Marco PANNELLA - Deputato Maggioranza
VII Legislatura - Assemblea n. 91 - seduta del 15-02-1977
1977 - Governo I Fanfani - Legislatura n. 2 - Seduta n. 83
  • Attività legislativa

signor presidente , signor ministro degli Esteri , colleghe e colleghi, il 3 agosto di quest' anno i quattro parlamentari radicali italiani si trovarono a Douamont, cimitero di guerra presso Verdun, per manifestare assieme a mille altri loro compagni, in uno dei luoghi sacri d' Europa e dei nazionalismi europei, dove sono sepolti decine di migliaia di francesi, di italiani, di tedeschi, di inglesi, di altri soldati di Europa, ma il cui nome era spesso africano o di altre parti del mondo, le più lontane; ci eravamo con il filosofo Garaudy, con vecchi socialisti libertari, con vecchi partigiani, per portare la testimonianza del nostro interesse reale contro il prodotto del romanticismo nazionalista, delle logiche degli Stati nazionali, il prodotto storico-puntuale de una realtà storica così consona al potere e alla violenza di classe e al potere e alla violenza di pochi sui molti, così consona ad un sistema internazionale di sfruttamento, che è internazionale e multinazionale. ci troviamo lì — dicevo — contenuti e ostacolati dalla gendarmeria francese perché il governo di Parigi aveva ritenuto offensivo che questa colonna di antimilitaristi non violenti si recasse fino all' interno di questo cimitero, dove pure erano sepolti i genitori o gli avi dei partecipanti a questa marcia antimilitarista non violenta internazionale di nove paesi europei . dietro le truppe, dietro la gendarmerie, all' interno del cimitero erano invece accampati decine di « parà » francesi, residuati delle torture di Indocina e di Algeria, ai quali, invece, lo Stato francese evidentemente riconosceva il diritto di affermarsi come tutori della dignità nazionale e come gli unici qualificati a portare rispetto, un contributo di pietà, di pietas, a quei morti, europei. era un emblema. fra di noi vi erano compagni spagnoli, come il cattolico radicale Beppe Beunda che per quattro anni era stato nelle prigioni spagnole come obiettore di coscienza ; vi era il compagno Jean Fabre obiettore di coscienza totale, francese, esule da quattro anni che marciava con noi, alla nostra testa, e che non fu arrestato. conducevamo così una delle nostre azioni di disobbedienza civile , non violenta. molti nostri compagni avevano passato di frodo la frontiera per poter essere lì, perché membri di quell' internazionale, signor ministro degli Esteri (lo segnalo a lei e anche al signor ministro dell'Interno ), di pregiudicati, di quell' internazionale di criminali che noi siamo: noi siamo violenti, noi disobbedienti, noi obiettori di coscienza , noi condannati per vilipendio, per vilipendio dello Stato nazionale, per vilipendio dell' esercito in ciascuno dei nove Stati, dei quali oggi stiamo qui direttamente o indirettamente parlando. e nella tensione di queste manifestazioni annuali — ogni anno arresti — ogni anno processi — non abbiamo mai dimenticato che la sovranità nazionale è oggi menzogna: è sovranità contro i popoli, contro la gente, contro il diritto; è menzogna contro quelli ideali di pace, di progresso e di giustizia, sui quali spesso, invece, vengono trovate e rette ancora le giustificazioni dei poteri statuali nazionali; a Verdun e a Douamont da una parte si trovavano questi delinquenti in nome delle leggi umanitarie, socialiste, libertarie e internazionaliste, contro i delinquenti della tortura che erano non a caso, protetti dalle forze dello Stato, con i loro galloni, le loro medaglie d' oro, il loro desiderio di violenza, che in quel momento cercava di manifestarsi. ma, eravamo uniti, in questa occasione, signor presidente , signor ministro degli Esteri , anche perché — anche se questo non compare ancora sulla vostra stampa e nei vostri servizi di informazione — stiamo preparando, in Spagna, in Francia, in Svizzera, in Italia, da anni un progetto decennale di disarmo unilaterale generalizzato, di conversione delle strutture militari in strutture civili, che intendiamo presentare lo stesso giorno, la stessa ora, con le stesse modalità, in almeno nove parlamenti nazionali europei e nel Parlamento europeo , se ci sarà un Parlamento europeo