Aldo MORO - Vicepresidente del Consiglio dei Ministri Maggioranza
VI Legislatura - Assemblea n. 168 - seduta del 18-10-1973
Iniziatve volte alla protezione del paese nei confronti del terrorismo islamico
1973 - Governo II Berlusconi - Legislatura n. 14 - Seduta n. 62
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , è la quarta volta, nel breve tempo di una generazione, che il Medio Oriente è turbato dalla guerra. prima ancora di compiere una valutazione degli avvenimenti di questi giorni, desidero esprimere i nostri sentimenti di umana solidarietà per le popolazioni colpite. insieme con le preoccupazioni di natura politica per la ripresa delle ostilità in un' area, in ogni senso, a noi tanto vicina, c' è il profondo sgomento e la pietà per i morti, i feriti, gli sradicati delle due parti in conflitto. nei passi che abbiamo compiuto presso i belligeranti, ragioni politiche ed umanitarie hanno motivato la nostra richiesta di tregua e l' appello ad astenersi da ogni atto che possa coinvolgere più gravemente i popoli della regione. ma consideriamo un momento il fatto politico, non senza rilevare però il clima di tensione e di passione, riconducibile anche a fattori che non sono propriamente politici, nel quale va collocata la vicenda arabo-israeliana fino ai drammatici avvenimenti di questi giorni. non credo sia necessario rifarne la storia, né descrivere questa crisi nei suoi aspetti militari o nei presumibili obiettivi degli Stati che vi sono impegnati. ciò sarebbe difficile e, del resto, non utile. per la nostra valutazione. mi limiterò a ricordare che nella guerra del 1967 le ostilità tra l' Egitto ed Israele cessarono, dapprima a seguito dell' accettazione da parte di entrambi i contendenti della risoluzione 234 del 7 giugno 1967 del Consiglio di sicurezza , la quale la richiedeva « come un primo passo » e, dopo la guerra di attrito del 1969-70, in forza dell' accordo raggiunto, su iniziativa americana, il 7 agosto 1970, che tra l' altro prevedeva una cessazione del fuoco almeno per tre mesi. al termine di questo periodo, l' Egitto ne annunciò l' estensione a non più di quattro mesi. benché non vi fosse a quel punto un vincolo giuridico, la tregua sul fronte egitto-israeliano è durata fino al 6 ottobre scorso, complessivamente cioè per tre anni e due mesi. sul fronte siro-israeliano la fine dei combattimenti, prevista da una risoluzione del Consiglio di sicurezza del 9 giugno 1967, entrò in vigore il giorno successivo, dopo che le truppe israeliane avevano completato l' occupazione delle alture e dell' altopiano del Golan. quanto alla Giordania, essa era stata la prima ad accettare la risoluzione delle Nazioni Unite del 7 giugno. il fronte con Israele che, a seguito della avanzata di quell' esercito, si era formato sul fiume Giordano, è rimasto, soprattutto dopo il settembre 1970, sostanzialmente tranquillo, sì da permettere l' apertura di alcuni ponti congiungenti le due rive del fiume. il Libano, infine, ritiene, non avendo partecipato alla guerra del 1967, che sia ancora valido per esso l' accordo di armistizio che nel 1949 aveva sottoscritto con Israele. al cessate-il-fuoco del 1967 non ha fatto seguito, non solo un accordo di pace, che non era stato raggiunto neppure nel 1949, ma nemmeno quel risultato minore ed intermedio costituito da un armistizio che invece nel 1949 era stato possibile realizzare. eppure molto si era sperato che la ventennale crisi fra lo Stato di Israele ed i suoi vicini arabi potesse finalmente avviarsi a soluzione, a seguito della approvazione della risoluzione 242 del 22 novembre 1967 del Consiglio di sicurezza , che i principali contendenti avevano accettato. per promuoverne l' applicazione e stabilire invece che una tregua, la pace, una pace con giustizia nella garanzia dell' esistenza e dello sviluppo di tutti gli stati interessati, fu dato avvio alla missione del mediatore delle Nazioni Unite Jarring. questa missione, purtroppo, è fin qui fallita