Moro. « una qualche concessione è non solo equa, ma politicamente utile » . ed ancora, svolgendo tutto il nitore del suo ragionamento: « c' è, insomma, un complesso di ragioni politiche da apprezzare e alle quali dar seguito, senza fare all' istante un blocco impermeabile nel quale non entrino, nemmeno in parte, quelle ragioni di umanità e di saggezza che popoli civilissimi del mondo hanno sentito e che li hanno indotti a quel tanto di ragionevole flessibilità cui l' Italia si rifiuta, dimenticando di non essere certo lo Stato più ferreo del mondo » . allora, in circostanze diverse, si temette di imboccare quella via della clemenza che per lo stesso scopo (la salvezza di vite umane ) si è imboccata dopo e con risultati di indubbia efficacia. ma, parlando di Moro e del timore che lo Stato andasse in rovina se, per dirla con le parole di una sua lettera, « una volta tanto un innocente sopravvive e in compenso altra persona, invece che in prigione, va in esilio » , non voglio rinfocolare polemiche che provocarono tra di noi aspre divisioni; non intendo rinfocolare polemiche neppure di fronte a chi sembra volerle rinfocolare, con giudizi quanto meno azzardati e arbitrari, convinto come sono che la storia ricostruirà fedelmente i fatti, darà ad ognuno la responsabilità dei suoi atti e delle motivazioni che li giustificarono ed a nessuno il vantaggio della saggezza del poi. ma c' è un altro aspetto della vicenda del terrorismo su cui la luce è tenue, le parti oscure molte e non sempre decifrabili, cioè quello delle sue connessioni internazionali. sono state suonate molte campane d' allarme, ma poco è venuto ancora in superficie. l' insieme delle indagini mette in evidenza le radici originali e nostrane del fenomeno, ma non mancano i fili e le piste che conducono fuori dei confini nazionali. ma lo stato delle informazioni, almeno quelle più o meno note, non appare ancora tale da consentire di descrivere con certezza la natura, l' importanza, il significato di una più vasta concertazione internazionale del terrorismo. comprendo la prudenza con la quale si avanza su questo terreno; non comprenderei la reticenza o l' inefficienza, con i nostri mezzi, che sono assolutamente al di sotto delle esigenze di sicurezza del paese, e nel quadro di una sempre più stretta collaborazione con i paesi amici. è questo un nodo del quale dobbiamo venire a capo. per non risalire troppo indietro nel tempo e, semmai, per restare a qualche tema di attualità, sarebbe interessante sapere se l' immersione nella clandestinità più profonda di alcune delle restanti « primule rosse » del terrorismo nostrano è favorita da basi di appoggio e dalla protezione di paesi ospitali, che assicurano, se non altro, il loro favore alla sopravvivenza del terrorismo italiano. onorevoli colleghi , non solo per la circolazione delle correnti terroristiche, il Mediterraneo è ormai diventato uno dei mari più caldi del mondo. un regime militare ha imposto ad Ankara la legge della forza in un sistema democratico che si era lasciato divorare dalla lotta delle fazioni, mentre il paese era in balia della crisi economica e del terrorismo; un angolo di latenti tensioni greco-turco-cipriote lo ritroviamo nell' isola di Cipro, ridotta nella sua sovranità da una occupazione straniera che continua; il Libano, che ancora è un campo di battaglia di eserciti privati e di armate straniere, teatro di continui scontri tra palestinesi e israeliani; il colonnello Gheddafi che ancora oggi in una intervista ad Epoca parla della inevitabilità di una guerra imminente nella regione e, come conseguenza, della certezza di una terza guerra mondiale : una visione estremizzata, che sembra combaciare perfettamente con la miopia della visione panisraeliana del governo di Begin; ci si arma ai confini fra l' Egitto e la Libia; si accumulano armi ed eserciti; si costruiscono imponenti opere militari; c' è tensione tra Algeria e Marocco, attorno al contestato destino del Sahara occidentale. ma i segnali più inquietanti vengono dalla regione petrolifera, punto nevralgico degli equilibri mondiali della pace. secondo uno studio del Brooking Institute di Washington, la guerra tra l' Iran e l' Iraq sarebbe ormai il centoventisettesimo conflitto che il mondo conosce dopo il 1945; i centoventisei precedenti avrebbero provocato, secondo questi calcoli, 32 milioni fra morti e feriti. la guerra in corso è di una pericolosità senza precedenti, per l' importanza strategica della regione e per il groviglio di contrasti e di antagonismi che vi si accumulano in modo inestricabile. non dimentichiamo, infatti, che nella