Ugo LA MALFA - Deputato Opposizione
V Legislatura - Assemblea n. 472 - seduta del 25-06-1971
1971 - Governo De Mita - Legislatura n. 10 - Seduta n. 118
  • Mozioni, interpellanze e interrogazioni

signor presidente , onorevoli colleghi , l' interpellanza che abbiamo avuto l' onore di presentare costituisce il punto conclusivo di una impostazione del problema sindacale che comporta aspetti sostanziali e formali: aspetti che concernono la politica di sviluppo economico programmato e aspetti che comportano un assetto istituzionale nei riguardi dei sindacati operai. la nostra critica alla posizione dei sindacati operai risale a molti anni fa. noi abbiamo considerato punto nodale ed importante della svolta di centrosinistra l' atteggiamento che i sindacati operai avrebbero preso in materia di programmazione economica. a noi è parso, cioè, che con il passaggio da una politica di sviluppo spontaneo ad una politica di sviluppo economico programmato, l' atteggiamento, sia delle forze imprenditoriali sia dei sindacati operai, avrebbe dovuto radicalmente mutare. la loro politica non si sarebbe più dovuta svolgere sul terreno nel quale tradizionalmente si era svolta fino al momento dell' avvento al Governo delle forze di centrosinistra. debbo ricordare che fin dal 1962, costituitosi il primo Governo di centrosinistra, noi repubblicani ponemmo il problema dell' atteggiamento dei sindacati operai e delle forze imprenditoriali nei riguardi della politica di programmazione e riforme che ci si accingeva ad iniziare. la nostra impostazione incontrò fin da principio forti avversità nel mondo politico di sinistra e nel mondo sindacale; si disse che il richiamare i sindacati operai ad una partecipazione attiva alla politica di programmazione economica significasse limitare l' autonomia dei sindacati medesimi, il che non abbiamo mai compreso. non abbiamo mai compreso perché l' autonomia si dovesse esercitare fuori del quadro della programmazione e non si potesse esercitare con ugual vigore e autorità nel quadro della programmazione. a noi pareva che solo nel quadro della programmazione potessero essere affrontati i problemi — che adesso sono diventati problemi di evidente importanza — del rapporto fra rendite, profitti, salari, fra consumi e investimenti, fra consumi individuali e consumi collettivi, fra rivendicazioni e riforme: tutta la tematica che è sorta negli ultimi tempi. a nostro giudizio bisognava che i sindacati operai e le forze imprenditoriali fossero anche istituzionalmente condotti nel quadro della politica di programmazione. e ricordo che il primo Governo di centrosinistra, nel costituire la commissione di programmazione economica, chiamò a parteciparvi i protagonisti del processo di sviluppo economico, e fra questi le tre confederazioni sindacali. questa commissione poi fu sciolta in favore di una commissione di tecnici, e questo ha rappresentato un allontanamento della possibilità di legare i sindacati operai alla politica di programmazione. d' altra parte, non deve dimenticarsi che la maniera tradizionale con cui i sindacati operai, rispetto a una politica che comportava un impegno fortissimo per le riforme, condussero la loro lotta, fu una delle cause principali della crisi 1963-1964. la disarticolazione dell' azione delle forze operaie rispetto al quadro complessivo di riforme e di programmazione che si poneva il Governo, fu un elemento determinante — lo dico con estrema franchezza — della crisi del 1963-1964. i sindacati hanno riconosciuto negli ultimi tempi che il problema dei lavoratori non è legato soltanto a un tipo tradizionale di rivendicazioni in materia di salari e di condizione nelle fabbriche, ed hanno assunto una forte iniziativa in materia di riforme. ma, in un certo senso, essi hanno rovesciato il suggerimento o la proposta che era venuta da noi. noi volevamo che la politica rivendicazionista e la politica di riforme fossero condotte nel quadro della programmazione anche istituzionalmente e invece i sindacati operai hanno scelto per la rivendicazione e le riforme il terreno tradizionale, fra l' altro conducendo la battaglia per le riforme con il metodo tradizionale dello sciopero che, secondo me, non può avere applicazione in tale campo. l' avere cumulato dall' « autunno caldo » la politica di rivendicazione in senso tradizionale con una politica di riforme ugualmente condotta in senso tradizionale, è stato uno degli elementi determinanti della seconda crisi economica ; cioè per due volte noi abbiamo constatato che questa maniera di condurre da sinistra, dai sindacati operai, una azione per le riforme del meccanismo di sviluppo, ha effetti contrari a quelli che si vogliono attenere, nel senso che produce non una riforma del sistema ma la crisi del sistema economico . che è proprio l' obiettivo che evidentemente non è posto a base della azione sindacale o da sinistra. in altri termini un' azione