soprattutto in mancanza di una interpretazione univoca, accolta dalle parti, della risoluzione 242. non debbo addentrarmi nell' esposizione dei principi contenuti in tale risoluzione. nessun altro documento delle Nazioni Unite , io credo, è stato maggiormente citato e più minuziosamente analizzato. fatto sta che una intesa in vista della sua applicazione non è stata raggiunta. dagli arabi veniva richiesta la restituzione di tutti i territori occupati come premessa per la definizione di frontiere sicure e riconosciute. Israele ritiene invece che esse non potrebbero essere veramente sicure senza alcune modifiche territoriali da negoziare. a dirimere questa contesa non sono valsi né gli sforzi di quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza né la elaborazione del piano Rogers, il più impegnato tentativo fin qui compiuto dagli americani e che aveva destato notevoli speranze. le posizioni delle parti sono rimaste ferme ed inconciliabili: totale restituzione dei territori occupati da parte araba; definizione delle frontiere mediante negoziato, quale che ne sia la natura da parte israeliana. nessuna influenza è stata fin qui sufficiente a sbloccare queste rigorose pregiudiziali, realizzando un avvicinamento, anche limitato, tra i contendenti. a questo sforzo senza effetto anche noi abbiamo partecipato con un atteggiamento di grande rispetto e di assoluta obiettività. eppure questa risoluzione, accettata in linea di principio , anche se contestata nella sua reale portata, resta la sola base per, progredire verso la pace. e va detto con chiarezza che una tregua d' armi, pur in sé estremamente rilevante ed auspicabile, non potrebbe avere un significato decisivo se essa non favorisse una. univoca e giusta interpretazione della risoluzione dell' Onu, ai fini della applicazione in tutte le sue parti. se così non fosse, la tregua, anche se fortunatamente raggiunta, sarebbe effimera e la guerra arabo-israeliana non potrebbe considerarsi finita. desidero a questo punto ribadire la ferma e costante posizione del governo italiano secondo cui il diritto all' esistenza dello Stato di Israele è fuori discussione e l' obiettivo da, perseguire è la coesistenza degli Stati arabi e di Israele in condizioni di reale e reciproca sicurezza, il che comporta la soluzione del problema dei palestinesi, il quale non è solo economico sociale, ma politico. l' Italia ha grande interesse alla composizione del conflitto, sia perché esso tocca la nostra area mediterranea e coinvolge paesi con i quali abbiamo e vogliamo continuare ad avere amichevoli relazioni, sia perché la guerra in atto e la tensione che ne deriva costituiscono un rilevante pericolo per la pace ed un ostacolo al processo di normalizzazione della vita internazionale, obiettivi questi primari della nostra politica estera . al riguardo non posso tacere la nostra più viva apprensione per il pericolo che la guerra medio orientale possa riaccendere, nella difesa delle posizioni dei contendenti e nella offerta, prima da una parte, poi dall' altra, di sempre nuove risorse per la guerra, una competizione tra le due grandi potenze, le quali sembravano concordi nel volere insieme, in considerazione delle loro eccezionali responsabilità, prevenire e limitare i conflitti nel mondo ed i pericoli per la pace. noi vogliamo sperare e ci permettiamo di chiedere, come abbiamo fatto attraverso i nostri ambasciatori, che gli accordi Nixon-Breznev, che l' Italia ha salutato con simpatia, siano operanti in questo momento così difficile e che la vicenda bellica non impedisca ma anzi solleciti, una giusta intesa per favorire la pace. noi siamo convinti che il conflitto potrà spegnersi soltanto se si cercherà un assetto non fondato sulle armi (quanto tempo mai potrebbe durare una tale situazione e quale sarebbe, in essa, la condizione dei popoli interessati?), ma sulla fiducia e sulla comprensione. certamente, dopo un trentennio di lotte sanguinose, non è facile che fiducia e