regione si trova il 40 per cento delle riserve petrolifere attualmente conosciute nell' intero pianeta e il 60 per cento degli approvvigionamenti del mondo industriale, che passano per lo stretto di Hormuz. i fattori antagonistici nella regione appaiono moltiplicati tra paesi ricchi e paesi poveri, regimi feudali e regimi progressisti, sciiti e sunniti, basisti della Siria e dell' Iraq, israeliani e arabi e, naturalmente, sovietici ed americani. la guerra tra l' Iraq e l' Iran ha certo radici profonde ed evoca drammi antichi, ma è alimentata ad ambizioni e da pretese egemonie politiche e religiose, che l' ayatollah Khomeini riassume nella invettiva: « è la guerra tra l' Islam e la bestemmia » . ciò non di meno, essa è diventata una mina accesa, che può scatenare conflagrazioni di ben più ampia portata. a noi, all' Europa, agli stessi USA, tutti nell' insieme piuttosto impotenti fino ad ora di fronte allo svolgersi di questi avvenimenti, non resta che sperare nella riduzione dei fenomeni di conflitto, in un loro congelamento, se non proprio in una improbabile composizione, e lavorare con tutti i mezzi possibili in questo senso. purtroppo dipendiamo — talvolta con il fiato sospeso — da decisioni di uomini e di regimi imprevedibili: la stessa Unione Sovietica si trova nell' imbarazzo di relazioni contraddittorie e per taluni aspetti paradossali. è più che mai aperto il problema, quindi, di un ruolo attivo e pacifico dell' Europa e, in questo, di uno specifico apporto italiano, secondo prospettive di largo respiro, di lunga lena e di grande impegno economico e politico. il problema di un allargamento stabile e penetrante della cooperazione euro-arabo-africana è diventato tutt' uno con la costruzione di un fondamentale asse portante della pace. ritardare ancora nella impostazione di un nuovo quadro di cooperazione internazionale sarebbe un errore, del quale presto o tardi saremmo chiamati a pagare il conto. ritardare o scoraggiarsi di fronte alle prime evidenti difficoltà, nei tentativi di disinnescare le mine più pericolose e di favorire vie di soluzione ai conflitti, aperti o latenti, sarebbe come rassegnarsi alla più tragica delle prospettive. è esposto a grave rischio il futuro dei paesi industrializzati , e del nostro in particolare, per la condizione di totale dipendenza energetica in cui viviamo. sono gettati nella disperazione i paesi più poveri di quello che è stato definito il « quarto mondo » . ha tutta la sua importanza, non solo morale ma anche politica, il contributo dei paesi industrializzati alla lotta alla fame nel mondo . il recente rapporto della commissione nord sud presieduta da Willy Brandt svolge, sul filo di una rigorosa documentazione scientifica e di previsioni realistiche, il tema di fondo di una radicale svolta delle politiche dirette a rimuovere il sottosviluppo. per quanto ci riguarda, dobbiamo colmare un ritardo e coprire un vuoto. la distanza che segna l' impegno italiano nella lotta alla fame e nella cooperazione verso i paesi sottosviluppati rispetto a quello di altri paesi industrializzati è troppo grande e non può essere giustificata in maniera alcuna. non basta approvare unanimi mozioni parlamentari che restano dove sono, senza adeguati effetti positivi; non basta neppure stanziare somme, se queste poi non vengono tempestivamente utilizzate. di qui, l' esigenza e l' urgenza di un impulso nuovo, efficace, operativo, che segnali una presenza sensibile, attiva dell' Italia sul fronte più avanzato e più esposto dell' umanità e della civiltà. certo, la condizione generale di un equilibrio internazionale meno incontrollato e meno esposto ai rischi di precipitazioni gravide di conseguenze, ai pericoli di guerra resta quella di un ristabilimento di uno spirito negoziale tra le grandi potenze, tra l' Alleanza Atlantica e il Patto di Varsavia e della rinuncia agli atti di forza, che hanno riportato indietro di decenni il processo di distensione. aveva ragione chi, un anno fa, decidendo di approvare l' avvio della costruzione di nuove armi strategiche destinate al teatro europeo, per ristabilire un equilibrio rotto dalla produzione e dalla installazione di nuovi missili sovietici, considerava questa decisione non preclusiva di un nuovo negoziato. al contrario, semmai, essa lo ha provocato e lo ha reso necessario. il negoziato oggi è possibile e noi abbiamo appoggiato e continuiamo ad appoggiare con decisione le iniziative che il cancelliere Schmidt ha assunto in questa direzione, ieri per il negoziato, oggi per il suo concreto avvio e la sua positiva conclusione. noi manteniamo il nostro favore