direttamente eletto dal popolo europeo . questo per esporvi quanto anche nella nostra azione militante siamo consapevoli del fatto che l' Europa è una realtà, ed è una realtà obbligata, e obbligante. abbiamo perciò ascoltato — con un interesse un po' desolato, devo dire — le dichiarazioni ed il preannuncio dei nostri compagni di democrazia proletaria , che dichiarano di votare contro questa prospettiva, contro questa decisione, contro questa ratifica che ci viene chiesta, denunciando che questa Europa è l' Europa della reazione. dice il collega Pinto — testualmente, credo — : « l' Europa degli Strauss, dei Giscard d'Estaing » . ma potremmo continuare: è l' Europa della FIAT, delle multinazionali, è l' Europa della Svizzera della evasione dei capitali, delle rapine; è l' Europa del Liechtenstein, è l' Europa che conosciamo. è anche l' Europa nella quale i servizi segreti — non dispiaccia al collega Battaglia — americani ed israeliani possono servire a chi loro interessa un certo tipo di armi da loro soli prodotto e detenuto, e nella quale — guarda caso — l' internazionale della delinquenza nera oggi, sempre di più vediamo concretamente esistente e sostenuta. fascista è dir poco, perché fascista è andare al passato: questa criminalità è nutrita non dalle SS, non dai servizi segreti tedeschi, ma da quelli americani, e da quelli di altri paesi, occidentali e non. queste armi — dicevo — son bene europee, queste armi che ritroviamo poi dai banditi arrestati ieri ed oggi a Roma, e che ritroviamo solo in queste occasioni, non in dotazione ai nostri eserciti nazionali, nemmeno in dotazione formale di coloro che sostenete essere addetti alla difesa della nostra patria e che, per noi, sono invece addetti alla difesa di un disordine costituito, nazionale ed internazionale, contro il quale dobbiamo lottare. certo, questa è un' Europa dove la prepotenza e il prepotere del potere economico delle multinazionali, dove la logica del profitto, la logica dello sfruttamento dell' uomo imperano sovrani o quasi sovrani. certo, questa è un' Europa nella quale sempre di più si vanno organizzando strutture e istituzioni comuni. se ne parla poco, oltre quelle formali di Strasburgo e di Bruxelles, ma cos' altro sono, se non istituzioni europee quelle che state per presentare alla nostra approvazione, questi accordi di polizia a livello europeo delle diverse polizie? certo, è l' Europa che ha tratteggiato il collega Pinto, e sulla quale potremmo dilungarci a lungo, l' Europa sulla quale i colleghi del Movimento Sociale sembra piangano tante lacrime, perché esistono degli italiani non votanti che non possono tornare in patria. per noi, semmai, il problema è quello di un' Europa nella quale milioni di lavoratori non possono votare nel luogo in cui vivono e sono sfruttati. il problema infatti non mi pare tanto quello di assicurare il ritorno per le elezioni degli emigranti, quanto di garantire al lavoratore l' esercizio dei suoi diritti politici lì dove in quanto lavoratore vive, è sfruttato come lavoratore e come consumatore, e prova la crudeltà di un sistema produttivo e di una società che si informa alla logica del profitto molto più che alla logica umanitaria del lavoro e della produzione, visti come momento che possa unire i paesi in un compito di pace e di civiltà, non legati innanzitutto alla logica del profitto. questa mi pare sia una contraddizione dei compagni di democrazia proletaria , che non fanno altro che ripresentare qui una posizione vecchia di trent' anni senza le giustificazioni storiche di trent' anni fa. perché? se l' Europa è questa, se in Europa accadono queste cose, come possiamo proprio noi, in questa circostanza, in questo Parlamento, non dire sì, non approvare la proposta realizzazione di quel millimetro, di quel segmento di potere politico di controllo rispetto al potere reale che oggi c' è in Europa? come non considerare, appunto, che l' Europa, senza Parlamento, senza unità istituzionale democratico-parlamentare, senza partecipazione di base, effettiva, reale, non può che produrre sempre di più poteri formali e sostanziali di tipo antiproletario, di tipo classista, imperialista? i parlamenti nascono innanzi tutto come strumenti di controllo del potere. noi riteniamo; certo, che