Emma BONINO - Deputato Opposizione
VII Legislatura - Assemblea n. 265 - seduta del 12-04-1978
Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza
1978 - Governo IV Andreotti - Legislatura n. 7 - Seduta n. 265
  • Attività legislativa

signor presidente , colleghi, un anno fa è uscito in Italia un libro, diventato poi un bestseller in tutto il mondo, che si intitolava Nemesi medica , di Ivan Illic. questo progetto di legge , che era partito dall' intento di garantire la libertà della donna, e che viene discusso oggi d' urgenza esclusivamente per evitare il referendum, è approdato in realtà al risultato non già di garantire la libertà della donna, bensì di permettere il prevaricare su di essa della burocrazia dei medici. questa coincidenza, seppure differita di un anno, mi ha fatto molto riflettere. nel libro che citavo prima, che ha appena un anno di vita, ma è ormai celebre, Illic denunzia come uno dei mali più gravi che affliggono oggi l' umanità il prevalere della burocrazia medica. essa ha fatto sì, scrive Illic, che il soffrire, il piangere e il guarire senza essere pazienti di un medico debba essere considerato una aberrazione. purtroppo questo progetto di legge di cui l' articolo 4 in particolare esprime questo contenuto — ha finito per essere, a mio avviso, uno dei tanti esempi tipici di questa deformazione ottica, per cui alla libertà dell' individuo viene sostituita la prescrizione del medico. teniamo presente che ci occupiamo qui della prima fase procedurale, quella, se vogliamo, del soffrire e del piangere, cioè la fase della confessione, più o meno menzognera; e si è stabilito che questa confessione deve essere fatta davanti a un medico. si è stabilito, quindi, in realtà, che soffrire e piangere senza la consulenza del medico è una aberrazione. questo discorso è estremamente grave, perché non si tratta dell' intervento abortivo, ma soltanto della prima consulenza, in cui la controparte dovrebbe cercare di togliere le donne dalla solitudine per aiutarle ad accettare questa maternità; eppure, questo colloquio viene affidato al medico. ripeto, tutto questo mi sembra estremamente grave, anche perché quello che questa legge avrebbe dovuto tutelare e che era la libertà di coscienza della donna e la segretezza, la privatezza, se vogliamo — non lo è affatto. come ha detto la senatrice Carettoni, si passa da un costume che per millenni ha voluto privatizzare assolutamente tutto quello che si riferiva alle donne ad un costume in cui si è obbligati a pubblicizzare tutto ciò che si riferisce ai nostri problemi. desidero ricordare qui una sentenza della Corte suprema americana che, a mio avviso, ha una precisa logica. questa logica sta proprio nella sua chiarezza, e costituisce l' esempio opposto rispetto alla confusione di prospettive che caratterizza il nostro progetto di legge imperniato, per quanto riguarda la privatezza o meno, sull' articolo 4. la sentenza della Corte americana è basata esclusivamente sul fatto — cito testualmente — « che il diritto ad una privacy personale include la decisione di abortire » . protagonista nella sentenza della Corte americana è la donna, mentre nell' articolo 4 del disegno di legge italiano protagonista è la figura del medico o, peggio, del consultorio, che è poi in realtà una specie di collegio tra personale medico e paramedico, ex ONMI o volontariato di base. preoccupazione essenziale della sentenza americana è stato il rispetto della privacy; quindi, il carattere di assoluta riservatezza assicurata a chi abortisce. preoccupazione del nostro progetto di legge è invece il costringere la donna a pubblicizzare la sua decisione, e quindi, in questo caso, le sue sventure. caratteristica della soluzione americana è l' assenza di qualsiasi elenco di motivi che si debbono addurre a giustificazione dell' aborto, l' unica sua preoccupazione essendo quella di garantire, dopo il terzo mese, la salute della donna. ma qui siamo nella fase precedente; in questa situazione, quella sentenza della Corte realizzava davvero un autentico principio di rispetto della privatezza della persona per la quale, se secondo una celebre definizione, si ha il diritto a non essere indagati, ed esposti alla curiosità di terzi negli aspetti che appartengono alla vita privata, e non pubblica, della propria persona. proprio per questo, la Corte suprema americana non si limitò solo a giudicare incostituzionale una legge che puniva il procurato aborto, ma giudicò incostituzionale anche un' altra legge la quale, pur senza punire l' aborto, disponeva che esso dovesse essere autorizzato da un medico dell' ospedale. questa norma fu allora ritenuta incostituzionale proprio perché limitava. sia la libertà di