Luigi BERLINGUER - Deputato Opposizione
V Legislatura - Assemblea n. 319 - seduta del 11-08-1970
1970 - Governo Colombo - Legislatura n. 5 - Seduta n. 319
  • Comunicazioni del governo

signor presidente , onorevoli colleghi , dedicherò solo una parte di questo mio intervento ad illustrare il giudizio, del resto abbastanza noto, che noi comunisti diamo sullo svolgimento della recente crisi di Governo e sulla sua soluzione. tale crisi, in effetti, non è stata che un nuovo episodio di una crisi politica più generale, la quale dura da tempo ed è destinata a prolungarsi ancora... che così stiano le cose è provato intanto dal semplice fatto, al cui riconoscimento non ha potuto sottrarsi lo stesso presidente del Consiglio , che siamo ormai giunti alla quinta crisi di Governo nel corso di soli due anni ed alla terza da un anno a questa parte. tutte queste crisi sono state lunghe, difficili, a volte drammatiche. particolarmente significativo e pesante è il bilancio delle ultime due. di fatto, se si considera l' atteggiamento virtualmente dimissionario assunto dal presidente del Consiglio in carica subito dopo gli attentati dinamitardi di Roma e di Milano, si può affermare che negli ultimi nove mesi solo per tre o quattro vi è stato un Governo, e non va dimenticato che questo stesso periodo è stato occupato per gran parte dallo svolgimento della lotta elettorale di questa primavera. per lunghi mesi abbiamo avuto così la sospensione di ogni attività di Governo, parlamentare e legislativa. basterebbero questi dati per mettere sotto accusa la condotta irresponsabile dei gruppi dirigenti della Dc e del partito socialdemocratico e per spingerci tutti a un esame che non può davvero limitarsi alle vicende dell' ultima crisi. naturalmente, affermando questa necessità, noi non intendiamo rinunciare a sollevare qui una serie di interrogativi relativi ad alcune di tali vicende. le dimissioni del Governo Rumor sono avvenute in un modo per cui, ancora una volta, si è tolta al Parlamento la possibilità perfino solo di conoscere e di giudicare. ma l' ultima crisi di Governo è stata decisa al di fuori non solo del Parlamento, bensì degli stessi partiti della coalizione e dei loro stessi dirigenti. la maggioranza dei ministri e persino il vicepresidente del Consiglio sono stati tenuti all' oscuro fino alle ultime ore del proposito del presidente del Consiglio di dare le dimissioni. chi ha dunque deciso? le dieci persone di cui ha parlato un autorevole esponente della Democrazia Cristiana ? e chi sono queste persone che si arrogano il diritto di fare e disfare i governi? naturalmente, onorevoli colleghi , noi non ignoriamo che esiste anche una versione ufficiale, fatta propria dalla direzione del partito democristiano e della quale il partito socialdemocratico ha fatto il proprio cavallo di battaglia . è la versione del cosiddetto « chiarimento » . ma tale versione — per altro non richiamata, ed è un dato significativo, nell' esposizione dell' onorevole Colombo — non fa che moltiplicare gli interrogativi relativi alle origini, alle vicende ed alla conclusione della crisi. al di là della novità rappresentata dalla assegnazione di una quarta poltrona ministeriale e di altri due sottosegretariati al partito socialdemocratico (come primo contributo, forse, alla riduzione delle spese improduttive), noi continuiamo a chiedere che il presidente del Consiglio e gli esponenti dei partiti della coalizione cerchino di spiegarci in che cosa il nuovo Governo, per la sua linea politica e per la sua struttura, è diverso da quello che l' ha preceduto. per quanto riguarda le questioni politiche, la sola novità sembra rappresentata dal fatto che dopo il preambolo Forlani, dopo il programma Rumor, dopo il documento Andreotti, respinto dal PSU con motivi che il presidente del gruppo democristiano ha promesso di spiegare e commentare solo « in un momento meno caldo e delicato » abbiamo ora un documento Colombo. ma non sentite, dunque, quanto rischino di apparire poco seri questi successivi tentativi di risolvere con sempre più contorte escogitazioni verbali il problema dei rapporti politici, che è poi, fondamentalmente, il problema del rapporto con il nostro partito? in quanto a noi — che saremmo pure i più interessati e, se permettete, i più esperti in questa materia — voglio dire che ci guardiamo bene dal compiere anche solo un minimo sforzo di interpretazione filologica e di comparazione dei vostri documenti. noi ci auguriamo infatti che non diventi mai nostro quel malvezzo di cui parlava Antonio Labriola e che si è insinuato e si espande tra di voi: il malvezzo per cui il « culto e l' impero delle parole riescono a corrodervi e a spegnervi il senso vivo e reale delle cose » . in effetti, proprio mentre voi eravate occupati a trovare le parole, gli aggettivi, le virgole con le quali « chiarire » e regolamentare la questione. dei rapporti con il partito comunista , in particolare per ciò che si riferisce alla formazione delle Giunte; i fatti non hanno davvero atteso i vostri « chiarimenti » ed i vostri precetti. Giunte di sinistra sono sorte in tre grandi regioni, in numerose province, in centinaia di comuni. per ironia delle cose, è accaduto che una crisi determinata in larga misura dalla volontà di frenare la formazione delle Giunte di sinistra e di imporre su larga scala la regola e la disciplina del centrosinistra, ha finito essa stessa per favorire la tendenza opposta. questo fatto niente può togliere, sia chiaro, alla severità della critica di principio che deve essere mossa alla pretesa di stabilire da Roma, e per giunta in sede di accordi di Governo, le maggioranze che devono formarsi nelle regioni, nei comuni, nelle province. ma esso prova quanto assurde ormai siano certe pretese. questo punto, sì, la crisi è servita a chiarirlo. ed anche altre cose, e non meno importanti, nel corso della recente crisi di Governo sono divenute più chiare. sono divenuti più scoperti, prima di tutto, i propositi e i piani del cosiddetto partito dell' avventura. ma più chiaramente sono venuti in luce anche l' intrinseca debolezza e i limiti di questi piani e quindi la possibilità di batterli. sotto questo profilo noi non abbiamo esitato e non esitiamo a parlare, anche se con la riserva che dirò fra poco, di una nuova sconfitta del partito dell' avventura. già nella crisi precedente le forze più retrive della coalizione non erano riuscite a realizzare i loro scopi, che erano quelli di rinviare ancora una volta una consultazione destinata a dar vita finalmente all' ordinamento regionale, per giungere invece allo scioglimento delle Camere ; oppure, servendosi del ricatto delle elezioni anticipate , di imporre un quadripartito cosiddetto di ferro. i risultati elettorali hanno segnato, anche essi, una sconfitta del partito dell' avventura. nell' ultima crisi abbiamo avuto un nuovo tentativo di spostare a destra la situazione e in particolare di bloccare i movimenti per le riforme e i processi unitari nelle amministrazioni locali , e di esasperare fino alla rottura il confronto con i sindacati. anche questo tentativo è stato sostanzialmente battuto. le condizioni per uno sviluppo dei processi unitari, per lottare con successo per le riforme; le condizioni, più in generale, per uno sviluppo democratico di tutta la situazione nazionale e quindi per uno spostamento a sinistra restano aperte come prima e sono anzi, per certi aspetti, migliorate. tirando troppo la corda, il partito dell' avventura ha contribuito esso stesso ad accentuare il proprio isolamento. noi comunisti ne prendiamo atto non senza una certa sodisfazione, anche perché vediamo in ciò un successo della linea politica e dell' iniziativa del nostro partito e di altre forze democratiche e di sinistra. ho già detto, però, che alla constatazione delle innegabili sconfitte inflitte alle forze più reazionarie della maggioranza deve unirsi una importante riserva. non bisogna dimenticare, infatti, non solo che a queste forze sono state lasciate ampie possibilità di continuare ad esercitare i loro ricatti e a sviluppare la loro iniziativa dall' interno stesso della direzione della politica nazionale, ma che un punto a suo favore il partito dell' avventura lo ha pure segnato. con l' ultima crisi, infatti, un certo logoramento del regime politico si è accentuato, anche se noi non condividiamo, a questo proposito, certi giudizi qualunquistici e pessimistici che tendono ad abbracciare tutte le istituzioni in una sommaria valutazione negativa. si è accresciuto il pericolo di un certo, distacco dell' opinione pubblica a causa dei