comprensione vi siano. sarà dunque necessario un processo lungo e faticoso, nel quale un ruolo importante potrà essere svolto proprio da quei paesi che avranno saputo conservare rapporti di amicizia con entrambe le parti, premessa di ogni efficace opera di persuasione. la nostra è quindi non una posizione di comodo, ma di responsabilità, la sola atta a dare un contributo positivo. ricordando che nei mesi scorsi uno scambio di messaggi in vista di un dialogo. arabo-israeliano è stato effettuato per il nostro tramite, credo di poter affermare che la nostra posizione è compresa e apprezzata dalle parti. consapevoli dei doveri di obiettività, di moderazione e di discrezione che un tale atteggiamento comporta, proprio in questo modo, ci siamo in passato adoperati al fine di disinnescare il conflitto. mi riferisco alle nostre iniziative volte alla riapertura del canale di Suez, all' intesa per un embargo o quanto meno per una limitazione dell' invio di armi ai paesi del campo di battaglia , alla predisposizione di garanzie internazionali, sia per l' osservanza della tregua, sia per il riassetto pacifico della regione. non ci siamo mai adagiati sulla situazione di « non-pace-non-guerra » e siamo stati tra coloro che con maggiore insistenza ne hanno denunciato ad un tempo l' inaccettabilità per i gravi problemi umani e politici che lasciava in sospeso e per i rischi, oggi ben chiari, del riaccendersi della lotta. abbiamo pertanto sempre svolto un' azione per richiamare alla moderazione ed invitare al dialogo, anche nell' imminenza della ripresa delle ostilità e nel corso di esse. in sede multilaterale, poi, non abbiamo mai mancato di dare un leale contributo all' Onu che consideriamo la sede naturale per la risoluzione del conflitto. da ultimo abbiamo fatto presente al segretario generale delle Nazioni Unite la nostra vivissima preoccupazione, attirando la sua attenzione sulla urgenza di un intervento dell' organizzazione e di una immediata convocazione del Consiglio di sicurezza . queste posizioni sono state ribadite nell' intervento che, all' Assemblea generale delle Nazioni Unite , ha pronunciato il ministro Lupis, il quale ha avuto in quella sede utili contatti con i ministri Abba Eban e El Zajat . la gravità della situazione ci ha indotto, oltre che ad agire individualmente, a prendere l' iniziativa di una consultazione europea sulla crisi, con l' obiettivo di fissare una linea comune e perciò più efficace che non sia quella espressa dai singoli paesi membri della Comunità. il peso ed il prestigio di una tale presa di posizione europea, nella quale vengano armonizzate con equilibrio le vedete dei Nove, ci consentono di svolgere quel ruolo che le drammatiche circostanze indicano al nostro continente e che non può essere né sopravalutato né sottovalutato. sono certo apprezzabili le impazienze e le sollecitazioni che nascono da passione di pace e da giustificata preoccupazione. ma bisogna avere il senso della realtà e ad esso ispirarsi per un' azione che deve essere cauta e responsabile. il consenso di opinioni fra i nove governi si è determinato a Copenaghen sugli aspetti più importanti ed urgenti della crisi odierna. di qui innanzi tutto l' appello alle parti perché cessino le ostilità. i nove governi hanno detto poi nettamente che non ci si può limitare alla tregua, ma che si deve mirare ad un giusto accordo. obiettivo dei paesi della comunità è l' esecuzione della risoluzione numero 242 del Consiglio di sicurezza in tutte le sue disposizioni, una decisione internazionale a tutti gli effetti vincolante e che noi siamo convinti costituisca tuttora lo schema idoneo per una soluzione equa e duratura. dietro questa presa di posizione c' è l' influenza, limitata, ma reale, che i nove paesi insieme possono esercitare. è qui la base dell' azione comune che si sta svolgendo in tutte le sedi opportune a cominciare dalle Nazioni Unite . in relazione ad alcune inesatte interpretazioni di stampa, debbo precisare