per una politica di dialogo con l' est, nonostante le difficoltà e le ottusità tipiche di società burocratiche e autoritarie. puntiamo a lungo termine sull' idea prudente, ma non assurda, di evoluzione e trasformazione, piuttosto che sulla prospettiva alquanto aleatoria di crolli improvvisi: è lo spirito col quale abbiamo seguito la crisi dell' estate polacca, sostenendo la lotta dei lavoratori e degli intellettuali, sottolineando il significato rivoluzionario delle loro rivendicazioni e delle loro impostazioni pluralistiche rispetto alla staticità e monopoliticità conservatrice dei sistemi comunisti, salutando come una vittoria le parziali concessioni ottenute ed i passi in avanti compiuti, anche se sempre difficili ed ancora contrastati. il quadro si presenterebbe profondamente diverso, se ci trovassimo ancora una volta di fronte ad atti di forza e sopraffazione; ma i moniti minacciosi di chi veglia sulla sovranità altrui per ora sono rimasti tali. non ci sono stati atti di forza: ci auguriamo che non debbano più verificarsi. in mezzo a tante tempeste, la pace così ha galleggiato, ma non è stata travolta; un perno decisivo in Europa può essere una politica estera sempre più attiva ed incisiva del governo italiano , così come può esserlo la continuità, confermata a Bonn, della politica estera ispirata dai liberali e socialdemocratici tedeschi, così come un nuovo impulso ai processi di pace e di sicurezza potrà risultare, speriamo, dalla decisione che nei prossimi giorni prenderanno gli elettori degli USA. l' Italia, come tutti (ma noi più degli altri), è vitalmente interessata alla pacifica evoluzione della situazione internazionale, alla ripresa della distensione, all' intensificarsi delle possibilità di cooperazione e scambio, alla normalità e libertà delle vie d' accesso delle materie prime . se nell' ambito della lotta al terrorismo siamo giunti ad un punto decisivo, rispetto alle prospettive economiche e sociali del paese siamo come di fronte ad un bivio. certo, per capire dobbiamo tentare di determinare meglio il perimetro della nostra posizione attuale. sulla realtà italiana sono forse troppe le interpretazioni contraddittorie; si sono dipinti troppi scenari contrastanti. ho già avuto occasione di osservare che non solo leggendo statistiche e consuntivi, ascoltando i messaggi di osservatori interni ed internazionali, ma anche vedendo e toccando con mano la vita del paese, ci si forma la convinzione che l' Italia in questi anni ha continuato a camminare. il ritmo è stato ben diverso da quello descritto dai moduli correnti ed espresso da una psicosi negativa piuttosto generalizzata. un' incessante e cupa predicazione, tipica degli estremismi ideologici e dei pessimismi psicologici, di depressione, sfiducia, perdizione e catastrofe, è stata assolutamente smentita dai fatti. dobbiamo tentare di stabilire in modo ragionevole il punto in cui siamo. qualcuno ha scritto che l' Italia è divorata dalla crisi; altri hanno scritto che siamo stati secondi, negli ultimi due anni, solo ai mitici giapponesi! se veramente abbiamo attraversato un periodo di espansione caratterizzato dall' aumento del reddito e dei consumi, ma anche dall' aumento degli investimenti , dell' occupazione industriale e del lavoro indipendente nonché della piccola imprenditorialità senza neppure rendercene conto, anzi levando lamenti sempre più alti di crisi e di austerità, questo significa che il distacco tra i partiti (ma non solo tra di essi) e il paese reale , è assai più grande di quanto normalmente non si dica. sta di fatto che sul fronte delle lamentazioni abbiamo visto gruppi sociali che hanno, in questi anni, difeso egregiamente, anzi hanno migliorato costantemente, il loro tenore di vita partecipando ai benefici di un crescente benessere, mentre altri gruppi sociali hanno inutilmente tentato di forzare le angustie di magre pensioni, di disoccupazione cronica, di povertà vera e propria antica e nuova. questa incertezza nell' analisi economica e politica favorisce la confusione di idee nel paese, la scarsa consapevolezza delle effettive priorità e degli effettivi bisogni insoddisfatti; una visione debole delle reali diseguaglianze ed una insufficiente coscienza sociale dei diritti e dei doveri. traggo da un lavoro di uno dei centri studi più seri del nostro paese questa riflessione che voglio riportare per intero. « i risultati ottenuti negli ultimi due anni non sono una stravaganza storica o l' equivalente del ventre gonfio dei denutriti e dei macilenti, ma sono un effetto della vitalità di fondo del nostro sistema. che vi siano dei grossi