Emma BONINO - Deputato Opposizione
VIII Legislatura - Assemblea n. 139 - seduta del 10-04-1980
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1980)
1980 - Governo II Cossiga - Legislatura n. 8 - Seduta n. 139
  • Attività legislativa

signor presidente , colleghe e colleghi, signor rappresentante del Governo, non so se lei sia uno dei sottosegretari in partenza o uno di quelli di ritorno, o forse tutte e due; ma forse lei è di quelli in arrivo, le cui casse stanno arrivando, diversamente da altri colleghi le cui casse stanno partendo. nell' iniziare questo intervento sulla legge finanziaria , che giustamente è stata definita una legge finanziaria per tutte le stagioni e per tutti i governi, vorrei esprimere la mia più profonda solidarietà al collega Labriola e agli altri colleghi socialisti che, evidentemente, si sono sentiti in imbarazzo nel dover intervenire ed hanno preferito rinunziare a prendere la parola. li capisco profondamente, proprio perché questa legge finanziaria che era stata presentata ed era in realtà il programma di fondo del passato Governo « Cossiga primo » , con la compagine Dc, Psdi e Pli, è diventata, per fatto ereditario, anche il programma di Governo o pare che lo sia — del Governo « Cossiga secondo » con una compagine completamente rinnovata, che sarà — credo che i compagni socialisti lo dicano — una cosa stravolgente nella strada di transizione verso il socialismo. e per lo meno stupefacente che una legge finanziaria , che dovrebbe porre le discriminanti della gestione dei fondi dello Stato vada bene per tutti, nel senso che la stessa legge che andava bene per il Governo precedente va bene anche per l' attuale Governo e forse, se mai interverrà a breve scadenza una crisi di Governo , come ormai siamo abituati, andrà bene anche per un prossimo Governo. non mi stupisce affatto questo modo di agire; mi stupisce però che rispetto a questa situazione l' ostruzionismo o l' opposizione sia lasciata semplicemente al gruppo radicale. questa mattina su un giornale dell' intellighenzia borghese e politica per antonomasia del nostro paese, cioè su La Repubblica , leggevo un titolo che diceva « contro la legge finanziaria è in atto l' ostruzionismo » . mi dicevo: finalmente qualcuno ha capito, ha capito che l' ostruzionismo è l' ostruzionismo della maggioranza, e non di questa non ancora formata, è l' ostruzionismo delle maggioranze di sempre, è l' ostruzionismo di chi ha presentato la legge finanziaria l' ultimo giorno utile (dicasi il 30 settembre), di chi ne ha discusso per mesi in Commissione, facendo balletti non indifferenti, di chi poi l' ha presentata in Assemblea e chissà perché pretende che venga anche celermente approvata anche in questa situazione, diciamo per essere leggeri, costituzionalmente anomala, di un Parlamento che discute e magari vuole anche votare una legge finanziaria senza che ci sia un Governo titolato a dire se la faccia propria o meno, o se faccia propri o meno certi emendamenti, o se, trattandosi di un nuovo Governo, magari ne voglia riproporre alcuni. ieri proprio questo è successo: è venuta fuori una proposta, non so più da quale parte, di chiudere il dibattito generale e di passare alla votazione degli articoli che non erano in contestazione, come se sugli articoli di una legge finanziaria un Governo non abbia nulla da dire, o non debba avere almeno la possibilità di fare delle altre proposte, al limite per marcare una differenza rispetto al Governo precedente. o siamo nella follia totale — il che mi stupirebbe, perché i folli normalmente sono i radicali, e sarebbe strano che tale qualità venisse attribuita ad altri — oppure, se il Governo « Cossiga primo » è caduto, è caduto perché politicamente era insostenibile; e credo ci voglia una buona faccia tosta da parte del Governo « Cossiga secondo » per venire a riproporre esattamente le stesse cose. ritengo che sia diritto del Governo avere la possibilità istituzionale di proporre delle modifiche, se crede, e quindi proporre emendamenti. sento vociferare in « Transatlantico » , nella buvette o nei corridoi che, in effetti, qualcosa in più per la giustizia bisognerebbe fare; che, in effetti, forse nel campo energetico una indicazione un po' più decisa bisognerebbe darla. ma, se queste non sono vane parole, si devono tradurre in emendamenti precisi o da parte del Parlamento o da parte del Governo, dandogli la possibilità di farlo. in realtà, quasi a difesa di questo diritto, o probabilmente di questa speranza che noi abbiamo, e cioè che il nuovo Governo recepisca i temi fondamentali di dibattito nel nostro paese, stiamo lottando duramente, allungando i tempi secondo qualcuno, facendo secondo noi un' azione di difesa costituzionale di quelle che sono le prerogative, i diritti ed i doveri del Parlamento, ma anche del Governo, visto che non li sa difendere da solo. ebbene, dicevo che questa legge finanziaria , valida per tutte le stagioni, che ha avuto una storia così travagliata e così anomala dal punto di vista costituzionale, arriva oggi; e credo che molti dei colleghi che mi hanno preceduta abbiano già puntualizzato quali siano non le nostre richieste, ma i temi fondamentali di dibattito. il nuovo Governo sta preparando il programma. questa mattina c' è stata una riunione fondamentale del presidente del Consiglio con il segretario Craxi e con il segretario Spadolini; c' è stata cioè, una riunione tra i tre partiti che formeranno questo nuovo Governo, appunto per puntualizzare il programma, che in tre quarti d' ora è stato definito laconicamente, con l' originale decisione del Governo di intensificare la lotta al terrorismo (questa cosa l' abbiamo già sentita!) e con la decisione, come originalissimo secondo punto, di intensificare la lotta all' inflazione. il problema reale è di capire con quali strumenti, partendo da quale bilancio dello Stato , da quale legge finanziaria , con quali fondi, con quali strumenti, legislativi o non, il nuovo Governo intende « intensificare la lotta al terrorismo » . e così arriveremo al terzo decreto cosiddetto antiterrorismo; la battaglia condotta dal mio gruppo sull' ultimo decreto, alla quale non ho partecipato personalmente in quanto ero impegnata a Strasburgo, mi ricorda un altro decreto del 1978, antiterrorismo anche quello, il famoso decreto antiterrorismo, che ci fu sbandierato già allora ufficialmente dal Governo come la soluzione di tutti i problemi, mentre la sparuta pattuglia radicale di allora, dichiarando l' ostruzionismo e facendolo, provava a porre in discussione la strategia che si intende seguire sul terrorismo. cosa significano le leggi speciali, quando è l' intera macchina della giustizia e della polizia che è bloccata da molti anni da chi fa l' ostruzionismo alle riforme di cui questo nostro paese ha bisogno? mi riferisco alla riforma della polizia, alla riforma del codice di procedura penale , a quella che è stata sbandierata come una riforma dei servizi segreti e di cui tutti vediamo i risultati. ebbene, questo secondo decreto antiterrorismo, nonostante gli sforzi del gruppo radicale per bloccarlo, è in vigore dal 15 dicembre e mi pare che in questi ultimi mesi abbiamo avuto quasi un morto al giorno e questa spirale della violenza e di sangue, che è nel nostro paese e nelle nostre strade, continua, godendo i terroristi, o i presunti tali, di una situazione di assoluta impunità. poi si fanno i blitz come quelli di Genova, mentre gli imputati del 7 aprile, a distanza di più di un anno, non hanno avuto ancora un processo. ritengo che le forze politiche presenti in questo Parlamento abbiano dimenticato quello che noi, non essendo molto rivoluzionari e in molti casi profondamente conservatori, abbiamo sempre creduto fosse importante ed era la nozione di Beccaria il quale diceva: « il deterrente non è rappresentato dalla lunghezza della pena, bensì dalla certezza della pena » . ma quale certezza della pena, con due milioni di processi pendenti! in realtà vi è la certezza dell' impunità non solo per i terroristi ma anche per gli speculatori, gli autori di quelli che sono considerati gli scandali di regime o contro la moralità pubblica. se avessimo il coraggio di affrontare questi nodi di fondo in termini, per esempio, processuali, certo faremmo processi più veloci ai brigatisti, e sarebbe un successo, ma sicuramente vi sarebbero le condizioni per fare processi più veloci anche ai Caltagirone e ai Sindona che, nella certezza dell' impunità totale, continuano ad affliggere il nostro paese. ci si chiede spesso dove reperire i soldi necessari per attuare queste riforme. se noi mettessimo insieme il costo dei vari crack, dei vari scandali ed affini, credo che avremmo già trovato i soldi. in occasione del dibattito sul caso Evangelisti dissi: « discutiamo di Caltagirone, di Rovelli, dell' Italcasse, ma forse una nozione normale di previdenza dovrebbe farci discutere su chi, non ancora imputato di bancarotta, beneficia dei nostri soldi, come Rizzoli » . dicevo questo, ripeto, per evitare che tra un anno o due ci si ritrovi dinanzi ad un ennesimo crack, davanti ad una ennesima persona che sicuramente avrà un aereo pronto il giorno prima e che riscopriremo, dopo alcuni mesi, da qualche parte del mondo. questi sono tutti dati che non interessano il dibattito politico sul bilancio dello Stato e sulla legge finanziaria che, invece, dovrebbe essere il momento centrale di discussione sulla linea politica che si intende seguire. negli interventi dei colleghi degli altri gruppi, per altro assai scarsi, non ho udito approfondimenti di alcun tipo su quello che è un dato centrale del nostro paese e che viene ribadito ogni volta e cioè il dato riguardante la politica energetica . tutte le volte ci viene detto soltanto che siamo in crisi perché gli antinucleari bloccano le centrali nucleari , che perciò non si possono costruire. bene, credo che questo sia falso, perché, ben prima del 1972-1973, è mancata una politica energetica qualunque nel nostro paese, che ci avrebbe visto, magari, ferocemente contrari. invece, mentre a livello nazionale o parlamentare tutti i partiti, seppure con varie sfumature, perplessità, difficoltà, imbarazzo, ancora sostengono l' esigenza di ricorrere all' energia nucleare (il Psi parla di fattore residuo, altri di settore portante, altri ancora non si sa bene di che cosa), noi vediamo e questo evidentemente in termini elettorali amministrativi — le varie amministrazioni locali , tutte quelle interpellate ad esclusione della Puglia, dir male delle centrali nucleari . si tratta, evidentemente, di un « no » che reggerà fino a giugno, perché da giugno in poi torneranno ad essere tutte filonucleari. molte amministrazioni locali , anche regionali, hanno usato una strana formulazione, hanno detto: « noi siamo per il ricorso al nucleare purché le centrali non siano installate nel nostro territorio » . tutto questo perché i partiti politici , a livello locale, si trovano a dover fare i conti con le reali, profonde, giustificate preoccupazioni della popolazione. non si capisce perché oggi dovremmo avere più fiducia nell' Enel o nel CNEN, specie dopo quello che abbiamo visto sia negli anni scorsi sia in questi ultimi, recentissimi mesi. questi due temi — giustizia ed energia — sono i punti centrali della campagna referendaria che abbiamo iniziato. credo, senza alcuna illusione, che anche questo Governo andrà avanti esattamente come quello precedente, forse un po' peggio, perché più dilaniato al suo interno, forse in modo ancora più tentennante, perché più diviso al suo interno. abbiamo, tuttavia, deciso di lanciare nel paese questi temi fondamentali (l' amministrazione della giustizia e la scelta energetica, nonché, più in generale, la scelta della società che andiamo costruendo, sia dal punto di vista economico-organizzativo, sia dal punto di vista giuridico), tramite la campagna per i referendum, perché solo diffondendo le informazioni e dando alla gente la possibilità di prendere parte attiva, decisiva ad una scelta politica e giuridica estremamente importante, c' è la speranza che qualcuno, magari, rinsavisca, ovvero si fermi a riflettere, senza bollare già da adesso — perché non è il caso — l' iniziativa referendaria, così come è stato fatto: dieci referendum sarebbero, in realtà, dieci referendum per lo sfascio. mi stupisco di questo perché non vedo cosa sia rimasto da sfasciare, né perché i compagni della sinistra si stupiscano per questo tentativo di diffondere le informazioni ed il dibattito, senza tenerlo chiuso qui, relegato agli incontri tra partiti o vertici di partiti. la gente deve sapere, deve esprimersi, deve dibattere, deve decidere perché, malgrado tutte le battaglie che possiamo fare qui, solo una grande mobilitazione popolare può far ottenere dei risultati. checché se ne dica, questa è stata la storia, questo il significato dei referendum del 1978, quando il 46 per cento votò per l' abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti. risultato che fu per noi una sconfitta dal punto di vista giuridico ma che, senza dubbio, segnò una grande vittoria politica, che ebbe, due giorni dopo, un immediato risultato. si votò, ricorderete, l' 11 giugno 1978; il 14 giugno si dimise il presidente della Repubblica . eppure, quale campagna, da soli, qui dentro, dal caso Lockheed in poi, portammo avanti per un anno e mezzo, con riferimento alla figura del presidente Leone, così invischiata in questa situazione! presidente Leone che fu difeso lo si ricordi — a spada tratta da tutti i partiti, dell' opposizione e non, presenti in Parlamento, che accusarono noi di destabilizzare le istituzioni. certo, la teoria del capro espiatorio è una teoria filosofica molto vecchia, che però viene riportata alla luce, puntualmente, nei confronti del gruppo radicale; teoria che non è altro che un alibi, per i partiti dell' opposizione, perché di opposizione non ne fanno, e per i partiti di Governo, perché non sanno, non riescono a governare un paese che — diceva giustamente Sciascia — non chiede niente altro che di essere governato. dicevo che ritengo sia questa l' unica strada per ottenere dei risultati politici. è in tale convinzione che, nonostante le difficoltà enormi che ci sono, riteniamo che l' attuale campagna per i referendum abbia un senso ed un valore proprio perché porrà la gente, il paese, di fronte a due precise scelte, dal punto di vista di una società giuridica rispetto ad un' altra, e