metodi di governo che si continuano a seguire. a ciò si aggiunge — fatto nuovo e rilevante — il pericolo di un peggioramento della situazione economica . ora, è proprio su un ulteriore deterioramento della situazione politica e su una crisi economica che puntano le loro carte le forze che vogliono spingere verso uno spostamento a destra. anche e soprattutto da questo punto di vista risulta evidente il carattere negativo della soluzione data alla crisi; la quale si è conclusa — come abbiamo rilevato — con un compromesso che noi consideriamo non solo precario, ma pericoloso. dove sta il carattere negativo di tale compromesso? esso sta soprattutto in due fatti. in primo luogo, nel fatto che esso investe alcune questioni di principio che sono essenziali per lo sviluppo del nostro regime democratico. noi riteniamo non ammissibili, non più tollerabili e profondamente nocive, anche se nella pratica sono state largamente battute, quelle affermazioni contenute nel documento politico del presente Governo, e qui ripetute perfino con qualche peggioramento dal presidente del Consiglio , che tendono in sostanza a limitare lo svolgimento di un libero e corretto gioco democratico nel Parlamento ed in tutti gli istituti rappresentativi. e questo senza parlare dell' assurdo, del grottesco cui si può arrivare quando ci si mette su questo terreno. basti pensare alla distinzione fatta dal presidente del Consiglio tra due categorie di Giunte, tra le quali avrebbero rilevanza politica solo quelle di centrosinistra! su queste questioni di principio la nostra critica non può non rivolgersi anche al partito socialista . naturalmente noi non sottovalutiamo l' importanza del fatto che il partito socialista abbi, resistito e resista alle pressioni rivolte a fargli accettare negli enti locali il tipo di maggioranza voluto dai dirigenti democristiani e socialdemocratici. è importante il fatto che le maggioranze di sinistra negli enti locali risulteranno molto più numerose di quelle che esistevano prima delle ultime elezioni. ma non è solo ciò che conta e deve contare. contano anche, e finiscono poi per avere, grande peso politico e pratico, le posizioni di principio. ed è da questo punto di vista che noi consideriamo negativo e pericoloso ogni cedimento, anche solo parziale, alla concezione democristiana e socialdemocratica che tende a limitare in misura più o meno grande la libera dialettica parlamentare e l' autonomia delle regioni e degli enti locali , autonomia che comprende necessariamente piena libertà nella formazione delle maggioranze. il secondo aspetto negativo del compromesso che ha concluso la recente crisi governativa è costituito dagli indirizzi programmatici che risultano dall' esposizione del presidente del Consiglio . come dirò fra poco, noi consideriamo che questi indirizzi non sono tali da consentire di far fronte in modo adeguato ai seri problemi che si presentano nel campo economico e si muovono anzi in senso contrario a quello che sarebbe necessario. e ciò chiama in causa non solo il partito dell' avventura, ma gli orientamenti e la responsabilità della Dc come tale. il riconoscimento del carattere precario e arretrato della soluzione data alla crisi governativa è venuto, del resto, dall' interno della stessa maggioranza. l' onorevole De Martino , ad esempio, ha affermato nel suo intervento all' ultima riunione della direzione del Psi che la situazione del paese avrebbe avuto bisogno di ben altre e più avanzate soluzioni. di che cosa, dunque, avrebbe avuto ed ha bisogno il paese? e perché non si è giunti alle soluzioni che sarebbero necessarie? credo che solo rispondendo a questi quesiti, onorevoli colleghi , sia possibile comprendere le ragioni profonde di quella crisi politica di cui parlavo all' inizio del mio discorso ed individuare le vie per superarla. il paese, a nostro avviso, ha bisogno oggi soprattutto di tre cose. in primo luogo, vi è bisogno di una iniziativa di politica estera che tenda a dare all' Italia una nuova collocazione nella vita internazionale. in secondo luogo, è necessario evitare la prospettiva di una crisi economica ed è necessario in pari tempo che nel corso stesso dell' azione volta a fronteggiare questo pericolo venga imboccata la strada di un nuovo sviluppo economico e sociale . infine noi riteniamo improrogabile l' esigenza di un rinnovamento del nostro regime politico e dei rapporti politici, che tenda ad una piena applicazione dei principi e del metodo della democrazia. credo che nessuno si sorprenderà se noi poniamo oggi in primo piano le questioni relative alla collocazione e al ruolo del nostro paese nel mondo. noi restiamo infatti più che mai convinti che gli sviluppi della nostra politica interna sono sempre largamente determinati dagli avvenimenti internazionali. a questo rapporto di interdipendenza ha fatto cenno anche l' onorevole Colombo, ma la nostra impressione è che i lunghi mesi che gli esponenti dei partiti governativi hanno perduto in bizantine discussioni e nell' interpretazione di oscuri e inutili preamboli abbiano ancora accentuato quel vizio provincialistico che ha sempre caratterizzato, salvo rare eccezioni, il ceto dirigente governativo del nostro paese. noi abbiamo cercato di salvaguardare sempre il nostro partito da questa tara, e ci ha aiutati in questo l' ispirazione internazionalistica che guida tutta l' azione nostra. ora, proprio in questi giorni si sono verificati due grandi e positivi fatti internazionali che interessano aree del mondo vitali per il nostro paese: la conclusione delle trattative per un patto di rinuncia alla violenza e per la collaborazione tra l' Unione Sovietica e la Repubblica Federale Tedesca , e la tregua d' armi iniziata tra RAU, Giordania e Israele. il primo di questi avvenimenti è stato considerato da uno dei più autorevoli giornali europei come una svolta nella storia del nostro continente. il secondo può forse segnare l' inizio di un processo tendente a dare finalmente una soluzione al tragico conflitto del Medio Oriente . entrambi ci fanno intravvedere la prospettiva di una fase nuova nelle relazioni internazionali. il presidente del Consiglio non ha ignorato questi due avvenimenti. li ha collocati, anzi, all' inizio del suo discorso, limitandosi però a qualche espressione propiziatoria. non vorrei essere malevolo rilevando che con questo riferimento iniziale egli ha creduto di potersi sottrarre ad una valutazione politica più impegnativa di tali nuovi sviluppi della situazione internazionale, da cui non possono, invece, non derivare motivi di riconsiderazione di tutta la nostra politica estera . e in realtà nella parte del discorso dell' onorevole Colombo dedicata all' azione internazionale dell' Italia si è avuta la prova che manca all' attuale Governo la coscienza che il problema di una revisione e di un mutamento degli indirizzi fin qui seguiti esiste ed è, venuto facendosi più stringente. qualche tempo fa l' onorevole La Malfa , parlando di un affievolimento della posizione internazionale, dell' Italia, diede l' impressione di avvertire il punto nodale di una politica estera italiana. l' onorevole La Malfa , tuttavia, non ha mai spiegato esattamente quali siano le ragioni effettive di questo affievolimento e come possa essere superato. il motivo è evidente. spingendo un po' più a fondo questo esame si deve necessariamente riconoscere che la debolezza della posizione internazionale del nostro paese deriva dal fatto che da tempo l' Italia è priva di una politica veramente nazionale; significa riconoscere che l' Italia è un paese la cui indipendenza e autonomia sono fortemente condizionate, e che senza liberarci da questa limitazione di sovranità che colpisce pesantemente anche il nostro paese, onorevole Colombo, è impossibile che l' Italia acquisti peso adeguato nella vita europea e mondiale. voi continuate invece a ripetere — ed è la linea in sostanza riproposta dall' onorevole Colombo — che, nell' attuale situazione del mondo, l' Italia non avrebbe altra scelta se non quella di ricercare le garanzie della propria sicurezza nel legame politico-militare con il blocco diretto degli USA, e in questo « contesto atlantico » continuate a rinchiudere anche la vostra visione dell' Europa. noi pensiamo, invece, che l' adesione al patto atlantico non solo non garantisce la nostra sicurezza, non solo limita pesantemente la nostra indipendenza e le possibilità di una nostra autonoma iniziativa internazionale, ma rappresenta una ipoteca e una minaccia per il libero sviluppo democratico della nostra società. ma tutta la vostra analisi della situazione