problemi, specie a livello dei grandi sistemi aziendali e pubblici, è innegabile; tuttavia non siamo una società ferma » . certo, a correggere la tentazione di un quadro troppo ottimistico e a sottolineare le grandi contraddizioni dello sviluppo italiano, stanno in primo luogo la forte disoccupazione, specie quella giovanile, a fronte però di centinaia di migliaia di lavoratori stranieri, di milioni di doppi lavori, di una inadeguata preparazione professionale e di una anacronistica organizzazione del mercato del lavoro ; stanno le luci e le ombre che caratterizzano lo sviluppo parziale e diseguale del Mezzogiorno, più ombre che luci, con il degrado sociale delle grandi metropoli e la minore qualità ed estensione dei servizi sociali ; stanno le sacche di povertà che convivono anche con il benessere delle aree più sviluppate; stanno i cosiddetti punti di crisi industriale e la fragilità di molti settori dell' economia sommersa; sta la condizione della finanza pubblica e il disordine nella spesa pubblica . è sul disordine dei comportamenti privati e pubblici che fioriscono principalmente i fattori negativi che alimentano un' inflazione ormai troppo gonfia, in un sistema che mantiene alte le sue caratteristiche di vitalità. tale vitalità va sorretta ed ordinata, intervenendo in una fase declinante rispetto agli anni passati e che tende ora ad accentuare gli aspetti di crisi. è questo il bivio di fronte al quale ci troviamo: possiamo organizzare un nuovo balzo in avanti rafforzando le strutture produttive, allargando l' area del benessere, riducendo fortemente le diseguaglianze oppure lentamente possiamo regredire. la battaglia del progresso e dello sviluppo economico e sociale del paese, della qualità della vita e dell' eguaglianza, si vince combattendo su molti fronti: sui mercati internazionali , dove dobbiamo difendere le posizioni e conquistarne di nuove, accettando la sfida delle regole, della razionalità economica internazionale e superando la crisi ed il ritardo dei settori-chiave del sistema industriale; sviluppando le reti fondamentali dell' energia, delle telecomunicazioni, dei trasporti e dell' informatica, strutture portanti dell' avvenire industriale del paese; impostando una politica industriale che sostenga sia le grandi che le piccole imprese , riducendo il vincolo di dipendenza alimentare dall' estero, promuovendo le misure incisive per uno sviluppo complessivo e coordinato del settore terziario; si vince sul settore della spesa pubblica , riportando ordine e razionalità nel nostro sistema di sicurezza sociale , in modo da realizzare protezioni più vaste, meno inutilmente costose e di migliore qualità; si vince raggiungendo la soddisfazione di vecchi bisogni sociali, a cominciare dalla casa e dei nuovi che sono in fase crescente; si vince sul fronte delle istituzioni alle quali non basta assicurare stabilità e governabilità, poiché esse hanno anche bisogno di riforme per rendere più certo il diritto, più razionale il sistema di governo, più efficaci gli strumenti di governo programmato dell' economia, più coordinato il raccordo tra centro e periferia, più vitale lo stato delle autonomie e più efficiente l' azione e l' organizzazione dell' intervento pubblico e degli apparati amministrativi. troviamo una larga eco di queste impostazioni e di queste idee nel programma illustrato dal presidente del Consiglio e non possiamo che compiacercene: è la strada giusta, è la linea di avanzamento. il resto dipenderà dalla coerenza e dalla volontà, dalla consapevolezza delle responsabilità che gravano sul Governo e sulla maggioranza ed anche dalla chiarificazione e dalle convergenze che si potranno realizzare lungo la strada. ma oggi è già importante che si dichiari la consapevolezza che il paese può superare le sue difficoltà e continuare a progredire; che esso ha in sé energie e forze sufficienti non solo per resistere, ma per avanzare; che gli italiani non sono affatto condannati a rifugiarsi nell' arte di arrangiarsi. è già importante che si parli il linguaggio della verità, dal quale si possono trarre motivi di fiducia e di preoccupazione, ma che nell' insieme dà alla collettività nazionale una nozione più chiara delle proprie possibilità ed una coscienza più salda dei propri diritti e doveri. era il linguaggio della verità, del resto, quello che aveva usato Giorgio Amendola, scrivendo nel novembre scorso un piccolo saggio dal titolo Interrogativi sul caso FIAT. si tratta di una lezione per lo più inascoltata e che forse aveva bisogno di tempo e di nuove verifiche complete per essere maturata e compresa. essa