Emma BONINO - Deputato Opposizione
VII Legislatura - Assemblea n. 27 - seduta del 21-10-1976
Bilancio di previsione dello Stato; Rendicondo generale dell'Amministrazione dello Stato
1976 - Governo III Andreotti - Legislatura n. 7 - Seduta n. 27
  • Attività legislativa

signor presidente , onorevoli colleghi , onorevole rappresentante del Governo, già in Commissione lavoro da più parti, e non soltanto dalla mia (ricordo un intervento del collega Scalia, ad esempio), era stato notato come in realtà in sede di esame del bilancio fossimo chiamati piuttosto ad una discussione di tipo culturale o sociologico, ma non a una discussione di tipo politico, perché avevano notato come ci mancasse uno strumento fondamentale di lavoro. per questa ragione avevamo chiesto al ministro che ce lo facesse pervenire: mi riferisco al piano di riconversione industriale che, evidentemente, è un punto fondamentale di quella che è l' economia politica e la politica del lavoro che deve regolare la vita nei prossimi anni. non si può discutere costruttivamente di occupazione o di disoccupazione, di salute del lavoro, di tutela del lavoratore, della situazione previdenziale senza essere a conoscenza degli intendimenti del Governo sul piano degli investimenti. infatti, escluso questo tipo di strumenti, il bilancio che ci troviamo di fronte non è un progetto di politica del lavoro; semmai è un rendiconto notarile, tant' è vero che nessun collega intervenuto ha fatto specifico riferimento al bilancio. il dibattito è stato molto più culturale che preciso e puntuale sulle cifre. quindi, ci siamo trovati di fronte ad un rendiconto notarile, assai complesso ed anche incompleto. infatti, nonostante le ripetute richieste, anche da parte dei colleghi comunisti, non siamo riusciti ad avere — forse per nostra scarsezza — ad esempio i conti consuntivi dell' ENPAS, dell' Inail, dell' Inps, dell' Inam, dell' INADEL, nonché della Cassa mutua commercianti. o non li abbiamo trovati, oppure non sono mai esistiti, oppure ancora non ci sono proprio. allora era chiaro che l' impostazione per questo dibattito era di tipo culturale e di grossi intendimenti, e non di bilancio. in questo modo vengono fuori le ovvietà. dire che siamo in un periodo difficile, in un periodo di crisi non è certo sconvolgente, né porta a grossi confronti: infatti, siamo tutti d' accordo. inoltre, già da parecchi anni la gente sente parlare della necessità di fare sacrifici, della indispensabilità dell' una tantum di turno, che magari rischia di diventare l' una perpetuum (la strada mi pare proprio questa), nonché di una fantomatica ripresa della crisi economica , ripresa che mi sembra sempre più lontana. la ripresa, a mio avviso, è lontana non perché penso che l' Italia sia investita da una sorta di malocchio o perché abbia un certo destino stellare malvagio per cui si va sempre peggio, ritengo che il nostro andamento sia fallimentare perché da trent' anni si va sempre in una stessa direzione liberistica, con appendici parassitarie e clientelari incontrollate (quando non sono espressamente volute); si continuano ad usare gli stessi strumenti che si sono rivelati non idonei, e si persevera in questa direzione, oltretutto per scelta, per volontà e non per destino. il piano di riconversione e quindi gli intendimenti per i prossimi anni sul piano economico non ci sembrano sostanzialmente diversi dall' altro piano Moro-La Malfa , su cui è caduta la legislatura. forse quelli attuali sono un po' meno rozzi, forse la parola « licenziamento » non è proprio espressa: si è preferito usare o abusare della cassa integrazione guadagni che, specialmente nell' aspetto più degenerativo che è venuto man mano assumendo e che anche la parte più illuminata dei sindacati comincia a denunciare, poiché ne sta scorgendo il carattere di corruzione strisciante (con il doppio lavoro ed il lavoro nero ), ci sembra la versione ammodernata e solo apparentemente meno violenta dei cannoni di Bava Beccaris . non ci pare che sia sostanzialmente differente. la tristezza viene anche perché questo piano famoso viene a dodici, tredici anni di distanza da quello che è stato il tentativo di programmazione, esprimendone e codificandone però il fallimento. al di là dei limiti di quella che poteva essere la programmazione, aveva però almeno degli aspetti dinamici, volti a modificazioni di tipo strutturale e sociale. questo piano, invece, è la rassegnazione di fronte a quello che c' è e i grandi assenti mi sembrano proprio i principi di selezione. non