internazionale è arretrata e unilaterale. voi vi limitate in sostanza a sottolineare sempre e quasi esclusivamente un solo aspetto delle attuali tendenze dei rapporti internazionali: la tendenza al mantenimento dei blocchi. ora noi non neghiamo che tale tendenza esista, non neghiamo neppure che per certi aspetti si può persino parlare di spinte a irrigidire ancora la divisione del mondo e in particolare dell' Europa in blocchi contrapposti. voi però trascurate il fatto che esiste contemporaneamente una tendenza diversa, una tendenza che vede un numero crescente di Stati, grandi e piccoli, ricercare la strada di un proprio sviluppo e di una propria iniziativa autonoma nel quadro del generale processo di emancipazione dei popoli dall' imperialismo e dal colonialismo; e che ciò determina una spinta oggettiva verso un nuovo assetto internazionale, fondato sul superamento dei blocchi e su una collaborazione di popoli che non contraddica, ma riconosca pienamente il principio di nazionalità. la nostra convinzione è che l' Italia ha tutto l' interesse ad assecondare questa tendenza e che il nostro paese può essere anzi tra quelli che possono dare in questo senso un contributo fra i più efficaci. per questo però è necessario che il nostro paese abbia una politica estera che sia ispirata da un disegno organico e di lungo respiro. è proprio l' assenza di questo disegno che si fa sentire negativamente in tutti gli aspetti della nostra azione internazionale (nella politica europea , nell' area del Mediterraneo, nei rapporti con il terzo mondo ) limitando la portata e l' efficacia di quegli accenti distensivi che pure negli ultimi tempi non sono mancati. voi dovete spiegarci perché mentre paesi come la Francia, la Jugoslavia, la Germania federale possono avere una politica estera propria, un paese come il nostro non è in grado che di allinearsi, e sempre con ritardo, a iniziative altrui. il trattato tra l' Urss e la Repubblica Federale Tedesca non apre, forse, la possibilità anche per noi di collocarci fra i protagonisti della costruzione di un nuovo assetto europeo fondato sulla sicurezza e sulla collaborazione tra tutti gli Stati del nostro continente? non potremmo proprio noi essere i più conseguenti portatori di iniziative tendenti a superare, sia pure gradualmente, la divisione dell' Europa in blocchi contrapposti? e intanto, come primo passo , che cosa può ormai impedire di procedere al riconoscimento della Repubblica democratica tedesca ? l' onorevole Colombo ha riproposto invece una visione dell' Europa, ha svolto un discorso sulla sua unità che, rimanendo ristretti nel contesto atlantico — come egli ha precisato — hanno il sapore del rifugio in una costruzione ammuffita che, tra l' altro, impone il grave, deplorevole silenzio sulla realtà dolorosa della Grecia! ma come pensate che possa accendersi una qualche passione, un qualche impegno nella gioventù del nostro paese per questa idea di una Europa atlantica, monca e subalterna, dominata dai gruppi dirigenti del capitalismo e dai tecnocrati degli organismi comunitari! l' autonomia, la sicurezza, l' unità dell' Europa, esigono la ricerca di un fondamento diverso: il superamento della divisione, della contrapposizione e della logica dei blocchi, la prospettiva di trasformazioni radicali nell' assetto sociale e politico dei diversi paesi. anche per ciò che riguarda il Mediterraneo voi non siete andati e non andate più in là dell' auspicio di una soluzione pacifica del conflitto nel Medio Oriente e di qualche vago cenno ad una possibile mediazione italiana. ma il problema oggi non è questo, tanto più che un' opera di mediazione è ormai in atto dopo la tregua accettata dalla RAU e da Israele. il problema sul quale dovremmo lavorare noi è in primo luogo quello di uno sviluppo della collaborazione con i paesi arabi, che muova dal riconoscimento persuaso dei loro diritti, del valore del processo generale di liberazione e di affermazione di indipendenza di questi popoli. può suscitare una qualche amarezza la vertenza aperta con la Libia, ma una soluzione che voglia essere positiva per i nostri rapporti e per i nostri interessi non solo in quel paese ma nei confronti dell' intero mondo arabo deve risolutamente mettere da parte qualsiasi residuo di mentalità colonialista, qualsiasi atteggiamento o merito di potenza civilizzatrice, se non con Mussolini, almeno con Giolitti, come scrive Il Corriere della Sera . tali suggestioni sono solo pericolose e velleitarie e ci sembra positivo che non abbiano pesato sull' azione intrapresa dal ministro degli Esteri . questa realtà nuova, questa spinta liberatrice del mondo arabo , che pur tra contraddizioni e difficoltà molteplici viene avanti, è un fatto destinato ad operare nell' avvenire, è un dato che deve esserci ben presente anche per ciò che riguarda la risoluzione del conflitto nel Medio Oriente . noi ribadiamo il nostro favore e sostegno ad una soluzione pacifica che abbia a base il riconoscimento del diritto di esistenza per tutti gli Stati di questa zona e il ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati , come vuole la risoluzione dell' Onu del 1967. in questo quadro non si può ignorare la esistenza di un problema del popolo palestinese , anche per la crescita e il vigore del movimento di resistenza. e noi riteniamo che tra le prospettive più valide debba essere considerata quella della convivenza tra le nazionalità ebraica e arabo-palestinese nell' ambito di uno Stato laico , democratico, plurinazionale. ma la questione che dovrebbe impegnare a fondo l' iniziativa del nostro paese è quella dell' avvenire del Mediterraneo. consentitemi di dire che tutta la campagna di allarme per l' accresciuta presenza sovietica nel Mediterraneo non fa che obbedire ad una impostazione superficialmente propagandistica e pretestuosa. bisogna semmai affermare che questo è stato lo sbocco inevitabile della politica atlantica che ha portato, da tempo alla presenza permanente nel bacino mediterraneo della flotta e delle basi degli USA e alla utilizzazione di questo potenziale militare a fini di pressione e di repressione dei movimenti popolari e di liberazione. ciò non significa tuttavia che da parte nostra vi sia qualche propensione ad accettare che il Mediterraneo diventi una zona di confronto delle forze delle due maggiori potenze mondiali. non è solo l' interesse del nostro paese, ma più in generale quello della, sicurezza e della pace in Europa e nel Mediterraneo a indicare l' esigenza di lavorare attivamente per una smobilitazione di forze, per la creazione nel Mediterraneo di una zona di pace e di sicurezza. le prospettive positive e incoraggianti che i recenti avvenimenti hanno creato in Europa e nel Medio Oriente non possono né far dimenticare né oscurare la permanente gravità del conflitto aperto nel sud est asiatico, che l' aggressione americana dei mesi scorsi contro la Cambogia ha reso più acuto e complicato. l' onorevole Colombo è rimasto fermo in modo desolante e grave ai consueti auspici di pace. sarebbe troppo chiedere a questo Governo una solidarietà con la lotta di libertà e di indipendenza dei popoli di Indocina, solidarietà ché è la nostra e che pure non è mancata e non manca in una parte notevole della stessa coalizione di centrosinistra! quello che domandiamo è se non si ritenga che sia giunto il momento per dare una qualche concretezza e peso a quegli auspici di pace, di riconoscere il governo di Hanoi. rinnoviamo una richiesta che non è solo nostra e il cui valore non è solo quello di un atto doveroso e giusto nei confronti di un popolo che ha dato così eroica testimonianza del suo diritto e della sua capacità di reggersi come nazione, ma anche di un gesto necessario per il nostro paese, se vogliamo che il suo prestigio, la sua funzione possano affermarsi in campo internazionale . anche la riaffermazione dell' universalità e della funzione dell' Onu di cui ha parlato il presidente del Consiglio , se non vuole essere una pura eco di un discorso tradizionale comporta che l' Italia si pronunci e operi senza ambiguità per restituire alla Repubblica popolare cinese il seggio che le spetta legittimamente in questa organizzazione. il punto di partenza per qualsiasi scelta di politica economica è il « giudizio » sulla situazione attuale e sulle cause che l' hanno provocata. sotto questo profilo consideriamo la sua esposizione, onorevole Colombo, del tutto negativa per la sommarietà ed erroneità dell' analisi, non per caso completamente priva di riferimenti alle cause strutturali, di fondo, delle presenti difficoltà. noi comunisti, pur