nasceva dall' esperienza, dalla forza della critica, da una chiara visione del ruolo nazionale della classe operaia e della funzione decisiva del movimento sindacale nella moderna società industriale. in queste settimane abbiamo avuto la esplosione del caso FIAT ed un rincorrersi di vicende sulle quali una riflessione ed un esame critico sono di rigore, partendo — se vogliamo — dalla lezione di Amendola, quando ci ha ricordato che il comportamento degli operai della FIAT ha segnato per decenni i punti di svolta positivi e negativi del movimento operaio , aggiungendo che Torino è sempre il segnale premonitore di quello che avviene nel paese e prevedendo guai se non si fossero riconosciuti in tempo i segnali ammonitori. ciò che è grave, nella vertenza della FIAT, è che si è giunti ad un determinato risultato dopo aver percorso un tragitto asperrimo fatto di una lunga astensione dal lavoro, occupazioni, violenze, scioperi generali, grandi danni per i lavoratori e per l' azienda, quando lo stesso risultato — molto probabilmente — poteva essere raggiunto per vie meno traumatiche e meno costose per tutti. ma ciò che è ancora più grave è che alla decisione di chiudere la vertenza si sia giunti in fretta e furia, dopo una manifestazione di massa rivolta contro l' azione del sindacato. in tutto questo ha grandi responsabilità l' azienda, non solo per errori di gestione e di previsione che aveva accumulato, ma per aver posto ancora una volta una questione per sua natura difficile in termini di sfida verso il sindacato, determinando subito un' atmosfera di tensione, su cui poi si sono gettati in molti, per dirla con le parole di Amendola, « in un gioco di crescente demagogia e di scavalcamento a sinistra » . la vicenda della FIAT pone molte questioni che non possono essere ignorate: in primo luogo, quella delle relazioni industriali, che non possono essere più affidate a metodi arcaici di sfida e di imposizione. bisogna avanzare verso un sistema di democrazia industriale, che favorisca la partecipazione consapevole dei lavoratori e del sindacato e li spinga ad adeguate posizioni di controllo della gestione e della programmazione dell' azienda. nel caotico confronto tra autoritarismo e assemblearismo una grande azienda ha di fronte a sé solo la strada della scarsa produttività e della paralisi: bisogna che siano abbandonati e non consentiti a minoranze che non rispondono a nessun metodo di lotta sindacale, che allontanano il movimento sindacale dal suo ruolo dirigente nell' impresa e nel paese, che dividono i lavoratori, che alimentano i peggiori estremismi. « non si vada oggi a ricordare » — scriveva in quel saggio il compagno Amendola — « la necessaria asprezza della lotta di classe per giustificare i nuovi atti di teppismo e di violenza nelle fabbriche. quando l' avanguardia cosciente della classe operaia non ha saputo mantenere la disciplina del movimento e non ha saputo impedire, come nel 19 e nel 20, atti di intimidazione e di violenza, ciò ha determinato la sconfitta » . si è fatta un po' di letteratura reazionaria attorno alla marcia dei quarantamila. qualcuno ha evocato... dicevo che si è fatta un po' di letteratura reazionaria attorno alla marcia dei quarantamila e che qualcuno ha evocato, con un luccicone che gli brillava negli occhi, l' immagine delle sfilate golliste lungo i Campi Elisi . ora leggiamo invece i risultati di un sondaggio di opinione, secondo il quale i partiti più votati tra i capi operai della FIAT sono il partito socialista ed il partito comunista . allora, si è provocata una grande divisione tra i lavoratori, mentre la più elementare delle acquisizioni teoriche del socialismo moderno si fonda sul presupposto di unità tra operai e tecnici, di unità tra la classe operaia ed i ceti medi . quanto è accaduto, è dovuto anche ad una clamorosa strumentalizzazione politica, che tutti hanno visto, e che io commento solo dicendo che il difficile non è cavalcare la tigre, ma riuscire a scendere senza farsi male. la vicenda riapre il problema della democrazia nella fabbrica. scriveva a questo proposito Amendola: « oggi non si sa, in assenza di votazioni effettuate con voto segreto e controllato, il numero dei partecipanti al voto, gli astenuti, le schede bianche o quello dei voti contrari alle richieste del sindacato. la necessità di questo tipo di organizzazione democratica viene chiamata polemicamente liberaldemocratica, ma io non so trovare, in un paese retto dalla nostra Costituzione, altro mezzo per misurare la volontà degli operai, fuori da ogni forma di coercizione e di intimidazione, che il voto