Luigi BERLINGUER - Deputato Opposizione
VI Legislatura - Assemblea n. 233 - seduta del 22-03-1974
1974 - Governo V Rumor - Legislatura n. 6 - Seduta n. 233
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , vi è già noto il giudizio severamente critico dei comunisti sulla soluzione data alla crisi governativa e sul ministero che si presenta al Parlamento. ma prima di passare alla motivazione della nostra sfiducia ed opposizione, non voglio sottrarmi alla constatazione che l' attuale Governo presenta una grande novità rispetto a molti che lo hanno preceduto. questa non consiste nell' assenza dal Governo dei rappresentanti del partito repubblicano italiano, che da anni vi entrano e vi escono restando sempre nella maggioranza. la novità è quantitativa, dato che, per la prima volta da molti anni, il numero dei ministri e dei sottosegretari è stato ridotto. nel luglio scorso, quando sollevammo la necessità di una riduzione in tal senso, ci si rispose che essa non sarebbe stata utile, ma anzi sarebbe stata addirittura dannosa, in quanto un elevato numero di ministri e sottosegretari sarebbe stato indispensabile per il buon funzionamento del Governo. se ora la riduzione vi è stata (quasi a furor di popolo , tanto per usare l' espressione di un grande quotidiano), logica vuole che almeno tre portafogli ministeriali, e sedici sottosegretariati, fossero dunque di troppo . c' è da augurarsi che, alla prossima occasione, si riconosca la possibilità di procedere nelle riduzioni, senza pregiudizio alcuno per l' attività governativa. chi sa che non accada persino, onorevoli colleghi (ma qui le speranze si fanno più fievoli), che si ponga fine a quell' inveterato vizio per il quale si contratta prima il numero degli incarichi ministeriali da attribuire ai singoli partiti della coalizione, e poi, in ciascun partito, si discute la ripartizione tra le correnti interne, lasciando in definitiva a queste ultime la designazione dei ministri e sottosegretari. tale criterio va censuralo, non solo perché porla spesso a trascurare i valori della competenza e della continuità: ma soprattutto perché gli uomini chiamati a comporre governi costituiti in questo modo, sono portati a sentire il legame con le proprie correnti più che l' obbligo di rispondere dei propri atti e della propria condotta al Consiglio dei ministri ed al Parlamento. il presidente del Consiglio ha esplicitamente affermato e rivendicato che il suo nuovo Governo nasce sotto il segno di una diretta continuità politica e programmatica con il precedente. non abbiamo difficoltà a riconoscerlo anche noi: ma perché allora — ci dice qualcuno — cambia il carattere dell' opposizione del partito comunista ? rispondiamo che una delle ragioni di tale mutamento consiste proprio nell' assenza di sostanziali novità, nella configurazione e nella politica del Governo. l' onorevole Rumor si è richiamato largamente ad intese programmatiche e politiche già definite durante la vita del precedente ministero fra i partiti della maggioranza, ma non ci ha spiegato perché quelle intese non hanno retto, perché il passato Governo è fallito. la contraddizione è dunque evidente. come mai è scoppiata la crisi? si è trattato forse di un banale incidente di strada? la cronaca della crisi si è aperta — come tutti sappiamo — con la lettera di dimissioni dell' onorevole La Malfa . ma, a parte il fatto che né allora né ora l' onorevole Rumor, in quanto presidente del Consiglio , ha offerto lumi che aiutassero il Parlamento a comprendere la natura del contrasto che ha diviso la coalizione (egli ci ha parlato ieri di controversie di scuola), tutti sapevamo che già da parecchie settimane il Governo precedente era ormai inerte e sopravviveva soltanto per puro spirito di conservazione. che così fosse si era potuto avvertire chiaramente dopo le conclusioni dell' ultimo incontro quadripartito dei primi di febbraio. e infatti la prima scadenza impegnativa avvenuta dopo quell' incontro — la riunione con le organizzazioni sindacali — si concluse nella maniera più deludente, con un nulla di fatto che portò i sindacati ad indire all' unanimità uno sciopero generale , che si svolse poi possente e composto in tutto il paese. anche per le questioni aperte tra il Governo e le regioni si era giunti ormai ad un punto morto. la nostra opinione è dunque, onorevoli colleghi , che alla crisi si è giunti non per motivi occasionali, o per una « maretta » interna ai vertici della coalizione, ma per cause profonde. ciò non vuol dire che le cause della crisi stiano solo in errori e responsabilità, che pur sono pesanti, del precedente Governo. esse stanno anzitutto in un mutamento della situazione politica complessiva, provocato essenzialmente dalla linea scelta e seguita in questi ultimi mesi dal gruppo dirigente della Democrazia Cristiana . sulla gravità di questo aspetto, che i compagni socialisti ed altri alleati di Governo della Democrazia Cristiana sembrano trascurare o, quanto meno, sottovalutare, ritornerò fra poco. naturalmente fra le cause della crisi italiana, e non solo di quella governativa, vi sono quelle di ordine internazionale. anche voi vi richiamate spesso (lo ha fatto ieri anche il presidente del Consiglio ) alla circostanza che difficoltà analoghe a quelle che attraversa il nostro paese travagliano tutti o quasi tutti gli altri paesi dell' Europa occidentale . questo è vero. ma vi è una differenza di fondo tra il modo come voi e noi ci collochiamo di fronte a queste difficoltà, a questa crisi che scuote tutto il mondo capitalistico. voi date l' impressione di volerle invocare quasi solo come un alibi e comunque dimostrate di non saperne trarre tutte le necessarie conseguenze per la politica internazionale e per la politica interna dell' Italia. noi, che da tempo ci appassioniamo attorno a questo problema, cerchiamo invece di