respingendo ogni interessato allarmismo, non abbiamo esitato a riconoscere la serietà della presente situazione economica e, per conseguenza, essendo il partito più forte e più rappresentativo della classe operaia , non abbiamo esitato ad assumere le nostre responsabilità. ma abbiamo preso questa posizione proprio valutando l' insostituibile e permanente valore positivo, « per il paese » , delle lotte e delle conquiste operaie, indicando in esse la grande occasione che si offriva e si offre alle forze politiche per una svolta effettiva e profonda negli indirizzi della politica economica e dello sviluppo sociale dell' Italia. sarebbe dar prova di insipienza il non riconoscere (e noi diremmo, anzi, il non aver previsto) che lotte come quelle che la classe operaia e i lavoratori italiani hanno saputo condurre non potevano, non possono mai, rimanere un fatto irrilevante, senza conseguenze. credere il contrario significherebbe far credito al sistema capitalistico di virtù che non ha, attribuirgli e riconoscergli cioè proprio quella capacità di sviluppo organico, quella forza autopropulsiva, quelle possibilità di autocorrezione, quella disponibilità ad accogliere senza scosse e senza contraddizioni le esigenze e le aspirazioni di giustizia della classe operaia e delle masse popolari : capacità e possibilità che il capitalismo non ha e non potrà avere mai. in realtà, noi non neghiamo che le lotte operaie hanno dato una vigorosa spallata sul terreno della distribuzione del reddito ed anche su quello dei rapporti sociali e di potere, così da rompere le precostituite proporzioni tra salari, rendite e profitti, i preesistenti rapporti tra consumi e investimenti. ma noi comunisti diciamo che esattamente ciò era necessario che avvenisse. questo evento, a nostro giudizio, ha messo in luce due fatti sui quali noi vogliamo qui richiamare l' attenzione di tutti. il primo di questi due fatti è costituito dalla reale condizione della classe operaia italiana. molti di voi dimenticano troppo spesso le condizioni oggettive nelle quali sono costretti a lavorare e a vivere gli operai, i braccianti, i contadini, la grande maggioranza dei lavoratori italiani. l' inferno dell' azienda, della fabbrica, con i suoi ritmi, i suoi orari sfibranti, i suoi regolamenti iniqui, la sua disciplina da caserma, con lo stillicidio degli arbitrî e dei ricatti padronali, con le serrate impunite, con le violazioni contrattuali sistematiche, con i bassi salari, con gli infortuni a catena, con le condizioni ambientali che minano e distruggono rapidamente la vigoria fisica, la salute, l' equilibrio nervoso dei lavoratori, tutto questo a troppi di voi è ignoto o non è presente o non importa. e invece proprio qui sta la ragione prima da cui traggono fondamento materiale le lotte operaie: sta nella gravità e intollerabilità delle condizioni oggettive cui vengono costretti milioni di uomini, milioni di cittadini della nostra Repubblica, la forza produttrice della ricchezza del paese. oltre a ciò, voi non vedete — ecco l' altro fatto — non vi accorgete della realtà soggettiva della classe operaia , del salto di coscienza, del livello di maturità che il proletariato italiano e le masse lavoratrici hanno acquisito, della volontà e decisione (che hanno raggiunto forse il grado più elevato tra tutti i paesi dell' Europa e del mondo capitalistico) di liberarsi dalle condizioni di cui ho parlato, valendosi a questo fine di tutta la loro forza unitaria. voi non comprendete — e ha mostrato di non comprenderlo lei, onorevole Colombo che gli operai sono decisi ad utilizzare sino in fondo le posizioni nuove che hanno conquistato con le loro lotte. applicazione dei contratti significa anche riconoscimento di questo diritto. le forze di destra, ed in modo aperto anche il PSU, hanno gridato che ciò può compromettere lo sviluppo della società nazionale. ma tutta la storia del nostro paese ha smentito e smentisce questa tesi. infatti, seppure nei modi distorti, diseguali e discriminatori che sono determinati dagli storici squilibri territoriali, settoriali, strutturali, di cui soffre il paese, quanto si è avuto in Italia di sviluppo economico , di ammodernamenti produttivi, di avanzamento civile nella prima parte di questo secolo e poi, ancora, negli ultimi 25 anni, è dovuto in larga parte proprio allo stimolo che è venuto dalle lotte degli operai e dei contadini, per elevare i loro salari, i loro redditi reali, le loro condizioni di lavoro e di vita. la consapevolezza antica e profonda dei lavoratori è che la loro lotta per andare avanti come classe è lotta che fa andare avanti la democrazia, che spinge al progresso, allo sviluppo del paese . oggi, però, una consapevolezza nuova e non meno profonda, anima la classe operaia e le masse lavoratrici : una consapevolezza che nasce dall' esperienza collettiva, realizzata negli ultimi anni di lotte unitarie. la classe operaia ha compreso che occorre imporre profondi cambiamenti sul terreno della struttura e del funzionamento dell' intera economia; che la difesa. e l' elevamento dei livelli di occupazione costituisce un elemento essenziale per il rafforzamento del potere contrattuale dei lavoratori; che bisogna attuare certe riforme, garantire certi consumi sociali che si traducano in aumenti non reversibili di salario reale; che cioè diminuiscano e vengano progressivamente ad essere trasferiti alla collettività le spese che ciascun operaio, ciascun lavoratore, con il suo salario, ossia individualmente, è costretto a sostenere per sodisfare — senza tuttavia riuscirci — certi bisogni primari ed essenziali: come la tutela della salute, l' abitazione, la scuola e l' istruzione dei propri figli, l' assistenza ai propri bambini, i trasporti. in queste rivendicazioni, in questi obiettivi si realizza in modo particolarmente evidente la confluenza e la convergenza dell' interesse di classe con l' interesse nazionale , giacché l' attuazione delle riforme rivendicate dal movimento dei lavoratori, si traduce in un risparmio, in una economia per l' intera società, attraverso la liquidazione dei pesi e degli sprechi imposti da un assetto sempre più assurdo ed inumano, inefficiente e dissipatore. le riforme corrispondono dunque ad una profonda esigenza delle classi lavoratrici e della nazione, ad una urgente necessità non solo di progresso sociale ma di ripresa e sviluppo economico . non sono una concessione da fare ai sindacati — come ella ha mostrato di ritenere nella sua esposizione, onorevole Colombo — allo scopo di favorire l' instaurarsi di un clima di collaborazione nelle fabbriche. questa una impostazione strumentale che toglie ogni forza e respiro allo stesso discorso sulle riforme. ed è nello stesso tempo un' impostazione che parte dalla illusione e dalla pretesa di fondare una politica di riforme sulla rinuncia della classe operaia allo sviluppo della lotta nella fabbrica, laddove essa prende più diretta ed immediata coscienza della propria collocazione nel processo produttivo, e nella vita sociale, e del proprio ruolo di forza rinnovatrice. solo nella misura in cui la classe operaia si organizza e si unisce nella fabbrica — e a partire di lì si contrappone alle scelte del grande capitale — la battaglia per le riforme può avanzare nel paese. noi comunisti ci siamo sforzati di cogliere questa profonda convergenza tra l' interesse della classe operaia e l' interesse generale del paese e di tradurla in una linea di politica economica e sociale che permetta di realizzare la trasformazione progressiva dei meccanismi e delle strutture della produzione e del consumo secondo le esigenze della classe operaia e del paese. non è più possibile fare l' inverso. non è più possibile pretendere ancora di piegare le aspirazioni e i bisogni del popolo lavoratore alle cosiddette « esigenze del sistema » , così come è organizzato e funzionante, secondo la norma imperativa del massimo profitto, secondo le scelte dei gruppi capitalistici dominanti. questo è stato invece in definitiva il filo conduttore del suo discorso, onorevole presidente del Consiglio . tutte le esigenze, che lei ha sottolineato, di assunzione di impegni precisi, di coerenza di comportamenti sono state rivolte alle organizzazioni dei lavoratori. ella si è preoccupato solo o quasi delle eventuali conseguenze di ulteriori aumenti delle retribuzioni operaie. sovraprofitti di monopolio, rendite, alti redditi da colpire non hanno avuto nel suo discorso l' onore di una citazione. quando si è riferito alle tensioni originatesi nei prezzi, ella ha chiamato in causa i « frequenti scatti della