dal punto di vista di una società economica nei confronti di un' altra. sono questi i temi di fondo. ritengo sia sbagliato banalizzarli, ritengo sia sbagliato, da parte di tutte le forze politiche , non capire quale sia il nostro tentativo di dare al paese, alla gente, uno strumento di lotta rigorosamente non violento e costituzionale, proprio nel momento in cui violenza e terrorismo divampano ogni giorno di più. crediamo sia un errore il non capire che l' unica strada percorribile per recuperare una forma di opposizione, che non sia quella dei disperati o della disperazione, che hanno compiuto o che hanno fatto compiere scelte che sono omicide e suicide allo stesso tempo, sia costituita dalla possibilità offerta ai cittadini di utilizzare strumenti rigorosamente non violenti e costituzionali di lotta politica, di instillare nei cittadini il senso del rispetto delle regole del gioco , il senso dello stato di diritto . ma lo stato di diritto richiede che sia innanzitutto il Governo a rispettare le sue leggi, i suoi impegni, nazionali ed internazionali, ad essere, da un certo punto di vista , esempio di obbedienza a leggi che si è dato, che sono state votate da questo Parlamento. dicevo che viviamo in un' epoca particolarmente violenta, in un' epoca di terrorismo, ma non soltanto in campo nazionale. ritengo che sarebbe sbagliato chiuderci in queste nostre frontiere. viviamo in un momento di gravissima crisi internazionale , di cui i due episodi di questa mattina e di questa notte sono testimonianze. gli stessi non debbono essere visti come fatti marginali, ma come episodi che vanno ad aggiungersi ad altri, in una situazione mondiale estremamente disordinata, caotica e, a mio avviso, tale da contenere in sé tutte le potenzialità per scatenare un conflitto. mi riferisco alla schermaglia aerea tra Iraq e Iran, mi riferisco all' episodio, di questa notte, dell' invasione di una parte del territorio del Libano da parte di Israele. mi riferisco, in particolare, per esempio, all' episodio dell' Avana o della richiesta di esilio in massa da parte di diecimila cubani. sono sintomi che, aggiunti a quelli che ormai si stanno trascinando da molti mesi (Iran ed ostaggi, Afghanistan, Vietnam-Cambogia), non solo dovrebbero preoccupare tutti, ma essere considerati centrali per quanto riguarda l' azione del governo . in realtà, per quanto riguarda il precedente Governo, ed in particolare in tema di politica estera , debbo dire che abbiamo avuto la sventura di fruire del turno di Presidenza del Consiglio della Cee attraverso il ministro degli Esteri Ruffini ed il presidente del Consiglio Cossiga. essi hanno attuato una unica iniziativa (a parte l' assenza, la latitanza, l' inesistenza assoluta dal punto di vista politico), quella relativa all' Afghanistan, di cui poi non si è saputo più nulla. capisco che il presidente Cossiga aveva sicuramente molte altre gatte da pelare: un Governo in crisi, l' incarico di formarne uno « nuovo » , il problema di mettere d' accordo i vari partiti e le varie correnti per la spartizione dei ministeri (per non parlare di quella dei posti da sottosegretario), ma è indubbio che noi abbiamo caratterizzato il turno di Presidenza italiana del Consiglio dei ministri della Comunità Europea con una assoluta assenza, mancanza di direttive e di iniziative politiche, persino con l' assenza fisica dei nostri rappresentanti. siamo arrivati al punto che il ministro Ruffini, il quale doveva svolgere un intervento sul programma della Presidenza italiana di fronte al Parlamento europeo , irritato per un ritardo di due ore, ha pensato bene di prendere l' aereo, alle 19, e tornarsene in Italia. lascio alla vostra fantasia immaginare i commenti che sono seguiti nell' ambito del Parlamento europeo . questo, comunque, è stato il primo gesto della Presidenza italiana, e quelli che sono seguiti sono stati analoghi dal punto di vista dell' indifferenza, o forse addirittura dell' incapacità; e certamente non è entusiasmante dover cercare di capire se certi comportamenti siano dettati da semplice indifferenza o da assoluta incapacità. sta di fatto che il nostro Governo non ha saputo sfruttare quella che, comunque, era una possibilità che gli si offriva, delegando di volta in volta il premier inglese, o Giscard d'Estaing , o Schmidt, nelle relazioni con i paesi e con il terzo mondo , perché sono stati assolutamente incapaci di elaborare una qualunque iniziativa ed una qualunque proposta. ma, per quanto riguarda questa legge finanziaria , vorrei parlare in particolare, anche se i miei colleghi vi hanno già fatto riferimento affrontando i vari temi che hanno formato oggetto dei loro interventi, del capitolo che riguarda la cooperazione e lo sviluppo, come dice il testo al nostro esame, anche se sarebbe meglio parlare di non cooperazione e di sottosviluppo. debbo ribadire che quella che noi conduciamo e che definiamo — perché così è, in realtà — una battaglia contro lo sterminio per fame nel mondo , contro l' estrema povertà, contro il sottosviluppo del terzo mondo , è una delle battaglie più importanti e prioritarie, in questo momento, e questo sulla base di almeno tre motivazioni, che ci spingono a questa lotta tenace, anche se molto isolata. in questo intervento eviterò accuratamente di esprimere valutazioni che provengano dal gruppo radicale o da noi personalmente, intendendo basarmi e portare in questo dibattito le valutazioni di altri, di persone, organismi, commissioni, organizzazioni o agenzie internazionali, sicuramente così poco radicali da non essere sospetti. risulta, però, che tutte queste persone o organizzazioni, che hanno studiato o si sono rese conto del problema, indipendentemente dalle ideologie cui fanno capo o magari dalla fede che professano, si sono trovate tutte d' accordo almeno su un punto: sul fatto, cioè, che questa battaglia al sottosviluppo è assolutamente prioritaria, anche se certamente ciascuna ne ha sottolineato certi aspetti piuttosto che altri. quello che mi ha stupito (non essendo credente, seguo poco i dati della Chiesa) è che ho trovato in una enciclica tutte le posizioni che andiamo esprimendo da molto tempo e che poi ho ritrovato esattamente nei lavori della commissione Brandt, nella commissione Carter e nei documenti della Fao. si tratta di un dato che mi è in un certo senso estraneo, proprio perché non sono credente. intendo riferirmi all' enciclica Populorum progressio perché, se dovessi stendere un rapporto sulla fame, così come siamo impegnati a fare al Parlamento europeo , dovrei dire che non solo l' analisi della situazione, ma le indicazioni e gli strumenti per superarla erano già tutti contenuti in questa enciclica, che non è solamente un documento morale, anche se non disprezzo per nulla il richiamo della morale alla politica. anzi, credo che questo sia sempre stato un nostro parametro e vorrei che continuasse ad esserlo, in quanto è un dato importantissimo. ebbene, il primo punto dal quale dobbiamo partire, credenti o non credenti, è la lotta allo sterminio per fame come obbligazione morale, perché credo che questo sia un punto che accomuna tutti, mentre ritengo che sarà obbligatorio dividerci dopo, quando si dovrà scegliere come intervenire, con quali strumenti e cosa finanziare; infatti, ad esempio, c' è chi vuole finanziare per lo sviluppo del terzo mondo , centrali nucleari nel Bangladesh, mentre c' è chi ritiene che sia non solo una scelta sbagliata ma controproducente, oppure chi ritiene che si debba perseguire la strada delle industrie agroalimentari, così ben sperimentate negli USA e nella Comunità Europea , o chi ritiene che anche l' intervento debba essere qualitativamente, oltre che quantitativamente, diverso. comunque, ritengo che la morte per fame o la sottonutrizione cronica di centinaia di milioni di persone sia un' obbligazione morale per tutti i cittadini e per tutti i responsabili politici. a questo proposito, vorrei ricordare una pubblicazione del centro dell' informazione economica e sociale delle Nazioni Unite , che ha il seguente titolo: aiuto allo sviluppo : un' obbligazione morale. ora, credo che ci si debba riconoscere tutti nell' analisi che Jean Marie Domenach fa, in cui sostiene che, come il diritto allo sviluppo è diventato un diritto assodato in termini internazionali, diventa fuorilegge chi non contribuisce con tutti i mezzi, magari a sua disposizione, a far rispettare un diritto fondamentale , quale il diritto allo sviluppo, ad una vita degna di essere vissuta. infatti, se non c' è il diritto di vivere, è inutile parlare di altri diritti, nel senso che sono tutti importanti, ma questo è sicuramente quello fondamentale. questo libretto ha una prefazione, da un certo punto di vista , estremamente importante di Sédar Senghor , personaggio sicuramente del terzo mondo , capo di Stato oggi, che in poche righe dice esattamente qual è stata e qual è la disillusione dei paesi del terzo mondo , o almeno di quelli più illuminati, rispetto alla politica che hanno visto seguire in questi ultimi anni. dice Senghor: « gli uomini della mia generazione hanno conosciuto, a partire dal regime coloniale, moltissime illusioni provenienti dall' uomo europeo » . (di questo uomo europeo sicuramente fanno parte gli americani del nord). « da studenti abbiamo cominciato a perdere la fede, perché i cristiani erano allora i più fermi sostenitori della colonizzazione. poi, da socialisti, abbiamo dovuto constatare che l' aiuto dei paesi socialisti non corrispondeva alle nostre speranze, ed è così che nei parlamenti dell' Europa occidentale i gruppi di sinistra sono sovente in questa materia i meno generosi, ed è significativo, per esempio, che sia il caso di questa Francia, che è ancora, tra i paesi che ci assistono, quello che ancora dà la più alta percentuale del suo prodotto nazionale » . avverte ancora Senghor: « siamo arrivati oggi all' ultima ora prima della rottura, siamo arrivati ora all' ultimo momento prima dell' avventura. credenti e socialisti, per la maggior parte, noi, i responsabili del terzo mondo , abbiamo bisogno, in quest' ora di dubbio e di dure prove, di credere negli uomini che dicono di condividere la nostra fede e la nostra ideologia, o per lo meno la nostra speranza nell' uomo. abbiamo bisogno di constatare che i loro atti sono conformi alle loro parole » . bene, devo dire che non potranno constatare sicuramente che i nostri atti, cioè, per quanto ci riguarda, gli atti del governo italiano (non solo, ma anche di tutti gli altri governi, ad esclusione di pochi), sono conformi ai fiumi di parole che sono state pronunziate, scritte, votate e sottoscritte per lo meno negli ultimi vent' anni , o negli ultimi dieci. è un dovere morale, questo, perché quando si sa — tutti lo sappiamo, è un alibi che dobbiamo assolutamente toglierci e tagliere agli avversari — che il mondo possiede oggi la capacità tecnologica e la possibilità finanziaria per risolvere questo problema, e quando si sa che l' unica cosa che manca è esclusivamente la volontà politica (non perché non esista volontà politica, ma perché ne esiste una altra che continua ad andare avanti, la volontà politica del neocolonialismo, forma nuova, ma neppure tanto, rispetto al colonialismo degli anni scorsi), siamo tutti coscienti che quella che prevale è la volontà politica dello sfruttamento, della depauperazione scientifica dei paesi del terzo mondo , del condizionamento politico, culturale ed economico. spesso mi sento chiedere: « ma come vi è venuto in mente di occuparvi del terzo mondo ? come può venire in mente a qualcuno di occuparsi del terzo mondo quando ci sono tanti problemi qui » . è il solito ritornello: ci sono i disoccupati a Napoli, ci sono le condizioni tragiche, dal punto di vista sanitario, dei bambini in Sicilia, eccetera, eccetera. certo, lo sappiamo benissimo. quello, però, che noi riteniamo è che sono le stesse forze politiche , gli stessi meccanismi politici che condannano alla miseria sacche sempre più estese del nostro paese. sono le stesse forze politiche , gli stessi meccanismi politici che condannano la metà, o una parte del nostro mondo, a vivere in condizioni disumane di estrema povertà. per chi è cattolico, evidentemente, io credo che una lettura — non dico molto attenta, o particolarmente approfondita — , anche solo superficiale (per chi crede, o meglio per chi è cattolico e credente come il presidente del Consiglio del nostro Governo, che è poi quello dell' altra volta, e quindi per i presidenti del Consiglio dei governi che abbiamo sempre avuto in questi ultimi trent' anni , perché, non c' è verso, sono sempre loro), ebbene, io credo che queste parole dovrebbero fare più effetto di quanto non abbiano fatto a me, che riconosco nel Papa un capo di Stato estero, e certo non il capo di una comunità spirituale cui non mi sento di appartenere. quando in questa enciclica il Papa ricorda il dovere della solidarietà, il dovere della giustizia sociale , il dovere della carità universale, dicendo chiaramente che nel mondo di oggi la carità è universale perché non è più circoscrivibile; quando giustamente intitola tutta una parte della sua enciclica « lotta contro la fame, oggi e domani » , credo che ciò debba essere riconosciuto almeno come linea direttrice dei credenti, dei cattolici, della Democrazia Cristiana . e non è sicuramente l' unico invito. possiamo ricordare la Gaudium et spes ; come tutto quello che ho letto in questi ultimi anni, pur non essendo certamente una cultrice di encicliche. la Populorum progressio dice chiaramente: « il dovere di solidarietà che vige per le persone vale anche per i popoli. le nazioni sviluppate hanno il gravissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo » . detto questo, rilevo che probabilmente ci crediamo più noi di quanto non ci credano i colleghi che pure professano qui dichiaratamente una fede, che la difendono, che difendono il Concordato e che quindi riconoscono questa funzione, non solo politica, della Città del Vaticano , e del Papa in particolare. solo scorrendo i documenti, quindi, troviamo indicazioni ad agire; eppure, mi sembra che rispetto a questo tema la sordità sia totale. rispetto all' indicazione della lotta contro la fame e contro la morte per fame, come obbligo morale di tutti i paesi, di tutti i cittadini e di tutti i governanti, come obbligo morale che ci coinvolge tutti, cattolici e no, ho sentito qui — senza parlare poi della