Marco PANNELLA - Deputato Appoggio
VII Legislatura - Assemblea n. 41 - seduta del 18-11-1976
1976 - Governo V Moro - Legislatura n. 6 - Seduta n. 477
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , la ringrazio soprattutto per la cortesia con cui invita i colleghi a sgomberare l' Aula. avevamo già fatto questa osservazione... signor presidente , mi consenta di dire, con tutta la stima che è possibile, e anche con un sorriso, che c' è stato un comprensibile lapsus freudiano da parte sua: il resoconto stenografico le dimostrerà che ella ha invece volontariamente invitato letteralmente i colleghi a sgomberare. comunque, signor presidente , sgomberi dell' Aula a parte, questa sera ci dovremo occupare un po' di sgomberi delle prigioni, sgomberi delle ingiustizie, sgomberi delle violenze di Stato che passano per atti di giustizia sempre più da trent' anni , da quando abbiamo approvato la Costituzione e da quando le leggi repubblicane, invece di adeguarsi alla Costituzione, continuano a vivere in direzione opposta, malgrado le lodevoli intenzioni o velleità che qua e là sono sorte all' interno dei vari governi che si sono susseguiti in questi decenni. credo che questa sera possiamo fare pertinentemente un' osservazione preliminare, che già avevamo fatto in un' altra sede, e precisamente in quella dell' approvazione del bilancio dello Stato . per quel pochissimo che ognuno di noi sapeva di democrazia parlamentare , delle grandi tradizioni della Destra, storica o democratica, per i parlamenti i momenti di discussione e di approvazione del bilancio dello Stato erano i momenti centrali del rito parlamentare. invece riscontravamo tutti, con diversi accenti, che durante la discussione e l' approvazione del bilancio dello Stato le nostre Aule sono vuote e che questi riti erano o sembravano compromessi nel loro significato proprio dal fatto che le Aule fossero deserte. altro mito, dello Stato borghese, altro mito che ci è stato tramandato dalla storia parlamentare è che la giustizia è — o sarebbe — il momento centrale, costitutivo stesso della legittimità dello Stato. questo perché la legge, essendo giusta, non è violenza di una classe contro l' altra, di un ceto contro l' altro, non è violenza delle istituzioni, perché la legge, essendo uguale per tutti, certa, rapida, indiscussa nei suoi principi, applicata dallo Stato con equità è evidentemente atto di giustizia, e non di violenza. ed invece, non appena abbiamo dato avvio — io credo — a questo tentativo di dibattito: sono cominciate delle cose strane, ma sintomatiche. in Assemblea demmo atto al Governo, non appena proponemmo noi una data, della celerità con la quale il Governo stesso propose a sua volta un' altra data, molto ravvicinata, per discutere questo problema drammatico della giustizia. il Governo ci propose, se non vado errato: la data del 25 novembre, perché il 18 novembre avremmo avuto un dibattito sul Concordato. nella conferenza, dei capigruppo, fummo pregati di accettare uno spostamento di date; ci si disse che il presidente Andreotti sarebbe stato indisponibile, oggi, 18 novembre, per venire alla Camera per un dibattito così impegnativo quale quello sul Concordato, e noi accettammo questa motivazione. sollevammo e solleviamo qualche dubbio per una coincidenza, dato che la nuova data — guarda caso ! — veniva a cadere 24 ore dopo la prevista discussione da parte della Corte costituzionale su un tema di particolare rilievo concordatario. ma accettammo, proprio perché noi riteniamo che la nostra opposizione non debba essere fiscale, cieca, stupida, ma debba semmai essere sollecitazione ad un confronto, ad un dialogo serrato, vero. accettammo quindi questa dislocazione diversa, e ci preparammo (come molti sono oggi pronti nelle carceri italiane e coloro che si stanno in questo periodo curvando sui problemi della giustizia) a questa data del 18 novembre, che ci fu proposta — ripeto — dal Governo. prendiamo ora atto che questo dibattito di tanto momento, di tanta importanza, così centrale nella teoria e nella storia della democrazia repubblicana, e comunque della democrazia politica, inizia a quest' ora tarda, in queste sfavorevoli condizioni, con le testimonianze di « sensibilità » testé fornite e dall' onorevole Piccoli e dall' onorevole Natta, testimonianze di sensibilità che possono essere giudicate in modo diverso, ma che indubbiamente tali sono, e che noi giudichiamo severamente. e quindi un' ennesima volta, onorevole presidente del Consiglio , da questi banchi si tenterà di far capire ai cronisti parlamentari, se ci saranno, all' opinione pubblica , che noi riteniamo non del tutto marginali alcuni atti di stile che ci vengono dal suo Governo, e che sono quelli dell' ascolto, dell' attenzione, del tentativo, almeno, di dimostrare che il Governo, il presidente del Consiglio , il ministro della Giustizia (al contrario del ministro dell'Interno ; puntualmente, lo sottolineo! avvertono, in fondo, anche l' importanza sostanziale della formalità del rito al quale tutti quanti cerchiamo di partecipare, e che cerchiamo di celebrare. noi chiederemo, signor presidente , che questa sera ci sia solo l' avvio di questo dibattito, e che evidentemente lo stesso non si esaurisca nell' arco che va dalle diciotto alle ventidue di questa sera, per non sottrarre al paese ogni possibilità di informazione ed a noi stessi ogni seria possibilità di dibattito, di confronto delle rispettive posizioni. potrei sottolineare che affronto adesso il merito della nostra mozione, del nostro dibattito non avendo ancora letto, ed avendola solo scorsa, la mozione della Democrazia Cristiana , perché ho avuto notizia