Altiero Spinelli pecchi di ottimismo — pur nella sua severa visione dei fatti — quando carica di certe speranze il Parlamento che andremo ad eleggere. penso che in realtà gli Altiero Spinelli, noi, una certa parte politica , europea (ed internazionale, che il mondo socialista, che il mondo del laicismo moderno (che porta necessariamente attenzione non solo alle strutture produttive di cultura, ma alle strutture produttive, in generale, di tutto, perché la violenza del non dialogo non si realizzi nei momenti fondamentali della vita sociale, produttiva ed economica) pensino che sia necessario ed urgente cominciare ad inserire ciò che, se non altro, i compagni di sinistra, marxisti e leninisti, potrebbero ricordare essere sempre stato definito come il principio necessario di una contraddizione esplosiva della borghesia, nel momento in cui inserisce nella propria organizzazione sociale la visione della democrazia parlamentare rappresentativa. tutti sappiamo — io credo — che tale visione oggi può trovare compimento, che gli ideali democratici e parlamentari (che vanno dalla rivoluzione francese in poi) e borghesi possono trovare compimento solo nella misura in cui fanno parte della rivendicazione e dell' alternativa socialista. abbiamo visto, infatti, quanto, all' interno di altri sistemi, questa concessione, questa visione democratica sia poi soggetta, ad essere ripresa, ritolta, risequestrata, quando rischia di produrre riforme e rivoluzione. siamo quindi assolutamente d' accordo nell' accettare questo appuntamento, perché almeno, al termine di questo appuntamento, nel momento in cui questo Parlamento europeo inizierà la sua opera, il proletariato, le forze democratiche si renderanno conto di una tremenda, quotidiana sconfitta, che è la caratteristica dell' oggi; di un disastro quotidiano, quando non è nemmeno costituito il fronte, quando non è nemmeno costituito, a livello delle istituzioni, il momento delle contraddizioni, il momento dell' alternativa, magari minoritaria, del dialogo, di opposizione e del confronto. oggi il potere già esiste e non nasce con le elezioni che stiamo qui per stabilire ci debbano essere: non siamo dunque a decidere se debba esserci o no. mi sembra incomprensibile che forze che vengono chiamate o chiamano se stesse di « nuova sinistra » propongano come alternativa non altro che la difesa della via nazionale alla resistenza socialista, della via nazionale alla resistenza democratica contro i rischi di adulterazione della sovranità dei nostri parlamenti. voi di democrazia proletaria siete pur entrati nel Parlamento nazionale, pur essendo dei rivoluzionari e dei leninisti, forse non ritenendo questo una mera formalità. siete entrati qui per praticare le contraddizioni e per farle esplodere nelle istituzioni. diverso deve dunque essere il nostro comportamento nel momento in cui guadagnamo, a livello di istituzioni, una reale sede di scontro di classe, nel quanto reale « triangolo industriale » europeo. in Italia, per decenni, si è parlato del « triangolo industriale » di Torino, Genova e Milano. ma il « triangolo industriale » vero è quello che va da Dusseldorf, dalla Ruhr, dal nord della Francia, al nostro nord. questo è il triangolo industriale dove avviene il confronto reale di classe e dove le volontà e i disegni del sistema si sono già affermati. per questo siamo stati finora perdenti, per delle sinistre chiuse all' interno della contestazione di millimetri di potere all' interno di uno Stato nazionale sempre più vuoto di contenuti di potere effettivo. e proprio in questo momento, mentre si accenna a creare una struttura con cui si crea almeno in teoria la possibilità del controllo e la rivendicazione del primato della politica e della istituzione democratica nei confronti dei diversi altri poteri (economico, industriale, nazionalistico, eccetera), si viene a piangere o ad urlare contro l' Europa degli Andreotti, dei Giscard d'Estaing , delle multinazionali che sono appunto il prodotto di un' Europa nella quale la sinistra non ha saputo guadagnare il quadro necessario per contestare il potere avverso? ma su questo vorrei concludere, poiché mi basta quanto Altiero Spinelli ha già dichiarato in quest' Aula. egli ha detto: « il disegno