contingenza » e ha taciuto invece sulle cause reali degli aumenti dei prezzi , del costo della vita , di cui l' attuale meccanismo della scala mobile non compensa che in piccola parte i lavoratori. mentre non ha fatto un solo cenno alla necessità di modificare indirizzi e comportamenti dei grandi gruppi capitalistici come condizione per imprimere uno sviluppo nuovo all' economia italiana . le nostre proposte di politica economica avanzate nella risoluzione della direzione del Pci dell' 8 luglio hanno al loro centro la necessità di una forte espansione produttiva e la necessità della occupazione piena e stabile di tutte le forze-lavoro disponibili. la forte espansione produttiva che noi sollecitiamo e di cui indichiamo le condizioni non è però un' espansione indifferenziata bensì orientata e ordinata alla risoluzione di problemi storici, di questioni di fondo della società italiana come quello del Mezzogiorno, dell' agricoltura, di una ristrutturazione dei consumi, — del continuo progresso tecnico e scientifico del paese. una espansione produttiva così qualificata richiede l' avvio immediato dell' attuazione delle riforme e un corrispondente orientamento degli investimenti pubblici e privati . ma proprio per questo è necessario unire le misure congiunturali agli obiettivi di riforma. non si deve accettare neppure in via provvisoria una politica creditizia e della spesa pubblica che si riduca unicamente all' uso dello strumento monetario in senso « deflattivo » o che si risolva semplicisticamente nel blocco rigido di tutte o quasi le spese dello Stato. è del tutto evidente la differenza che separa questa nostra impostazione dalla linea esposta dall' onorevole Colombo. vero, per esempio, che anche l' onorevole Colombo ha parlato della necessità di « spostare le risorse reali dall' area dei consumi privati all' area dei consumi pubblici e della produzione » . ma si è trattato di una semplice enunciazione. come si pensi di realizzare concretamente questo spostamento non ci è stato detto. si è genericamente annunciato un « complesso di misure » , e l' unico riferimento esplicito è stato quello fatto a provvedimenti di carattere fiscale. ma se solo a misure fiscali si volesse ricorrere, quali ne dovrebbero essere la natura e la dimensione per raggiungere l' effetto voluto? inoltre il presidente del Consiglio si è guardato dallo specificare quali consumi occorra limitare e verso quali investimenti occorra concentrare le risorse disponibili. non si può parlare in modo indifferenziato di consumi privati ignorando ogni distinzione tra consumi popolari e consumi non necessari. né possono bastare in materia di orientamento degli investimenti industriali i pochi accenni fatti dall' onorevole Colombo: ad esempio per quel che riguarda le piccole e medie industrie, è una vera e propria svolta a loro favore che bisogna compiere nella politica creditizia . ma il discorso sulle scelte da compiere sul terreno degli investimenti e in modo particolare sul terreno della spesa pubblica rivela tutta la sua inconsistenza quando per l' agricoltura il presidente del Consiglio , che si è limitato su questo punto a parafrasare la recente dichiarazione dell' onorevole Bonomi, ha riproposto tutte le impostazioni e gli strumenti di una politica già fallita ignorando perfino gli aspetti più clamorosi di una situazione che conduce alla distruzione di enormi quantitativi di prodotti agricoli, mentre cresce il divario tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo . tutto il problema del rapporto tra industria e agricoltura e quello della distribuzione dei prodotti sono stati elusi dall' onorevole Colombo così come è stato eluso il decisivo tema dei contratti agrari compreso quel suo concreto e attuale aspetto rappresentato dalla legge sull' affitto dei fondi rustici già approvata dal Senato. anche per questo è risultata così angusta la parte del discorso riservata al Mezzogiorno, quasi che i drammatici problemi delle popolazioni meridionali potessero risolversi solo con qualche sollecitazione ulteriore in fatto di localizzazioni industriali. in realtà, di scelte nuove sul piano quantitativo e qualitativo l' onorevole Colombo non ne ha annunciata nessuna. di provvedimenti concreti neppure: eccezion fatta per quelli già noti relativi alle agevolazioni fiscali per gli aumenti di capitali, ai fondi comuni di investimento e al disegno di riforma tributaria , tutti provvedimenti da noi criticati perché non rispondenti alle esigenze di un nuovo orientamento dello sviluppo economico e sociale del paese. anche per quel che riguarda la scuola, non è possibile dedurre, dall' esposizione dell' onorevole Colombo, nessun criterio di priorità, nessuna scelta di indirizzo, nessuna precisazione circa la portata dell' impegno che si vuole assumere. e quale significato ha, noi le chiediamo, l' accenno allo scorrimento delle scadenze di spesa previste per la riforma universitaria ? significa che si continuerà a spendere nello stesso modo e nella stessa misura, lasciando incancrenire questo acutissimo problema? in generale, onorevole Colombo, non è l' esigenza di una gradualità nell' attuazione delle riforme che noi neghiamo. sono due tuttavia le posizioni che non possiamo accettare. la prima è quella che riduce il discorso sulle riforme ad una pura esibizione di etichette, così come ella ha fatto, ad esempio, quando ha parlato del servizio sanitario nazionale senza indicare nulla di concreto, sia per i contenuti, sia per i tempi; la seconda è quella che fa delle riforme la copertura sociale di un discorso economico vecchio e sbagliato. le riforme devono essere gli atti di una politica economica nuova: le riforme, onorevole Colombo, non sono una meta lontana da perseguire dopo aver risanato la situazione congiunturale con qualche decretone o decretino. no, le riforme sono il mezzo per risanare veramente, durevolmente, nell' interesse delle masse popolari e del paese, la situazione; sono la giusta politica congiunturale che avvia sin d' oggi quella di medio e di lungo periodo. il loro valore sta nel sottrarre la scelta degli investimenti alle indicazioni del mercato monopolistico e nel sostituire a forme distorte e costose di consumo privato un nuovo orientamento dei consumi, più valido socialmente ed economicamente. se si vuole saldare la congiuntura alle riforme occorre, con atto coraggioso, determinare una forte domanda di tipo qualitativamente nuovo, per investimenti e per consumi sociali, che si sostituisca alla domanda per consumi non essenziali. è così che si difende il salario e si creano contemporaneamente nuove risorse investibili. il complesso dei problemi su cui son venuto sin qui discorrendo ci riconduce alla questione del regime politico , che è poi la questione dell' avvenire della nostra Repubblica. l' esigenza più generale mi sembra possa nei termini più semplici così formularsi: è tempo di attuare in modo conseguente, e senza limitazione alcuna, i principi e le regole della democrazia, di sviluppare il nostro regime democratico in tutte le sue potenzialità, secondo i principi e l' ispirazione della Costituzione repubblicana. in altri termini, noi pensiamo che i mali del nostro regime democratico, che provocano un logoramento pericoloso delle istituzioni, derivino non da un eccesso di democrazia, ma al contrario dalle limitazioni che al dispiegamento della vita democratica sono state e vengono tuttora imposte. tali limitazioni riguardano innanzi tutto la libertà degli operai, dei lavoratori sui luoghi di lavoro. certo, gli operai dell' industria, i braccianti agricoli, i lavoratori, con le loro lotte di questi anni, ed in particolare dell' autunno, si sono conquistati nuovi diritti sindacali e democratici nelle aziende, nei rapporti di lavoro, nel sistema del collocamento: conquiste di fondamentale valore che assicurano al regime democratico nuove potenzialità. importanti sono anche alcuni diritti ed istituti democratici che si è riusciti a strappare con lo statuto dei lavoratori. ma questi stessi diritti, conquistati a prezzo di lunghe lotte, aspre e sanguinose sono ancora limitati, contestati, ampiamente violati. né ci si opponga, onorevoli colleghi , il richiamo alle manifestazioni ed agli episodi di estremismo. innanzi tutto la portata di tali episodi non deve essere esagerata, come si fa da parte di coloro che affidano le loro fortune ad un clima di confusione e di disordine. noi pensiamo che le tendenze estremistiche siano errate e dannose e che perciò debbano essere, con metodi politici e democratici, combattute e superate. ma è un fatto significativo