stampa — atteggiamenti in qualche modo semplicemente strafottenti. credo che il massimo dell' imbecillità e della superficialità lo abbia raggiunto il collega Rocco Emanuele (non collega come deputato, ma come giornalista, che probabilmente molto bene conoscete), che è quello degli exploits televisivi, normalmente nel Tg2 della sera, il quale, non contento di avere a disposizione il Tg2 della sera, usa anche un' altra tribuna straordinaria per informare la gente, che è il giornale Paese Sera . credo che il suo articolo, come alcuni altri che ho letto in questi giorni o nei mesi scorsi, debba meritare la laurea ad honorem non solo della superficialità, ma anche del mancato rispetto di un giornalista verso le posizioni altrui, che può criticare o no, ma certo non può deformare in questo modo. non mi offende in modo particolare, anzi mi va benissimo di essere stata eletta dal collega Rocco missionaria ad honorem di questa battaglia. ciò è per me di estremo orgoglio, rispetto al cinismo o all' indifferenza dei potenti. ma devo anche dire che quando gli sforzi, l' impegno di una forza politica , di 50 mila cittadini che sfilano per Roma in modo pacifico e non violento , in questo momento di violenza e di terrore; quando questo impegno e questa indicazione di lotta, di speranza, di vita e di non violenza trova da parte delle altre forze politiche o da parte degli organi di stampa, più o meno legati alle forze politiche , atteggiamenti di risposta che non sono neanche di confronto e di dialogo, ma semplicemente di disprezzo e di banalizzazione, ebbene mi chiedo chi incentivi almeno psicologicamente il ricorso alla violenza come unica lotta di opposizione. è l' insensibilità che normalmente si usa verso tutte le azioni non violente, che sono sempre così costose, ma che sono così, a mio avviso, importanti proprio in questo periodo, perché costituiscono l' unica indicazione di una strada alternativa al di là delle condanne formali. i partiti condannano il feroce assassinio, deprecano... d' accordo, ma io credo che di fronte ad uno sforzo per proporre alla gente di isolare i terroristi non solo con la delazione o le denunzie, ma soprattutto portando avanti iniziative non violente, di vita e di speranza, le forze politiche dovrebbero riflettere un momento sulla responsabilità di chi cerca di banalizzare questo sforzo e questo impegno. dovrebbero riflettere, ad esempio, sul fatto che, in un periodo in cui si versa sangue per le strade, una manifestazione di 50 mila persone si è svolta per 4 ore senza nessunissimo incidente di alcun tipo, senza servizio d' ordine e con la partecipazione di gente appartenente a tutte le classi sociali e a tutte le generazioni, che insieme portava un messaggio di vita e di speranza. su questo credo — dicevo — si dovrebbe riflettere, perché poi la pura e semplice deprecazione o l' invito alla delazione molto spesso non riescono. parlavo prima di lotta allo sterminio per fame come obbligo morale, come vincolo che unisce tutti gli uomini, tutti i politici indipendentemente dai partiti e dalle ideologie. se questo dato morale — morale riportata in politica ed in questo dibattito — non convince a sufficienza, per combattere questa battaglia e cercare di risolvere questo problema esistono ragioni « politiche » nel senso che più piace normalmente al linguaggio comune. in altre parole, credo che l' impegno e la lotta contro questa situazione servano anche egoisticamente a tutti quanti, come unica lotta oggi possibile per la pace e la sicurezza. dicevo all' inizio del mio intervento che al panorama internazionale di disordine e di focolai di tensioni, enormi in questo periodo, dobbiamo aggiungere anche quello, a mio avviso, ben più minaccioso, anche se più latente, costituito dalle centinaia di milioni di persone in estrema povertà, che certo non si rassegneranno a vivere in queste condizioni e ad essere spogliati e sfruttati in eterno, quando una parte del mondo si appropria di tutti i beni e di tutte le ricchezze. di fronte alla ribellione dei poveri e dei disperati non valgono le armi. abbiamo i tremendi eventi dell' Iran, dove una nazione, per trovare una sua identità, ha fatto ricorso al fanatismo religioso; e sappiamo che ogni fanatismo religioso, di qualunque religione esso sia, è sempre un meccanismo estremamente pericoloso, perché non più gestibile. ebbene, una intera nazione si rivolta e c' è chi, saggio o no, ayatollah o meno, usa uno strumento di identità, che è quello del fanatismo religioso, di un fanatismo che non conosce più, perché li ha ormai superati, perché li ha calpestati, nessun vincolo di diritto internazionale né di convivenza civile; con questo episodio, che dura ormai da mesi, degli ostaggi, e di fronte ad un paese così povero, sostanzialmente, rispetto al quale la più grande forza militare dei nostri tempi, e cioè gli USA, sono in ginocchio da mesi e mesi ormai. e ci ritroviamo oggi con Carter che ripropone il boicottaggio, chiedendo la solidarietà evidentemente ai paesi NATO, cioè ci ritroviamo ad una cosa già vista, già vista anche recentemente nel boicottaggio alla Unione Sovietica per l' invasione dell' Afghanistan. ebbene, rispetto a questi fenomeni non c' è arma, nucleare o no, che tenga evidentemente. certo, gli scenari nell' impossibilità di gestire questa situazione, possono oggi essere ancora costituiti per qualcuno dal ricorso agli armamenti o alle armi nucleari , ma noi sappiamo benissimo che con tutte le nostre forze dobbiamo assolutamente cercare di evitare il ricorso all' arma nucleare, perché questo potrebbe essere un conflitto di dimensioni mondiali che ci trascinerà tutti quanti. ma io credo che se noi continueremo a ragionare in termini di vecchi schemi, di divisione del mondo nei due blocchi , est ovest , con relativa spartizione dei paesi del terzo mondo (questo a me, perché ha il petrolio, questo a te perché ha anche lui il petrolio, e via di questo passo) e se noi non ci renderemo conto che proprio questa vecchia politica di spartizione del mondo in due blocchi ha causato in realtà non la pace (semmai solo in Europa, potremmo dire, negli ultimi trent' anni ), ma è stata in realtà il focolaio di centotrenta guerre nei paesi del terzo mondo , per ragioni che sono di approvvigionamento di materie prime e di territori; se noi non ci rendiamo conto che lo scenario non è più quello, ma porta ormai in sé fenomeni diversi e non più militarmente controllabili, come, per esempio, la disperazione di centinaia di migliaia di paesi, di popoli, di gente in estrema povertà e che prima o poi si ribellerà e non accetterà più di vivere in queste condizioni, essendo, tra l' altro, di diversa religione (che non crede molto al paradiso, tanto per intenderci); ebbene, credo che se noi non terremo conto di questi nuovi dati, se lasceremo incancrenire la situazione più di quanto già essa non sia cancrenosa oggi, io credo che non solo non ci salveremo, ma non ci sarà futuro possibile in termini di pace, di distensione, di equilibri; e, quindi, non ci sarà evidentemente sviluppo possibile in un clima di pre-guerra. diceva giustamente sempre il documento della Populorum progressio , cui facevo riferimento prima, che « il nuovo nome della pace oggi è lo sviluppo » ; e giustamente faceva notare come questo « essere affrancati dalla miseria e trovare con più sicurezza la propria sussistenza, la salute, una occupazione stabile o per lo meno il diritto di vivere, sarà una molla fondamentale che potrà scatenare la tensione, la disperazione di milioni di persone » , di milioni di persone che già oggi, badate bene, si stanno organizzando. non è più l' epoca in cui i paesi occidentali potevano gestire, grazie a condizionamenti di vario genere e in assoluta impunità, in assoluta tranquillità, i paesi del terzo mondo . oggi siamo già ad un' epoca in cui proprio i paesi più poveri, più diseredati, ma che hanno capito, per esempio, di possedere la maggior parte delle materie prime , da cui i paesi occidentalizzati dipendono in misura enorme, ebbene, proprio questi paesi hanno cominciato ad organizzarsi. citerò qui il « gruppo dei 77 » , che è la prima forma embrionale di organizzazione dei paesi del terzo mondo , che continua ad avanzare richieste o proposte per lo sviluppo dei loro paesi in tutte le sedi internazionali cui ha accesso; richieste e proposte che normalmente non vengono accettate. è evidente, infatti, che lo sviluppo dei paesi del sud può nell' immediato mettere in crisi la linea di tendenza dei paesi occidentalizzati. ma quante volte si è detto qui che, se non si avvierà il processo di sviluppo del sud, ma continuerà ad esistere questa tensione, non sarà possibile un benessere per tutti? ebbene, siamo in presenza della stessa situazione, semplicemente allargata dalla frontiera nazionale ad un' ottica internazionale e mondiale nel suo insieme. se non si risolve il problema del sottosviluppo nel sud, anche il nord dovrà per forza entrare in crisi, e non solo nella crisi dell' industrializzazione, di cui abbiamo già sentito parlare, ma nella crisi dei commerci, delle materie prime e degli scambi, a prescindere dal dato — se volete — di moralità politica che è insito in questo problema. è evidente, infatti, che oggi si muore di fame non perché ci sia mancanza di cibo: il cibo c' è, anche troppo, tant' è vero che viene stoccato nei paesi occidentalizzati. oggi si muore di fame perché i paesi del terzo mondo sono troppo poveri per comprarsi il cibo, che pure è prodotto. ebbene, questo è uno sconcio, che non accade perché è una maledizione biblica , perché questi paesi sono particolarmente diseredati, che non è causato da un destino malvagio o avverso. avviene perché una precisa scelta politica, fatta dall' epoca delle colonie in poi, ha prodotto questi risultati. si dice spesso che si stanno facendo tentativi per questo sviluppo. è vero, ma basta una situazione di emergenza, come una siccità, un ciclone o qualcosa di simile, per provocare conseguenze disastrose: e condannare a morte centinaia di migliaia di persone, proprio perché manca una qualsiasi capacità e possibilità di intervento. infatti, se noi dovessimo ragionarne in puri termini climatologici, dovremmo anche dire, per esempio, che se l' Arizona è un paese dove si verifica la siccità per nove mesi all' anno, pure non vi muore nessuno, perché la struttura delle comunicazioni dello Stato è stata realizzata in previsione di queste condizioni e per farvi fronte. esistono vari miti secondo cui si muore di fame. si dice, per esempio, che si muore di fame in India o nel Bangladesh perché gli abitanti sono troppi rispetto alla terra da coltivare. badate, anche questo non è vero! in Olanda, per esempio, vi è una proporzione fra abitanti e territorio che è la più alta in assoluto nel mondo; eppure in Olanda non mi risulta che, di fame muoia qualcuno. poi mi si dice — ed è il mito che piace di più, e piace perfino ai cattolici che in questi paesi occorre una pianificazione delle nascite. mentre da noi non si parla di pianificazione delle nascite o di educazione demografica, per carità!, quando si parla dei paesi del terzo mondo , forse perché sono un po' gialli o un po' neri, o forse perché secondo qualcuno disturbano il paesaggio, anche le organizzazioni o i partiti di fede cattolica vengono a proporre il problema di una educazione demografica. ne sono felice, ma forse il problema sarebbe di riflettere sul perché — e noi lo sappiamo perché dalle statistiche risulta molto chiaro — più aumenta (il reddito di una famiglia più diminuisce il numero dei figli: perché più aumenta il reddito, più aumentano le esigenze. una statistica ufficiale per l' Italia sottolinea le differenze tra il nord ed il sud, non solo geografiche, ma soprattutto proporzionali al reddito: quanto più questo aumenta, tanto più diminuisce il numero delle nascite, ecco la realtà! non si è poveri perché si hanno troppi figli: si hanno molti figli proprio perché si è poveri! è ciò che costituisce la nostra realtà. vi sono poi incidenze anche di ordine religioso, ma tutti i miti che normalmente frapponiamo per giustificare l' assenza reale, da parte nostra, di qualunque vero aiuto che non sia un' elemosina pelosa per i paesi in via di sviluppo , sono miti che ad un attento, esame crollano, a cominciare da quello secondo il quale i paesi considerati non sarebbero in grado di sfamarsi perché incapaci di coltivare o di coltivare abbastanza. risulta dai dati ufficiali della Fao, del Consiglio mondiale per l' alimentazione, della Banca mondiale , eccetera, che fino alla seconda guerra mondiale , fino agli anni 40, la maggior parte dei paesi del terzo mondo era esportatrice di alimenti: oggi, dopo un trentennio, nonostante (forse proprio per questo!) due decenni di strategia per lo sviluppo, la maggior parte dei paesi del terzo mondo , in forma variabile (con punte al 70 per cento ), dipende dall' importazione alimentare! sconfiggere questa situazione ormai insostenibile costituisce un dato di previdenza politica per costruire, mantenere o cercare di raggiungere la pace e la sicurezza in un sistema tanto sconvolto. cito un altro passo di quell' enciclica che mi ha particolarmente sconvolta: « ci volgiamo verso tutti gli uomini di buona volontà , che sono consapevoli che il cammino della pace passa attraverso lo sviluppo. le diseguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra i popoli, provocano tensioni, discordie e mettono in pericolo la pace... combattere la miseria e lottare contro l' ingiustizia è promuovere, col miglioramento delle condizioni di vita , il progresso umano e spirituale di tutti: in altri termini, il bene comune dell' umanità. la pace non è assenza di guerra, frutto di equilibrio sempre precario delle forze; essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine » . evidentemente, l' ora dell' azione è quella di oggi: credo che abbiamo tardato già troppo ad iniziare questa battaglia! tutti gli uomini e popoli devono assumersi la responsabilità che loro compete. dire che l' Italia è piccola e povera, e domandarsi cosa mai possiamo fare, rappresenta un alibi insufficiente, un alibi ormai consueto. quando proponiamo il disarmo unilaterale si risponde: « sì, ma bisogna che si disarmino anche gli USA e l' Unione Sovietica ! » . è un alibi per continuare la corsa all' armamento, e si risponde che dovrebbero cominciare prima le grandi potenze. può darsi, ma è altrettanto