federalista apparve troppo visionario, troppo poco radicato nella storia per poter essere accolto. particolarmente sordi ad esso ed in generale alla problematica europea furono allora la maggior parte dei componenti della famiglia politica socialista, sia pure con alcune notevoli eccezioni. ed accade quel che accade sempre in circostanze simili nella storia: quando un problema di innovazione profonda è posto dalla forza delle cose ad una società, ed in essa le forze che per loro intrinseca natura dovrebbero essere innovatrici e farlo proprio non sanno o non vogliono affrontarlo, non per questo il problema sparisce. esso è fatto proprio dalle forze moderate, dalle forze della restaurazione e della conservazione, le quali naturalmente realizzano il disegno a modo loro, facendo in esso larga parte alle cose cui tengono di più, ma pur sempre creano quel qualcosa di cui la società ha bisogno » . è accaduto in Francia anche per altro, è accaduto per la riforma delle istituzioni: la quinta Repubblica rispetto alla quarta. in Francia è accaduto in modo che, dietro l' applaudito nazionalismo di De Gaulle da parte delle sinistre europee di un certo tipo (nazionalismo visto come garanzia contro l' imperialismo americano dai compagni comunisti, dall' Unione Sovietica , da alcuni ambienti socialisti europei), in realtà si è ricreata in Europa non la vagheggiata contraddizione esplosiva, ma la falsa verità della sovranità nazionale e della dignità nazionale francese al coperto delle quali il potere economico multinazionale, invece, è passato in Francia ed in Europa con una virulenza che forse non sarebbe stata possibile se fossero stati attuati i disegni, pure essi di destra, degli Schumann e comunque degli europeisti anche se di destra. chiudo questa parte del mio intervento — che vuol dare una prima motivazione al nostro atteggiamento favorevole al provvedimento che ci viene sottoposto — e passo ad analizzare alcuni problemi che, in questo appuntamento — che non definirei storico bensì politico — cui stiamo andando, ci sembrano caratterizzanti. ho letto con attenzione, dopo averli ascoltati, gli interventi dei colleghi Altiero Spinelli e Battaglia. debbo dire che senza sorpresa ho trovato in essi oggetti di attenzione che sono anche miei, anche nostri. il problema, tuttavia, è quello di esaminare le conseguenze che da tali comuni punti di riferimento possono trarsi. nell' analisi che ha fatto il collega Battaglia dei tre aspetti — quello politico-economico, quello della sicurezza e, se non vado errato, quello della « vitalità » europea — le differenze sono connesse alla diversa ubicazione che abbiamo in quest' Aula, differenze che saranno probabilmente anche di domani perché lo scontro non potrà mancare proprio su tali argomenti. siamo anche noi convinti del fatto che solo un' entità europea potrebbe realizzare nel concerto mondiale un tipo di presenza economica che non serva necessariamente a disegni neocapitalistici o imperialistici. conveniamo con la costatazione che esistono oggi nel mondo delle tendenze a concepire l' interesse per la cooperazione in un modo in cui l' egemonia di chi assiste meno grossolanamente affermata e vissuta, al fine di armare aree intere di consistenti strutture produttive di base. gli esempi pertinenti che sono stati fatti a proposito del Venezuela a dell' America Latina , nonché il richiamo alla Convenzione di Lomè mi sembrano, a livello di analisi, sicuramente interessanti e condividibili. e ancora interessante e giusta è l' osservazione per la quale, sull' Europa occidentale incombevano problemi drammatici nel momento in cui, al di là del discorso di Yalta, al di là delle soggettive strategie sovietiche, statunitensi e della partizione europea, la sua sicurezza veniva messa in crisi soprattutto dal fatto che al suo interno gran parte delle masse proletarie, per responsabilità precisa — certo! — dei partiti che le rappresentano e che avevano loro garantito la falsità di certe accuse storiche che oggi, invece, vengono ammesse, avevano aderito messianicamente a quel modello. in altre parole nel momento in cui si pensava che il socialismo fosse stato realizzato o fosse in corso di realizzazione in Russia, nel momento in cui si pensava che una società