della presentazione di questa mozione della Democrazia Cristiana , dell' onorevole Piccoli, solo un momento fa. prendiamo atto che a seguito della nostra iniziativa in questo momento alcuni atti ci vengono dunque dagli altri settori della Camera che, perlomeno, mostrano ancora una volta un omaggio formale alla verità: il che è sempre meglio di niente. la Democrazia Cristiana ha presentato la sua mozione, il partito comunista ha fatto altrettanto, i colleghi del gruppo liberale hanno presentato una loro interpellanza, nutrita nei concetti e nel merito, ed anche i colleghi missini hanno presentato una mozione. tutto questo è già un contributo al dibattito. mi si consenta, da socialista quale anche sono, di dolermi del fatto che, proprio su un dibattito di questo genere, una volta di più i compagni del partito socialista sono totalmente assenti da questa fase di presentazione delle mozioni, come da molti dei momenti di dibattito politico reale della nostra Assemblea. ce ne doliamo affinché il fatto venga superato, non per inchiodare chicchessia a responsabilità di qualsiasi natura. infatti è chiaro ormai che la tolleranza rispetto al diverso manca, anche in questo Parlamento. noi parlamentari radicali riscontriamo che il grado di censura di regime, il grado di falsificazione delle trasmissioni di massa e di informazione nei nostri confronti è molto maggiore oggi di quanto non lo fosse negli anni passati. certo — ed entriamo nell' argomento quando tre parlamentari radicali decidono che debbono prolungare la loro visita istituzionale in un carcere perché constatano, nell' esercizio del loro mandato, che nel carcere i diritti costituzionali sono violati, che la legge non è realizzata e chiedono che quella constatazione venga fatta dall' Esecutivo, dinnanzi a loro e con loro, e dal procuratore generale , dal procuratore capo, si appellano ad un dato formale e riescono a fare, certamente: ma in parte, « notizia » . ma la notizia qual è? la notizia consiste nel fatto che vi sono dei parlamentari radicali che, nell' esercizio della loro funzione parlamentare, nel rispetto di uno degli strumenti che hanno il dovere di usare, vale a dire la visita di controllo agli stabilimenti carcerari, pongono il problema della finalità istituzionale di questi generali che visitano i reparti dell' esercito, arrivando preannunciati per la mensa della domenica, con il dolce bell' e fatto, assaggiano e se ne vanno via. i deputati radicali, invece, arrivano all' improvviso, vanno per constatare se è vero che anche in quella fattispecie accade che due terzi dei detenuti, ristretti in quel carcere, sono detenuti in attesa di giudizio con presunzione costituzionale di non colpevolezza e in espiazione anticipata della pena; vanno in quel carcere per constatare e per far constatare in modo formale e notarile, tale che non diventi una cosa che si fa per statistica appresa o per campagna giornalistica o, ancora, per doglianza degli interessati, che in quelle carceri alcune delle realizzazioni, non della riforma carceraria di due anni fa ma di trenta, quaranta anni fa, non sono state fatte; per constatare che nel carcere delle Murate di Firenze una rivendicazione urgente e necessaria, signor presidente del Consiglio , è quella del diritto al bugliolo, diritto che anche nelle prigioni borboniche probabilmente era assicurato. abbiamo visto delle celle di piccolissimo perimetro, poste fra una finestra senza vetri ed una porta munita di spioncino molto largo e contenute fra le due linee che corrispondono alla finestra ed alla porta, senza nessun servizio igienico. nel freddo, nell' inverno, se il detenuto — e vedremo quale detenuto — si sente male ed ha bisogno di ricorrere ai servizi igienici con urgenza perché malato deve chiamare: « comandante! » (perché così si chiama nel carcere), in attesa che la guardia carceraria (che ha solo tre, quattro o cinque ore di sonno, anch' essa sfruttata come il detenuto, il quale non comprende come quell' altro, spesso, sia vittima quanto lui e come, in questi regimi di classe, si riesca storicamente a realizzare l' odio del misero contro il misero, del povero contro il povero, sicché « i polli si becchino fra di loro » , in attesa — dicevo — dell' arrivo di una guardia carceraria, del « comandante » che è assonnato e che teme una simulazione, uno sgarbo. e dopo un' ora questi va ad aprire la porta perché il detenuto, avendo mal di pancia , possa andare a 70-80 metri da lì per fare i suoi bisogni. e allora cosa si fa, signor presidente del Consiglio ? cosa si fa, signor ministro di grazia e Giustizia? come si vive la notte in quel carcere a Firenze? il sottosegretario per la giustizia ed amico, onorevole Speranza, è di Firenze, l' onorevole La Pira è di Firenze, « luogo di civiltà » . cosa succede allora nel nostro Mezzogiorno? cosa succede in Sicilia? cosa succede a Caltanissetta, a Riesi, a Nuoro? cosa succede dove abbiamo qualche raro rappresentante non assuefatto a queste realtà storiche, se quello che vige nel carcere delle Murate è il dovere, la necessità, l' obbligo da parte del detenuto di deporre i propri escrementi sul pavimento della cella, di fianco al suo letto, aspettando l' indomani mattina per ramazzare o raccogliere con un pezzo di giornale, se la ha, questa roba, per fare così la pulizia della cella? ho adoperato la parola « diarrea » in quest' Aula, volutamente, per sollecitare questo dibattito. indecorose non sono certe parole; è indecoroso che nel Parlamento repubblicano, dopo trent' anni di Repubblica, queste cose devono essere. ed è indecoroso — me lo consenta il deputato, il collega ed anche amico Pennacchini — che la mozione