vero che nel nostro piccolo, o nel nostro grande, anche il governo italiano ha precise responsabilità. intanto, esso dovrebbe cominciare a rispettare gli impegni internazionali assunti, anche per avere più forza, per pretendere da altre nazioni e magari dalle più grandi di rispettare tutti gli impegni che sono stati presi. eppure molto spesso questo dato di responsabilità e di corresponsabilità non viene neanche condiviso, come se non c' entrassimo per niente; credo invece che il nostro paese, proprio in questo momento in cui il problema energetico, quello della sicurezza e della pace sono così messi in discussione, possa condividere l' impostazione che è stata fatta dalla commissione Brandt che ha pubblicato un libro dal titolo: North-south — A program for survival , libro che forse in un modo stupefacente — ma poi non troppo — ripete le stesse parole riportate nel capitolo « lotta contro la fame e sicurezza nazionale » , della commissione Carter. infatti dice: « proprio in questo momento di così gravi difficoltà dal punto di vista dell' approvvigionamento energetico e di mantenimento della pace tramite le armi, l' unica iniziativa e dato possibile per cominciare ad assicurare la pace duratura è quella di risolvere il problema del sottosviluppo » . la commissione Carter ritiene che: « compiti quali la promozione dello sviluppo economico in genere, l' eliminazione della fame in particolare, siano molto più cruciali per la sicurezza di quanto vengano normalmente considerati dalla maggior parte degli uomini politici . la maggior parte degli americani, a partire dall' avvento delle armi nucleari , è stata portata a ritenere che la sicurezza nazionale, il mantenimento della sicurezza, si basa sulla potenza delle forze militari strategiche. la commissione ritiene che questa sia null' altro che una illusione semplicistica. la forza armata rappresenta solamente l' aspetto fisico della sicurezza nazionale e si dimostra assolutamente inutile in mancanza di quella sicurezza mondiale che può essere raggiunta solo attraverso uno sforzo internazionale coordinato di progresso verso la giustizia sociale . il principale obiettivo della politica estera è sempre stato il progresso nella stabilità; in un momento in cui i rapporti fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo si vanno sempre più deteriorando e le sfide all' attuale sistema politico , economico, energetico ed ambientale vanno facendosi sempre più minacciose, la Commissione è profondamente convinta del fatto che un grande sforzo globale per vincere la fame e la povertà non sarebbe un atto di carità da concedere o rifiutare in base a temporanee considerazioni di opportunismo politico, ma l' unica soluzione radicale al problema della sicurezza nazionale e mondiale. il desiderio frustrato della povera gente di vivere in modo decente è, nel momento attuale, la forza potenzialmente più esplosiva che esista. le reali e persistenti minacce all' ordine internazionale sono rappresentate dalla rabbia, dalla disperazione e spesso dall' odio che ne risulta. le nazioni in via di sviluppo, attualmente coinvolte attivamente nella scena internazionale, sono risolutamente determinate ad entrare nel mondo moderno e ad assicurare per sé i benefici che ne derivano; ma assieme alla crescita delle aspirazioni e delle attese del mondo in via di sviluppo, la povertà rimane un dato prevalente e cospicuo e la fame un sintomo inequivocabile. di conseguenza la fame è stata internazionalizzata e trasformata in un problema politico mondiale ricorrente, non più solamente un imperativo morale, ma un fattore dirompente e causa di discordia all' interno delle relazioni internazionali. il sospetto e la reciproca ostilità tra nord e sud hanno costituito evidenti fattori corrosivi e controproducenti nel corso delle conferenze e dei negoziati internazionali svoltesi nel corso degli anni 70 e volti alla ricerca di una soluzione dei problemi mondiali » . e continua: « non si possono valutare o misurare in modo preciso, matematico né i costi per la sicurezza nazionale, che permettono alla denutrizione di diffondersi ulteriormente, né i profitti ricavabili da uno sforzo genuino per risolvere il problema. ma soprattutto non si può in alcun modo valutare economicamente la necessità di evitare il disastro che avverrebbe qualora gli USA e il resto del mondo non si organizzassero all' interno di un quadro istituzionale comune, per far fronte agli altri gravissimi problemi di ordine mondiale, quale ad esempio la crescente mancanza di combustibili fossili e di altre risorse non rinnovabili, i rischi ambientali, l' inquinamento dei mari ed il terrorismo internazionale. che sia calcolabile o meno, tuttavia l' insieme di questi problemi minaccia la sicurezza internazionale, tanto quanto un esercito in avanzata o gli arsenali militari. la commissione teme che dare uno stimolo ad una campagna efficace e cooperativa contro la fame nel mondo potrebbe aiutare il mondo intero a superare l' impasse delle relazioni nord sud . per quanto il futuro possa essere prevedibile, è alquanto improbabile che gli USA rispetto ad altri paesi soffrano direttamente le conseguenze di una crisi alimentare mondiale. nonostante ciò, e forse proprio per questo motivo, uno sforzo sostenuto per eliminare il problema della fame permetterebbe al popolo americano di dimostrare la propria solidarietà » , eccetera eccetera. ebbene, io credo che almeno questa testimonianza e questa analisi, che accomuna — dicevo — quasi nelle stesse parole la commissione del governo degli USA e la commissione Brandt, ci dovrebbero far riflettere almeno sul dato, che oggettivamente è utile per il mondo intero, della necessità di contribuire alla soluzione di questo problema per evitare che la minaccia latente alla pace e alla sicurezza mondiale covi ancora un po' sotto le ceneri prima di esplodere, e di esplodere brutalmente. d' altra parte, se anche non si condividessero queste analisi e questi obblighi che ho illustrato, credo che — certo non per volontà nostra, all' epoca — da più di dieci anni esista un obbligo giuridico per la lotta contro la fame nel mondo , con impegni e risoluzioni che il governo italiano ha preso e formulato a partire dalla risoluzione numero 2626 del 1970, che noi non chiediamo altro che sia applicata. dopo dieci anni di inadempimento, in cui il governo italiano e lo Stato italiano sono stati assolutamente inadempienti rispetto ad una risoluzione che pure è stata votata dall' Italia — ed in piena autonomia, evidentemente — l' unica cosa che viene fatta è di non attuare quella risoluzione, mentre attuarla costituisce un preciso dovere giuridico, se il diritto internazionale ha un senso, se le risoluzioni delle Nazioni Unite hanno un senso (non soltanto la risoluzione che citavo prima, dedicata in particolare allo 0,7 per cento del prodotto nazionale lordo ), se hanno un senso tutte le riunioni, le decisioni e le risoluzioni internazionali che sono state prese in questi ultimi anni. non passa mese che non ci sia una riunione che si concluda con una risoluzione, che dovrebbe impegnare almeno quelli che votano a favore a fare determinate cose. a puro titolo di esempio, tra le cose che non sono state fatte e che ormai non si faranno più, se non si cambia radicalmente tipo di politica, posso elencare una serie di obiettivi che sono stati fissati negli anni passati per gli anni 80, per gli anni 90 e che non sono stati mai raggiunti. per esempio per il 1980 la strategia internazionale dello sviluppo, per la seconda decade dell' anno, aveva stabilito come obiettivi: primo quello di fissare il tasso annuale di crescita del prodotto nazionale lordo dei paesi meno sviluppati al 6 per cento ; secondo di elevare il tasso annuale medio di crescita del prodotto lordo procapite al 3,9 per cento ; terzo portare il tasso medio di crescita della produzione manifatturiera all' 8 per cento , quarto limitare le importazioni a poco meno del 7 per cento annuo; quinto ed ultimo aumentare le esportazioni del 7,5 per cento annuo. è inutile che vi dica che nessuno di questi obiettivi, dichiarati nel 1970 per il 1980, è stato raggiunto così come non è stato raggiunto l' obiettivo di ridurre il gap economico tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, come era stato stabilito nelle risoluzioni numero 3201 e numero 3202 dell' Assemblea generale del 1° maggio 1974 intitolata: Dichiarazione per lo stabilimento di un nuovo ordine economico internazionale , un programma di azione. ritengo che quello che è stato votato sia stato un programma non di azione, bensì di inerzia assoluta, perché dei cinque obiettivi, prefissati per il 1980, neanche uno è stato raggiunto. per il 1984 l' obiettivo è quello di eliminare totalmente l' analfabetismo, come stabilito dalla conferenza mondiale dell' alimentazione; in quella stessa sede si era anche stabilito, sempre per il 1984, la eliminazione della fame e della malnutrizione. non solo non si raggiungerà questo obiettivo ma il dramma è che dal 1974 ad oggi il numero di coloro che muoiono per fame è spaventosamente aumentato. stando ai dati della Banca mondiale , per il 2000 si prevede che 800 milioni di persone moriranno per mancanza di cibo. inoltre per gli anni tra il 1980 e 1895 si erano stabiliti i seguenti obiettivi: portare la durata media della vita a 50 anni — e questo era stato stabilito dalla conferenza mondiale sulla popolazione a Bucarest nel 1974 — ; ridurre il tasso di mortalità infantile a meno di 120 bambini su 1000; elevare il tasso minimo di crescita media della produzione agricola dei paesi in via di sviluppo al 4 per cento annuale — conferenza mondiale dell' alimentazione — ; raggiungere il 4 per cento di aumento annuo della produzione alimentare nei paesi a priorità alimentare — questo era stato stabilito nel rapporto del Consiglio mondiale dell' alimentazione nel 1977 — ; promozione della ricerca sui problemi demografici — si era stabilito un coordinamento tra le tendenze demografiche e quelle dello sviluppo economico e sociale — ; eliminazione della farne e della malnutrizione; raccolta ottimale della produzione alimentare entro una data definita; espansione, liberalizzazione e stabilizzazione del commercio dei prodotti alimentari ; riduzione delle perdite di derrate alimentari post-raccolto almeno del 50 per cento entro il 1985; adeguata conservazione delle risorse naturali. ovviamente non si è raggiunto né si raggiungerà alcuno di questi obiettivi, essendo noi già nel 1980. per non parlare, poi, degli obiettivi che i vari Stati, i vari governi, si erano dati per il 1990 e per il 2000... basta elencarli per capire che siamo nel regno della pura fantasia e della pura utopia. se confrontiamo gli impegni assunti in sede internazionale con gli stanziamenti che sono stati disposti (e lo possiamo fare anche per questa legge finanziaria , al capitolo relativo alla cooperazione ed allo sviluppo), vediamo che non ci sono le premesse economico-finanziarie per raggiungere quegli obiettivi. la risoluzione che più conta per noi, che più fa testo e di cui chiediamo l' attuazione immediata entro quest' anno, è la risoluzione numero 2626 adottata, all' interno della strategia internazionale dello sviluppo per gli anni 1970 e 1980, dall' Assemblea generale delle Nazioni Unite il 24 ottobre 1970. tale documento rappresenta qualcosa di innovativo rispetto all' attività tradizionale degli organismi internazionali, perché per la prima volta, ed in modo ampio ed approfondito, gli stati membri della comunità internazionale si impegnavano collettivamente a risolvere il problema del sottosviluppo con una serie di misure concrete e concertate. la più importante tra queste misure è quella prevista nei punti 42 e 43 della risoluzione, che dicono esattamente: « ogni paese economicamente sviluppato dovrà sforzarsi, a partire dal 1972, di operare ogni anno a beneficio del paese in via di sviluppo dei trasferimenti di risorse, per un minimo dell' 1 per cento netto del suo prodotto nazionale lordo ai prezzi di mercato, sotto forma di aiuto ufficiale allo sviluppo, tenuto conto della situazione speciale dei paesi che sono importatori netti di capitale. i paesi sviluppati che hanno già raggiunto questo livello si sforzeranno di mantenere il livello dei loro trasferimenti netti di risorse e studieranno la possibilità di elevarlo. i paesi sviluppati che non potranno raggiungere questo obiettivo a partire dal 1972, si sforzeranno di raggiungerlo comunque al più tardi nel 1975. vista l' importanza particolare del ruolo che solamente l' aiuto ufficiale allo sviluppo può giocare, una porzione maggiore del trasferimento delle risorse finanziarie ai paesi in via di sviluppo dovrà effettuarsi sotto forma di trasferimenti di risorse e di fondi pubblici. ogni paese economicamente avanzato accrescerà progressivamente il suo aiuto ufficiale ai paesi in via di sviluppo e si sforzerà, particolarmente, di raggiungere alla metà del decennio » — cioè nel 1975 — « un montante minimo del valore dello 0,70 del suo prodotto nazionale lordo ai prezzi di mercato » . ciò che appare significativo nell' insieme di questo documento è che, benché si tratti di un documento internazionale, normalmente considerato privo di valore giuridicamente vincolante per gli stati membri , per ben tre volte vi ricorrono le seguenti frasi: « agli inizi degli anni 70 i governi si impegnano... i governi proclamano gli anni 70 come il secondo decennio delle Nazioni Unite per lo sviluppo e si impegnano individualmente e collettivamente a perseguire delle politiche proprie e a creare nel mondo un ordine economico e sociale più giusto e più razionale. essi sottoscrivono gli obiettivi del decennio e decidono di prendere le misure volute per iscriverle e tradurle poi in fatti » . ed ancora: « i governi proclamano solennemente la loro volontà di adottare e di applicare le misure che sono state fin qui enunciate » . ora, si dice che i governi si impegnano, che si sforzano, ma sono stati in realtà pochissimi i governi che hanno dato un seguito a tale risoluzione. ricordiamo che lo 0,70 per cento è stato raggiunto soltanto dai Paesi Bassi e, in alcuni anni, dalla Danimarca e dalla Svezia, mentre per quanto riguarda la Cee in generale, ed il governo italiano in particolare, le cose stanno diversamente. a fronte della media dei paesi cosiddetti DAC, che ha raggiunto lo 0,30-0,35 per cento , il governo italiano