individuare le radici più profonde della crisi che investe tutti i paesi capitalistici, ricavando da ciò non solo la conferma delle ragioni generali della nostra lotta per il superamento del sistema capitalistico e dei guasti insanabili che esso arreca al nostro paese e all' umanità, ma anche proposte di iniziativa politica immediata e di prospettiva, sia su scala europea sia in Italia, proposte che abbiamo rivolto e rivolgiamo a tutte le forze interessate ad uscire dalle difficoltà attuali, lungo una via che porti verso superiori assetti degli equilibri internazionali, verso il rinnovamento sociale e lo sviluppo democratico. perché la vita economica e politica dei paesi dell' Europa occidentale e dell' Italia è oggi a soqquadro? che cosa c' è dietro i fatti di cronaca che richiamano l' attenzione di tutti ora sulla crisi britannica, ora su quella belga, ora su quella francese o della Germania federale , ora su quella italiana? e che cosa c' è dietro lo stato, mai acuto come oggi, dei rapporti tra Europa e USA, quale emerge dai toni nervosi ed irritati della polemica di Nixon e di Kissinger verso governi europei che da venticinque anni sono amici ed alleati degli americani? all' origine di tutto stanno, secondo noi, due grandi fenomeni di portata mondiale. il primo è costituito dalla spinta sempre più inarrestabile dei popoli e dei paesi delle aree arretrate del mondo, già oppressi dal colonialismo, a mutare i rapporti economici e di scambio e quindi anche i rapporti di forza politici con i paesi capitalistici sviluppati e a conquistare piena indipendenza anche sul piano economico, come condizione, insieme con l' indipendenza politica e statale, per disporre liberamente delle loro risorse, e per avviare a soluzione gli immani problemi dell' uscita dalla arretratezza e dalla miseria. naturalmente noi sappiamo bene che fra i paesi di queste aree del mondo e all' interno di ciascuno di essi — basti pensare al mondo arabo — si sviluppa un contrasto fra forze privilegiate e reazionarie e forze sociali e politiche progressiste, più o meno coerentemente antimperialistiche. non tutto è univoco, non tutto è limpido, però il fenomeno complessivo e la spinta che esso esprime è grandioso, non sopprimibile, e va in una direzione che sollecita un generale rinnovamento degli equilibri internazionali, così come degli assetti interni, anche dei paesi delle aree sviluppate, a cominciare da quelli dell' Europa occidentale . il secondo fenomeno, che con il primo sta in un rapporto di reciproca influenza, è costituito dalla sempre più acuta lotta economica, commerciale e finanziaria tra i paesi capitalistici dei vari continenti, e innanzi tutto da quella scatenata dagli USA nei confronti dei paesi loro alleati dell' Europa occidentale e del Giappone, per colpirne ogni possibilità concorrenziale e ogni aspirazione di autonomia. per avere un' idea dell' intreccio fra i due fenomeni, basti pensare al ruolo che hanno giuocato e giuocano nella cosiddetta guerra del petrolio le grandi compagnie petrolifere statunitensi, le quali hanno posizioni decisive in alcuni dei principali paesi produttori. d' altra parte, non va dimenticato che questi due fenomeni si sviluppano in concomitanza con il grande processo positivo costituito dalla avanzata della distensione e della pacifica coesistenza; una avanzata, tuttavia, faticosa, contrastata e tutt' altro che al riparo da possibili ritorni all' indietro. se questo è, onorevoli colleghi , a grandissime linee il quadro oggettivo della situazione mondiale ed europea, è evidente la necessiti di una revisione profonda di certi canoni, ritenuti fino ad ora intangibili, sia nella politica estera e nei rapporti internazionali dell' Italia, sia nelle direttrici del suo sviluppo economico , sociale e politico. ma la consapevolezza piena di questa necessità non si è avvertita nell' azione dei precedenti governi né se ne è avuto sentore alcuno nelle dichiarazioni programmatiche che abbiamo ascoltato ieri. sul piano della politica estera l' Italia è ormai considerata dagli arabi fra i paesi amici. si è arrivati un po' tardi invero a conseguire un risultato che altri paesi europei avevano raggiunto da mesi. ma il problema di oggi, e sul quale niente ci sì è detto, è quello dei programmi concreti che, come Governo e come Stato che amministra grandi complessi produttivi, vanno avviati per sviluppare su nuove e più ampie basi i rapporti di collaborazione economica, politica e culturale con i paesi arabi e, più in generale, con i paesi del terzo mondo . a questo proposito noi vi riproponiamo con forza anche la questione, che voi a torto sembrate considerare chiusa (il presidente del Consiglio non ne ha parlato) del Vietnam, dove gli accordi di Parigi sono patentemente violati. perché il governo italiano non interviene per esigerne l' attuazione e non procede all' instaurazione di relazioni con il governo provvisorio rivoluzionario del sud Vietnam? non abbiamo ben compreso quale risposta date alle pressioni americane sull' Europa e ai problemi posti dalla crisi, sempre più grave, che attraversa la Comunità Europea . le parole che abbiamo sentito ieri sono del tutto rituali, fuori di una attualità bruciante, che non consente di cavarsela con le trite formulette degli anni passati. ecco le critiche che vi muoviamo. ma dovrebbe esservi al tempo stesso ben chiaro, ormai, che muovendo tali critiche noi non sollecitiamo una politica di ostilità preconcetta verso qualsiasi rapporto di collaborazione con gli USA: abbiamo detto e ripetiamo che l' Europa nuova, democratica e antifascista per la quale noi ci adoperiamo e ci battiamo, e con essa l' Italia, non deve essere antisovietica, ma nemmeno antiamericana. tuttavia, sia l' Italia sia l' Europa, alla cui costruzione il nostro paese può e deve contribuire, devono pur essere capaci di un' iniziativa