che ha come primo firmatario l' onorevole Piccoli (e non vedo qui nemmeno lui: ha votato e se ne è andato, come volevasi dimostrare ) e come secondo firmatario l' onorevole Pennacchini, inizi in questo modo: « la Camera, nel ribadire come essenziale e vitale » — ci siamo! — « per lo Stato democratico » — benissimo!, che cosa? che cosa è essenziale e vitale? — « il problema di un corretto funzionamento delle strutture giudiziarie... » . anche questo è un lapsus freudiano : l' avete scritto nella vostra mozione che quello che è vitale per il vostro Stato è il permanere del problema del corretto funzionamento, non la sua soluzione, il suo superamento. l' avete scritto: « il problema di un corretto funzionamento delle strutture giudiziarie, quale garanzia di una imparziale amministrazione della giustizia » . il fatto più urgente che sentite passionalmente sarebbe l' imparzialità della giustizia. bene! ed allora, visto che anche voi, sull' onda della nostra, avete presentato una mozione, io che sono poco esperto, credo, di tradizioni e di linguaggi parlamentari, trovo ugualmente, mi pare, una nuova forma di mozione che, nella vostra rigorosa fantasia, così aderente alla copertura della realtà che volete mantenere pur dicendo di volerla modificare, si conclude, anziché impegnando il Governo a fare certe cose, con le seguenti parole: « la Camera,... esprime il proprio intendimento di agevolare in ogni forma possibile le iniziative del Governo e dei gruppi parlamentari volte... » . la Camera, cioè, approvando la vostra mozione, impegnerebbe se stessa ad aiutare il Governo a fare le sue cose. ma c' è bisogno di una mozione, onorevole Pennacchini, per far ciò o non è questo il suo, il mio dovere di ogni momento? c' è bisogno di stabilire con mozione che la Camera si impegna ad affrontare certi problemi? ma il problema non è forse un altro? non avete voi votato il nuovo ordinamento carcerario? la Camera ha dunque fatto il suo dovere legislativo! sono allora i governi a non attuarlo; e voi dovete impegnarvi ad attuare le leggi che fate. quando le leggi non vengono attuate impegnate voi stessi o noi stessi ad aiutare i governi a fare che cosa? l' unico modo che il Parlamento ha di aiutare un Governo è di bene legiferare e controllare che le leggi vengano attuate. controllare come? continuando a deplorare, continuando a deprecare, continuando a recitare la litania stucchevole che leggiamo su tutta la stampa di destra e di sinistra sulle condizioni carcerarie vergognose, sulla denegata giustizia, sulla vergogna dei manicomi giudiziari, sulla vergogna dei diritti alienati, sull' omosessualità violenta nelle carceri, sulla droga nelle carceri? sappiamo tutto e anche più di quel che è vero, perché ormai quasi uno spirito morboso si manifesta in tutto questo! ormai abbiamo bisogno per la nostra buona coscienza di recitare ogni giorno il rosario dei peccati della democrazia e della Repubblica per poter continuare poi a peccare il giorno dopo; e con la recita del rosario e quindi l' indiretta richiesta di assoluzione mantenere la situazione quale essa è. è questo, credo, il problema che dobbiamo porci. e l' aiuto che vogliamo e intendiamo dare al Governo, perché intendiamo e vogliamo darlo al Governo, sicché poi sia chiamato ad adempiere dei compiti, sia chiamato a rispondere di un sodisfacimento dei compiti, deve essere quello di atti legislativi e di controllo chiari. qual è la situazione dalla quale dobbiamo uscire? direi che io pongo, a me innanzitutto, ma al collega Pennacchini e ad ogni altro, un quesito che potete anche ridurre a questo punto ad un quesito quasi di dottrina o di scuola, di teoria: nel momento in cui la legge fondamentale, ma non solo quella (la legge più semplice, la più umana, la più vera e la più chiara, magari sbagliata o no) è per decenni non attuata, nel momento in cui un democratico pensa e sa che, dietro gli astratti problemi di libertà e di diritto, vi è poi sempre il corpo storico — se non vengono rispettati — di sofferenze materiali, di sfruttamenti materiali (ecco perché è dozzinale ed imbecille questa storia dei diritti civili come un settore sontuoso e di lusso in una società opulenta , e non quello di una società che ha problemi economici e sociali da affrontare). il problema del diritto civile è innanzitutto il diritto civile alla vita, alla salute, ad una legge sicura, ad una legge giusta, al rispetto della sua propria legalità da parte dello Stato che ce la impone, è il mio diritto di lottare secondo Costituzione, non delegando — poiché nel paese non è possibile lottare liberamente — alle burocrazie di classe la possibilità di lotta solo al vertice, per mutare i dati di classe del paese, ma rivendicare alla base, nel momento sindacale, associativo, nelle piazze e nei marciapiedi, lì dove la democrazia vive o non vive, se non si viene dall' agorà, dalla piazza, dalla vita di ogni giorno, dall' umiltà, dai discorsi intorno ai deschi, come si diceva una volta (se ci sono, attorno alla triste televisione come più probabilmente oggi accade), se non ci viene da questo una democrazia non è partecipata, è non democrazia. ed è allora che cosa? scissione tra il suddito che subisce e i vertici, di sinistra o no, che consentono che essi siano sudditi o lo vogliono e subiscono. il quesito è questo: in queste situazioni cosa un rappresentante del popolo e della nazione deve fare? ha approvato una legge o i suoi colleghi hanno approvato delle leggi di fondo, sulle quali lui pur non consentiva. se queste leggi non sono attuate, se queste leggi non sono rispettate, se queste leggi si traducono in sofferenza, queste leggi si traducono