segreto e controllato » . anch' io non saprei trovare una via diversa, e mi auguro che questa sia anche la riflessione almeno della maggioranza del sindacato. cresce l' influenza del sindacato nella vita nazionale...... deve crescere la sua responsabilità di partecipazione diretta, deve crescere la democrazia nella fabbrica e tra i lavoratori. Leo Valiani nei giorni scorsi ha scritto: « voto segreto in fabbrica, voto palese in Parlamento » . so di affrontare una questione spinosa, che molti in questa Assemblea forse considerano un tabù o addirittura — come ho sentito dire ieri — una via avventurosa. lo faccio con molto rispetto, sapendo però che il problema non è nuovo ed investe questioni di principio di prima grandezza. se non fossimo alla Camera dei Deputati della Repubblica italiana , ma all' Assemblea della Repubblica romana del 1849 o della Repubblica veneta, alla sinistra siederebbero i mazziniani, i repubblicani, i futuri garibaldini, sostenitori decisi del voto palese , e alla destra i moderati, preoccupati di difendere il voto segreto che figurava negli statuti monarchici. nelle due assemblee risorgimentali, impegnate a gettare le basi morali del rinnovamento italiano, il dibattito sulla questione della segretezza del voto finale sulle leggi fu molto acceso ed in entrambe, alla fine, prevalse la tesi delle sinistre. a Venezia si scontrarono il Sirtori, che sarà il capo di Stato maggiore di Garibaldi nell' impresa dei Mille, ed il moderato cattolico Tommaseo. la questione fu trattata con grande passione e tensione morale. « è regola generale » — dice Sirtori di fronte ai membri dell' Assemblea veneziana — « che la migliore garanzia per la dignità delle azioni umane sia la responsabilità, francamente assunta, delle azioni medesime. come io mi fiderò meglio di un uomo di cui conosca tutte le azioni e che me le faccia vedere, che di un altro che tenga segrete tutte le cose sue, per lo stesso modo crederò che il popolo abbia più fiducia, abbia una maggiore garanzia della dignità dell' azione dei suoi rappresentanti quando vedrà che tutti questi accettano ed assumono la responsabilità di quanto fanno » . ed altri ancora: « il voto palese è sempre favorevole al popolo; può non essere sempre favorevole ai rappresentanti. fra il bene del popolo e quello dei rappresentanti, questi non debbono stare in forse » . ed ancora Sirtori: « interroghiamo la nostra coscienza: noi non siamo una autocrazia, una autonomia; noi, mandatari del popolo sovrano , dobbiamo rendere conto al popolo di tutti i nostri atti legislativi, di tutte le nostre deliberazioni politiche » . il 14 ottobre 1947, di fronte all' Assemblea costituente , a parlare sulla proposta di inserire nella Costituzione lo scrutinio segreto per il voto sulle leggi, si alzò Aldo Moro e singolarmente egli riprese e difese la tesi di Sirtori, non quella di Tommaseo. egli disse allora: « mi ripugna che si faccia richiamo, niente meno che nel testo costituzionale, a questo sistema particolare di votazione, del quale si possono dire due cose: da un lato che tende ad incoraggiare i deputati meno rigorosi nella affermazione delle loro idee e dall' altro che tende a sottrarre i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale , per quanto hanno sostenuto e deciso nell' esercizio del loro mandato » . prese la parola anche il deputato socialista Tito Nobili Oro per dire: « il voto a scrutinio segreto è stato ripudiato da tutte le Costituzioni, fuorché da quella bulgara. negli arenghi dei liberi comuni, pubblica e palese era la manifestazione del voto, come libera era stata in Roma repubblicana. il voto a scrutinio segreto non rivela né schiettezza, né lealtà, né sicurezza nell' assumere la responsabilità dell' opinione che si manifesta, anzi, che non si manifesta ma si affida al segreto dell' urna » . la proposta di fronte all' Assemblea costituente di inserire il voto segreto nella Costituzione verrà bocciata dall' Assemblea con voto a scrutinio segreto . ebbene, onorevoli colleghi , tante esperienze hanno dimostrato se non altro quanto fondamento avessero le preoccupazioni dei padri del Risorgimento e dei padri della Costituzione repubblicana, a proposito della schiettezza, della lealtà, della chiarezza delle responsabilità degli eletti verso la sovranità popolare , di cui sono rappresentanti. giudicherà l' Assemblea, se lo vorrà, e deciderà allora se riterrà giusto o meno ritornare allo spirito della Costituzione, senza che nessuno possa avere il diritto di giudicare questo una avventura. onorevoli colleghi , noi abbiamo guardato e guardiamo con preoccupazione a tutte