che la consultazione politica si svolge a tutti i livelli nella capitale del paese. che detiene la Presidenza di turno, nel caso la Danimarca, e non in occasione delle normali riunioni della Comunità, che hanno, come l' ultima di Lussemburgo, altro ordine del giorno . le rappresentanze dell' Italia nei paesi del Medio Oriente non hanno naturalmente mancato di dedicare ogni cura alle collettività italiane loro affidate, assistendole nelle necessità emergenti dagli eventi bellici. il ministero degli Esteri ha subito provveduto ad accreditare i mezzi necessari per fronteggiare i bisogni dei connazionali ed assicurarne, ove richiesto, il ritorno in patria. in particolare, da Damasco sono stati effettuati due convogli verso il Libano accompagnati da funzionari dell' ambasciata; gli interessati da Beirut hanno potuto quindi proseguire per l' Italia. gruppi di autovetture sono stati avviati pure in Turchia, offrendo la possibilità a molti connazionali di raggiungere l' Italia; dal Cairo è partito un convoglio, anche esso accompagnato da funzionari e diretto a Bengasi, consentendo a 70 connazionali, sorpresi dagli eventi in Egitto, di rientrare in Italia. preoccupati dalle maggiori esigenze che l' avvenire potrebbe riservarci, si è già provveduto a sottoporre il problema di eventuali, più consistenti interventi a favore delle collettività, anche ai ministeri della Difesa e della Marina mercantile . desidero poi precisare che è del tutto infondato il preteso uso di basi NATO in Italia da parte degli USA per l' assistenza militare ad Israele. al riguardo ricordo che l' uso delle basi NATO è disciplinato da precise regole dell' alleanza, le quali vengono rigorosamente osservate. da parte italiana ci si è sempre astenuti e ci si astiene da ogni intervento, in particolare da forniture di armi, che possa aggravare la situazione nelle zone di tensione, in particolare per quanto riguarda il Medio Oriente . vi sono naturalmente qui, come del resto avviene in ogni parte del mondo, dove questo conflitto è profondamente sentito, come se esso toccasse, ed in effetti tocca, la coscienza di ciascuno di noi, opinioni e stati d' animo diversi. io li rispetto, così come comprendo la passione con la quale le valutazioni sono espresse e l' emozione con la quale vengono seguite le vicende di questa quarta guerra ed immaginati ed auspicati i suoi possibili sbocchi. credo pero che siamo, nonostante tutto, uniti da un comune intento di pace e dal desiderio che siano risparmiate sofferenze e mortificazioni a tutti i popoli implicati in questi storici eventi. noi sappiamo che la forza non può risolvere nessun conflitto, sia chiamata essa a prevenire o rimediare. la catena di azioni e reazioni può proseguire all' infinito, ma, su questo terreno, lo sbocco non è mai positivo. la forza dunque non può vincere. possono vincere alla lunga la ragione e la giustizia. e la ragione e la giustizia vogliono che i popoli del Medio Oriente , e naturalmente Israele, abbiano un' esistenza sicura e dignitosa, nell' ambito di confini presidiati dal consenso e, ove occorra, da una solida garanzia internazionale. è certo, onorevoli colleghi , che con la guerra non si costruisce nulla. ma è ugualmente certo che senza giustizia esplode la guerra, la guerra della disperazione. ed è per questa convinzione che mi pare doveroso formulare un duplice appello, rivolto a coloro che possono, ma nel quale è implicito un nostro impegno conforme, per quella parte, anche limitata, che rientri nelle nostre possibilità. è un appello alla pace ed insieme ad una iniziativa coraggiosa e lungimirante che consenta di raggiungerla attraverso una tregua accettata, questa volta, senza né illusioni né colpevoli inerzie. una pace non fragile, non apparente, ma durevole e vera, perché fondata sulla giustizia, perseguita con uno sforzo di buona volontà , di realismo e di fiducia nello spirito di questa epoca storica, nella quale nonostante tutto, ci si muove verso la pace.