è andato sempre diminuendo l' aiuto ufficiale allo sviluppo, sino ad arrivare alla percentuale irrisoria dello 0,06 per cento dello scorso anno , percentuale che tradotta in lire ritengo sia pari a circa 200 miliardi. dunque, a nove anni dalla risoluzione che ho citato i soli paesi della comunità europea risultano debitori verso il terzo mondo di 31 miliardi di dollari , che non sono stati destinati all' aiuto allo sviluppo . in particolare, per esempio, l' Italia in questo decennio ha destinato solamente 1.418 milioni di dollari , invece di 9.888; addirittura, come ho detto, nel 1978 si è ridotta ad erogare unicamente 160 milioni di dollari . anche questa sola considerazione di tipo giuridico dovrebbe bastare perché si sentisse che quanto noi chiediamo è semplicemente il rispetto di un impegno internazionale, non voluto certo da noi, ma assunto dal Governo allora in carica . vi è peraltro ancora un patto internazionale, forse meno conosciuto di quello cui mi sono appena riferita, ma che pure l' Italia ha ratificato, il 15 settembre 1978. mi riferisco al patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, che è di importanza — a nostro avviso — fondamentale. ed ancora, i patti che riguardano i diritti civili e politici dell' uomo, del 16 dicembre 1966, sono entrati in vigore perché hanno raggiunto il numero minimo di ratifiche richieste. l' Italia, in particolare, li ha firmati il 18 gennaio 1967, ratificandoli, insieme al primo, il 15 settembre 1978. di questi due patti quello che a noi interessa di più è il patto relativo ai diritti economici, sociali e culturali; in particolare, ci interessa l' articolo 11 che stabilisce il diritto di ogni individuo alla libertà dalla fame. l' articolo in questione dice testualmente: « gli Stati parti del presente patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la loro famiglia, che includa una alimentazione, un vestiario e un alloggio adeguato... gli Stati parti del presente patto prenderanno misure idonee ad assicurare l' attuazione di questo diritto e riconoscono, a tal fine, l' importanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul libero consenso. gli Stati parti del presente patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente ed attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure — e fra queste anche i programmi concreti — che siano necessarie: a) per migliorare i metodi di produzione e di conservazione delle derrate alimentari, mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche; b) la diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione e dello sviluppo; c) la riforma dei regimi agrari, in modo da conseguire l' accrescimento e l' utilizzazione più efficace delle risorse naturali; d) assicurare un' equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali, in relazione ai bisogni, tenendo conto dei problemi tanto dei paesi importatori quanto dei paesi esportatori di derrate alimentari » . questo articolo 11 del patto, che è sicuramente molto complesso ed elaborato, si presta però, a nostro avviso, ad una serie di considerazioni. emerge anzitutto un suo carattere programmatico. il futuro è largamente impiegato, nella sua formulazione, quasi a rinviare ad altre istanze, ad altri momenti o anche ad altri documenti internazionali la salvaguardia del diritto di essere liberati dallo spettro della fame. d' altra parte, il punto b del secondo paragrafo è tale da far sorgere effettivamente delle difficoltà nell' ambito della Comunità Europea . il problema è però quello di chiedere ufficialmente alla Commissione ed al Consiglio della Comunità come intendano comportarsi per non venir meno alle obbligazioni che derivano dal punto b del secondo paragrafo. d' altra parte credo sia possibile, e stiamo infatti studiando questa possibilità, promuovere una azione davanti alla Corte dell' Aja per chiedere un' interpretazione di questo trattato. ciò che comunque è del tutto fuori di discussione è che siamo in presenza di un atto che giuridicamente viene definito pactum de contraendo , ossia di una forma di accordo internazionale che impegna le parti all' apertura di ulteriori negoziati in vista della conclusione di altri accordi. anche se abbastanza raro nel contesto del diritto internazionale , il pactum de contraendo obbedisce però ad una logica precisa. potrebbe infatti accadere che, al momento della conclusione di un accordo internazionale, non sia stato possibile esaminare tutti i dettagli tecnici, pur in presenza di una superiore esigenza politica di firmare ad una certa data il trattato o che la stipulazione del trattato richiederebbe l' esigenza di certe condizioni o dati materiali che mancano al momento della conclusione dell' accordo. ciò evidentemente non può impedire la materializzazione di un accordo di principio tra gli stati membri , che è appunto quello che viene chiamato il pactum de contraendo , mentre la conclusione o registrazione definitiva del trattato è semplicemente ritardata, nell' attesa che si concretino gli strumenti tecnici o le intese necessarie per realizzarlo. questa credo sia l' interpretazione corretta del richiamato articolo 11, il quale — ripeto — dispone: « gli Stati parti al presente patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, attueranno individualmente e attraverso la cooperazione internazionale tutte le misure... » . si può obiettare che questo articolo è formulato in termini vaghi o poco precisi e che comunque fa riferimento ad un periodo futuro. ma questo è appunto, come dicevo, il carattere proprio di un pactum de contraendo . essendo notorio che esso ha una propria particolare formulazione giuridica, la conclusione che bisogna trarre rispetto ai patti del 1966 è che da essi consegue una precisa obbligazione giuridica per le parti contraenti. ciò è importante perché questi patti sono stati da noi ratificati e quindi, se non bastasse l' impegno assunto nell' ambito delle Nazioni Unite , dovremmo almeno far riferimento a tali patti. quali sono dunque, dal punto di vista giuridico, le nostre proposte? debbo dire che, se si condivide la nostra analisi in base alla quale lo sterminio per fame di milioni di esseri umani è sicuramente una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale, se si condivide l' impostazione secondo cui il sottosviluppo e la fame costituiscono un focolaio di tensione, latente ed esplosivo, di attentato alla pace ed alla sicurezza internazionale, riteniamo che come minaccia alla pace questo tema debba essere affrontato e deferito al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite perché quest' ultimo, a norma dell' articolo 24 della Carta delle Nazioni Unite , è il responsabile principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. questo organismo, come si sa, può prendere decisioni o può emanare delle raccomandazioni indirizzate ai membri dell' Organizzazione delle Nazioni Unite , ma può soprattutto, a norma degli articoli 41 e 42, prendere decisioni obbligatorie e vincolanti per tutti gli Stati componenti la comunità internazionale . l' articolo 41, al quale prima ho fatto riferimento, così recita: « il Consiglio di sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l' uso della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni e può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure » ; mentre l' articolo 42 così recita: « se il Consiglio di sicurezza ritiene che le misure previste nell' articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, può intraprendere con forze aeree, navali o terrestri ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale » . il Consiglio di sicurezza , paralizzato nella sua attività dalla tensione est ovest e dal diritto di veto di cui le cinque grandi potenze dispongono, ha emanato delle raccomandazioni soltanto in occasioni sporadiche e concernenti quasi esclusivamente l' Africa australe, in quanto si era consolidato un consenso della comunità internazionale sulla condanna della pratica dell' apartheid. ma, d' altra parte, il nostro approccio non mira tanto a chiedere sanzioni contro i governi responsabili dello sterminio, ma si rivolge di più al Consiglio di sicurezza per azioni miranti a combatterlo con decisioni obbligatorie e vincolanti. inoltre, l' articolo 42 può configurare la possibilità di un intervento di task force , così come già è avvenuto, in casi di urgenza in zone particolarmente colpite dal problema della fame e che quindi rappresentano una minaccia più immediata e più grave alla sicurezza e alla pace internazionale. una delle misure più vincolanti, già decisa da tutti gli Stati, è quella che si riferisce allo stanziamento dello 0,70 per cento del prodotto nazionale lordo come aiuto ufficiale allo sviluppo. ebbene, il nostro approccio giuridico è che il Consiglio di sicurezza , occupandosi di questa questione, potrebbe studiare la possibilità di una decisione vincolante in questo senso per tutti gli stati membri . vorrei ricordare che l' articolo 41 prevede che il Consiglio di sicurezza possa decidere quali misure prendere non implicanti l' uso della forza armata. d' altra parte è ormai acquisizione comune che l' uso delle forze armate non riguarda obbligatoriamente l' assetto di guerra. anzi, è ormai assodato nella prassi che tali forze sono armate solo in chiave strettamente difensiva, e che normalmente i « caschi blu » non dispongono di materiale bellico di una certa consistenza. è anche evidente che la dizione « forze armate » è da intendersi nel significato che essa ha assunto di « insieme di uomini che prestano servizio militare » che comprende, come noi andiamo sostenendo, anche il genio militare o i servizi di sussistenza oppure di trasporto. inoltre stiamo pensando ad un' altra possibilità: al ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell' Aja, per la violazione di un obbligo de contraendo a norma dell' articolo 11 del patto sui diritti economici, sociali e culturali di cui parlavo prima. sappiamo benissimo che è possibile ricorrere alla Corte internazionale di giustizia dell' Aja, però sappiamo anche che solo un Governo vi può ricorrere, e che non sarà sicuramente il nostro, essendo esso il più inadempiente — o almeno uno dei più inadempienti — non solo rispetto all' articolo 11, ma rispetto a tutti gli impegni assunti a livello internazionale. però non credo che da questo punto di vista sia fantascienza pensare che, anche in seguito alla mobilitazione politica che a livello italiano ed anche europeo sta andando avanti, prima o poi qualche paese del terzo mondo (quelli che sono appunto i maggiori destinatari di questa nostra politica di inadempienze), invece di accontentarsi di avanzare le ennesime proposte che per l' ennesima volta sarebbero respinte, deciderà di ricorrere al diritto internazionale per mettere sotto accusa quella che è non solamente una inadempienza, ma una precisa politica di continuazione dello sfruttamento che anche noi stiamo perseguendo. d' altra parte è evidente che se noi accettiamo la constatazione che milioni di persone affamate costituiscono una minaccia per la pace e la sicurezza, sappiamo anche che all' interno delle Nazioni Unite l' unico organo vincolante è il Consiglio di sicurezza . per questo riteniamo che sia l' unico canale da seguire, e ci auguriamo che questa sia la strada che prima o poi il governo italiano — magari riconoscendo le proprie inadempienze — vorrà intraprendere. inoltre, l' idea di avere un' autorità mondiale dell' alimentazione con poteri vincolanti ed obbligatori, e non semplicemente di auspicio e di augurio, non è neanche un' idea nostra, ma è già stata presentata alla conferenza mondiale sull' alimentazione, ed era anche presente nella risoluzione numero 22, in cui si chiedeva la costituzione di un' autorità alimentare mondiale che avesse da questo punto di vista , e su tale specifico terreno, — certo in stretta collaborazione con le Nazioni Unite — dei poteri che fossero non tanto vincolanti quanto di coordinamento. è noto che quando parliamo di sottosviluppo o di sottoalimentazione, molto spesso ci sentiamo ripetere che il problema è quello di un mancato coordinamento delle iniziative. in realtà se noi guardiamo qual è oggi la situazione, per esempio, delle agenzie internazionali che si occupano di questo problema, vediamo che si tratta di agenzie — sempre delle Nazioni Unite — che si riuniscono nei posti più disparati, agenzie tutte settoriali che mancano di coordinamento nel modo più assoluto. queste agenzie sono formate da rappresentanti di tutti i governi, ma come esiste uno scoordinamento settoriale tra il ministero dell'Agricoltura ed il ministero dell'Industria , così i rappresentanti del nostro Governo, che partecipano a questa o a quella conferenza internazionale, anche lì portano avanti interessi settoriali. ed è per questo che la Fao nella sua Assemblea generale dichiara che la priorità delle priorità per tutti i paesi è l' aumento della produzione agricola del 4 per cento ; aumento che, come sappiamo, non è stato mai raggiunto: vi è stato un aumento del 2 per cento che è crollato quest' anno. contemporaneamente, nel giro di 10 giorni, si riunisce l' UNIDO, in cui sono presenti tutti i governi, il quale dichiara che la priorità delle priorità è lo sviluppo industriale dei paesi del terzo mondo . siccome non esiste una autorità che abbia il potere di coordinamento delle iniziative, che abbia il potere di stabilire quali siano le reali priorità, è evidente che ogni agenzia internazionale, che si occupa di un determinato settore, fa una politica completamente staccata dalle altre. questo discorso vale per tutto il settore del commercio e degli scambi internazionali; vale per gli interventi della Banca mondiale ; e vale soprattutto per le priorità degli investimenti che vengono fatti. è evidente che la priorità è una, e non se ne possono avere 36; ma è soprattutto ridicolo dichiarare una serie di priorità, per le quali poi non esistono i fondi. l' idea della costituzione di una autorità mondiale alimentare, che fu bocciata nel 1974 alla conferenza mondiale della alimentazione e che, con una specie di compromesso, si è concretizzata con poteri estremamente ridotti nel Consiglio mondiale dell' alimentazione, si è risolta in una situazione in cui, per quanto riguarda fame e sviluppo, la parte del leone — in termini di potere politico , di potere burocratico, di potere finanziario e quindi di potere di intervento — è della Fao. non sembri così strana la nostra richiesta di ricorso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite , il quale può decidere in una seduta straordinaria, per esempio, la creazione di un organismo che abbia autorità politica in questo campo. credo che una strada dovrà essere trovata per evitare che ogni paese si trovi a votare una risoluzione, sapendo che non avrà mai nessun obbligo di rispettarla. i vari governi ritengono di non avere l' obbligo di rispettare certe decisioni che vengono prese a livello internazionale per lo sviluppo; e d' altra parte continuano imperterriti nella politica di sperpero dei fondi, che pure esistono, per esempio, nella corsa agli armamenti. a volte l' analisi di quello che è la fame sembra una cosa molto generica o molto lontana. vorrei ricordare qui un intervento fatto dal presidente del Consiglio mondiale dell' alimentazione Tanco nella recente hearing a Bruxelles proprio sul problema dello sviluppo. in una parte del suo intervento, intitolato L' aritmetica della fame , Tanco diceva testualmente: « considerate l' aritmetica della fame nel mondo dai fatti seguenti: sono circa 1 miliardo gli esseri umani che soffrono la fame, e circa la metà di essi (455 milioni, secondo le ultime statistiche della Fao) sono sottoalimentati e il loro numero va crescendo. la Banca mondiale ritiene che il doppio di questo numero di persone soffrono di una dieta insufficiente. più della metà di questi sono bambini, i quali in conseguenza della malnutrizione soffrono di danni fisici e mentali e non sono in grado di condurre una vita piena e produttiva. un terzo di tutti i bambini nati vivi, muoiono di malnutrizione e di malattia prima dei cinque anni di età. ogni anno 250 mila bambini diventano ciechi per carenza di vitamina A . 