è chiaro, cioè, che cosa non si deve più fare e che cosa si deve fare. non esiste alcuna indicazione vincolata — perché a livello di enunciazione di principi siamo sempre tutti d' accordo; come dicevo prima — e precisa su eventuali piani di settore. non è cioè assolutamente chiaro che cosa il Governo, a partire dall' analisi della situazione del paese, dai bisogni reali e primari del paese, intenda come prioritario. d' altronde , non si capisce neanche bene chi è il destinatario di questi fondi. e l' imprenditore? e allora con quali direttive? per produrre che cosa? da chi è decisa questa produzione (con i soldi dei cittadini tra l' altro)? oppure si tratta di una nuova classe dirigente (dato che le classi dirigenti sono sempre nuove)? ed allora andiamo a vedere che cosa si intende per nuove classi dirigenti per trovare le solite partecipazioni statali , i soliti Efim, EGAM, Iri, Eni, e avanti di questo passo, che, sempre per consenso unanime, sono ritenuti da tutti « mangiamiliardi » , voragini senza fondo. non si capisce per quali indicazioni siano diventati improvvisamente capaci di gestioni efficaci, di produrre una reale ripresa economica . a me sembra che ci troviamo di fronte ad una erogazione di fondi che può essere posta, non dico sul piano liberistico, ma su un piano di assoluta anarchia. manca, tutto sommato (perché non viene nemmeno vagamente delineata), la fisionomia finale dell' aspetto politico e sociale del nostro paese. partendo dall' esame forse insufficiente che siamo riusciti a fare, ci sembra che debba riscontrarsi l' inesistenza di un progetto di politica del lavoro. questo per due considerazioni fondamentali: da un lato emerge la prassi consolidata che vede in forma sempre più degenerativa l' intervento dello Stato e del Governo nel quadro del salvataggio dell' occupazione (perché questo si risolve soltanto con il ricorso alla cassa integrazione guadagni ); dall' altro lato, si evidenzia che questi interventi di salvataggio selvaggio — « comunque sempre » e « comunque ovunque » — si sono dimostrati fallimentari (e non ce lo stiamo inventando, perché la realtà è davanti agli occhi di tutti). mi sembra poi che si sia cercato o si voglia continuare a tradurre concetti di memoria keynesiana — mal capiti e sicuramente peggio applicati — che, quale che sia la impostazione dell' iniziativa del Governo, da soli basterebbero a creare degli effetti moltiplicativi della produzione e del reddito della nazione. noi siamo sempre stati visti dagli altri come « quelli dei diritti civili » , come coloro che svolgono un' azione settoriale o, magari, episodica, necessaria solo in particolari momenti della nostra condizione storica. devo dire che abbiamo cercato, in effetti, di esprimere dei modelli di vita o, comunque, una qualità di pensiero o, soprattutto, il concetto di rapporto civile o di rapporto Stato-cittadino; non ci siamo però mai dimenticati, né abbiamo mai trascurato, dietro questi obiettivi e queste lotte, la necessità invece di una revisione ancora una volta radicale dei meccanismi della distribuzione del potere, della detenzione della ricchezza e del ricatto che un regime economico ingiusto comporta... ed allora partiamo da questa constatazione: il bilancio che abbiamo sott' occhio è privo di quello che dovrebbe essere il suo carattere più significativo, e cioè del lavoro. il lavoro per produrre che cosa? l' occupazione per realizzare quali servizi? le forze lavorative per quali attività? partiamo dalla constatazione di fatto che noi siamo un paese povero , siamo un paese regolato da leggi ingiuste, siamo un paese in cui io credo che l' anarchia delle strutture economiche ha raggiunto fenomeni forse storicamente mai verificatisi dal dopoguerra, ma dove però la stessa nozione di ricchezza e gli stessi indicatori economici, che misurano il grado del nostro benessere, sono invece ingannevoli. se abbiamo seguito le vicende di questi ultimi mesi, vicende che hanno brutalmente sconvolto la nostra economia, non possiamo non rilevare — magari con ironia, perché ci — è congeniale, ma devo dire invece con grossa amarezza — la disinvoltura con cui il presidente del Consiglio è passato o ha ritenuto di dover passare da affermazioni salottiere, fatte in agosto, da inviti carichi di souplesse, con i quali ci invitava a limitare i nostri acquisti di orchidee, alla realtà invece di questi giorni; realtà che si esplica in un attacco all' occupazione senza precedenti e che, ha, indipendentemente dalla stessa strategia cosciente