più giusta e, potenzialmente, anche più libera si fosse lì affermata, la « sicurezza europea » era in grave pericolo perché nel proletariato, nelle masse democratiche del nostro paese, non v' era una nozione esatta dell' interesse vero dell' alternativa socialista e democratica di classe. ed è senz' altro vero che oggi la situazione è ben diversa: oggi non i cinesi, non i cubani, non i partiti comunisti europei e, soprattutto, non le masse dei lavoratori credono al modello sovietico. di conseguenza abbiamo una situazione profondamente diversa, di maggiore tranquillità, anche se in un' ottica (nella quale noi radicali non ci situiamo abitualmente e nella quale comprendiamo che ci si debba pur porre) di analisi strategica della realtà internazionale. il collega Battaglia e i colleghi della grande maggioranza di questa Assemblea ritengono che non vi sia più un modello sovietico, al quale si possa guardare, ma che vi sia quello americano, invece. la nostra Europa dovrebbe — secondo loro — rendersi conto che l' unico modello valido possibile sarebbe quello americano. si tratta — secondo loro — di trovare i dati di una specifica concorrenzialità europea nell' accettazione di questo modello. è qui che per noi si commette un primo, grave errore, con una visione idilliaca del modello americano. se si guarda al modello sociologico, mettendo a fuoco le strutture più evidenti dell' organizzazione della campagna e della città americana, mi pare che questa tesi già potrebbe essere sostenuta solo con qualche difficoltà. non dovremmo dimenticare che il modello americano è anche il modello di un potere multinazionale, economico, di un potere tale che ha colpito per primo il parlamento americano, che è stato espropriato della decisione di chiedere o meno la guerra in Vietnam. proprio il modello americano ha sostanzialmente espropriato il popolo e il parlamento americano totalmente di essenziali diritti. vi è stata poi una reazione, ma quella guerra c' è stata contro la volontà del Parlamento e del popolo e questo esempio fa parte del modello americano. del modello americano fa anche parte l' azione, che non è qualitativamente diversa, anche se l' altra è più dozzinale e volgare (ma proprio con questo forse produce alla fine i suoi anticorpi), dei carri armati sovietici che marciano su Budapest e su Praga. in realtà le azioni di destabilizzazione delle democrazie, che vengono fatte sistematicamente dai servizi americani di sicurezza, un po' ovunque, in Cile e in Grecia, e la pressione costante per adulterare la realtà stessa del modello democratico americano e di quello dei paesi alleati, con l' inquinamento, che noi vediamo sempre più evidente, della realtà stessa atlantica, così come invece ce la presentate (gli scandali, la Lockheed), cosa vuol dire, se non che il modello americano non riesce a proporre un' alternativa al prepotere violento di interessi non statuali, non controllati, non controllabili, non democratici, i quali invece diventano sempre di più padroni dei meccanismi di potere nazionali, europei, internazionali? quando si pensa a quale possa essere la specifica vitalità europea in concorrenza con quella statunitense, occorre sfatare subito un mito. abbiamo oggi l' 82 per cento della ricerca scientifica , connessa alla rivoluzione tecnologica, amministrata nel mondo dalle multinazionali del complesso industriale-militare, dove il momento militare è fondamentale. ciò fu denunciato, non a caso, da un presidente americano ingenuo e militare, con l' onestà che poteva derivargliene. l' 82 per cento della ricerca scientifica è manovrata e controllata non da modello democratico statunitense o da altro, ma dalla realtà delle società multinazionali, quella che attraversa e, se volete, massacra anche la visione democratica americana, così come era stata concepita e che alcuni persistono invece a considerare esistente. questa Europa allora avrebbe autonomia — e quale? — nel momento in cui dovrebbe secondo le visioni, sia pur diverse, di Battaglia e di Spinelli, costituirsi in una entità capace di una propria strategia e di una propria forza militare e industriale? in questa situazione davvero non lo comprendiamo. le risorse europee sarebbero forse tali, in termini storici, ma anche