200 milioni di persone sono affette da gozzo endemico causato da carenza iodina. dietro queste statistiche ci sono degli esseri umani , milioni di indifesi che si appellano a noi e alla comunità internazionale per agire ed agire rapidamente. in realtà la situazione mondiale della alimentazione si sta deteriorando. la produzione alimentare procapite è in diminuzione in quasi tutti i paesi in via di sviluppo . considerate ancora una volta i fatti seguenti: la produzione agricola ed alimentare progredisce in tutti i paesi in via di sviluppo molto al di sotto della metà del 4 per cento fissata dalla conferenza mondiale per la alimentazione. nelle 43 nazioni ad alimentazione deficitaria identificate dal Consiglio mondiale per l' alimentazione quali nazioni prioritarie, l' incremento annuo della produzione alimentare è stato solo del 2 per cento , molto al di sotto dell' aumento della loro popolazione. più semplicemente ciò significa che in queste nazioni ci sono meno viveri procapite oggi che non 10 anni addietro. si stenta a credere che prima della seconda guerra mondiale i paesi in via di sviluppo erano esportatori di grano, ma in seguito a crescenti cadute della produzione alimentare questi paesi sono diventati purtroppo sempre più forti importatori di viveri. mentre la popolazione mondiale aumentava velocemente dai due miliardi del 1930 ai tre miliardi nel 1960 e ai quattro miliardi di oggi, il terzo mondo è diventato un netto importatore con dei deficit alimentari costantemente in aumento. cinque milioni di tonnellate nel 1950, 19 milioni di tonnellate nel 1960, giungendo ad un tremendo 80 milioni di tonnellate importate nel 1978. uno studio promosso dal Consiglio mondiale per la alimentazione prevede per il 1990 una cifra impressionante di importazione; dai 125 ai 145 milioni di tonnellate . e in realtà dove procurarsi questo incremento di forniture e come faranno i paesi poveri a pagare queste enormi quantità importate? sono queste questioni che diventano vitali e sempre più preoccupanti » . ebbene, circa 40 paesi che non producono viveri a sufficienza per nutrire la loro popolazione, sono così poveri da non poter pagare i viveri importati; e la struttura delle loro economie è tale da costringerli a importare più viveri ed altre cose. senza un incremento massiccio della produzione alimentare dei paesi a basso reddito, l' onere del deficit alimentare ricadrà per lo più su di essi e su altre popolazioni a basso reddito impedendo così un miglioramento del loro reddito reale ed ogni speranza di progresso economico. si tratta evidentemente di un circolo assolutamente vizioso. d' altra parte, come dicevo, non solo l' obiettivo di aumentare la produzione del 4 per cento non è stato assolutamente raggiunto, ma solamente l' Asia orientale e l' America Latina hanno segnato un incremento; tra le regioni in via di sviluppo la produzione alimentare è caduta più drasticamente nell' Asia meridionale, innanzi tutto per il declino della produzione in India. queste sono le realtà che abbiamo di fronte, se volete, o il capitolo che ho citato « l' aritmetica della fame » o la geografia o la fotografia della fame e a questo proposito esistono studi, dati, eccetera, ma quello che mi interessava anche sottolineare qui è che, nonostante la crescita demografica dei vari paesi, quello che mi interessa è che, mentre non viene raggiunto l' obiettivo di una durata media della vita di cinquanta anni, contemporaneamente a questa situazione, che si va sempre più deteriorando, noi ci troviamo di fronte a questo paradosso che, mentre manca qualunque forma reale di finanziamento per perfezionare strumenti e per assumere atteggiamenti di vita, noi ci troviamo di fronte ad un aumento costante delle spese militari, di investimenti in spese militari mondiali, che rappresentano oggi i due quinti dei prodotti nazionali lordi di tutti i paesi, anche nel terzo mondo . e mi interessa qui fare una nota. noi non sosteniamo affatto che tutti i paesi del terzo mondo o che il solo problema del sottosviluppo nel terzo mondo sia un problema di volontà politica o di mancanza della stessa volontà politica dei paesi occidentalizzati. noi ugualmente possiamo notare e giudicare che anche i paesi del terzo mondo , anzi molti di questi, adottano una politica, le loro borghesie politiche portano avanti una linea che è di sfruttamento e di affamamento delle loro stesse popolazioni. infatti, ad una indagine accurata sono proprio molti paesi del terzo mondo , per esempio, ad avere investimenti così diversi quantitativamente tra le spese militari e, per esempio, quelle per l' agricoltura. noi sappiamo che molte borghesie dei paesi del terzo mondo sono in realtà borghesie in primo luogo affamatrici della loro stessa gente, dei loro stessi paesi, sono borghesie che hanno scelto magari il modello occidentale di sviluppo, sono borghesie che si basano su una potente struttura militare e che quindi fanno sempre più ricorso ad investimenti in termini militari. infatti, se noi guardiamo per esempio ai bilanci dello Stato di parecchi paesi in via di sviluppo , c' è da rimanere stupefatti di quale sia la percentuale che viene investita per la difesa o per gli armamenti e quale sia — insufficiente, inesistente — la percentuale investita da questi stessi paesi nell' agricoltura. se noi prendiamo, per esempio, alcuni paesi che sono considerati paesi poveri (i paesi poveri sono quelli il cui reddito procapite è stimato inferiore ai 265 dollari), ebbene noi vediamo che tra questi paesi, per esempio, la Somalia, che ha un reddito procapite di 110 dollari, nel 1977 ha investito, nella difesa, negli armamenti, il 24,2 per cento del suo bilancio e nell' agricoltura il 6,2 per cento ; lo Zaire, altro paese poverissimo (130 dollari di reddito all' anno), ha investito l' 11,2 per cento nella difesa nazionale e il 3,1 per cento nell' agricoltura. mentre invece, evidentemente, se la priorità fosse dichiarata dalle Nazioni Unite , come priorità effettiva, reale, quella del risolvere il problema della fame, noi riteniamo che almeno queste cifre andrebbero in qualche modo capovolte. ma se noi guardiamo, per esempio, in Asia le cifre sono altrettanto stravolgenti. se noi prendiamo il Bangladesh, per esempio, paese tra i più poveri, con un reddito procapite di 90 dollari, vediamo che questo paese ha investito per la difesa il 17,9 per cento del suo bilancio e per l' agricoltura l' 1,2 per cento . e l' India, paese con un reddito procapite di 140 dollari, ha investito nella difesa il 25 per cento e nell' agricoltura l' 8 per cento del suo bilancio. queste cifre ci dicono che questa corsa agli armamenti, evidentemente, coinvolge ormai i paesi del terzo mondo ; ma anche perché, devo dire, una delle attività in cui ci balocchiamo di più, anche in Italia, che pure è un paese, a detta di tutti, così povero e così piccolo, uno dei giochi in cui ci balocchiamo di più è quello dell' esportazione delle armi. se si producono e si esportano armi, significa che qualcuno le deve comprare. dobbiamo constatare allora che il mercato più favorevole, più appetibile, più « aperto » , più semplice, più accessibile per tutti i mercanti d' armi, nostri, europei o americani, è costituito da molti anni dai paesi del terzo mondo . d' altra parte, neanche noi, che pure siamo così schizzinosi quando si chiede lo 0,70 per cento del prodotto nazionale lordo per l' aiuto ufficiale allo sviluppo, lesiniamo investimenti o spese per quanto riguarda gli stanziamenti militari. ho qui una statistica, fatta dal SIPRI, che analizza soprattutto qual è la situazione degli investimenti in spese militari, dalla quale risulta che, anche in considerazione del fatto che questo è il decennio del disarmo, le cifre per spese militari sono andate aumentando in modo spaventoso, così come sono andate crescendo le percentuali sia del bilancio dello Stato dei vari paesi, sia del prodotto nazionale lordo . credo che da questo punto di vista alcune cifre possono essere significative. l' Italia, per esempio, ha investito nel 1979 124 dollari per persona in armamenti; e questo costituisce l' 8,2 per cento del bilancio dello Stato e il 2,4 per cento del prodotto nazionale lordo . quindi, come vedete, si trova da spendere il 2,4 per cento del prodotto nazionale lordo in armamenti, ma poi lo 0,70 per cento , sempre del prodotto nazionale lordo , per l' aiuto ufficiale allo sviluppo non si riesce a trovare da nessuna parte. possiamo vedere però che anche gli altri paesi della comunità europea non scherzano a questo proposito. la Francia, per esempio, spende in armamenti 349 dollari per persona all' anno, che costituiscono il 17,5 per cento del bilancio dello Stato francese e il 3,3 per cento del prodotto nazionale lordo . per quanto riguarda poi gli USA, vediamo che questo paese spende 520 dollari per persona all' anno in armamenti, cioè il 21,5 per cento del bilancio dello Stato e il 5 per cento del prodotto nazionale lordo . queste cifre sono andate sempre crescendo, ma quello che è più sconvolgente è che abbiamo, « esportata » pari pari nei paesi del terzo mondo questa linea di tendenza dei paesi sviluppati . tant' è vero che , se noi guardiamo ad alcuni dei paesi che sono considerati tra i più poveri e che versano in situazioni di denutrizione e di sterminio reale per fame, noi ci troviamo con dei dati che sono assolutamente sconvolgenti. per esempio, in Etiopia le spese procapite in armamenti sono di 18 dollari all' anno per abitante, il 25 per cento cioè del bilancio dello Stato e il 5,1 per cento del prodotto nazionale lordo . la Nigeria spende 25 dollari per persona all' anno per spese militari, cioè l' 11,8 per cento del bilancio dello Stato e il 7,8 per cento del prodotto nazionale lordo . guardando queste cifre, credo che una delle considerazioni che dobbiamo fare è che, certo, molti dei paesi del terzo mondo stanno orientandosi, nonostante il decennio del disarmo, verso un acquisto sempre maggiore di armi. stiamo attenti: i maggiori produttori di armi sono i paesi occidentalizzati; per tenere in piedi determinate strategie militari e belliche esiste una situazione, una « politica » promozionale per costringere o promuovere appunto la vendita di armi ai paesi del terzo mondo . si dice che la situazione italiana è quella che è, che poco si può fare: rispondiamo subito che la cosiddetta piccola e povera Italia, quanto ad esportazione d' armamenti, fa molte cose senza alcun controllo e il collega Accame recentemente su Il Messaggero ha denunciato che note imprese di armi leggere italiane hanno installato fabbriche in Iraq, paese notoriamente in stato di belligeranza da molti anni; che la Mauritania (la quale combatte il Polisario) ha ricevuto dal nostro paese 2000 missili dalla Snia VISCOSA e 200 mila cartucce, cui vanno aggiunti sommergibili di piccola dimensione per la Colombia ed il Pakistan (a quest' ultimo anche carri armati ); elicotteri sono venduti in Medio Oriente e remunerativi affari in questo campo sono realizzati con paesi come il Venezuela, il Marocco e lo Zaire. ma chi realizza queste esportazioni, secondo quali procedure? siamo il quinto paese esportatore d' armi e il collega Accame, nelle sue reiterate interrogazioni al Governo su tale questione, ha ricevuto risposte di incompetenza: dicono che non c' entrano, ma non credo sia vero. le autorizzazioni all' inizio delle trattative con i paesi interessati non sono di competenza esclusiva del ministro della Difesa ? per il perfezionamento delle vendite esiste un apposito comitato interministeriale cui partecipano i dicasteri degli Esteri, delle Finanze, della Difesa, dell' Industria, dell' Interno e del Commercio estero. le licenze d' esportazione sono a firma congiunta dei ministri del Commercio estero e delle Finanze: sono dunque diversi i dicasteri interessati ma tuttavia poi non si capisce bene chi ne risponde, chi sia la controparte in tutta questa faccenda. di fronte a questa situazione ed agli alibi cui ho accennato, dimostriamo di saper fare molto, in realtà, quanto a vendita e commercio di strumenti di morte: indubbiamente potremmo fare altrettanto, se non di più, rispetto ad una politica per la pace, la sicurezza e la vita di tutti! questo del terzo mondo non è un tema nuovo di interesse: dall' epoca delle grandi scoperte e delle colonie, è sempre stato un momento di grande interesse per le maggiori forze occidentali, economiche e militari. ci si è sempre occupati del terzo mondo , ma in termini di sfruttamento, semplicemente cercando di capire quali interessi e vantaggi si potevano conseguire, quali benefici si potevano ricavare in