autonoma. non si tratta di contrapporsi agli accordi sovietico-americani, indispensabili per la salvaguardia della pace mondiale, ma di inserirsi nel processo di distensione e nell' opera per lo sviluppo del terzo mondo , con un' azione che ridia all' Europa, e con essa all' Italia, una funzione politica mondiale , che viene invece affievolendosi ed esaurendosi. la nostra preoccupazione è che, consapevole o no che sia della reale portata di questi problemi, anche l' attuale Governo continui a muoversi, sul piano internazionale, sulle vecchie strade del vivere alla giornata, del piccolo cabotaggio, delle mediazioni temporeggiatrici, con qualche piccolo successo, ma anche con molte occasioni perdute, senza mai quegli scatti di audacia e di lungimiranza che possono essere compiuti anche da paesi di medie dimensioni come il nostro. tanto più necessario è divenuto muoversi con questo spirito in quanto, tra i paesi appartenenti a quella Comunità Europea nella quale l' Italia collocata e della quale occorre promuovere il rinnovamento, il nostro è forse il più esposto alle conseguenze e ai contraccolpi dei fenomeni mondiali di grande portata. ciò deriva, certo, dalla particolare fragilità delle sue attrezzature economiche e produttive e della sua struttura sociale, nella quale più rilevante che in altri paesi capitalistici è il peso di stratificazioni e settori puramente parassitari. ma tale fragilità, che ha origini lontane, è stata aggravata dalle scelte di politica economica e di politica internazionale compiute dai governi a direzione democristiana. lo sviluppo economico italiano si è fondato, per anni, su fattori che sono ormai venuti meno: sul piano internazionale, il basso costo delle materie prime , sul piano interno, lo sconsiderato drenaggio e depauperamento di risorse ai danni del Mezzogiorno e dell' agricoltura e un regime di salari fra i più bassi in Europa. la crisi attuale rende evidente a tutti quanto siano stati esiziali gli indirizzi di politica economica seguiti dalla Democrazia Cristiana e dai suoi governi. l' abbandono di milioni di ettari di terra e la mancanza di ogni opera di difesa del suolo costringono oggi l' Italia a spendere ogni anno migliaia di miliardi per rifornirsi di beni alimentari e di prodotti agricoli. la politica energetica ha portato all' assurdo che, da un lato, pullulano raffinerie ben oltre il fabbisogno nazionale, e per giunta in misura prevalente nelle mani di petrolieri privati, in un paese che aveva nell' Eni di Mattei un potente strumento di iniziativa al servizio dell' interesse pubblico, e, dall' altro lato, vi è una insufficienza di centrali elettriche e di elettrodotti (lo ha ricordato ieri anche il presidente del Consiglio ) che ostacola soprattutto lo sviluppo economico del Mezzogiorno e rischia di rendere irrealizzabili le iniziative industriali, sia pubbliche sia private. la scelta della motorizzazione privata come elemento trainante sia dello sviluppo industriale sia della spesa pubblica per infrastrutture, unita alla speculazione edilizia più sfrenata, mentre ha portato alla devastazione delle città ed allo sperpero di migliaia di miliardi per strade e autostrade (miliardi che avrebbero potuto essere impiegati ben più utilmente nell' agricoltura, nei trasporti pubblici, nella costruzione di scuole ed ospedali), giunge ora anch' essa al culmine della sua contraddizione e del suo fallimento, con una crisi di prospettive che colpisce la stessa industria produttrice di autovetture. questa scelta e le altre patiscono oggi, tutte, la legge del contrappasso . il riconoscimento e anche l' aperta denuncia di questo fallimento, pagato duramente dai lavoratori, anzitutto, e dall' intero popolo italiano , vengono oggi persino da settori delle classi dominanti e da esponenti dei partiti governativi, che pur ne portano la responsabilità e che, di fronte al fallimento, appaiono spesso smarriti. cominciano a rendersi conto che si è sbagliato, ma non sanno che fare. ma perché, dunque, si è sbagliato? voi conoscete l' analisi ed il giudizio nostro, che, non ci stanchiamo di ripetere affinché divenga patrimonio di forze popolari e politiche sempre più ampie. vi è una causa delle cause, ed essa sta in una preliminare operazione politica, quella che nel 1947 escluse il movimento operaio nel suo complesso dalla partecipazione alla direzione del potere centrale. e tale operazione che ha segnato tutto il corso della vita italiana di questo periodo, rompendo l' unità delle grandi correnti popolari e deviando lo sviluppo economico e politico del paese dal cammino aperto dalla Resistenza e sancito dalla Costituzione. per questo complesso di cause, interne ed internazionali, lontane e vicine, oggettive e soggettive, lo stato del paese è giunto ormai ad un punto in cui sulle strade sin qui percorse non si può camminare più, se non per andare verso un decadimento del tessuto economico-sociale, verso un' involuzione civile, culturale è morale e verso una crisi di quelle istituzioni democratiche nate dalla Resistenza che sono il bene più grande, insieme con quello dell' unità nazionale , che il popolo italiano ha conseguito da secoli. i segni di questi rischi non mancano, né vale nascondersi che essi sono già preoccupanti. a queste buie prospettive spinge l' azione dei gruppi più torbidi della società e del personale politico, facilitati dagli errori, dalla miopia, dalla mancanza di coraggio e di realismo di un' altra parte del personale politico che, pur, non volendo il peggio, di fatto gli apre il passo. ma queste stesse prospettive vengono respinte, con tutta la sua immensa ricchezza di energie, di fiducia, di combattività, dalla parte viva e sana del paese, che non è disposta ad accettare che l' Italia vada indietro e che non lo permetterà. parlo della classe operaia , delle grandi masse lavoratrici