riformatrice, un' azione rivendicazionista condotta da sinistra, e condotta con una strategia non coerente, porta non alla riforma del meccanismo di sviluppo, ma ad una sua disintegrazione. ma ha avuto anche conseguenze sul terreno istituzionale. la nostra impostazione iniziale portava i sindacati nel quadro istituzionale degli organi della programmazione. era una soluzione concreta e, direi, immediata; noi non siamo favorevoli a riportare il quadro delle esigenze sindacali nel Consiglio dell' economia e del lavoro, che è un organo troppo formale e, direi, troppo pletorico ai fini della determinazione concreta. la nostra idea è di portarli nel quadro della programmazione e degli organi della programmazione. essendo i sindacati operai e le forze imprenditoriali i protagonisti del processo di sviluppo spontaneo, il passaggio dal processo di sviluppo spontaneo al processo di sviluppo economico programmato vuole un impegno delle due forze. come non possono rivendicare autonomia di comportamento le forze imprenditoriali, non hanno alcun interesse a rivendicare autonomia le forze sindacali. dirò che, rivendicandola in senso tradizionale, indeboliscono la loro azione, la rendono contraddittoria, ed ottengono quei risultati negativi che abbiamo constatato nella crisi del 1963-64 ed in quella che si è avuta negli ultimi mesi. si pone, allora, un problema di sostanza, il problema, cioè, di come condurre una politica di programmazione e di come modificare l' atteggiamento dei sindacati operai rispetto alla politica di programmazione, senza di che questa politica non ci sarà mai; non si coltivi l' illusione che si possano fare piani e programmi al di fuori di un impegno diretto dei sindacati operai. se i sindacati operai continuano a rivendicare un tipo di autonomia che non è compatibile con il processo di sviluppo economico programmato, e vogliono rimanere come forza spontanea nel sistema, non possono obbligare le altre forze a non essere forze spontanee; essi si pongono così in una situazione di contraddizione rispetto alla politica di sviluppo economico programmato. ci sono poi conseguenze di ordine istituzionale. si crea una confusione di poteri. mentre i sindacati, operando nel quadro della programmazione, sono nella sede propria per far valere le loro esigenze e per maturare una possibilità di pianificazione che poi è soggetta al giudizio del Governo e del Parlamento, se si sposta questo quadro istituzionale — e si porta in sede politica una discussione che ha bisogno di essere tenuta nella sede sua propria — si determina un' alterazione non solo per quanto riguarda gli obiettivi propri della programmazione, problema sostanziale, ma anche per quanto riguarda il rapporto tra le varie istituzioni dello Stato, il rapporto tra la forza sindacale e la forza politica , tra l' organo della programmazione ed il Governo, tra il Governo e il Parlamento. abbiamo quindi degli spostamenti, di cui abbiamo sentito tutta la gravità in questi ultimi tempi. questi spostamenti sostanziali e formali generano un disorientamento nell' opinione pubblica , un disorientamento circa gli indirizzi di una politica economica moderna. il significato della nostra interpellanza, onorevole ministro, è questo: chiarire se siamo in grado di portare sostanzialmente ed istituzionalmente i sindacati operai a comprendere che la politica di programmazione vuole una modificazione profonda della loro maniera di agire. e questa critica non viene da una posizione che si considera — con giudizio banale — conservatrice, ma è una critica di sinistra da sinistra; è capace la sinistra, avendo preso l' impegno di arrivare ad uno sviluppo economico programmato, di stabilirne tutte le conseguenze — in sede sostanziale ed in sede istituzionale? se la sinistra ha questa strategia, allora può incidere sulla situazione, può riformare il meccanismo di sviluppo, e può evitare, nella sua azione, di determinare non la riforma di tale meccanismo, ma la sua disintegrazione. due crisi in 10 anni di centrosinistra sono troppe, onorevole ministro; indicano una mancanza di strategia di fondo che è veramente il punto debole della politica di centrosinistra. se questo centrosinistra non sa realizzare, né sostanzialmente né istituzionalmente, la politica di programmazione, fa fallimento. può parlare mille volte di problemi particolari, ma non troverà il quadro, la strategia, per cui questa società faccia quel salto di qualità per il quale il centrosinistra si è impegnato, e per il quale si erano impegnate in un certo senso le forze di estrema sinistra , che dicono di volere la politica di sviluppo economico programmato. questo è il significato della nostra interpellanza che, ripeto, riguarda un problema sostanziale, ma riguarda altresì le conseguenze istituzionali di un errore di impostazione del problema. sarei grato al Governo se ci desse qualche assicurazione in proposito.