in violenza dello Stato contro la legge e contro la persona. e per noi il fascismo non sono i teppismi di questo o di quelli: la cifra fascista è la violenza delle istituzioni, la violenza pubblica. il fascismo di Dumini non è che di Dumini. il fascismo di Dumini, dei teppisti fascisti possiamo albergarlo tutti nelle nostre file, in momenti di esasperazione e di inquinamento della nostra realtà. il fascismo era una cosa grande che ci ha ammazzato nei nostri ideali per trent' anni , era lo Stato etico , era Giovanni Gentile, erano le grandi riforme di Alfredo Rocco : erano queste cose che hanno avuto tragicamente ragione contro le nostre speranze, che hanno ammazzato la speranza socialista per trent' anni e ne hanno avuto la forza. perché? che cosa deve fare un parlamentare repubblicano quando, malgrado la riforma carceraria , malgrado la legge e la Costituzione, vede che in quelle celle delle Murate e di altrove si trovano soltanto i detenuti poveri? infatti i detenuti mafiosi, ricchi, quelli che esercitano sempre, in connubio con i direttori delle carceri, con i rappresentanti della violenza dello Stato, la violenza delegata all' interno dei grossi delinquenti, dei mafiosi, della « ndrangheta » (che sono i veri delegati del potere per l' ordine nel carcere,) hanno nelle loro celle — ed io l' ho visto — anche la carta, da parati. chi è che sta nella cella, dove non c' è nemmeno la possibilità di fare i propri bisogni, come si dice, se non il cittadino povero, il cittadino « detenuto per avvocato d' ufficio » ? onorevole ministro della Giustizia , nel suo passato recente ella ha dato troppi segni indiscutibili di sensibilità giusta nella direzione giusta perché per noi non sia possibile e doveroso il piacere di sottolineare che ci possiamo rivolgere ad un ministro democristiano sapendo che a livello personale incontriamo quanto meno la sua comprensione e la sua onestà di comprensione. lo facciamo volentieri, perché credo che se di una cosa abbiamo bisogno, questa è il rispetto per i nostri avversari, perché anche di questo stiamo politicamente tutti morendo: del fatto che ci convocano qui in Aula come mandrie al momento del voto, senza alcun rispetto dei dibattiti, degli avversari. si è teorizzato il fatto che nel momento dei dibattiti si sta nelle Commissioni e che si viene poi a votare secondo ordine; si è teorizzato il distacco fra la moralità del dibattito, fra il capirsi e l' intendere la conseguenza del voto; ecco di che cosa andiamo impazzando qui con i nostri sgomberi e le altre cose! ma il quesito ritorna: che cosa dobbiamo fare, quando vediamo appunto lo Stato morire perché diventa assassino, morire perché diventa violento, morire perché uccide la sua vostra legalità: di voi maggioranza, non la nostra, perché non facciamo ancora « diritto » , e la nostra di classe, la nostra di libertà della quale avremmo il diritto in qualche misura di vedere forse più presente? che cosa dobbiamo fare? ed allora è stravaganza, allora è calcolo, allora compagni comunisti, è mancanza di serietà, di buon gusto, come mi rimproverava ieri il compagno Gian Carlo Pajetta, che ci si ricordi che prima ancora che essere compagni, prima ancora che essere deputati comunisti, o deputati radicali, si debba, essere comunisti o radicali deputati? e invece che in trent' anni avevate perso l' abitudine di andare, nelle carceri, come avevate il diritto, tutti i giorni a vedere, a verificare chi, perché, come vi si trovasse? a verificare chi? i detenuti comuni, che sono i veri detenuti di classe, i veri detenuti politici ... perché il detenuto politico , il compagno che va, dentro perché, militante, protetto dalla grande forza borghese che noi sinistra abbiamo acquistato nella nostra società. se un nostro compagno militante, extraparlamentare o di sinistra, si muove, ebbene abbiamo non solo i Terracini, abbiamo anche l' intellettualità corriva che molto spesso firma qualsiasi cosa pur di darsi buona coscienza a buon mercato per la sua lauta posizione nelle industrie culturali, radicali o socialiste, per poter almeno dire: ho firmato a favore dei compagni extraparlamentari che stanno in carcere. ma i veri detenuti politici sono i detenuti di classe, quelli che non sanno di essere detenuti politici . il loro reato è spesso quello di avere l' avvocato di ufficio e non di fiducia. di questo si è detenuti in Italia! e perché questo? sono i problemi relativi alle strutture? certo, non per la prava volontà di questo o quel magistrato fascista il quale, avendo tante domande di libertà provvisoria, va a scegliere la libertà provvisoria per il ricco e dimentica quella del dossier del povero. non per questo, ma perché i meccanismi della nostra giustizia sono nel senso che l' avvocato di fiducia è pagato e quanto meglio è meglio è pagato. più importante è, ed ha un suo studio: per « andare dal giudice » ci va lui ed i suoi aiuti o procuratori sono pagati in primo luogo per andare a dissotterrare le pratiche con le quali si richiede la libertà provvisoria, se si è detenuti; per mantenerle sepolte se si è liberi. poi si sostiene che la restrizione di libertà per mesi e mesi, per un processo che non viene, è in relazione alla colpa del detenuto; mentre più spesso è colpa dello Stato, è incostituzionale quella detenzione in condizioni di presunta non colpevolezza. che cosa fa, cosa deve fare un parlamentare in queste occasioni? « occasioni » che durano per generazioni intere? noi abbiamo tentato di rispondere a questa domanda; stiamo esplorando. non sono stranezze, onorevoli colleghi . siamo andati in un carcere ed abbiamo fatto una visita e la visita la si è fatta come si