delle città e delle campagne, dei ceti produttivi più capaci di iniziativa, di larghissima parte delle giovani generazioni, delle donne, degli intellettuali, delle forze più consapevoli di tutti i partiti democratici. dalla compresenza di prospettive e forze così antitetiche, in una situazione di crisi quale quella che attraversano l' Italia e l' Europa, deriva il carattere convulso che va assumendo la nostra vita politica, la sua crescente instabilità, e derivano sia i tentativi di scarti a destra (che però vengono bloccati e, alla fine, battuti, come avvenne, per il Governo Andreotti-Malagodi), sia il fallimento di tentativi di operare, sì, qualche correzione, ma di carattere marginale, quali quelli effettuati con diversa formula da governi come l' ultimo, caduto tre settimane fa. nel corso della lotta condotta per rovesciare la coalizione di centrodestra, noi prospettammo l' esigenza di una inversione di tendenza , e dicemmo che, nei confronti di un Governo che l' avesse avviata, avremmo potuto condurre una opposizione di tipo diverso da quella che conducevamo contro il Governo Andreotti-Malagodi. sapevamo, evidentemente, e lo dichiarammo subito, che per affrontare una crisi di proporzioni così profonde come quella che aveva colpito l' Italia e per dare risposta ai grandi problemi dello sviluppo e del rinnovamento nazionale, un Governo come il precedente gabinetto Rumor, che si formò nell' estate dell' anno passato, era inadeguato ed insufficiente. non ci facemmo, né alimentammo, a questo proposito, alcuna illusione e tanto meno alcuna opinione trionfalistica e troppo ottimistica, come dice ora, per ragioni sue, uno dei neoministri socialisti. al contrario, mentre responsabilmente e realisticamente assumevamo un atteggiamento che prendeva atto della inversione di tendenza realizzatasi e tendeva a spingere avanti quelle forze che, constatata l' impraticabilità della formula di centrodestra, avessero voluto compiere qualche passo, anche limitato, in una direzione diversa, non abbiamo mai cessato di sollecitare il Governo con l' iniziativa e la pressione politica di massa, e di affermare che la questione che rimaneva aperta era quella legata all' esigenza di andare ad una svolta democratica, fondata sulla intesa fra le forze popolari, unica soluzione capace di dare all' Italia una guida politica solida, durevole e rinnovatrice. nel settembre e nell' ottobre scorsi, quando la stabilità del precedente Governo sembrava fuori discussione, proponemmo il tema del « compromesso storico » . ciò facendo, riprendevamo e sviluppavamo la linea del nostro XIII congresso del marzo 1972. ma il fatto significativo, che tutti, onorevoli colleghi , abbiamo ben presente, è che quel tema suscitò tra i partiti, nella stampa e tra i cittadini anche più lontani da ogni impegno politico una discussione di un' ampiezza e di un interesse quali non si verificavano da molti anni. ciò dimostra che coglievamo una necessità reale, che ci collegavamo a condizioni di spirito assai diffuse, e che interpretavamo un' attesa che veniva dalla consapevolezza di cittadini delle più diverse opinioni, accomunati però nella preoccupazione di una crisi di fondo che era aperta e che si avvertiva essere tale da non poter venire risolta da quel Governo che, se pure godeva ancora di qualche credito, già aveva. cominciato a perderlo. questa, di una svolta democratica fondata sulla intesa fra le forze popolari, resta più che mai la grande prospettiva che noi proponiamo al paese. si è discusso, si è polemizzato su di essa, e ci si continua a chiedere perché noi comunisti vi insistiamo. il vizio che sta alla base di tante disquisizioni, interpretazioni ed insinuazioni, è di attribuirci, come esclusivo movente di tanta nostra insistenza, un gretto calcolo di partito. si sfugge così, o non si arriva, alla questione vera che noi abbiamo proposto a noi stessi, a tutte le forze politiche e all' opinione pubblica : non occorre tanto chiedersi dove va il partito comunista italiano, ma dove va l' Italia! ed è indiscutibile che l' Italia ormai segna il passo; lo si tocca con mano quasi in ogni campo, dalla lira che perde valore all' agricoltura che deperisce di anno in anno, dal dissesto della scuola a quello delle strutture sanitarie (il colera, ritornato dopo decenni), dal decadimento del patrimonio artistico (si pensi allo stato dei monumenti, dei musei, delle biblioteche), di quello naturale, del paesaggio e dell' ambiente; dalle forme nuove di violenza politica, di criminalità e di delinquenza comune organizzata al dissesto della giustizia, fino ai sintomi gravi di corrompimento della vita pubblica e degli stessi partiti. tutto ciò pone, sì o no , il problema generale di un indirizzo radicalmente nuovo da dare all' intera vita del paese, di una solidarietà fra tutte le energie popolari e quindi dell' avvento di forze nuove alla direzione politica della nazione? chi se la sente, onestamente, di negare questa esigenza? chi la nega, o è miope o è preoccupato esclusivamente dei propri interessi di partito, di mantenere le proprie posizioni di potere e le proprie clientele, di tutto quel che si vuole, ma non sa o non vuole guardare al paese, ai suoi bisogni reali, ai suoi interessi supremi! ma, oltre al vizio di esaminare la nostra politica nel modo gretto che ora ho ricordato, vi è anche il vezzo di chi, non appena un qualsiasi personaggio politico pronuncia il suo no, naturalmente altisonante e categorico, al « compromesso storico » , alle prospettive che noi proponiamo al paese, si affretta subito a scrivere che l' iniziativa comunista « è fallita » . ci si crede davvero tanto sprovveduti, tanto privi di senso storico da fare proposte e avanzare prospettive che si affidano all' assenso di questo o di quel personaggio o alla risposta contingente di questo o quel partito? come si può