che proprio nell' autunno caldo , nel fuoco di grandi lotte di masse, condotte unitariamente e con larga partecipazione democratica, le spinte estremistiche sono state emarginate e riassorbite. alla base dell' estremismo infantile e di tutte le forme di esasperazione c' è l' autoritarismo, c' è la prepotenza burocratica e poliziesca; c' è l' ingiustizia, c' è l' incapacità delle vecchie classi dirigenti e dei governanti, c' è il crescente divario tra ordinamenti arcaici e le esigenze attuali della società, delle nuove generazioni. è su questo terreno, inoltre, che si inserisce l' azione di provocatori, di fascisti, di reazionari. ed è su questo terreno, inoltre, che si sviluppano le iniziative di forze retrive, oscurantiste, trasformiste e clientelari, come quelle che hanno provocato i disordini, ieri di Caserta, oggi di Reggio Calabria . insomma, la democrazia si difende in un solo modo: sviluppandosi. in Italia, soprattutto. non ci stancheremo mai di ricordare che in Italia la democrazia è stata riconquistata, contro il fascismo e contro la borghesia e le vecchie forze dirigenti, e difesa in questi venti anni dalla classe operaia , dai contadini, dagli intellettuali d' avanguardia, dai giovani. nel fuoco di queste lotte sono cresciute le grandi organizzazioni democratiche, politiche e sindacali del movimento operaio italiano. nel fuoco di queste lotte è cresciuto in Italia il nostro partito. gravi ed anacronistiche sono, al tempo stesso , le limitazioni delle libertà civili: inconcepibili in una moderna società. a ciò si deve aggiungere tutto ciò che di non democratico si annida (dopo più di venti anni di Repubblica e otto anni di centrosinistra!) nell' apparato dello Stato, nella Pubblica Amministrazione , nella polizia, nell' esercito, nell' ordinamento della giustizia, nell' ordinamento familiare, nella scuola. noi chiediamo alla maggioranza e alle singole forze che ne fanno parte di pronunciarsi chiaramente, di assumere precisi impegni su queste questioni. prima di tutto, per ciò che riguarda il rispetto e l' estensione dei diritti democratici dei lavoratori non solo sindacali, ma politici, nelle fabbriche ed in tutti i luoghi di lavoro. ciò comporta, ovviamente, innanzi tutto, l' esplicito ripudio di ogni proposito e velleità di limitare il diritto di sciopero. ciò esige, inoltre, l' esplicito abbandono di una politica dell' ordine pubblico ispirata ad una concezione repressiva. è un fatto, onorevoli colleghi , che non è ancora stato stroncato quel filo nero, intessuto di reazione e di barbarie, che percorre un secolo di vita dello Stato nazionale unitario. nel corso delle lotte sociali, infatti, delle manifestazioni popolari, in Italia accade ancora che si spari sui lavoratori, che si colpiscano coloro che delle istituzioni democratiche e della Repubblica sono gli artefici e il più sicuro presidio. è persino una banalità tornare a ricordare (ma purtroppo è ancora necessario il farlo) che le grandi organizzazioni politiche, sindacali, in collaborazione con le autorità democratiche dello Stato, sono in grado di assicurare l' ordinato svolgimento degli scioperi e delle manifestazioni. l' intervento della polizia determina, invece, quasi sempre, situazioni tese e drammatiche, nelle quali, per motivi diversi, facilmente divampano conflitti drammatici. è tutta la concezione dell' ordine pubblico che deve essere cambiata, la concezione del rapporto fra i cittadini e lo Stato, e, in particolare, fra i lavoratori e lo Stato. radicalmente mutato deve essere l' indirizzo che presiede alla formazione dell' orientamento delle forze di polizia , ancora oggi, in generale, portate a vedere, nei cittadini solo persone soggette ad obblighi e divieti, mai titolari di diritti; e, nei lavoratori in lotta, dei potenziali sovversivi. in questo quadro è ormai improrogabile il divieto per le forze di polizia di portare armi nel servizio di ordine pubblico . inammissibile, onorevole presidente del Consiglio , è la politica cosiddetta della lotta contro gli opposti estremismi , e cioè la equidistanza, tanto cara al ministro dell'Interno , onorevole Restivo, tra i movimenti delle grandi masse operaie e popolari da una parte, e le attività dei fascisti e di altre forze reazionarie dall' altra. è tempo, invece, di stroncare le attività criminali dei fascisti, dei reazionari e provocatori di ogni sorta. per mettere delle bombe sono sufficienti piccoli gruppi. e vi sono poi, subito pronte, forze politiche che vi montano su una campagna di destra. in tutto ciò vi è un pericolo grave che sbaglieremmo (e sbagliereste anche voi) a sottovalutare. quali garanzie abbiamo che l' attività dei servizi di sicurezza , di certe parti e di certi gruppi delle forze armate , di altri settori dell' apparato dello Stato, sia rigorosamente conforme ai principi della correttezza democratica, alla fedeltà verso la Repubblica? che non si continui, almeno in parte ancora, nei famigerati metodi del Sifar? che siano stati recisi i fili che legano oscuri centri di potere interni o centrali e gruppi reazionari stranieri? il tutto all' insegna della cosiddetta « scelta di civiltà » — professata dall' onorevole Tanassi, ministro della Difesa — nell' ambito della NATO? non abbiamo nessuna garanzia: anzi, abbiamo ragione di pensare che continui a tramarsi un siffatto lavorio reazionario. certo, noi abbiamo fiducia piena nella forza della classe operaia e delle masse popolari italiane, nella capacità nostra e delle altre forze antifasciste e democratiche coerenti, e cioè nella grande maggioranza del popolo italiano , di dare ad ogni attentato reazionario una risposta dura, distruttiva. ma una tale fiducia poggia sulla volontà di lotta, sulla denuncia delle insidie e delle minacce, sulla vigilanza e sulla mobilitazione delle masse. e il Governo, onorevole Colombo, onorevole De Martino , ha il dovere di provvedere subito, con decisioni nette e adeguate, ed avviando profonde riforme di tali settori dell' attività dello Stato. per sua natura, la democrazia non ha bisogno di salvatori; si difende da se stessa , sviluppandosi. di qui anche l' importanza che noi attribuiamo alle riforme dei codici, provvedendo senza ulteriore indugio ad epurarli dalle norme fasciste o comunque incompatibili con la Costituzione. di qui l' importanza di una nuova legge di Pubblica Sicurezza , di una riforma del processo penale , del diritto del lavoro , dell' ordinamento giudiziario , del sistema penitenziario. soprattutto assume grande significato oggi quella riforma di tutto l' ordinamento statale che è rappresentata dall' entrata in vigore delle regioni. quando diamo tale rilievo alla questione delle regioni, non pensiamo soltanto alla liquidazione del centralismo burocratico, vessatorio, antipopolare; guardiamo anche alla instaurazione di un modo nuovo di formazione della volontà politica generale. e ciò in due sensi. innanzi tutto, nel senso che le assemblee regionali devono divenire componente importante della direzione politica del paese. quindi tutte le altre componenti dello Stato — il Governo, il Parlamento, gli apparati amministrativi, gli enti economici pubblici — sono chiamate ad agire in modo da dare presto alle assemblee regionali i poteri e gli strumenti necessari. si deve subito stabilire con le assemblee regionali un confronto reale, una dialettica che non è affatto confusione e disgregazione ma consapevole costruzione di una unità nazionale più profonda. in secondo luogo le regioni devono essere uno strumento con cui arricchire e rinnovare profondamente i collegamenti con tutta la rete delle assemblee elettive locali e con i movimenti che agiscono nella società civile , con le grandi organizzazioni di massa, con gli organismi nuovi di potere che sull' onda delle grandi lotte popolari stanno sorgendo nelle fabbriche, nei quartieri, nelle campagne, nelle scuole. in questo senso non ci sembra proprio, onorevole Colombo, che il suo discorso abbia colto la novità rappresentata dall' avvento delle regioni ed i problemi originali che esse sollevano. noi riteniamo che al fondo delle vicende calabresi e dei fatti di Reggio ci sia nella sostanza uno scontro fra due modi di intendere le regioni: un modo — quello per cui noi comunisti ci schieriamo — che concepisce le regioni come organi di decisione e di direzione politica, come organi dunque che delegano tutta una serie di compiti a comuni, a province, a organizzazioni di base popolari; e un altro modo, che vede invece le regioni come selve di assessorati, come proliferazione di apparati burocratici e di elargizione di posti attorno a cui