nell' attualità di rapporti con i paesi produttori del terzo mondo , da consentire di dire che questa Europa unita potrebbe risolvere i suoi problemi storici, che sono poi quelli della Bretagna come quelli della Calabria, che sono quelli delle tante sue aree depresse, quelli di società in cui il senso di solidarietà nazionale sta sempre più per andare in crisi, proprio perché le ingiustizie e le disparità aumentano e non soltanto in Italia? evitiamo di avere una visione idilliaca degli altri paesi europei ! anche in Francia vecchie contraddizioni storiche stanno sempre sul punto di esplodere, anche lì il divario di investimenti e di vita, tra la Bretagna, l' Auvernie, altre grandi regioni da una parte e dall' altra le regioni industriali e le regioni di grande concentrazione urbana, sta aumentando in modo allarmante più ancora — secondo i dati degli ultimi anni — che in Italia. abbiamo, dunque gravi problemi ovunque. il problema dell' Irlanda è o no un problema anche europeo? noi ci stiamo allarmando giustamente qui per due, quattro, dieci morti (di legge Reale o no) mentre siamo lì di fronte ad una situazione nella quale abbiamo decine, centinaia di morti dovuti anche a condizioni storiche, economiche, e sociali negative. questa Europa ha bisogno, quindi, di un potenziale di invenzioni e di investimenti che non può essere reperito in una politica nella quale tutte le leve economiche e produttive sono già nazionali, non vitali o non adeguate, o internazionali, ormai controllate dalle multinazionali. non è un caso che Spinelli avesse un ben preciso tipo di responsabilità a Bruxelles, ma pur con la sua sensibilità non ha potuto far nulla; perché, in realtà se si vuole operare in una certa direzione per creare una autonomia del momento dello sviluppo industriale ed economico in Europa, contro gli interessi selvaggi del profitto, contro i giochi, i meccanismi e le strutture già esistenti del potere, economico multinazionale, si è e si sarà a lungo pienamente disarmati. ed è qui che ritengo, quindi, che ci sia dell' ottimismo ingiustificato, nei colleghi Battaglia e Spinelli. come è possibile altrimenti pensare secondo il sincretismo spinelliano? egli afferma che l' Europa non deve essere socialista o altro; l' Europa sarà — se sarà — l' Europa dei conservatori, dei liberali, dei socialisti o di tutti. ma quale Europa? un' Europa capace di risolvere di più i problemi di qualità della vita che si pongono oggi alle popolazioni europee, i problemi istituzionali o un' Europa qualsiasi? ma ci può essere anche una catastrofe europea, la somma delle catastrofi delle singole nazioni. probabilmente quello che andrebbe concepito è un meccanismo diverso di crescita — tutti lo abbiamo detto, un meccanismo specifico europeo. ebbene, noi su questo, rischiando di far sorridere altri, come sorridevano della solitudine e dell' utopia di quelli di Ventotene (40 anni fa), oggi diciamo che invece la « sicurezza » — come giustamente affermava l' onorevole Battaglia — di una regione è affidata alla adesione profonda delle genti del popolo, del proletariato, adesioni alle strutture, alla politica delle istituzioni nelle quali vivono. a questo punto in via di ipotesi, puntate sulla carta di una conversione delle spese e delle strutture militari (per forza di cose subalterne, comunque le amministrate, alle decisioni del complesso militare industriale oggi esistente perché non vi permetteranno di crearne di nuove e di alternative) in spese e strutture civili e sociali. soltanto con questo metodo forse, che è un metodo di tipo socialista, pacifista, internazionalista, si riesce a reperire — in teoria almeno — una reale possibilità di crescita storica. l' investimento di prestigio e di forza di una regione altamente industrializzata che annunci il graduale suo disarmo e la destinazione delle somme immense che libera così da spese improduttive per un progetto di società che abbia così la possibilità d' esser nuovo e diverso, perché per la prima volta vi si individuano nuove fonti possibili di miglioramento delle strutture, questo ipotetico investimento — dicevo — credete che non diverrebbe un elemento di forza enorme, di sicurezza enorme, nel mondo, ovunque? ma forse che l' Austria disarmata quasi