immaginare che un partito qual è il nostro non sappia che una prospettiva di profondo rinnovamento del paese e della sua direzione politica si scontra necessariamente con ostacoli e resistenze accanite, deve superare prove difficili, tentativi di provocazione, scontri aspri, e che per andare avanti occorre muovere milioni di uomini, conquistarne le coscienze, organizzarne la lotta, realizzarne l' unità? siamo ben consapevoli di tutto ciò, per dottrina e per lunga esperienza. pensate dunque, onorevoli colleghi , quale sgomento ci provochino i discorsi o le dichiarazioni di questo o quell' esponente politico. il fatto che noi comunisti, anche nella situazione che si era creata con la nascita del passato Governo, abbiamo continuato a riproporre il tema della svolta democratica non vuol dire però che noi considerassimo la opposizione diversa come una sorta di anticamera in vista del « compromesso storico » . questa è stata una deformazione da noi sempre confutata e respinta. l' opposizione diversa aveva il significato che ho prima ricordato. era la presa d' atto di un mutamento di formula governativa e di clima politico, ed era la sollecitazione a realizzare una effettiva inversione di tendenza in ogni campo. e perciò? nel momento stesso in cui dichiaravamo e sviluppavamo questo tipo di opposizione, non desistevamo dal nostro impegno rivolto a promuovere e organizzare un' ampia pressione di massa, collegata alla battaglia parlamentare e all' iniziativa politica unitaria per incalzare, il Governo, per strappare conquiste a favore dei lavoratori, dei pensionati, dei ceti più poveri, per isolare e stroncare le provocazioni di destra e la violenza fascista e per avviare riforme capaci di sodisfare urgenti necessità sociali e di garantire una ripresa produttiva duratura. queste furono le nostre posizioni e la nostra condotta. ma come sono andate le cose? non abbiamo difficoltà a ripetere che, nei suoi primi mesi di attività, il precedente Governo Rumor rappresentò un passo avanti, fece qualcosa di nuovo, sia con il suo atteggiamento di condanna e di netto distacco nei confronti del movimento neofascista, sia con alcune sue posizioni assunte in politica estera (come in occasione del colpo di stato in Cile e del conflitto mediorientale), sia con alcuni provvedimenti in materia economica. questo inizio relativamente positivo fu però di assai breve durata: passo dopo passo, giorno dopo giorno, il Governo sciupò il credito che gli veniva fatto da larghi strati di opinione pubblica ; non seppe valersi delle condizioni favorevoli di cui pur godeva sia per l' atteggiamento dei sindacati, sia per la presenza di una opposizione comunista che, se non fu mai compiacente e « morbida » , teneva conto della diversa situazione rispetto al precedente ministero. e, passo dopo passo, si giunse, infine, ai contrasti paralizzanti, alle incertezze, all' inerzia, all' inefficienza degli ultimi mesi. perché questa progressiva e rapida consunzione? la risposta che ci viene messa subito avanti la conosciamo: lo scoppio della crisi petrolifera. chi non ha corta memoria, però, sa che ben prima di questo evento vivaci contrasti erano emersi nella coalizione governativa sugli indirizzi di politica economica che dovevano seguire i famosi « cento giorni » , dopo la cosiddetta « fase uno » . certo, la crisi petrolifera fu un fatto nuovo, in parte imprevedibile e, comunque, non previsto; essa creava, indubbiamente, difficoltà supplementari per le attività industriali, per la bilancia dei pagamenti e, più in generale, per il bilancio statale. da quelle difficoltà poteva e doveva venire, però, uno stimolo per imboccare una strada nuova; non solo per affrontare i problemi della copertura del fabbisogno energetico, ma per cominciare finalmente ad introdurre modificazioni graduali, e tuttavia incisive e radicali, nel meccanismo dello sviluppo economico nazionale, nell' orientamento degli investimenti e dei consumi e nei rapporti internazionali. si era in presenza di una traversia, ma anche di un' opportunità: ebbene, questa occasione è stata del tutto sprecata. c' è stata per qualche settimana — lo ricorderete — una sorta di ubriacatura, un' orgia di parole intorno al cosiddetto « nuovo modello di sviluppo » , ma, nei fatti, nessun provvedimento innovativo è stato adottato. si è promessa l' elaborazione rapida di un piano per l' energia, di cui nessuno ha mai saputo nulla, e che neppure ieri il presidente del Consiglio è stato in grado di esporci; si è parlato di una ristrutturazione nel campo dei trasporti, ma non si è proceduto neppure ad una iniziale commessa alle industrie per la produzione di mezzi pubblici. su quali fondamenti dovremmo credere alle nuove promesse fatte in questo campo dal presidente del Consiglio ? neppure per quanto riguarda il Mezzogiorno il precedente Governo aveva trovato un accordo per un piano di investimenti, mentre per l' agricoltura è stato presentato un provvedimento di stimolo alla zootecnia che non solo è risultato tardivo (infatti esso non è stato ancora approvato in seconda lettura), ma è inadeguato rispetto alla crisi paurosa in cui si dibattono le aziende contadine e l' impresa agricola. ed ora la proposta nuova sarebbe quella di un piano, naturalmente pluriennale. ma bastano i 300 miliardi promessi? e quando si comincerà a spenderli? tutte le ventilate innovazioni si sono dunque risolte nel nulla, e la strada scelta è stata alla fine quella classica di scaricare le difficoltà economiche sulle spalle delle masse lavoratrici , di far pagare agli operai, ai contadini, alle popolazioni del Mezzogiorno i maggiori debiti dei nostri conti con l' estero e l' aumento dei costi delle attività produttive interne, attraverso i provvedimenti cosiddetti di « austerità » che hanno portato all' ascesa dei prezzi, tornata negli ultimi mesi a farsi