scatenare risse e gare tra municipi. qui c' è una grande scelta da fare. ebbene, vediamo nei fatti chi sa scegliere. di fronte alle drammatiche agitazioni di Reggio Calabria , noi comunisti non abbiamo esitato ad assumerci le nostre responsabilità. noi proponiamo la stessa linea, sia quando parliamo, come hanno fatto i nostri dirigenti calabresi e come ha fatto l' altro giorno il nostro compagno Ingrao a Reggio, sia quando parliamo a Cosenza, a Catanzaro o a Roma. questo non ha saputo fare nessun altro partito. tanto meno l' hanno fatto ministri, sottosegretari, alti dirigenti della Democrazia Cristiana . su tutte queste scottanti materie qual è l' indirizzo del Governo, quale capacità e volontà di realizzarle esso esprime? noi ci troviamo di fronte a una trasformazione della nostra società e ci troviamo di fronte a un movimento operaio , popolare, democratico, che si è conquistato nuovi diritti, nuovi poteri, un peso crescente, una funzione nazionale. in una tale situazione, delle due l' una: o si procede decisamente al rinnovamento delle strutture sociali, dell' organizzazione dello Stato e dell' ordinamento giuridico ; oppure è inevitabile che si determini un conflitto sempre più acuto fra la realtà nuova e i vecchi ordinamenti. se si vuol salvaguardare il regime democratico, la via del progresso e del rinnovamento è obbligata. possibile realizzare un rinnovamento così profondo? noi rispondiamo: sì. ma a una condizione, specificamente politica. la condizione è che si instaurino rapporti politici diversi i quali siano tali da consentire e assicurare un rigoroso svolgimento del metodo democratico, un pieno, libero funzionamento di tutte le istituzioni rappresentative. onorevoli colleghi della maggioranza — ed in particolare voi, compagni socialisti, e voi, colleghi delle correnti di sinistra della Dc — nei vostri propositi, il centrosinistra avrebbe dovuto, se non altro, assicurare questo: un progresso, o almeno un corretto funzionamento, del regime democratico. ma il bilancio è del tutto negativo. tutti i problemi del nostro regime democratico si sono aggrovigliati e ingigantiti. nessuna arma di pressione e ricatto nelle mani delle forze di destra è stata spezzata; al contrario, in ogni momento di crisi queste armi ve le siete trovate puntate contro. e le minacce hanno operato, per consigliare il « meno peggio » , per spingere a rinunce. la dottrina della cosiddetta area democratica, della cosiddetta delimitazione della maggioranza, si è dimostrata, alla prova dei fatti, di ostacolo al funzionamento del Parlamento, delle amministrazioni locali , di tutte le istituzioni. molti si erano illusi che con quella politica si potesse isolare e colpire il partito comunista . ma queste illusioni sono miseramente crollate! il fatto è che, nella concreta situazione italiana, se si vuole discriminare il partito comunista e l' opposizione di sinistra, inevitabilmente si ostacola e si impedisce il funzionamento della democrazia. non si può derogare al principio di una dialettica parlamentare assolutamente libera. questo non è regime assembleare . forse che l' alternativa dovrebbe essere: o regime assembleare o dialettica parlamentare limitata e sotto tutela? se vi è una maggioranza di Governo effettivamente concorde su una linea politica, su un indirizzo generale, questa può governare attraverso il Parlamento, senza alcun bisogno di coartare partiti, gruppi e singoli parlamentari della maggioranza, senza alcun bisogno di assoggettare l' attività parlamentare ad accordi extra parlamentari, per giunta minuziosi, vincolanti e tassativi, riducendo la funzione parlamentare ad una mera apparenza, a vuoto rito. non è ammissibile che, in nome di una maggioranza artificiale e coatta, si pretenda di cancellare una maggioranza effettiva che si sia formata su un determinato problema, o anche su questioni di indirizzo. ed è altresì certo che, se sorge una crisi nella maggioranza di Governo, è inammissibile, è intollerabile che si continui a volerla risolvere al di fuori del Parlamento, tra dieci persone, in conciliaboli segreti. essa deve essere risolta nel Parlamento ed attraverso una dialettica pienamente libera. e che dire della pretesa di imporre ai comuni, alle province, alle regioni la formula di centrosinistra, anzi il quadripartito? in ciò vi è persino una differenza rispetto alla situazione di alcuni anni fa. infatti agli inizi degli « anni 60 » il centrosinistra cominciò a sorgere proprio nei comuni e nelle province. ciò avveniva per il concorso e l' intricato intreccio di molti fattori diversi e di spinte contraddittorie. vi operava, anche allora, un disegno di rottura del movimento operaio , di rottura delle amministrazioni popolari: e a tale scopo anche allora venne esercitata dall' alto una pesante pressione. ma, allora, si trattava pur sempre di un processo politico che veniva avanti e non si arrivò all' impudenza di teorizzare il principio che una coalizione di Governo nazionale debba comportare una regolamentazione delle maggioranze nelle assemblee locali. questo è un assurdo! questo è persino ridicolo! stupisce solo che uomini politici , uomini di Stato si siano spinti fino ad escogitare e tentare di metter su congegni, in virtù dei quali una maggioranza di un comune d' Italia potesse essere discussa e decisa nel Consiglio dei ministri ! e in noi desta anche preoccupazione il fatto stesso che nel documento Colombo, accettato dai compagni socialisti e dalle sinistre democristiane, la questione sia trattata; mentre, per ragioni di principio, in sede di Governo nazionale, non doveva essere trattata. peggio ancora: in quel documento e nella dichiarazione del presidente del Consiglio tale questione, che per sua natura è di principio, si tenta di risolverla con un avverbio: « prevalentemente » ; insomma scusatemi la crudezza dell' espressione — si tenta di risolverla al modo con cui le massaie tirano sul prezzo, al mercato. onorevoli colleghi , noi abbiamo fatto proposte precise: di politica estera , di politica economica e sociale, di politica interna . su tali temi, su tali contenuti, innanzi tutto, si deve discutere. alla conclusione, noi abbiamo indicato, come questione fondamentale e centrale, un metodo che è al tempo stesso sostanza della concezione e degli ideali democratici e della lotta di classe del proletariato e dei lavoratori italiani. siete voi, uomini di sinistra, disposti e decisi a seguire con coerenza, con rigore tali principi, un tale metodo? se lo farete, la via sarà aperta a una svolta politica. oggi è la classe operaia italiana, fattasi matura come classe dirigente nazionale, che è alla testa della lotta per il corretto e pieno funzionamento della democrazia. infatti, la realtà oggi è questa: una corretta ed effettiva democrazia conduce all' avvento delle masse operaie e popolari alla direzione della società e dello Stato, apre la strada al socialismo. sono le vecchie classi privilegiate e sfruttatrici che non possono più sopportare la democrazia. a questo punto do per scontata, naturalmente, l' obiezione consueta: « in quei paesi, nei quali i partiti comunisti sono al potere, si è instaurato un regime politico ben diverso da quello che voi ci proponete per l' Italia » . nessuna risposta, a questo riguardo, abbiamo da dare agli anticomunisti professionali né a tutti coloro che cercano in ciò un alibi pretestuoso per le proprie capitolazioni. vogliamo rispondere invece ad altri. a quei democratici nei quali una tale obiezione è dettata da sincera perplessità. a questi ultimi rinnoviamo la proposta di un dibattito non propagandistico, ma seriamente volto alla ricerca di un chiarimento di fondo. qui, oggi, mi limito a riaffermare che, secondo noi, nelle nostre posizioni, nella nostra strategia rivoluzionaria, nella nostra prospettiva, l' accennata contraddizione non c' è. contraddizioni, certamente, vi sono nell' oggettiva realtà internazionale, nella storia, per altro grandiosa e gloriosa, delle rivoluzioni socialiste e delle rivoluzioni antimperialistiche, nei grandi conflitti ed eventi mondiali di questo secolo. tali contraddizioni hanno creato e pongono ancora oggi problemi difficili: ma il modo con cui noi li siamo venuti affrontando ci sembra coerente. il nostro partito è parte del grande movimento comunista, rivoluzionario, antimperialista ed operaio internazionale. contemporaneamente, il nostro partito è profondamente nazionale e pienamente autonomo. nessuna persona obiettiva può oggi negare ciò. del resto, se non fossimo una forza autonoma, nazionale, come si spiegherebbero le nostre radici e la nostra