le manifestazioni e le tendenze volte a radicalizzare la lotta politica e diamo, perciò, un segnale di allarme per ciò che ci si prepara nei prossimi mesi, su di un terreno diverso ma ancora più pericoloso per le lacerazioni che può produrre, a seguito delle iniziative referendarie in corso . non mi riferisco tanto ai numerosi referendum proposti dal partito radicale (la cui campagna pare si sia conclusa con successo), parte dei quali sono stati sostenuti anche da noi, e che potranno in tutto o parzialmente trovare uno sbocco in processi legislativi di riforma, quanto allo scontro che si profila sul tema dell' aborto e, più in generale, al pericolo di nuovi contrasti tra società civile e società religiosa. una ripresa dello spirito religioso nella comunità cattolica può essere accolta con speranza dai credenti, con rispetto ed interesse dai non credenti; una reviviscenza di intolleranze, di invadenze, se non addirittura di arcaici fanatismi, rischia di provocare le reazioni sempre temute da chi vuole la pace delle religioni, là libertà delle coscienze, l' esistenza di sfere distinte di azione per le due società, l' indipendenza e sovranità rispettiva della Chiesa e dello Stato, ciascuno nel proprio ordine. non possono non destare preoccupazioni alcune recenti prese di posizione dell' episcopato italiano, alcuni interventi dello stesso pontefice, sino al recupero del preconciliare patrono di Napoli in funzione anti-aborto da parte del cardinale di quella città, che avrebbe incitato i presenti al miracolo e a firmare la richiesta di referendum. si tratta di posizioni che, con tutto il rispetto dovuto a così autorevoli voci, debbono essere serenamente valutate nel contesto di un riconoscimento dell' indipendenza e sovranità della Chiesa, che tuttavia non può essere tale da limitare quei diritti di libertà che la Costituzione repubblicana garantisce, individualmente e collettivamente, a tutti i cittadini. certo, noi consideriamo assolutamente legittimo il diritto dell' autorità ecclesiastica di riaffermare i principi del cattolicesimo su un problema di cui nessuno si nasconde la delicatezza, come quello dell' aborto, e di richiamare la donna madre cattolica, cui spetta la scelta, al rispetto di fondamenti dottrinali della sua religione. ma tutto questo non può comportare, come ricorda Arturo Carlo Jemolo, che lo Stato debba inchinarsi a piegare le sue leggi, solo che la Chiesa dichiari che una data materia è ecclesiastica, mentre non ci si può non chiedere se proprio l' attuazione della Costituzione non dovrebbe imporre all' Esecutivo la difesa del prestigio di quei cittadini i quali usano uno strumento offerto loro dalla legislazione dello Stato, quale è l' aborto. sotto un profilo più strettamente politico, ci si deve domandare se uno Stato interessato a mantenere la pace interna e ad assicurare la convivenza dei cittadini, senza distinzione di religione, non debba chiedere alla Chiesa un comportamento delle sue autorità che sia tale da non turbare questa pacifica convivenza, da non eccitare l' avversione dei cittadini contro le leggi dello Stato democratico , ieri contro il divorzio, oggi contro l' aborto, domani magari contro qualsiasi altra legge che la Chiesa, nella propria secolare sapienza, ritenesse ricompresa nella vastissima sua potestà indiretta. il richiamo pontificio ai vescovi italiani, considerati, ben al di là del Concilio Vaticano II , una forza sociale che ha una responsabilità nella vita dell' intera nazione, una rappresentanza legittima e qualificata del popolo italiano , l' incitamento ad allargare la propria sfera d' azione nella società italiana , non possono non suscitare seri interrogativi. il favore, se non la diretta organizzazione di plebisciti pro e contro il Parlamento, il pubblico encomio all' azione svolta in tal senso da prelati che ebbero non poca responsabilità nel trascinare la Santa Sede nell' infelice avventura referendaria del 1974, le difficoltà, forse, per un Papa straniero, anche se di grandissima personalità e di elevatissima statura, di cogliere la complessità della realtà italiana, rischiano di riaprire la porta a contrapposizioni e contese che sembravano definitivamente cadute. quando Wojtyla venne eletto Papa, un autorevole commentatore scrisse che l' Italia correva il rischio di essere guardata con occhiali polacchi. ci auguriamo che non debba essere così: se lo augurano, credo, tutti coloro, cattolici e non, che considerano indispensabile assicurare la libera, pacifica, tollerante convivenza morale e ideale e l' unità in questo di tutta la comunità nazionale. onorevoli