totalmente ha avuto le sue frontiere più in discussione delle nostre? forse che il Giappone non ha visto secondare il suo miracolo economico dalle impossibilità di riarmo (poi aggirate purtroppo secondo la logica imperialistica) nei primi 10-15 anni della sua ricostruzione, in cui non poteva destinare somme — come poi gli hanno chiesto invece i vari patti atlantici o pacifici — alle spese socialmente improduttive? ma si pensi anche a questo tragico destino di accettare come fatale il fatto di legare il progresso scientifico ed il rinnovamento tecnologico alla dimensione della ricerca militare, sotto il controllo e la direzione del potere militare. saremo degli utopisti, non lo so. quel che temo, signor ministro degli Esteri , è che i veri utopisti siate voi, ma di un' utopia che al solito si rivelerà squallida. l' utopia del vostro realismo. potrà, appunto, essere di quel tipo per il quale, in Italia, sembravano realistici coloro che parlavano di revisione del Concordato nel 1954 contro coloro che affermavano: iniziamo la battaglia per l' abrogazione e forse allora la revisione sarà, magari, possibile! e vi ritrovate, dopo trent' anni , a cercare, ancora, di avere una revisione, più o meno « vera » . dicevo dell' utopia del realismo, dell' utopia di coloro che parlano adesso come strateghi, nei quali tutto il sapere di Metternich e di Clausewitz sembra congiungersi. vi atteggiate spesso a dimensione di grandi uomini di Stato (non lei, signor ministro, che ha uno stile un po' diverso...) statisti con delle visioni amplissime, internazionali, mondiali. tutto questo sembra a noi tremendamente provinciale. saremo forse provinciali noi, con queste espressioni di una utopia che appariva disarmata già settanta anni fa. era l' utopia « non ci sono guerre vittoriose, ci sono solo e comunque guerre contro i popoli, anche le vittorie sono fatte di cimiteri, dove giacciono coloro che si vorrebbero considerare come i vincitori. » un' utopia che all' inizio del secolo diceva: « lo Stato nazionale è una menzogna, l' internazionalismo solo è verità » ; l' utopia di coloro che si riunivano — ma guarda caso ! — nelle cattedrali di Losanna o di Basilea, nel 1913-14, per dire « no » a quella guerra, « sì » alle diserzioni! era un' utopia, allora, disarmata; oggi si sta armando, oggi ci muoviamo in un modo diverso. oggi cercheremo, attraverso anche le testimonianze dei Pepe Beunda, in Spagna, e degli altri compagni che continueranno ad andare in galera, di arrivare nel Parlamento europeo a proporre precisi progetti economici alternativi, senza i quali penso che ogni preteso realismo politico non diventerà che velleità, utopia con in più (anzi in meno) lo squallore cui ho accennato. lo squallore di un' utopia con cui si pensa, davvero, di poter costruire l' avvenire ripetendo quel cammino di ieri, che ci ha portati alle tragedie storiche che tutti abbiamo vissuto. andremo, dunque, signor ministro degli Esteri , al voto guardandoci bene dal caricare di troppa enfasi il significato di un fatto per noi anomalo. credo sia la prima volta, dall' inizio della legislatura, che il gruppetto dei deputali radicali si troverà a votare con voi, con l' immensa maggioranza (eccettuati i compagni di democrazia proletaria ) di questa Camera. non abbiamo per altro; imbarazzo. non ne abbiamo, quali che siano i calcoli che vi portano, finalmente, a compiere un passo che annunciavate da venti anni che non avevate il coraggio di effettuare, voi democristiani europei, voi conservatori europei voi socialdemocratici di destra europei! siete stati voi, gli uni o gli altri, al potere in Europa in questi vent' anni e da altrettanto tempo ci avete raccontato che queste elezioni volevate farle, che eravate sul punto di farle. ed invece le fate solo adesso, e con questa prudenza! ma in materia, Altiero Spinelli e altri hanno già sottolineato la miseria e la meschinità, in fondo, di quel che ci si offre. come evento storico per noi, comunque, va bene . riteniamo, in realtà, che la Riforma (quella con la erre maiuscola), che la rivoluzione, significhino un millimetro ogni giorno nella direzione giusta, e non metri o millimetri in quella sbagliata o l' attesa di chi sa quali occasioni miracolose. il chiamare il paese, la gente, per