di chi la porta avanti, un solo significato, cioè ributtare le forze produttive dietro gli anni, dietro il 1968, paralizzare l' azione sindacale e creare un regime di restaurazione presessantottesca. vorrei che fosse chiaro che noi siamo ben lontani dall' alimentare qualsiasi forma di ottimismo nella possibilità di ripresa dell' economia italiana ; anzi in un certo senso è vero che l' economia italiana segue una logica fatale di avvitamento e di abbandono graduale, pur se rapido, delle posizioni acquistate nella graduatoria mondiale tra gli anni 50 e 60. questo ci è evidente. un punto che ci appare altrettanto chiaro è che circa la responsabilità di questa disgregazione del nostro apparato economico, soprattutto amministrativo, per lo stesso grado di inquinamento morale che ha trascinato all' inefficienza il complesso delle nostre strutture pubbliche, buon senso vorrebbe che non fosse chiamato a guidare la ripresa economica proprio chi, anche fisicamente ed anche come rappresentanza di interessi, si colloca proprio tra i primi responsabili del disastro del nostro bilancio. inoltre, al di là di quelli che possono essere i facili indicatori economici che parlano del reddito nazionale (assurdamente lo si calcola sulle seconde case balneari, sui chilometri di autostrade, sugli stipendi ministeriali, che sono ben altra cosa che indicatori di ricchezza, magari sono indicatori di sperpero — e su questo potremmo aprire un discorso — magari lo si calcola sul consumo di quei medicinali, che abbiamo consumato, ma che dopo un po' ci siamo accorti che erano inutili quando non dannosi, ma entrano anche questi nel calcolo, come entra nel calcolo del reddito nazionale la produzione dell' ICMESA, perché pare che anche l' ICMESA produca ricchezza nazionale, senza tener conto di quelli che sono stati i risultati) nel discorso mancano, a nostro avviso, alcuni valori che per noi sono fondamentali, cioè la salute, il verde, l' ecologia, la bellezza, la gioia e la serenità che nascono da un tipo di vita diverso, da un tipo di vita che ha altre garanzie. in questo senso noi siamo favorevoli e possiamo concepire benissimo una retrocessione nella graduatoria mondiale; possiamo anche rassegnarci alla crescita zero dello sviluppo della nostra economia e, al limite, ad una crescita negativa. il problema non sta qui; anzi, noi siamo convinti che una diminuzione del reddito nazionale , derivante da una diminuzione dei redditi individuali dei parassiti di Stato, non abbia in sé nulla di negativo: tutt' altro. anche una caduta verticale di una inutile politica di sviluppo autostradale e, credo, persino un ridimensionamento di quello che è stato l' asse portante della nostra politica di industrializzazione, cioè il settore automobilistico, potrebbe non costituire di per sé un fatto negativo. il problema reale, secondo noi, è arrivare ad una più civile identificazione dei bisogni della gente, dei bisogni dei pensionati, dei vecchi, delle donne, dei bambini. il nostro concetto è quello di una politica dell' occupazione che sia ricca di obiettivi che possono essere sentiti e goduti da tutta la collettività, e non soltanto e sempre da pochi. soltanto questo dà significato al rapporto civile; questo significa sentirsi cittadini, appartenere ad un paese. ma se: al contrario, la proposta che ci viene fatta e che poi è contenuta nei provvedimenti di questi giorni è quella classica di sempre, allora evidentemente possiamo esprimere il nostro dissenso. infatti, tutti questi sacrifici quale corrispettivo hanno? credo che a questo punto non possiamo non rivolgere con tristezza la domanda ai compagni comunisti. dobbiamo dire che ci stupiamo abbastanza, perché la risposta è soltanto quella di una difesa del loro doversi corresponsabilizzare di una politica oggettivamente antipopolare, quando dicono: « dobbiamo difendere le classi lavoratrici dall' inflazioni e » ; come se la natura delle misure adottate non fosse essa stessa ferocemente inflazionistica, perché gli aumenti indiscriminati e quelli che inevitabilmente ne conseguono arrecano a nostro avviso comunque un duro colpo al potere di acquisto dei salari delle classi più deboli. la realtà è che secondo noi i provvedimenti adottati, pur giusti in assoluto se gli intendimenti fossero diversi, così come sono non riscuotono più consenso e non hanno più efficacia. noi crediamo sia il momento di riprendere storicamente un discorso sul concetto della ricchezza del paese che abbia le sue discriminanti nella qualità delle sue