colleghi , noi socialisti siamo entrati nell' ottava legislatura dopo aver detto agli elettori che ci saremmo adoperati, nei limiti delle nostre forze e delle nostre possibilità, per assicurare un minimo di stabilità e di governabilità del paese e per evitare alla nuova legislatura la fine delle tre che l' hanno preceduta. questo resta un caposaldo della nostra politica, difendibile solo con l' apporto di altri, oltre che con il nostro, di per sé tutt' altro che sufficiente. e così abbiamo operato, proponendo noi stessi la formazione di un Governo all' inizio della legislatura, in un tentativo che fu bocciato dalla Democrazia Cristiana e non sorretto dal partito comunista , assicurando prima un appoggio esterno e poi una partecipazione diretta ai governi presieduti dall' onorevole Francesco Cossiga, di cui posso vedere talune fragilità accompagnate dalla grande dignità ed onestà della persona, ma non certo la pericolosità di cui si continua a parlare senza convincere nessuno, ed oggi contribuendo con lealtà e chiarezza di posizioni ad una rapida soluzione della crisi. se il Governo, che si avvale ora anche della presenza del partito socialista democratico , partito al pari del nostro membro della Internazionale socialista e con il quale abbiamo siglato una importante dichiarazione comune di intenti che si muove con propositi e volontà costruttive verso gli alleati di Governo, la Democrazia Cristiana e il partito repubblicano , e verso l' insieme della sinistra, se il Governo — dicevo — riuscirà a fare meglio di quello che lo ha preceduto, meglio: è il nostro augurio ed il nostro proposito. se sui grandi temi di interesse nazionale che riguardano la vita delle istituzioni, sulle questioni che toccano da vicino gli interessi, le aspirazioni, le richieste del mondo del lavoro e dei ceti più poveri ed emarginati del paese, esso riuscirà a stabilire intese con il partito comunista ; a scongelare la — rigidità paralizzante dei rapporti, a favorire un — lavoro proficuo nell' interesse nazionale , meglio, molto meglio per tutti. noi siamo interessati a questo più di altri, perché forse potrà contribuire a chiarire le reali intenzioni di tutti e a ridurre le difficoltà che determinano talvolta aspre divisioni nella sinistra. se il Governo raccoglierà una predisposizione favorevole, questa volta favorevole del partito liberale , avrà acquisito un nuovo, qualificato e importante elemento a suo favore e così se si mostrerà aperto a discutere le sollecitazioni, le proposte e le iniziative avanzate e sostenute dal partito radicale . se riuscirà ad invertire la tendenza — alla radicalizzazione della lotta politica, sarà il sistema democratico nel suo insieme a trarne vantaggio. onorevoli colleghi , abbiamo di fronte ancora il — tratto più lungo della legislatura; se si svilupperanno sino in fondo condizioni politiche più favorevoli ed un concorso vasto di responsabilità politiche e sociali esso può essere percorso fruttuosamente non per vivere alla giornata, per arginare il peggio, per rinviare ciò che è maturo per essere affrontato e risolto. di fronte ai problemi di riforma e di governo dell' economia, di estensione dei poteri democratici, di estensione della protezione sociale a chi ancora oggi ne è privo, della sicurezza e della giustizia dei cittadini, guardando ai problemi di riforma che investono le stesse istituzioni, valgono assai meno le semplici formule parlamentari con le quali si scade sovente in dispute bizantine; esemplare per tutti, quella che chiameremo la disputa sulla centralità, categoria astratta che lascio volentieri e gratis a chi la vuole. per chi è in lotta nelle battaglie del progresso debbono valere in primo luogo la direzione di marcia , il movimento reale delle forze, il raggiungimento e l' attuazione di grandi obiettivi. abbiamo ascoltato anche in quest' Aula e ascoltiamo quotidianamente dalle parti più disparate tanti consigli; noi non ne abbiamo da dare, se non a noi stessi: tener fede con coerenza ai propositi ideali e politici su cui abbiamo fondato l' impulso di rinnovamento del movimento socialista in una prospettiva strategica di unità del movimento dei lavoratori, spiegarne meglio il significato per chi tarda a comprenderlo, garantire la lealtà e la qualità dell' apporto socialista alla vita delle istituzioni ed alle collaborazioni democratiche nelle quali ci impegnamo. certo, qualcosa è cambiato nel partito socialista e per dimostrare ciò abbiamo cambiato anche il simbolo, rappresentato adesso da un garofano, per significare la volontà di ritornare alle origini e non di allontanarsi da esse.