vertiginosa. austerità sempre a senso unico: chi paga sono i poveri, mentre per i ricchi l' Italia è sempre il paese di Bengodi. perché si è scelta questa linea antipopolare, chiusa ad ogni innovazione? la colpa è, stata solo dell' onorevole La Malfa ? noi non siamo di questa idea, anche se non abbiamo risparmiato critiche alla politica unilaterale dell' onorevole La Malfa ; le ragioni sono ben più profonde ed investono la politica del maggior partito di governo. i provvedimenti, anche solo congiunturali. che dovevano essere adottati in vari campi (energia, trasporti, agricoltura, Mezzogiorno. consumi sociali) richiedevano infatti, come richiedono, un mutamento di indirizzi, non certo indolore, in due direzioni fondamentali. in primo luogo, si trattava e si tratta di colpire e limitare lo strapotere di quei gruppi economici e finanziari (quali i petrolieri, ma non solo essi) che controllano o comunque influenzano pesantemente le leve dello Stato, ministeri e uomini di Governo, e che manovrano il denaro pubblico , le banche, la Cassa per il Mezzogiorno , gli incentivi e numerosi organi di stampa. in secondo luogo, si trattava e si tratta di intaccare il sistema di potere clientelare costruito dalla Democrazia Cristiana , specialmente nel Mezzogiorno. tremendo, intollerabile sistema, che ricorda quello medievale dei vassalli, valvassori e valvassini; sistema che blocca, intralcia, vanifica, distorce ogni iniziativa innovatrice o anche solo di razionalizzazione. ciò è avvenuto ed avviene per il riordino degli istituti previdenziali, mutualistici e pensionistici; è avvenuto ed avviene per la riforma della radiotelevisione; sempre promessa in ogni dichiarazione governativa e ogni volta, puntualmente rinviata ai governi futuri. è avvenuto ed avviene quando si tratta di contendersi i fondi e gli incentivi per i piani di investimento nel Mezzogiorno, con il risultato che persino progetti urgenti, quali quelli riguardanti il risanamento igienico-sanitario di Napoli e l' irrigazione della Puglia e della Lucania, sono rimasti non si sa in quale cassetto. ecco gli ostacoli, ecco le resistenze che si sono posti a ogni cambiamento positivo, a ogni misura innovatrice. ed ecco perché noi diciamo che la responsabilità principale delle inerzie paralizzanti e delle scelte antipopolari e conservatrici che hanno caratterizzato l' ultimo periodo del precedente Governo va imputata alla Democrazia Cristiana , al suo sistema di potere e al cambiamento di linea effettuato dal suo gruppo dirigente . ma l' attuale gruppo dirigente della Democrazia Cristiana non ha solo tale responsabilità nei confronti del paese. ne ha un' altra, non meno grave: quella di aver deciso di andare al referendum sul divorzio invece che a un accordo democratico che lo evitasse. in un momento in cui era più che mai necessario che prevalesse nel paese e tra le forze politiche democratiche uno spirito di solidarietà e che venissero compiuti sforzi congiunti, pur senza confusioni, per superare una temperie economica e politica così preoccupante, si è messo in moto un meccanismo il quale invece di rottura e di lacerazione. si poteva risparmiare al paese questa prova. che si aggiunge alle altre cui è sottoposto? noi abbiamo fatto tutto il passibile per scongiurare questo evento, in ogni caso negativo; e anche altri gruppi e personalità di altre parti politiche si sono adoperati nello stesso senso. abbiamo ricordato e precisato recentemente tutte le concrete proposte avanzate da più parti, oltre che da noi, per un accordo che andava largamente incontro a esigenze e preoccupazioni provenienti da vari settori del mondo cattolico e della stessa Democrazia Cristiana . queste proposte erano ispirate non già, come si vuol far credere ora, da un giudizio negativo sulla legge vigente, che invece, come sempre abbiamo affermato, è nel complesso una legge positiva e saggia, niente affatto lassista; ma dalla volontà di tener conto di sentimenti e di opinioni di altri per giungere ad un accordo che trovasse il più ampio consenso ed evitasse ogni possibile turbamento della pace religiosa. anche il documento finale del congresso democristiano del giugno scorso affermò la necessità di evitare questo turbamento. ma sta di fatto che la segreteria del partito democristiano non ha dato mai una concreta risposta alle proposte volte a trovare un accordo, né ha mai avanzato proprie proposte. perché è stata presa una posizione così chiusa, così negativa? si è trattato di un atto che è parte organica di un' ampia operazione politica quanto meno avventurosa? o ha solo prevalso un puro calcolo elettoralistico di partito? o, più semplicemente, si è commesso un errore di valutazione? non lo sappiamo. non siamo tra coloro che si arrovellano e perdono il sonno per cercare di divinare che cosa passa per la testa al senatore Fanfani. siamo abituati a giudicare dagli atti e dalle cose. ma, proprio. per questo, rileviamo che, quali che siano state le motivazioni della scelta per il referendum, dal momento in cui essa è stata adottata il clima generale del paese è mutato. le conseguenze, e cioè le cose, i fatti avvenuti, sono sotto gli occhi di tutti e nessuno può rimproverarci di non averli previsti tempestivamente nella loro gravità: i fascisti che si sentono rimessi in gioco, la Democrazia Cristiana che ritorna ai toni più forsennati dell' anticomunismo del 1948, episcopato e clero italiani che sempre più largamente e massicciamente intervengono nella campagna elettorale . si continua a dire che il nostro passaggio ad una posizione più netta e più dura nei confronti del Governo sia una reazione e quasi una ritorsione al rifiuto della Democrazia Cristiana di un accordo volto ad evitare il referendum. non è così; e ho cercato di dimostrarlo poco fa. inoltre è chiaro che noi non abbiamo la minima intenzione di confondere la