doveva, riscontrando le cose. Mellini, Faccio, Bonino, hanno chiesto al Governo, al procuratore generale , di andare anch' essi a constatare. vi è anche un obbligo di constatazione. e, in attesa che i magistrati facessero quello che normalmente si fa con un detenuto qualsiasi, sono rimasti. signor ministro, posso parlare senza svelare segreti d' ufficio. mentre il presidente della Camera e il ministro di grazia e Giustizia si preoccupavano di meglio comprendere e di raccordare in qualche modo delle possibilità di dialogo dinanzi a questo fatto un po' inedito e nuovo, difficile da capire, nello stesso tempo un direttore generale del ministero della Giustizia (ecco l' emblema: se per un momento nel potere vi è gente che si muove in direzione umana, in quel momento l' amministrazione, che la segue quando si muove, come Reale, magari in modo disumano. non la segue più); mentre, dicevo, il ministro di grazia e Giustizia spendeva le sue domeniche e le sue ore di lavoro e non cercando di comprendere questi strani parlamentari, e mentre il presidente della Camera spontaneamente, non sollecitato, con il senso di responsabilità che lo contraddistingue, cercava di capire come mai ciò avvenisse, pensando che forse non era per puro masochismo che queste donne e questo uomo, questi deputati restavano in carcere, non era per amore esibizionistico; vi era un direttore generale , Altavista, che si preoccupava di ordinare — e a me personalmente l' ha confermato, signor ministro — che non venissero date le coperte durante la notte alle due parlamentari ed al parlamentare perché, tanto, potevano uscire quando volevano e quindi, se volevano stare al freddo in carcere, il problema era solo loro. quanto eloquente di una mentalità di un « potere » ! parlando sul bilancio abbiamo detto che fra i problemi di questo e di qualsiasi altro governo di questo tipo v' è il fatto che, se l' amministrazione viene usata in senso autoritario, di difesa del privilegio, classista, violento, essa funziona. il Governo Andreotti, nel 1972, aveva certo mille possibilità in più di essere obbedito e seguito dall' amministrazione, essendo un Governo di centrodestra o di destra, rispetto a quello attuale, che viene sospettato di non esserlo più visto che è sostenuto solo dalla forza del partito comunista italiano nel paese e dai voti che vediamo dati in questo Parlamento da quasi tutta la sinistra. chi sostiene nel paese il Governo (ultimo esempio: nella sua politica internazionale . sul trattato di Osimo ne vedremo delle belle) non è la Democrazia Cristiana , tormentata, divisa per correnti, ma è il gruppo comunista, che sa imporre i tempi e i modi in quattro e quattr' otto . « bisogna entro dieci giorni votare sul trattato di Osimo » , in Commissione affari esteri , e sa dare ordini in questo senso, sa muoversi con speditezza. così a livello di misure economiche e finanziarie; così, un momento fa, consentendo subito, prontamente, al preordino di sgombero dato dall' onorevole Piccoli per questa fase di dibattito, con l' immediato appoggio dell' onorevole Natta. perché, compagni del Pci, non usate questa forza e determinazione, anche per risolvere davvero i problemi della giustizia? dobbiamo trovare nuovi modi di lavoro e azione. continueremo intanto ad andare nelle carceri. è inutile? forse la maggioranza dei nostri parlamentari ignora, signor ministro della Giustizia , che i parlamentari non erano entrati in carcere per rivendicare la libertà per il medico radicale Conciani. le loro richieste erano invece altre, e sono scritte: un accenno di soluzione, qui ed oggi, al problema costituito dal fatto che i due terzi dei detenuti sono in attesa di giudizio, il problema di una qualche misura da annunciare per cercare di invertire questo corso; il problema della libertà provvisoria; il problema dell' attuazione della riforma carceraria . e restarono lì uno, due, tre, quattro giorni, cercando di fare qualche cosa, di sollecitare qualche cosa. effettivamente è poi accaduto qualche cosa, signor sottosegretario Speranza, nella sua Firenze, qualcosa di molto importante: non dico post hoc ergo propter hoc , ma... non dico la libertà a Giorgio Conciani, ma dico il fatto clamoroso dei dieci sostituti procuratori di Firenze che si sono riuniti e, unanimi, hanno stabilito che non useranno, se non in casi di eccezionale gravità, del mandato di cattura laddove la legge ve li costringe, e che esamineranno con nuovo spirito, nel senso più liberale possibile, fino ai limiti, appunto, della legalità, le richieste di libertà provvisoria. con quale motivazione (questo è importante!)? poiché — dicono i magistrati fiorentini — i diritti costituzionali e le caratteristiche ideologiche, dottrinali, costituzionali, morali, filosofiche, politiche e civili della detenzione non vengono assicurati nelle nostre carceri; poiché, quindi, con i nostri mandati di cattura, i nostri mandati di arresto, non creiamo quel processo di giustizia, di redenzione, di tutela degli interessi della giustizia contro gli inquinamenti delle prove ma, in primo luogo, creiamo violenza, noi mutiamo, in questo senso, la nostra opera di magistrati. ecco un dato importante! non chiedevamo, certo, molto di più; era quello che chiedevamo. e da Firenze è venuta questa indicazione, questa assunzione di responsabilità da parte dei sostituti procuratori. ne sia qui loro dato atto e reso grazie. quel che ci cominciamo a chiedere, allora, signor presidente , signor presidente del Consiglio , signor ministro della Giustizia , è appunto se non esistano per avventura, possibilità non espletate anche di interventi del Governo e dell' Esecutivo in zone e perimetri di