componenti. cioè a noi preme vedere un paese, una collettività che presenti il massimo di armonia e il minimo di condizionamento. vorremmo una economia i cui meccanismi educhino la gente a scegliere e non la obblighino a comprare, un assetto sociale dove siano verificati i presupposti della massima diffusione di quei beni che Socrate diceva che « non si contano e non si misurano perché sono di tutti ed uno per averli non deve toglierli, agli altri » . noi vogliamo, cioè, una economia che finalizzi la sua efficienza alla diffusione della cultura, all' acquisizione del benessere morale e materiale, alla conquista di un ambiente naturale che tragicamente il nostro paese. tra i primi al mondo, ha seriamente compromesso. in questo quadro noi crediamo che parallelamente, se non prioritariamente, alla riconversione industriale sia indispensabile, quando non prioritaria, una riconversione civile, un profondo riesame di quello che è l' assetto strutturale dello Stato. questo, che vale nella impostazione generale, devo dire che trova riscontro anche da una lettura del bilancio. per esempio, dalla documentazione ufficiale presentata dal Governo emerge, che l' intera spesa destinata per il 1977 al settore dell' azione e dell' intervento in campo sociale è di 5.400 miliardi e qualche milione. di questi miliardi soltanto poco più di 3 mila vanno al ministero del Lavoro e della previdenza sociale . in percentuale, cioè, la quota amministrata dal ministero costituisce appena il 55,34 per cento delle risorse destinate al settore degli. interventi sociali; in quanto il resto della cifra, come si sa, viene amministrata dal ministero dell'Interno , dal ministero della Sanità e dal ministero del Tesoro . se consideriamo ora l' entità delle risorse assegnate al bilancio del ministero, che ammontano, come ho detto, a 3.000 miliardi, notiamo che si registra un incremento rispetto alla spesa iscritta nel preventivo per il 1976, un incremento ridicolissimo del 3,5 per cento , e questo per di più di fronte invece ad una crescita globale nel preventivo di spesa per il 1977 del 23 per cento , di cui appunto il 3,5 per cento va al ministero del Lavoro e della previdenza sociale . credo che questi dati in percentuale appaiano significativi dello scarso interesse che nutre il Governo per un settore così importante e delicato, specialmente nell' attuale congiuntura che attraversa il mondo del lavoro . parallelamente a queste notazioni dobbiamo registrare anche un altro dato quantitativo: lo stato di previsione della spesa del ministero in esame costituisce appena il 55,24 per cento di tutta la spesa statale per il 1977. sorvoliamo sulla circostanza che queste percentuali risultano leggermente ridotte a seguito della ben nota iniziativa governativa del 30 settembre scorso. ho finito, signor presidente . di fronte a questa situazione, la riduzione del ministero in esame è stata solo dello 0,07 per cento : si è preferito ridurre gli stanziamenti di capitoli che si riferiscono a spese di funzionamento. ovviamente, se non vi sono i soldi per pagare la bolletta, il Governo potrà integrarli subito e il Parlamento non potrà opporsi. non è stato invece apportato nessun taglio alle spese discrezionali, sulle quali vi sarebbe tutto un discorso da fare. un ultimo appunto brevissimo desidero fare circa il fatto che nell' organico del ministero risultano 3.000 posti non occupati. metto questo fatto in rapporto con la relazione del ministro, il quale ha affermato che l' ispettorato del lavoro non funziona per mancanza di personale. vorrei che ci venisse chiarito come sia possibile che 3.000 posti non siano occupati. non, si fanno più concorsi, oppure questo personale non serve? non dimentichiamo che i morti sul lavoro sono 1.142 (tre morti al giorno, che nella relazione del ministro sono diventati complessivamente 3.200: forse le statistiche non funzionano); e soprattutto non dimentichiamo che l' ispettorato del lavoro ha lasciato inevase quest' anno 80.000 pratiche. vorrei che su questo si riflettesse: sono risalita un po' indietro storicamente ed ho constatato che dal 1971 in avanti i discorsi che si sono fatti sul bilancio del lavoro sono stati sempre i medesimi: l' ispettorato del lavoro, l' ufficio di collocamento , la previdenza sociale , eccetera, nel consenso unanime. vorrei sapere come mai poi non si provvede, se vi è un destino ingrato o se invece, al di là delle indicazioni di principio, vi sono forze politiche facilmente individuabili che ostacolano questo tipo di riforme.