campagna per il referendum e l' opposizione a questo Governo, ma è assurdo pretendere da noi che si finga di trascurare che; dal momento in cui si è messa in moto la macchina del referendum, il clima generale del paese è mutato e che, soprattutto, è mutata la linea generale del maggiore partito di governo. i dirigenti della Democrazia Cristiana non solo riesumano l' anticomunismo della peggiore lega, ma tornano a ripresentarsi come coloro che rivorrebbero il trionfo del 18 aprile 1948, non esitando a questo scopo a ricorrere apertamente alla strumentalizzazione delle posizioni del clero e persino a sollecitarne l' intervento. ecco da chi e da dove viene una vera, scorretta politicizzazione del referendum. da parte nostra abbiamo già ribadito e ribadiamo che non si tratta di chiedere un voto pro o contro il Governo, pro o contro la Democrazia Cristiana , pro o contro il partito comunista . i cittadini devono decidere se si deve mantenere un istituto civile qual è il divorzio; regolato oggi da una legge pur sempre perfettibile, o se si deve invece cancellare tale istituto, negando in linea di principio il diritto e il dovere dello Stato di disciplinare precisi e limitati casi di unioni coniugali già irreparabilmente fallite, aprendo così, in questo campo tanto delicato, un vuoto che sarebbe fonte di ingiustizie sociali, di disordine giuridico, di smarrimenti morali, di casi umani penosi. poiché si tratta di questo, è evidente che la questione, pur nella sua specificità, è tale tuttavia che, andando al di là di una contrapposizione di schieramenti di classe e politici, pone in gioco il principio stesso della libertà, cioè un principio che deve stare a cuore ai credenti e ai non credenti, ai rivoluzionari, ai progressisti, ai democratici, e anche ai cittadini di orientamento conservatore, i quali non accettino però che venga violato un principio di libertà. ecco perché il prevalere dei « sì » all' abrogazione segnerebbe la vittoria di un tentativo di sopraffazione che aprirebbe la strada ad altre sopraffazioni, ad altre insidie per i diritti di libertà in altri campi della vita civile. il prevalere dei « no » , invece, non sarebbe una vittoria del comunismo o del laicismo contro la Democrazia Cristiana o contro il mondo cattolico, ma costituirebbe solo la vittoria della libertà contro la coazione, della tolleranza contro la faziosità. ciò, se da un lato delimita il tema della competizione, nel senso che lo sottrae alla logica degli scontri fra i partiti, propria di altre consultazioni, dall' altro lato, però, dà alla campagna per il referendum il respiro, dei grandi cimenti ideali che investono principi basilari della convivenza civile, quali quelli che riguardano la comprensione reciproca tra cittadini di diversi orientamenti ideali e religiosi e il corretto rapporto tra sfera politica e sfera religiosa, tra Stato e Chiesa. tale è lo spirito — ci sembra — che anima le posizioni per il « no » prese da gruppi ed esponenti sia del mondo cattolico sia dei partiti laici. a proposito dei partiti laici, però, non possiamo fare a meno di dire che il loro impegno nella battaglia del referendum, a 40 giorni dal voto, ci appare ancora inadeguato. del resto, proprio l' altro ieri abbiamo sentito un deputato repubblicano esortare i partiti laici a uscire da quello che egli ha chiamato un dormiveglia; anche per evitare, come egli ha detto, che la campagna sia un duello tra il partito comunista e la Democrazia Cristiana . anche noi comunisti non chiediamo altro che le forze laiche si destino e che si impegnino pienamente sull' intero territorio nazionale tutti i partiti, tutti i gruppi, tutte le associazioni e persone che sono per il « no » , ognuno con la propria fisionomia e con le proprie motivazioni. per quanto riguarda noi, partito comunista italiano, non possiamo certo metterci in disparte, non possiamo non essere in prima fila in una prova che chiama in causa grandi valori di libertà e i principi di sovranità e laicità dello Stato. ma non è nostra intenzione fare del referendum uno scontro tra il partito comunista e la Democrazia Cristiana . è interesse di ciascuno e di tutti che ogni partito, ogni gruppo, ogni organizzazione, secondo le sue caratteristiche, svolga il suo ruolo per il successo dei « no » . per quanto attiene all' atteggiamento del Governo come tale, abbiamo udito ieri l' onorevole Rumor affermare che esso assumerà una posizione obiettiva e imparziale. è una dichiarazione, però — ci consenta l' onorevole presidente del Consiglio — che non ci dà molto affidamento, perché tutti vedono con quale accanimento i dirigenti del maggiore partito della coalizione di Governo conducono la campagna e sono decisi ad avvalersi di ogni mezzo, compresi quelli dell' informazione pubblica e delle più varie trasmissioni radiofoniche e televisive. su questo punto importante l' onorevole Rumor niente ha detto e a niente ha impegnato il Governo. attendiamo ora di conoscere, a cominciare da questo dibattito, che cosa pensano e quali atti compiranno, su questo problema, gli altri partiti della maggioranza. ma al di là di tali temi, relativi all' uso degli strumenti pubblici, vi è un grande problema che è ormai sul tappeto e al quale il Governo della Repubblica non può sottrarsi. intende o no il Governo agire, e in quale maniera, quale tutore vigile e geloso della sovranità e indipendenza dello Stato di fronte a interventi di rappresentanti del clero che non si limitano all' affermazione di principi religiosi e morali, ma si inoltrano in valutazioni di merito di leggi e di opportunità politiche, e su un tale terreno, schiettamente politico, pretendono di trasferire un imperativo ideologico e religioso? non ci troviamo forse, con ciò, di fronte a una aperta interferenza di autorità religiose nella sfera politica ? relativamente a ciò che è stato