influenza nelle masse del popolo italiano , della cui storia e vita nazionale noi siamo parte organica? e potrebbero mai i principi, gli ideali democratici che noi professiamo essere un puro accorgimento tattico? è assurdo pensarlo. noi, infatti, non siamo una piccola setta, ma un grande partito, le cui idee, la cui politica sono patrimonio di grandi masse di operai e di popolo. noi siamo internazionalisti non solo per vocazione ideale, ma perché le necessità e le aspirazioni della classe operaia e delle masse lavoratrici italiane, perché il progresso democratico e il rinnovamento nazionale richiedono una trasformazione radicale della società; e una tale trasformazione può compiersi solo attraverso una lotta che sia combattuta in ogni paese e su scala internazionale. infatti, il sistema dello sfruttamento, il capitalismo e l' imperialismo, sono una realtà internazionale, che si concreta in modi originali e diversi in ogni singolo paese e nelle situazioni profondamente diverse delle regioni, del mondo: dai. paesi sottosviluppati alle metropoli del capitalismo e dell' imperialismo. di qui è sorta e sorge la necessità di una visione internazionale, della solidarietà internazionale dei proletari, dei lavoratori, di tutti gli oppressi e gli sfruttati, delle forze rivoluzionarie e democratiche del mondo intero. guai a noi se rompessimo con il nostro internazionalismo, che è componente essenziale della storia del movimento operaio italiano, della nostra stessa storia nazionale! se mai — in via di assurda ipotesi — lo facessimo, in tale caso sciagurato, grandi masse operaie e popolari del nostro paese non ci seguirebbero più; e noi perderemmo la essenziale natura di forza rivoluzionaria, inseparabile da una lotta coerente per la democrazia e il rinnovamento dell' Italia. ma a chi gioverebbe ciò? sicuramente, ai reazionari; non certo a tutte le altre forze di sinistra italiane, non certo alla causa del progresso democratico, dell' indipendenza nazionale e della pace. la nostra autonomia — nel movimento comunista e operaio internazionale — è completa e si esprime anche in una piena indipendenza di giudizio sugli avvenimenti e sulla politica dell' Urss e degli altri paesi socialisti e degli altri partiti comunisti. noi teniamo ben fermo, come punto essenziale, il valore, la storica portata della rivoluzione socialista dell' ottobre russo e della costruzione di società nuove in questo e in altri paesi, società che hanno cambiato la struttura del mondo e il rapporto di forza su scala internazionale. ciò non ci impedisce, però, di vedere contraddizioni esistenti nella realtà dei paesi socialisti. questi sono dati oggettivi della realtà contemporanea. ma le stesse contraddizioni della realtà socialista, come si è venuta storicamente formando, per essere positivamente risolte, nella linea della esplicazione di tutte le potenzialità emancipatrici e democratiche della rivoluzione proletaria e socialista, richiedono, come condizione necessaria e direi prioritaria, che vada avanti il processo della distensione internazionale, che si risolvano in modo giusto e democratico i conflitti aperti nel mondo, che si progredisca sulla via del superamento dei blocchi militari contrapposti, che si affermi pienamente l' indipendenza e la sovranità di ogni Stato. ebbene, tali compiti coinvolgono la responsabilità non solo dei comunisti e di tutte le forze rivoluzionarie, ma anche di ogni altra forza democratica e, in diverso modo, di ogni forza politica dell' Europa e del mondo. in particolare, dell' Italia. per noi, è decisiva la coscienza del contributo che la classe operaia ed il popolo italiano — nella tradizione di un secolo di lotte socialiste, antifasciste, democratiche — sono chiamati a dare allo scioglimento anche di quelle contraddizioni e dei grandi problemi internazionali, riprendendo il cammino in avanti sulla via della rivoluzione democratica e socialista dell' Italia. in un tale orientamento, che ho potuto solo accennare, noi vediamo una coerenza profonda tra il nostro internazionalismo e la nostra autonomia e funzione nazionale. non maggiore consistenza ha, a nostro giudizio, l' altro argomento che si oppone alla ricerca e all' istituzione di un nuovo rapporto con il nostro partito, e alla costruzione di una collaborazione fra tutte le forze democratiche e di sinistra. voglio dire l' argomento secondo cui qualsiasi rapporto o intesa con il Pci significherebbe accettare il suo schema frontista, e quindi smarrire la propria autonomia. non è qui la sede per una valutazione storica della politica che è stata definita come « frontismo » e che ha avuto in realtà uno straordinario valore nella lotta contro il fascismo e per l' avanzata delle classi lavoratrici nel nostro paese e su scala europea. muoviamo pure dal significato che viene oggi attribuito a questo termine, e cioè quello di una intesa tra diverse forze politiche , che rinunciano agli elementi di differenziazione e di autonomia, per dare risalto solo a quegli elementi che tutte le accomunano, e su tale base accettano una disciplina. ebbene, se di frontismo in tale accezione si può parlare oggi nella situazione politica italiana , è proprio quello che si vorrebbe mettere a base del « centrosinistra organico » . noi, che in altri e diversi momenti e situazioni politiche, siamo stati in effetti i promotori di una politica di fronte democratico e popolare, abbiamo una ben diversa concezione dei rapporti tra le varie forze democratiche e di sinistra. miriamo non solo ad una articolazione del Movimento Sociale e politico, ma al pieno riconoscimento ed esaltazione della personalità ed autonomia di ogni autentica componente ideale e politica della sinistra, ad un rapporto e ad una intesa tra uguali. e ciò perché siamo persuasi che è questa la condizione per promuovere un rinnovamento generale della società italiana , fino alla sua trasformazione in senso socialista. in realtà, quello del « frontismo » non è altro che uno spauracchio agitato dai gruppi conservatori, i quali sono ben consapevoli del significato che ha un nuovo rapporto tra i comunisti, i socialisti del PSIUP e del Psi e le altre forze di sinistra laiche e cattoliche. fare i conti con noi, e cioè, non più solo con una parte del movimento operaio , ma con la classe operaia italiana come tale, vuol dire fare i conti con una forza che non si presta e non può prestarsi ad una qualche operazione di tipo trasformistico, perché sollecita ed esige un rinnovamento profondo delle strutture della società e degli equilibri di potere. qui è il nodo che non si ha il coraggio di affrontare e di sciogliere. ma le paure, le esitazioni, i rinvii non fanno che aggravare la crisi politica , impediscono la soluzione dei problemi fondamentali per il progresso nazionale, aprono il rischio di una condizione di ingovernabilità e quindi di una involuzione che minaccerebbe le basi della democrazia. anche la crisi della Dc e della sua politica, il travaglio di altre forze socialiste e democratiche ha in questo dilemma una delle ragioni di fondo. in sostanza, per quanto riguarda la Dc, si tratta della crisi di una tradizionale linea moderata, nel momento in cui essa è posta di fronte ad alternative che diventano sempre più radicali. non ci sfugge certo la maturazione nel mondo cattolico ed anche nella Dc di orientamenti e di fatti nuovi, ma tali processi sono ancora lenti e contraddittori, mentre tutta la situazione del nostro paese richiede con urgenza soluzioni politiche avanzate. per questo obiettivo noi continueremo a sviluppare la nostra iniziativa e la nostra battaglia, sforzandoci di dare il maggiore contributo possibile alla soluzione dei problemi delle classi lavoratrici e del paese e all' avanzata dei processi unitari in campo sindacale e politico. condurremo nei confronti di questo Governo una ferma e concreta opposizione. di fronte abbiamo una coalizione contraddittoria e precaria, una formazione governativa che sa — come testimonia, in sostanza, lo stesso discorso dell' onorevole Colombo — di non aver risolto nessuno dei problemi che hanno provocato le ripetute crisi. è stato detto che questa è l' ultima incarnazione possibile del quadripartito. ebbene, il nostro impegno nel Parlamento e nel paese sarà rivolto a far sì che la fine di questo Governo segni la sconfitta definitiva del partito dell' avventura, il superamento più che maturo della politica di centrosinistra e l' inizio di una svolta che garantisca lo sviluppo della democrazia e il rinnovamento della società italiana , secondo le aspirazioni e le richieste delle classi lavoratrici .