un giorno, per una sera, a votare per un Parlamento europeo significa comunque un colpo contro coloro che non possono non difendere lo specifico nazionale che esiste in Italia. e il nostro specifico nazionale è un' Italia corporativista, uno Stato corporativista che vi siete creati senza nemmeno accorgervene, che vi frana da tutte le parti, perché è proprio bottaiano e corporativista, perché è sempre « pluralista meno qualcosa » , lottizzato e non laico, democratico, moderno, articolato, autogestito. lo specifico di questo nostro Stato è nella sua natura concordataria. ebbene, ogni millimetro verso l' Europa è un millimetro che ci allontana fatalmente dalla violenza provinciale con la quale avete potuto tutelare questo mondo in putrefazione, facendo putrefare, fino all' attuale disordine costituito, la nostra società nazionale. l' Europa è comunque un soggetto economico, industriale, di lotte proletarie, di lotte democratiche. noi diciamo « sì » perché deve essere quindi anche un soggetto istituzionale, all' interno del quale portare la nostra battaglia, all' interno del quale rendere ogni giorno almeno evidenti, attraverso una presa di coscienza popolare, le sconfitte democratiche di classe, le sconfitte sociali e civili che la vita d' Europa sta vivendo in questi decenni. quando diventerà evidente la mancanza, per il momento, di una alternativa democratica di classe, di modelli diversi di sviluppo, anche di una semplice ipotesi di reperimento dei fondi, delle possibilità stesse di creare uno specifico europeo, allora la coscienza della sconfitta potrà essere forse uno degli elementi che consentiranno un rovesciamento storico, verso vittorie democratiche e socialiste. senza ottimismi, quindi, sapendo che avremo dinanzi a noi, per attendere lottando, tutto il tempo che hanno dovuto attendere gli Ernesto Rossi e gli Spinelli prima di vedere gli USA socialisti d' Europa (dei quali il congresso del PDUP pur parlava nelle sue tesi congressuali), noi accettiamo questo appuntamento; probabilmente saremo puntuali — che ce lo consentiate o no, con i sistemi elettorali che state preparando, signor ministro degli Esteri , noi radicali, a questa scadenza, con i nostri obiettori di coscienza , con i nostri compagni spagnoli in carcere e con gli altri, con questa bandiera innalzata, di un' Europa nella quale si costruisca scientificamente la pace (cioè nelle sue strutture), nella quale la conversione in civili delle strutture militari sia uno dei pilastri della possibilità stessa di Governo e di Governo diverso e migliore. andremo, nelle prossime settimane, a spiegare questo voto, lì dove deve essere spiegato. lo spiegheremo ai nostri compagni che in Olanda e altrove si stanno preparando ad affrontare lo stesso voto, i compagni del partito socialista pacifista e del partito radicale nel Parlamento olandese, e i compagni svizzeri, i due o tre compagni svizzeri che adesso cercheranno di coinvolgere il Parlamento elvetico in questa opera, in questo appuntamento, in questa scadenza. troveremo dinanzi a noi delle difficoltà, che ben conosciamo. ancora una volta, a questo appuntamento mi ritrovo su posizioni in parte vicinissime a quelle di Altiero Spinelli, in parte molto lontane: vicinissime per questo atto dovuto e necessario, ma non sufficiente, ma con tutta la distanza che c' è tra chi, come Spinelli, punta tutto sullo Stato federale per la politica di potenza che egli si illude consenta, e chi, come noi, interessato allo Stato federale , perché siamo federalisti e perché ci interessa battere, anche in questa occasione, l' illusione di uno Stato europeo giacobino, centralizzato e accentrato che possa in fretta, con maggior fretta, riuscire a garantire storicamente alla società giustizia e libertà. illusione pericolosa che da socialisti libertari combattiamo e combatteremo. quindi; per un' Europa non solo federale ma federalista, per una alternativa socialista, pacifista, di disarmo, cioè di costruzione della pace e di costruzione di giustizia e, di benessere perché riteniamo opportuno conquistare con il Parlamento europeo un nuovo elemento di controllo e di contraddizione del potere, siamo lieti di poter annunciare il nostro voto favorevole al provvedimento che ci è sottoposto.