termini immediati. che ci si sia sempre occupati in questi termini, che esista un dato di ingerenza dei paesi sviluppati in quelli in via di sviluppo, è dimostrato dalla cosiddetta rivoluzione verde che nasce ufficialmente nel Messico nel 1949. è una storia molto salutare perché dimostra come, al di sotto di quelle che possono apparire buone intenzioni, in realtà esiste sempre questa politica di appropriarsi delle materie prime a puro e semplice beneficio dei paesi industrializzati . la rivoluzione verde, per esempio, era stata definita una scoperta tecnica, in quanto si diceva che per potenziare la produzione agricola dei paesi del terzo mondo erano state scoperte varietà ad alta resa che permettono due o tre raccolti all' anno; di qui l' introduzione di nuove produzioni e la sostituzione in particolare del riso e del grano a stelo alto con quello a stelo più basso. in effetti all' inizio queste varietà hanno portato la possibilità reale di due o tre raccolti, ma il problema era un altro, perché questi tipi, di varietà, specialmente nei climi tropicali, nascono e crescono solamente in condizioni ottimali di irrigazione e con quantità enormi di input agricoli (anticrittogamici, pesticidi) che i paesi del terzo mondo non avevano e non hanno. questi input agricoli non piovono dal cielo come, la manna, ma vanno comprati da chi ne conosce le tecnologie, quindi, ancora una volta, dai paesi occidentali. ecco, perciò, che si è richiuso il cerchio in una situazione che ha creato più dipendenza, più sfruttamento del suolo, che non è andata affatto a beneficio delle popolazioni più povere che più ne avevano bisogno. si è invece creata una situazione che ha determinato anche dei condizionamenti sociali e dei risultati estremamente preoccupanti. innanzi tutto perché, ripeto, si deve comprare una quantità enorme, di macchine agricole, di anticrittogamici, di insetticidi o di pesticidi, e certo compra solo chi ha i soldi; quindi non ha mai comprato il piccolo contadino, ma sempre e solo chi poteva avere dei crediti, cioè i grandi latifondisti. come effetto sociale della rivoluzione verde possiamo constatare dalle statistiche che essa, con la conseguente estensione del latifondo, è stata nella realtà l' alternativa sociale alla riforma agraria che pure tutti i paesi, la conferenza mondiale dell' alimentazione, la Fao ed altre organizzazioni internazionali hanno sempre indicato come obiettivo primario per una equa distribuzione del reddito nei paesi del terzo mondo . abbiamo invece introdotto un meccanismo che ha portato con sé le agroindustrie, le multinazionali agroalimentari, l' estensione del latifondo, l' incentivazione della monocoltura e che ha avuto come risultato quello di costringere all' importazione di prodotti alimentari proprio quei paesi che fino a trent' anni fa erano esportatori di alimenti. il meccanismo è infatti infernale: viene dato il seme ad alta redditività, contemporaneamente bisogna acquistare i pesticidi, contemporaneamente la produzione riesce solo in un sistema perfetto di irrigazione, contemporaneamente viene venduto il macchinario agricolo, per cui la meccanizzazione dell' agricoltura ed il latifondo portano all' espulsione dal mercato del lavoro agricolo di milioni e milioni di contadini, che non ce la fanno più a reggere alla concorrenza dei grandi latifondisti « rivoluzionari verdi » , così come vengono chiamati, sovvenzionati dalle fondazioni Rockfeller o Ford o affini, nonché dagli Stati locali, sovvenzionati, a loro volta, evidentemente dalle multinazionali agroalimentari. quindi, l' effetto è stato non solo di chiusura di qualunque possibilità di riforma agraria e, conseguentemente, di una più giusta ed equa distribuzione del reddito, ma anche — cosa più tragica e reale — di espellere dal mercato del lavoro agricolo milioni e milioni di piccoli contadini, che non ce l' hanno fatta a reggere in queste condizioni di concorrenza e che sono andati a creare quelle bidonvilles, quelle megalopoli che oggi sono un fenomeno incredibile del terzo mondo . si prevedono più di 40 di queste megalopoli nel terzo mondo per l' anno 2000. è lo stesso meccanismo che è stato perseguito in termini di agroindustria o in termini di industrializzazione pesante. è evidente che una delle poche ricchezze che hanno i paesi del terzo mondo è costituita dalla mano d'opera , ed è evidente che ogni tecnologia dura richiede degli specialisti. ma le tecnologie dure offrono poi poco impiego di mano d'opera e, avendo scelto nel campo della industrializzazione e nel campo dell' agricoltura non una strada di tecnologia diffusa, di tecnologia appropriata, di decentramento dei poteri, di decentramento del reddito, di distribuzione più equa del reddito, ma la strada degli interessi che i paesi occidentalizzati potevano strappare ai paesi in via di sviluppo , si è esportata la rivoluzione verde, si è esportata la Nestlè, la Cargil, la Purina, la Ralstat, creando dei mercati facili, senza rischi, con l' appoggio dei governi e quindi con tutte le garanzie politiche a queste industrie agroalimentari, che evidentemente hanno reso salo ai paesi occidentalizzati. io credo che questa situazione dimostri come ci siano sempre stati investimenti nei paesi del terzo mondo . ce ne sono stati sempre tantissimi, ma si è sempre trattato di investimenti non per lo sviluppo di questi paesi bensì per la rovina di essi e per i puri e semplici benefici del nostro mondo. e c' è stato un altro sistema con cui, sotto l' aspetto dell' aiuto allo sviluppo , in realtà si è instaurato l' ennesimo meccanismo di dipendenza. è quello contenuto in una legge degli USA, la legge numero 480, detta « alimenti per la pace » . questa legge ha una storia molto particolare. credo che questa storia sia significativa e di semplicissima comprensione, se solo si pensa molto brevemente a quali sono state le motivazioni in base alle quali si è votata questa legge negli USA. in effetti, Hoover fu il primo uomo politico moderno a capire come gli alimenti siano lo strumento più efficace e meno rischioso delle armi militari per conseguire i propri scopi in modo più compiuto che non con la politica delle cannoniere. e proprio per questo è stato il promotore in assoluto, dopo la seconda guerra mondiale , della legge detta « alimenti per la pace » . e dichiarava proprio in apertura del dibattito: « se quel che ci interessava soprattutto era l' opera di soccorso contro la pace. tutti noi ci preoccupavamo delle forze in movimento nel mondo e delle conseguenze che avrebbero potuto avere sul nostro paese, e soprattutto della diffusione per il comunismo » . questa legge, che ha avuto — come dicevo — una strana vicenda, è stata poi convalidata negli USA ed è stata oggetto di una serie di ulteriori dibattiti. ma credo che da tutte le sue parti, compreso il capitolo secondo — relativo ai donativi sia molto chiaro ed esplicito come gli alimenti vengano ormai usati come un' arma più efficace e meno pericolosa dell' intervento militare diretto, perché suscita meno reazioni interne ed estere, ed è più efficace. Hoover aveva compreso che attraverso gli aiuti alimentari, che ingenerano abitudini e costumi, si creava una nuova forma di dipendenza. Hoover diceva testualmente: « noi mandiamo adesso i nostri doni in alimenti e questi stessi paesi diventeranno domani nostri stessi clienti » . oltre alla parte relativa agli aiuti alimentari vi è quella delle donazioni. anche qui possiamo vedere, guardando i paesi maggiormente aiutati, quali sono le priorità politiche e come l' aiuto alimentare si basi soprattutto su scelte politiche e strategiche. i vincitori assoluti nella corsa ai donativi alimentari, dal 1954 al 1973, sono, in ordine decrescente, i seguenti paesi: India, Corea, Marocco, Brasile, Jugoslavia, Vietnam del sud, Tunisia, Spagna, Filippine e Pakistan. i concorrenti che seguono immediatamente questi paesi sono Algeria, Bangladesh e Taiwan. nel biennio 1972-1973 queste priorità rimasero immutate se si eccettuano la Spagna, la Jugoslavia e l' Algeria che non ricevettero alcun aiuto. la Spagna e la Jugoslavia sono ora clienti paganti e l' Algeria è collocata dalla parte sbagliata della barricata politica. Taiwan sembra completamente cancellata ora che gli USA hanno rapporti più cordiali con la Cina e in ogni caso nel 1973 non ha ricevuto alimenti gratuiti. alla fine del 1975 Dan Morgan, il giornalista del Washington Post che si è occupato della truffa della fame nel mondo , scriveva che « i dati relativi a quell' anno indicavano che gli USA hanno continuato ad inviare una considerevole quantità di alimenti gratuiti a paesi come il Vietnam del sud, la Corea del sud , l' Egitto, la Giordania ed il Cile. devo dire — conclude il giornalista — che è davvero affascinante constatare come mutino le priorità con il mutare della politica » . se l' aiuto alimentare è un' arma, quest' ultima viene usata per gli amici e contro i nemici. è indubbio, per esempio, che per quanto riguarda le importazioni dai paesi del terzo mondo , queste ultime sono legate a condizioni politiche ben precise. credo sia questo il significato di un libro scritto da Sophie Besis e che si intitola « L' arma alimentare » , in cui è dimostrato molto chiaramente che in realtà questo problema, per stravolgere la linea tradizionale che fino ad ora è stata seguita, non è solamente di carità cristiana, bensì di previdenza politica perché questa arma, che desta meno dichiarazioni ufficiali e meno commozione generale, è la più efficace, come gli USA da tempo hanno individuato. spesse volte questi aiuti alimentari sono consistiti in esportazione di eccedenze. la comunità economica europea, per esempio, è bravissima, in presenza di problemi di emergenza o di aiuto allo sviluppo , ad esportare le eccedenze di margarina — il solo stoccaggio rappresenta un costo assai elevato — o il latte in polvere della Nestlè. per quanto riguarda questa grande multinazionale volevo fornirvi un dato molto semplice. il bilancio della Nestlè, alla voce pubblicità e promozione nel terzo mondo , relativamente ai prodotti per bambini, è superiore all' intera spesa annuale della Organizzazione mondiale della sanità . questo dato, che mi ha profondamente agghiacciato, è stato da me verificato sulla base di diverse fonti, e si è rivelato esatto. d' altra parte devo dire che, facendo un paragone semplicissimo, vien fuori che — ho qui dei dati del Parlamento europeo , che serviranno per il rapporto che tutti i gruppi stanno preparando per il dibattito di giugno — i versamenti effettuati dalla Cee per aiuti allo sviluppo nel 1978 è pari a 8.768 milioni di dollari , mentre la cifra d' affari della Nestlè è pari a 7.686 milioni di dollari . tale somma, dunque, è quasi uguale a quella che i nove paesi membri della Comunità Europea versano per aiuti ufficiali allo sviluppo. se questa è la situazione a livello europeo, non desterà stupore se diciamo che questa truffa, questa beffa costituita dal raddoppio dell' aiuto ufficiale allo sviluppo da parte dell' Italia costituisce un insulto non solo alla sensibilità dell' opinione pubblica ma anche e soprattutto all' importanza che si è data il governo italiano quando annunziò nel settembre scorso ad Ottawa, nella riunione del Consiglio mondiale per l' alimentazione, che lo 0,06 del prodotto nazionale lordo — probabilmente si trattò della risposta ad una nostra mobilitazione come partito e come gruppo per tutto l' anno scorso — costituiva una percentuale un po' ridicola e che sarebbe arrivato allo 0,12 per cento . ci troviamo oggi di fronte a questa legge finanziaria , e finalmente abbiamo capito come il governo italiano intenda lo aiuto allo sviluppo . i 200 miliardi previsti da questa legge finanziaria per la cooperazione e lo sviluppo sono infatti così ripartiti: 100 miliardi per il fondo di rotazione previsto dalla legge Ossola relativamente ai crediti agevolati all' esportazione; 95 miliardi in conto capitale ; cinque miliardi in conto interessi. la legge numero 38 sulla cooperazione con i paesi in via di sviluppo afferma che tale fondo deve essere utilizzato per ragioni dello sviluppo, ma il fatto che questo sia incluso in una legge che ha prevalenti finalità commerciali anziché nella legge di cooperazione, legittima ancora di più dubbi sulla sua effettiva utilizzazione. non si tratta comunque di contributi a fondo perduto ; si tratta evidentemente di crediti finanziari agevolati che prima o poi dovranno essere restituiti. ciò per quanto riguardai primi 100 miliardi. venticinque miliardi sono stanziati per aumentare i contributi volontari alle organizzazioni internazionali (e va bene ); 20 miliardi per cancellare i debiti contratti con l' Italia dall' Etiopia, dalla Guinea, dalla Somalia e da altri paesi. facciamo notare che tale somma fu annunciata dal Governo proprio l' anno scorso , in occasione della prima marcia di Pasqua. non si capisce perché mai rientri nel bilancio del 1980 come aiuto ufficiale allo sviluppo. si tratta, in effetti, di un vecchio impegno che non avrebbe dovuto e non deve far parte dei nuovi 200 miliardi. continuo nella elencazione delle destinazioni: 15 miliardi per finanziare il fondo comune per le materie prime , il che non è in alcun modo un gesto di liberalità perché comunque l' Italia avrebbe dovuto dividere gli oneri del fondo (lo hanno messo in un certo punto del bilancio, ma non ha niente a che fare con l' aiuto allo sviluppo ); 40 miliardi sulla legge numero 38 relativa alla cooperazione, con le destinazioni che elencherò. innanzitutto, 15 miliardi per realizzare progetti con organismi multilaterali; 20 miliardi per interventi straordinari; 15 miliardi per far fronte a calamità naturali; 5 miliardi a favore dell' infanzia; 5 miliardi per l' assistenza a progetti agroalimentari. è evidente come, rispetto agli impegni presi, alla drammaticità della situazione, non sia possibile per noi tollerare che questa sia la voce prevista dalla legge finanziaria per la cooperazione allo sviluppo. si tratta di uno dei motivi di fondo per i quali, non solo con una durissima battaglia in Aula, ma cercando da domani negli incontri che abbiamo chiesto con i partiti che formeranno il nuovo Governo, con il Psi, con la Dc, con... — dimentico sempre quale sia questa nuova formula di Governo; confondo le sigle, perché mi sembra sempre che siano quelli di prima — il Pri, cominceremo a porre il problema. ritengo che la situazione non sia