decisione, sia la privatezza della donna incinta. il nostro progetto di legge non è certo migliore di quella legge, che fu poi impugnata; ed è stato opportunamente rilevato che esso trasforma il medico in una sorta di confessore laico, al quale la donna viene sottoposta senza alcun riguardo per la sua comprensibile esigenza di riservatezza. questa definizione e questi contenuti così chiari della sentenza della Corte americana ci sentiamo di farli nostri, senza per questo essere favorevoli alla tesi che vuole che noi si sia degli individualisti sfrenati, eccetera. credo che la società nel suo complesso, se vuol veramente aiutare le donne, possa fare degli interventi di tipo legislativo che possano dare un concreto aiuto « a monte » e dopo la maternità. ora, invece, si assiste ad una frenesia di essere vicini alle donne solo nel momento dell' aborto; perché questo è quello che state stabilendo con questa legge. stabilite che la donna deve essere tolta dalla solitudine attraverso la figura di un medico, di un giudice laico, di un confessore solo al momento dell' aborto. per quanto riguarda il dopo, per quanto riguarda la maternità, se noi non vogliamo lasciar sole le donne, vi sono altri strumenti legislativi, che riguardano i servizi sociali , gli asili nido , le scuole a tempo pieno , le maestre di quartiere, che riguardano tutta una serie di altri strumenti, che non sono stati mai varati, ma che non c' è nessun serio intendimento di voler varare. quello che a voi preme, in realtà, quando dite di non voler lasciare sola la donna, è che siete spaventati da questa sua libertà di decisione: libertà che finora ha avuto, ma nella colpa e nella vergogna; è una responsabilità che abbiamo sempre avuto e che ci siamo sempre assunte. nel momento in cui voi autorizzate, legalizzate, consentite o permettete l' aborto, cioè un intervento che è autorizzato e consentito da tanti anni nel nostro paese (basta avere i soldi, basta avere le conoscenze, basta sapere dove andare); nel momento in cui, cioè, varate una legge di questo tipo, volete disporre di uno strumento di controllo, che è per esempio dato dal consiglio, più o meno manipolatore, a seconda di chi lo dà, a seconda della condizione religiosa e morale del medico, pur onesto, pur democratico, che lo dà. in realtà, tutto è previsto da questa legge e, in particolare, da questo articolo 4 (vedremo poi gli articoli successivi): è previsto il rispetto della persona del medico; è previsto il rispetto dell' obiezione di coscienza del medico (e giustamente, a nostro avviso); è previsto il rispetto della professionalità del medico (che non può essere solo un timbracarte o un passacarte). quella che non è assolutamente prevista è la libertà di coscienza della donna, la libertà di esporre le proprie ragioni senza dover mentire, senza dovere stravolgere quello che sente, vive e pensa in quel drammatico momento. ci sono altri modi, colleghi, per essere vicini alle donne in ogni fase; modi che vanno dall' assistenza sanitaria totalmente diversa ad un diverso rispetto nelle varie situazioni sociali che si vengono a creare, alla parità di trattamento nei posti di lavoro , ad altri aspetti ancora. imporre a questo punto la figura del medico per « togliere dall' isolamento » le donne significa semplicemente, a nostro avviso, voler esercitare un controllo, più o meno nascosto e manipolato, attraverso il medico, il quale, non si sa perché, sarebbe più responsabile delle donne. stiamo parlando di donne maggiorenni, e non ho ancora capito perché il medico dovrebbe essere più responsabile di una donna. il medico è più semplicemente e ovviamente — più distaccato dalle circostanze che spingono la donna ad abortire: è evidente, perché non le vive sulla sua pelle; perché, dopo averla consigliata, per esempio, di continuare la gravidanza, non ha responsabilità reali e precise sulla nuova maternità, sul nuovo individuo. dopo averla convinta che può portare avanti la gravidanza, che i problemi che adduce non sono poi così gravi, il medico non è impegnato in niente, mentre si tratta di una decisione che sarà importante per l' intera vita della donna. quello che volete imporre, dunque, è una sorta di ipocrisia, grazie alla quale le donne che abortiscono devono avere i motivi che a voi convengono — anche se non sono i loro — , che a voi piacciono — anche se non sono i nostri — , che sono quelli della povertà e della pazzia. l' altra ipocrisia è il controllo, più o meno subdolo e più o meno manipolante, sulla donna che si rivolgerà al consultorio. per questo motivo, ritengo che l' articolo 4, nella sua formulazione ambigua, debba essere assolutamente respinto per dare chiarezza all' impostazione della legge.