detto sulle trattative per la revisione del Concordato, ci si consenta, almeno, di stupirci che si sia usato il verbo « continuare » , quando è ben noto che da anni i governi a direzione democristiana nessuna iniziativa hanno preso in questo senso, venendo meno ad un mandato preciso del Parlamento; e ciò proprio in un periodo in cui sarebbe stata quanto mai opportuna e utile una seria trattativa tra la Repubblica italiana e la Santa Sede . signor presidente , onorevoli colleghi , credo di avere ampiamente illustrato i motivi dell' opposizione che noi condurremo nei confronti di questo Governo. essi derivano non solo dal giudizio che diamo del suo programma e dei suoi indirizzi; derivano anche, e direi essenzialmente, dal quadro politico complessivo, che è diverso da quello dell' estate scorsa. tale quadro è diverso soprattutto per il mutamento sostanziale che si è verificato nella linea politica della Democrazia Cristiana . vi è dunque una coerenza nel nostro atteggiamento. infatti il carattere dell' opposizione, che decidemmo di condurre nell' estate scorsa, teneva conto di una inversione di tendenza , che si andava profilando non solo negli indirizzi del Governo, ma anche negli indirizzi della Democrazia Cristiana . oggi entrambi questi elementi sono venuti meno: oggi la direzione democristiana ha fatto tre scelte precise: la prima, andare al referendum; la seconda, tentare in tutti i modi di vincerlo puntando soprattutto sull' intervento del clero; la terza, rilanciare una volgare campagna anticomunista. in sostanza se si guarda ai fatti — non interessa qui l' indagine sulle intenzioni — si rileva che la segreteria della Democrazia Cristiana ha operato una scelta clericale e di rottura. come è possibile non vedere tutto questo? come è possibile non accorgersi che ciò ha portato ad un mutamento sostanziale nel quadro politico ? e come possono non cogliere questa novità politica i compagni socialisti e le altre forze democratiche laiche, accontentandosi del fatto — che anche noi abbiamo notato — che il presidente del Consiglio abbia evitato di accodarsi alle campagne scatenate dal suo partito? la nostra opposizione non è dunque una sorta di rappresaglia — che sarebbe assai meschina — contro la decisione di andare al referendum, come affermano coloro che sembrano considerare questa decisione quasi come uno « sgarbo » al partito comunista italiano, invece che come un colpo inferto al paese, ai suoi interessi più profondi, ai suoi beni più alti. la nostra opposizione è più dura e serrata, in quanto è la risposta ad un quadro economico, sociale e politico che si è aggravato anche per la decisione di andare al referendum. in questa opposizione si esprime dunque non solo la nostra battaglia contro indirizzi governativi sbagliati, ma anche la battaglia, che non ci vede del resto isolati, contro la linea oggi seguita dalla Democrazia Cristiana . lo scopo che ci proponiamo è anzitutto quello di difendere accanitamente gli interessi delle masse popolari , cercando di impedire misure che ne aggravino le condizioni e organizzando la lotta per conquiste che possano migliorare anche parzialmente il loro tenore di vita . in pari tempo, la nostra opposizione è un punto di riferimento . noi combatteremo infatti per un mutamento di indirizzi e di clima politico che sconfigga i tentativi di rottura a sinistra, riaprendo la strada ad un processo di convergenze e di intese tra tutte le forze popolari e democratiche, il quale è il solo che possa avviare il superamento della condizione di stallo e di crisi in cui rischia di marcire il paese. la nostra opposizione corrisponde ad una attesa, ad una esigenza sempre più larga nelle masse popolari . questo nostro legame con le masse è un bene della democrazia ed è una condizione indispensabile perché la protesta e le rivendicazioni delle masse popolari acquistino forza ed incisività. portare avanti una opposizione più dura non vuol dire fare concessioni al massimalismo. e più che mai, di fronte alle tendenze all' approssimazione e all' empirismo più piatto, noi combatteremo infatti per una linea di rigore e di serietà. la nostra opposizione è contro l' attuale linea politica della Democrazia Cristiana e del Governo. essa si esprimerà soprattutto in battaglie, proposte ed iniziative volte a risolvere i problemi in base ad una visione organica dello sviluppo del paese . non voglio a questo punto affliggere lei, signor presidente , né lei, onorevole presidente del Consiglio , né voi tutti, onorevoli colleghi , entrando nel dettaglio delle nostre critiche ai singoli provvedimenti elencati diligentemente e cortesemente — e tuttavia assai genericamente — dall' onorevole Rumor. non mancherà l' occasione di discuterne in concreto, se verranno presentati. tanto meno intendo affliggervi, a questo punto del mio discorso (dopo che la conferenza dei presidenti di gruppo ha deciso di concludere entro domani questo nostro dibattito), con l' illustrazione delle proposte del partito comunista su questioni che sono state trattate in nostri recentissimi pubblici documenti, quali, in particolare, quello di pochi giorni fa sul risanamento della vita pubblica , sul rinnovamento del regime democratico e sulla riforma dello Stato, e l' altro, di ieri, relativo agli indirizzi generali e alle misure immediate di politica economica . in compenso, confido che il presidente del Consiglio , i suoi colleghi di Governo e tutti i gruppi politici valuteranno le — nostre proposte nei loro contenuti reali, abbandonando una volta tanto quei preconcetti con cui troppo spesso, nel passato, ci si è sottratti ad un dibattito oggettivo con la nostra parte politica . signor presidente , onorevoli colleghi , ho la speranza di aver illustrato i punti nodali della nostra analisi e della nostra linea politica. vi ringrazio per l' attenzione e concludo.