tollerabile e che le possibili soluzioni non siano che due: o l' Italia dichiara il proprio disimpegno rispetto alla risoluzione delle Nazioni Unite ed agli impegni in relazione alla stessa assunti, oppure, se continua a mantenere tali impegni, deve finalmente, sia pure con dieci anni di ritardo, adempierli. non è possibile da una parte non mantenere l' impegno e dall' altra prendere in giro, con un' operazione di raddoppio che non è raddoppio ma che è una vera e propria truffa. tutte le cifre, così come stanziate, infatti, non sono affatto un aiuto ufficiale allo sviluppo, ma, semmai, crediti agevolati da restituire, o altre cose. niente, comunque, hanno a che fare con le finalità di cui alla risoluzione del 1970. dove prendere i soldi? credo che al riguardo non si debbano spendere molte parole. è un problema di scelta, di volontà politica. le proposte sono molte, una delle quali è la cancellazione dei debiti. sappiamo che l' ammontare dei debiti dei paesi in via di sviluppo è andato crescendo in modo travolgente e che, per esempio, ogni aumento delle materie prime e del petrolio costituisce per la bilancia dei pagamenti dei paesi in via di sviluppo una catastrofe economica e politica. dunque, una delle fonti potrebbe essere questa. di proposte, ripeto, ne esistono molte: è questione di discuterle. la commissione Brandt, ad esempio, propone che sia posta una tassa sulla esportazione delle armi, che vada appunto nel fondo per l' aiuto ufficiale allo sviluppo. vi è chi ha proposto, ancora, una sorta di pedaggio sugli oceani, per tutte le navi che vanno da nord verso sud e chi ha proposto una tassazione obbligatoria, simile a quella con la quale si finanzia (l' 1 per cento dell' IVA) la Comunità Europea e che, dunque, lo 0,70 del prodotto nazionale lordo sia di fatto un dato obbligante ed automatico, e non già lasciato alla discrezionalità di ogni singolo Governo. ve n' è, infine, una che ci è molto cara, che è quella relativa alla riconversione delle spese militari in spese civili, senza però che si giunga all' alibi che sempre mi sento ripetere che, cioè, finché non si arriva al disarmo, non è possibile avere fondi per la destinazione cui mi riferisco. ritengo questo un alibi per tutti. un alibi per non attuare né il disarmo, né l' aiuto allo sviluppo . c' è poi un secondo alibi che normalmente viene opposto. se anche trovassero i soldi, si dice, per i paesi del terzo mondo , c' è da tener presente che non esistono progetti per investirli, istituzioni abbastanza competenti per gestirli in modo adeguato, capacità di assorbimento da parte dei paesi beneficiari. ebbene, credo che la commissione Brandt, molto meglio di noi, abbia sfatato completamente questi miti, che sono in realtà alibi che mascherano la mancanza di volontà politica. proposte, idee, programmi, ce ne sono a bizzeffe. certo, occorre esercitare una critica ed un controllo, anche su molte delle organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite preposte a questo settore. esistono certamente sprechi burocratici: la Fao, ad esempio, che è riconosciuta da tutti come uno degli organismi più competenti in questo campo, ha una gestione assai burocratizzata, come è testimoniato dal fatto che una parte molto elevata del suo bilancio è destinata a consentirle di sopravvivere. proposte — dicevo — ce ne sono dunque molte, tra cui la stessa proposta della Fao, denominata: « Agricoltura, anno 2000 » ; mi è capitata sotto gli occhi persino una proposta del collega Galloni (che non sapevo si occupasse di queste cose), avanzata durante una conferenza tenuta all' università di Washington il 5 dicembre 1979; si tratta di una proposta che non condivido assolutamente, poiché consiste nel solito riciclaggio delle eccedenze alimentari della Comunità Europea (farina, margarina e così via ), con l' aggiunta di uno stoccaggio da effettuare in loco, in modo da costituire una disponibilità utilizzabile in caso di emergenza. voglio dire comunque che quello della destinazione di questi fondi è un problema di scelta politica. vi sono proposte che vengono avanzate dal Consiglio mondiale per l' alimentazione e che a mio avviso meritano molta attenzione, sia in termini di strategia di sviluppo che di aiuto immediato. abbiamo detto prima, ad esempio, quale sia la nostra opinione critica, rispetto all' aiuto alimentare come si è andato sviluppando in questi ultimi venti armi, in termini cioè di un aiuto che ha spesso significato il blocco delle produzioni locali: è evidente infatti che quando quintali di grano vengono immessi sul mercato o venduti a prezzo molto basso, si produce una disincentivazione della produzione e della vendita dei prodotti locali. spesso l' aiuto alimentare ha provocato la rovina dei piccoli produttori e contadini locali. peggio ancora, gli aiuti alimentari distribuiti dai paesi dell' Occidente sono stati talvolta venduti, dai governi riceventi, nelle città e non distribuiti attraverso una adeguata rete verso le campagne. ora, il Consiglio mondiale per l' alimentazione, proprio tenendo conto di questi problemi e conformandosi ad un piano di strategia a più lungo raggio, ha individuato una formula possibile di intervento immediato che credo sia degna di molta attenzione, e farà una proposta, nella prossima sessione di Arusha, proprio tenendo conto delle esperienze già compiute in altri paesi. è evidente infatti che tutti o molti dei paesi del terzo mondo attuano una politica dei prezzi, soprattutto agricoli, per agevolare certe categorie di persone. i sistemi sono diversi, poiché alcuni paesi impongono prezzi facilitati per certe categorie, altri paesi hanno una specie di calmiere dei prezzi agricoli, che comporta poi la concessione di sovvenzioni a favore degli agricoltori; ma la proposta che meglio ha funzionato e che è stata adottata in Thailandia ed a Ceylon è stata quella di una distribuzione di una sorta di coupons alimentari per comprare prodotti locali, il che ha significato un bilancio dello Stato di questi paesi molto più pesante, ma ha voluto dire anche che con essi, distribuiti a categorie particolarmente povere e che servono solamente a comprare cibo, e in particolare cibo locale, si inizia una spirale che è anche quella di un miglioramento sostanziale della produzione locale, evitando così uno degli aspetti più negativi degli aiuti alimentari, cioè quello dell' affossamento della produzione locale dei piccoli produttori. certo, la politica dei coupons alimentari ha un costo per i paesi del terzo mondo , e credo che sarebbe una buona politica quella di contribuire con una parte dello 0,70 per cento più volte richiamato, a finanziare questi programmi che d' altra parte saranno puntualizzati da molti dei paesi del terzo mondo che fanno parte del Consiglio mondiale dell' alimentazione nella seduta di Arusha, che credo saranno muniti dopo il mese di giugno dei dettagli specifici di tali programmi. tutto questo non avrebbe senso, e sono d' accordo che anche l' intervento immediato non ne avrebbe, se non fosse inserito in una strategia di più ampio respiro , e precisamente una strategia alimentare, partendo dal presupposto che non può esservi una strategia alimentare buona in tutti i paesi e che ogni produzione alimentare è soggetta a fattori ecologici ed ambientali diversi. questa proposta di strategia alimentare è stata richiamata nel mese di settembre ad Ottawa e già credo che più di venti paesi del terzo mondo abbiano fatto richiesta affinché venga studiato con i paesi industrializzati un piano per ogni singolo paese, piano che dovrebbe portare all' autosufficienza alimentare almeno dei prodotti di base nei paesi del terzo mondo . ovviamente, i soliti paesi occidentali più sensibili, come la Danimarca, la Svezia e i Paesi Bassi , hanno già risposto a questa richiesta e hanno « adottato » uno o due paesi coi quali studiare questi piani; purtroppo, paesi meno sensibili come l' Italia, nonostante molte sollecitazioni, non hanno risposto per nulla. anzi, l' unica risposta che è stata data è nel senso che, raddoppiando l' aiuto ufficiale allo sviluppo, cento miliardi sono stati destinati ai crediti agevolati. quindi, anche l' alibi per cui non si troverebbero i soldi, non ci sarebbe la capacità assorbitiva né i programmi e i progetti, in realtà è un alibi che nasconde una mancanza di volontà politica. credo di avere illustrato abbastanza diffusamente il fatto che non esistono difficoltà tecniche e finanziarie insormontabili che non permettano di risolvere quello che credo sia il problema più drammatico del nostro tempo, cioè lo sterminio per fame di milioni di persone. esistono le capacità tecniche e finanziarie, le conoscenze tecnologiche; purtroppo, manca, la volontà politica sia dei paesi occidentali che delle borghesie politiche dei paesi del terzo mondo schierate nei due blocchi e quindi con dati di dipendenza, di ricatto e di omertà particolari. pochi giorni fa il giornale del partito comunista , proprio rispetto all' iniziativa che stiamo portando avanti da un anno e mezzo, avendo anche la memoria corta, ha dichiarato che la nostra lotta contro lo sterminio per fame è una speculazione elettorale. se così è, se così fosse, se fosse una speculazione elettorale, noi saremmo molto contenti di non farla purché la facesse qualcun altro. se qualcun altro si volesse accomodare per condurre questa battaglia, lo faccia pure, anche noi ci sentiremmo più contenti perché più forti e meno soli. purtroppo invece chi parla così dimostra di avere la memoria corta, dimentica infatti che questa campagna va ormai avanti da un anno e mezzo, e dimentica che la convocazione straordinaria del Senato in settembre non fu certo un' iniziativa elettorale, perché in quell' epoca non c' erano in giro elezioni di nessun tipo. riuscimmo allora a convocare in seduta straordinaria il Senato devo dire contro la volontà, o contro qualunque disponibilità, del gruppo comunista che infatti non firmò; quando arrivammo al dibattito, fu lo stesso gruppo comunista, per voce del vice capogruppo Alinovi, a dire che era troppo poco il raddoppio dell' aiuto ufficiale allo sviluppo, e che bisognava arrivare, entro il 1980, ad allinearci con la media data dai paesi sviluppati , cioè allo 0,35 per cento . continuo a ritenere che questo sia troppo poco, ma certo sarebbe sempre un passo avanti, peccato che poi rispetto a questa dichiarazione del collega Alinovi non ho visto un solo emendamento presentato in questo senso dal gruppo comunista, per cui devo dire che, se di speculazione elettorale si tratta, c' è chi specula cercando di avviare una politica di vita, mentre c' è chi non specula, ma lascia che si continui con una politica di morte. abbiamo fatto come mobilitazione politica, e come impegno, tutto quello che abbiamo potuto fare e per cui abbiamo avuto sufficiente fantasia, in tutte le sedi in cui abbiamo potuto, in Europa e qui in Italia, magari con gesti ritenuti « folkloristici o folli » , ma come sempre noi ci aspettiamo che altre forze politiche più « serie » , convinte della drammaticità del problema, intervengano. il fatto è che tutti riconoscono la serietà del problema, però dicono che esso non si risolve con una marcia, va bene ; tutti riconoscono che il problema è serio, però dicono che non si risolve con un digiuno, benissimo; il problema è serio, ma non si risolve con una manifestazione in piazza, d' accordo; il problema è serio, ma si risolve con i soldi, e con un emendamento, per esempio, che chieda lo 0,70 per cento , tanto per cominciare. solamente che arrivati a questo punto le forze « serie » non fanno l' unico gesto « serio » che potrebbe avviarsi nella direzione giusta, e lasciano che questo passo serio lo compia il « gruppo di folli » che quindi si ritrova a fare sia le cose serie che quelle folli. non ci riteniamo certo gli unici depositari di questa battaglia, e vorremmo, ci auguriamo, che molte forze politiche vogliano unirsi ad essa. certo che fino a quando vediamo che si arriva a questo punto dimenticandosi anche delle dichiarazioni fatte in quel di settembre, senza avanzare alcuna iniziativa valida, rimaniamo convinti che l' unica serietà vera è la nostra utopia, che l' unica serietà vera per cambiare qualcosa è la nostra follia. credo però che a poco a poco si farà strada la convinzione di fondo che la pace e la sicurezza mondiale possono esistere solo nel momento in cui non esisteranno più milioni di poveri e l' azione depredatrice, e forse allora molti altri ci raggiungeranno, e forse allora incominceremo a risolvere veramente il problema. questo è uno dei tre motivi della nostra opposizione ad una legge finanziaria che è una beffa, una burla ed un insulto rispetto allo stesso Governo ed ai suoi impegni nei confronti dei paesi del terzo mondo . pertanto noi ci auguriamo che, essendo il nuovo Governo così diverso dal vecchio, essendo sicuramente più innovatore rispetto a quello di prima per via del fatto che non ci sono i socialdemocratici ma i socialisti, e per via del fatto che i repubblicani sono sostituiti ai liberali a partire da domani tutto cambia. noi ci auguriamo, magari illudendoci un' altra volta, che almeno in questo settore un segno di cambiamento vi sia; e per lo meno vi siano il pudore e la pudicizia di non contrabbandare delle elemosine pelose come aiuto ufficiale allo sviluppo, ma chiamarle per quello che sono, cioè crediti all' estero; smettendola con questi giochetti da sbandierare poi in sede internazionale, quando il raddoppio di zero è sempre zero. l' Italia abbia il coraggio di dire che non si ritiene più legata alla risoluzione delle Nazioni Unite , perché al governo italiano non importa nulla di questa situazione. noi ci ritroveremo comunque all' opposizione, ma con un dato di confronto più serio e più preciso. le uniche cose intollerabili sono le dichiarazioni di buone intenzioni senza atti precisi! questo non è tollerabile, perché rispecchia la non credibilità delle istituzioni in politica estera come in politica interna . ho sentito che questa mattina avete deciso la lotta al terrorismo — speriamo che questa volta vada meglio, perché l' ultima volta che avete preso questa decisione vi sono stati due morti al giorno invece di uno — ; ho sentito anche che avete deciso la lotta all' inflazione. speriamo che oggi sia un giorno fortunato, perché se va avanti com' è andata negli ultimi anni, credo che porti abbastanza male questa dichiarazione! grazie!