propria competenza, che non intacchino in nulla l' autonomia giudiziaria, per cui sia possibile consentire al magistrato, nella sua autonomia, di non essere necessariamente creatore di violenza e di ingiustizia; di non essere creatore, obbligatoriamente, di sofferenze da parte del possibile innocente, condannato all' espiazione anticipata di pene che probabilmente o forse non gli saranno inferte. il quesito si precisa ancora: cosa fa il deputato, di questa Repubblica dinanzi ad una patente situazione di restrizione incostituzionale, della libertà? onorevole Bozzi, lei poche sedute fa, disse: noi liberali preferiamo, magari, rischiare di morire di serietà, piuttosto che intaccare un certo stile. credo che, degli stili sia come delle idee, Benedetto Croce diceva che, in certi momenti storici, difendere le forme morte delle idee, di libertà, significa molto spesso schierarsi, dalla parte di coloro che la libertà non sanno creare e non vogliono creare. lo stile è anche ricerca, di stile, il gusto è formazione di gusto! ed allora se in un parlamentare dell' Italia « cavouriana » o in un parlamentare di un parlamento anglosassone la compostezza può essere ancora lo stile giusto, quello di sedere come venerandi padri della patria (come momenti che esprimono la dignità dello Stato), quando nella vita di ogni giorno dobbiamo constatare che lo Stato è violenza e che la legge non è applicata, che la giustizia non è difesa ma è difeso il disordine costituito dei meccanismi legislativi, qual è la ricerca da fare, quale lo stile adeguato? possiamo continuare in una certa maniera? ne sono consapevole è un problema grosso anche, di semiologia ma innanzitutto di responsabilità di fronte al diritto da creare o da far rispettare, il che è poi lo stesso. dico sempre che ammiro il compagno Berlinguer, il quale è nocchiero di noi tutti e che, sicuramente, in questi momenti di tempesta riesce a stare al timone facendo gli stessi gesti di serietà che farebbe se il mare fosse piatto: è composto, serio, attaccato al timone. in certi momenti, però, mi viene il dubbio che compiere e avere i gesti di questa « serietà » e, della compostezza, come se il mare fosse piatto, quando c' è tempesta, forse significa avere un grano di follia. forse un grano di follia in tutto questo c' è, quanto meno un grano di imprudenza, un grano di irresponsabilità, un grano di inadeguatezza. chi — amico onorevole Bozzi — avrà dimostrato di amare di più la speranza nello stato di diritto e di difenderla nel cuore degli altri e nella dinamica delle lotte sociali, noi che stavamo qui a Roma, quel giorno, o Bonino, Faccio, Mellini che, da deputati — da deputati, badate bene! — andavano a fare le cose che è trovata. ma, forse, una riflessione va fatta se vogliamo comprendere come mai — ci dice la mozione comunista (molto meglio fatta, al solito, della nostra) — « la giustizia italiana è in dissesto » . « lo stato di dissesto dell' amministrazione, della giustizia, in tutte le sue articolazioni, tende ad aggravarsi sì da pregiudicare la legalità repubblicana » . allora, dobbiamo di nuovo parlar chiaro (anche alla nostra parte politica ). la differenza fra democrazia e dittatura è che, mentre in dittatura il responsabile delle cose che accadono in una società è solo il Governo dittatoriale, in regime di democrazia politica l' opposizione è responsabile quanto il Governo di quello che accade a livello storico, alla media e alla lunga scadenza. infatti, la funzione dell' opposizione in democrazia è immensa; enormi sono le prerogative e le possibilità dell' opposizione. ecco perché credo che non abbiamo il diritto di inchiodare solo la Democrazia Cristiana , il Governo e queste maggioranze, alla responsabilità storica determinata dal dissesto di una giustizia che, invece di essere quella dello stato di diritto , è quella, sempre più, della violenza di una parte, della classe, del disfacimento delle nostre istituzioni, della tutela cieca e violenta del disordine stabilito. lo abbiamo visto in modo lampante attraverso le vicende delle ricerche della verità processuale, sui grandi processi per le stragi di Stato , in cui la Corte di cassazione funzionava da Cassazione di ogni giustizia anche futura, spostando i processi da tutte le parti pur di non farli svolgere. credo che la responsabilità sia stata e sia, in primo luogo, della sinistra, ancora una volta. nessuno di noi poteva aspettarsi una giustizia diversa dalla Democrazia Cristiana e dai centri, sinistri o destri, che si sono susseguiti in questi anni. ne è testimonianza il ministro socialista Zagari, che ha cercato di fare e non ha potuto fare. l' illusione, tutta togliattiana, di una Democrazia Cristiana che, se sceglie politicamente alla sua sinistra è progressista e magari serve l' emancipazione e la lotta delle classi, eccetera, e se va a destra è, invece, reazionaria, è una illusione che oggi pagate e paghiamo tutti in modo molto caro: quello di non avere voluto, nella prassi, in effetti esprimere la realtà della lotta delle classi, che è lotta di alternativa di classi, di potere, di cultura, di prospettive e di classi dirigenti . e come mai si è giunti, con la più forte, sinistra che c' è in Occidente, alla disfunzione e al dissesto della giustizia italiana? la domanda, credo, diventa lecita, anche se innervosisce qualcuno. non pensavo a te, compagno Coccia, ma avrei dovuto pensarci: hai detto che non resisti: « buono sgombero » anche a te! tu non resisti proprio per il motivo sul quale sto insistendo. quando un Parlamento ha avuto centinaia di deputati socialisti e comunisti, liberi, anzitutto, di fare quello che volevano da venti o trent' anni , e ora li vede dover venire qui, oggi, a discutere una loro mozione in cui si parla di dissesto della giustizia, che cos' altro è, questo, se non la constatazione del fallimento anche della propria azione politica? quando si è voluto fare grandi battaglie, quando sul problema del partito americano e russo si è ritenuto che bisognasse drammatizzare la lotta politica nel paese, si sono mobilitate le piazze, si è chiamato alla rivolta. ma, dinanzi al golpe continuo e strisciante di una giustizia non costituzionale, di una giustizia di classe, cosa si è fatto, se non dolersi, mese dopo mese, legislatura dopo legislatura? noi non siamo disposti a far questo. diciamo chiaramente che se si pensa che il contributo che può venire dai radicali è quello del dolersi perché gli altri non fanno, si tratta di un contributo che noi non daremo. ne daremo un altro, che vuole essere anche un contributo secondo la ritualità di questa Camera, ma che non si limiterà certo a questo. a loro non sarà sfuggito, signor ministro della Giustizia e signor presidente del Consiglio , che per quel che riguarda la riforma carceraria nella nostra mozione individuiamo, mi pare, una sorta di dovere di iniziativa del Governo, che il Governo non ha avuto: ed è lì dove sottolineiamo un aspetto che al solito, ci riporta poi ad un altro, ancora più grave, della situazione italiana. sappiamo che la Costituzione prevede il decreto legge in certi casi. sappiamo — e tutti lo ripetiamo con assuefazione — che in realtà ormai i decreti legge si fanno in ben altre condizioni, o che comunque non sono più lo strumento straordinario di Governo, ma uno strumento ordinario con il consenso, badate bene, pressoché unanime del Parlamento. mi sembra, difficile sostenere che oggi, in termini di passi, l' uso dei decreti legge corrisponde alla previsione del Costituente e a quello che è scritto nella Costituzione (che poi la violi in modo flagrante o no è un altro problema). ma sta di fatto che la Costituzione prevede per il Governo, in casi di necessità, di straordinarietà e di urgenza, il dovere dell' uso del decreto legge . e allora è un problema, ancora una volta, forse di dottrina che poniamo; è ancora un interrogativo di prassi diversa da creare. ma quando un Governo non è mai autorizzato ad usare il decreto legge come sua manifestazione di — responsabilità anche nei confronti del Parlamento se non quando esiste una legge del Parlamento, votata nella sua responsabilità e nella sua sovranità dal Parlamento, che dice per esempio: fate la riforma carceraria ? a questo punto, a mio avviso è un atto dovuto quello di dire: il Parlamento ha detto che bisogna fare la riforma carceraria , di farla in questo modo (perché la legge era precisa), garantendo queste e queste altre possibilità, e allora ecco un decreto finanziario di attuazione. certo, ormai — l' ho letto nella mozione democratico cristiana — è un' usanza giuridica sempre più diffusa e dilagante quella per la quale non esistono più leggi perentorie. le leggi sono perentorie solo rispetto al ladro di polli ; le leggi sono perentorie solo in termini di classe; la legge è perentoria per il « piccolo » , (tra virgolette), delinquente ma non è mai perentoria — sembra — , è sempre ordinatoria, è sempre indicativa di un indirizzo da seguire, la legge per lo Stato, per il momento pubblico, o sempre di più. e invece nella mia interpretazione, che sarà per voi viziata da molti eccessi ma che credo abbia dalla sua una certa logica, il Governo potrebbe invece a volte sottolineare magari l' incapacità tecnico-legislativa dei parlamenti che in un determinato caso abbiano approvato una legge demagogica oltre il possibile, dando corso all' attuazione di quella legge, e il dovuto corso anche finanziario, attraverso atti che poi devono essere ricondotti alla responsabilità primaria del Parlamento. altrimenti quando arriveremo? qui vengono fuori delle responsabilità più precise del Governo. non vorrei che il signor presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia pensassero che noi parliamo qui unicamente per regolare dei conti all' interno della sinistra. proprio perché facciamo i conti in casa nostra, a questo punto dobbiamo pure individuare quali sono i momenti di responsabilità istituzionale diversa che gli uni e gli altri, dal Governo e dal Parlamento abbiamo. il ministro della Giustizia , mi pare al momento del dibattito sul bilancio, ci annunciò che ci sarebbero state variazioni di bilancio. si riconobbe infatti che la percentuale della spesa assegnata alla giustizia era probabilmente insufficiente. direi di più: non era solamente insufficiente: era un bilancio di ordinaria amministrazione e quindi di ordinario e aggravato dissesto, perché se il bilancio della giustizia oggi ha la stessa percentuale di 2, 3, 4, 5 anni fa, vuol dire semplicemente che il bilancio della giustizia è sempre più debole, vuol dire che la capacità di azione della spesa pubblica nella direzione della giustizia è sempre minore, lì dove tutti riconosciamo che abbiamo — lo sfacelo, invece di amministrazione di giustizia. e allora su questo bisognerà pure fare qualcosa, bisognerà pure prendere delle iniziative. si dice che occorrono 1.300 miliardi. ma confrontiamoci su questo, lasciateci la responsabilità (sappiamo a quante accuse di demagogia e di retorica ci esporremmo se si dibattesse di queste cose magari alla radio e alla televisione cercando di migliorarci insieme) che dinanzi ai mille miliardi che si danno all' aeronautica per essere sperperati a fini antisociali, alle altre migliaia di miliardi o altre spese, noi porremmo al paese anche l' interrogativo, magari a vostro aiuto, signor ministro della Giustizia , signor presidente del Consiglio , perché si comprenda nel paese quali sono le scelte che debbono essere fatte, poiché non si può volere tutto e il contrario di tutto . si difende una nazione, soprattutto in tempo di pace, continuando a spendere — al di fuori di piani difensivi e strategici, che non ci sono — migliaia di miliardi per mantenere purulenti apparati militari che producono poi ogni giorno, come vediamo, i Sid, i Sifar, le degenerazioni, o il nulla, da tutti i punti di vista . che cos' è la difesa nazionale di cui parla la Costituzione? si « difende » — e come? — un paese putrido al suo interno, il paese delle ingiustizie, il paese dei pensionati, dei disoccupati, dei morti di fame, una Repubblica fondata sul peculato, un paese dove non c' è il bugliolo nelle carceri? sarà questo un paese che potete anche armare delle più sofisticate armi atomiche , ma che è destinato a crollare al (deciso soffio della storia, nel momento in cui dovesse essere esposto ad attacchi interni o internazionali, quelli che voi dite di temere. queste cose dobbiamo dircele, dobbiamo dire che cos' è oggi, cosa presuppone, una difesa nazionale, se vogliamo poi ragionare anche in termini di razionale bilancio dello Stato . la nostra è una Repubblica che può essere evocata dai carcerati di oggi in termini forse peggiori di quelli con cui Gian Carlo Pajetta e gli altri compagni imprigionati sotto il fascismo evocavano le carceri di Mussolini. la ringrazio, signor presidente , e chiedo scusa: sto per terminare. dicevo che quel paese le cui carceri possono essere maledette con lo stesso stile e con le stesse parole con cui si maledicevano le carceri dei Borboni, o dei fascisti, o della monarchia, è evidentemente un paese in cui l' illusione della difesa nazionale dev' essere abolita: la prima difesa è infatti quella di essere, direi, un po' più cristiani, un po' più umani nella nostra politica e nel nostro modo di essere Stato, e di esserlo proprio li dove i diversi — i diversi strani, esibizionistici, soprattutto per questi banchi parlamentari — danno molto fastidio; i diversi rappresentati, dai drogati, sui quali si fanno le necessarie riforme, alle quali abbiamo costretto il Parlamento, e le si fanno poi male, perché si teme che i « drogati » che noi siamo, eccedano nell' indicare le cure. allo stesso modo, le leggi sull' aborto saranno peggio di quelle sulla droga perché da questa parte dalla sinistra; credendo di dare riconoscimenti al sentimento cristiano del popolo, si sta per legiferare in modo pessimo, sicché poi avremo le rivolte e nuovi lutti anche per l' aborto, dopo quelle per la droga. tutta questa nostra attività va male perché non si ha il coraggio di capire che in realtà le logiche apparentemente così lontane dei diversi sono le uniche vie ideali di unità, possibile nel rinnovamento di tutti noi. parlo di colui che comprende, dallo Stato e dalla violenza, anche di classe, dalla violenza del mafioso, quello che capisce dalla violenza della « ndrangheta » , quello che capisce dalla violenza dell' altro proletario, il detenuto italiano che ha coscienza politica non violenta, quello che oggi, signor ministro, in molte carceri sta digiunando, e credo davvero in questo momento quasi con un rito cristiano, propiziatorio, per questo nostro dibattito... abbiamo ricevuto decine di telegrammi. sospetto che alcuni sono stati mandati da qualche capo di un certo tipo a nome degli altri, ma so che molte decine sono stati mandati invece da gente che oggi ha forza di soffrire perché spera, liberandosi, di liberare gli altri; ama la propria libertà, perché capisce che nella propria rivendicazione di diverso c' è la libertà anche degli uguali che gli altri credono di essere. noi interverremo ancora in questo dibattito, attraverso gli altri parlamentari radicali. se, quindi, ancora una volta, mi sono limitato ad un intervento disordinato, di quelli che amabilmente il presidente del Consiglio ricordava (probabilmente per aiutarmi) che un tempo si chiamavano « di politica pura » , è per l' incapacità di farne uno migliore e di altra natura, trottole come siamo diventati, in quattro, fra una commissione e l' altra, fra una diversità e l' altra, nel tentativo di dare un contributo all' una e all' altra fase del nostro lavoro. ma nella nostra mozione, signor presidente del Consiglio , troverete segnato chiaramente l' itinerario culturale — se mi consentite — attraverso il quale arriviamo a individuare certe necessità di impegno, quello che ci consente e ci richiede di parlare di giustizia di classe, convinti come siamo di non praticare in tal modo alcun dozzinale pseudomarxismo ma convinti che questo aspetto della realtà sarebbe lampante anche senza il contributo miracoloso della scienza politica di Marx alla nostra cultura. questa realtà di classe, appunto, per la quale la giustizia è giustizia di classe e violenza, noi siamo decisi a colpirla, a combatterla. vi preghiamo di riflettere sulla via che vi indichiamo, quella di interventi che in qualche misura sollecitino iniziative come quelle che sono state prese (o ancora di migliori se è possibile, signor ministro) dai magistrati fiorentini e che forse avrebbero potuto essere in qualche misura auspicati e assicurati dal ministro della Giustizia , dai procuratori generali, da altri. ecco, non lo so, ma anche questo invito all' uso di decreti legge per attuare le riforme votate dal Parlamento io penso debba essere meditato, perché tutto non vada avanti come è andato fino adesso. la ringrazio, signor presidente , e le chiedo scusa di aver abusato del tempo regolamentare.